4.

Ognuno interpreta un suo ruolo abituale, per gli interrogatori. Uno dei nostri detective riesce benissimo in quello del padre confessore, accumulando le colpe e sbandierando l’assoluzione come un biscotto per cani; un altro fa il preside irascibile: fissa il soggetto da sopra gli occhiali e spara domande secche. Io faccio la donna guerriera, pronta a scatenare il fuoco per vendicare i tuoi torti, se solo le dici quali sono, e il rovescio della medaglia della guerriera, cioè la stronza che odia gli uomini, quando vogliamo far incazzare un violentatore o un troglodita. Faccio anche la donna di mondo, che regge l’alcol e sa farsi due risate, quella con cui un uomo può parlare di cose che non direbbe a un altro uomo. Steve fa il bravo ragazzo della porta accanto, con tutte le variazioni. Con le donne, Breslin fa il gentiluomo galante, le aiuta a togliersi il soprabito e inclina la testa per ascoltare ogni parola; con gli uomini fa il capobranco: un amicone se lo prendi dal lato giusto, altrimenti ti ficca la testa nel cesso e tira lo sciacquone. In genere valutiamo il bersaglio e usiamo il personaggio che ha le migliori possibilità.

Rory non ha bisogno della donna guerriera, ci sembra, e la stronza che odia gli uomini lo spaventerebbe a morte, mentre la donna di mondo può aiutarlo a rilassarsi un po’. Sarebbe del tutto a suo agio con il bravo ragazzo della porta accanto, ma per il momento Steve è fuori gioco. Spero solo che il capobranco non lo impaurisca troppo o non faccia infuriare me al punto da mandare tutto a puttane.

Il mio rapporto con Rory inizia costandomi subito un deca: non si mette a piangere. Fa un salto sulla sedia quando Breslin spalanca la porta ma, non appena tiro fuori il mio sorriso da donna di mondo, lui riesce addirittura a ricambiarlo. – Buongiorno, – dico, sedendomi di fronte a lui e prendendo il taccuino. – Sono la detective Conway, e lui è il detective Breslin. Grazie di essere venuto.

– Non c’è problema –. Rory cerca di capire se deve stringerci la mano, esita. – Io sono Rory Fallon. Di cosa…

– Buongiorno, Rory, – dice Breslin, dandogli subito del tu, mentre si avvicina al videoregistratore. – Ce la fai a parlare? Non hai troppo mal di testa? So come funziona: un giovane come te, domenica mattina…

– No, sto bene –. La voce di Rory trema sull’ultima parola. Si schiarisce la gola.

Breslin sogghigna, mentre schiaccia i tasti. – Ah, allora devi fare meglio il prossimo fine settimana.

Io accenno alla tazza di tè ancora mezza piena. – Glielo faccio riscaldare? O magari desidera un caffè?

– No, grazie, va bene cosí –. Ha il culo sul bordo della sedia, come se fosse pronto a fuggire al minimo rumore sospetto, se ci fosse un posto dove fuggire. – Di cosa si tratta?

– Ah-ha, – dice Breslin, voltandosi e puntandogli contro un dito. – Un momento, non possiamo ancora parlarne. Al giorno d’oggi bisogna registrare ogni conversazione. Per la protezione di tutti, capisci cosa intendo?

Dopo un secondo o due Rory annuisce, incerto. – Credo di sí.

– Ma certo che lo capisci, – dice Breslin, allegro. – Dammi solo un minuto, poi parleremo quanto vogliamo –. Torna a manipolare il videoregistratore, fischiettando tra i denti.

Rory ha le spalle che gli arrivano quasi alle orecchie. Dice: – Ho bisogno di un avvocato, o qualcosa del genere?

– Non lo so, – dico io, abbassando il taccuino e guardandolo negli occhi. – Ne ha bisogno?

– Volevo dire… Non dovrei avere un avvocato?

Sollevo le sopracciglia. – C’è un motivo per cui lo vuole?

– No. Non ho nulla da… Ma non ho il diritto di averlo?

– Certo che puoi avere il tuo avvocato, – interviene Breslin. – Al cento per cento. Ne scegli uno, lo chiami e noi aspettiamo finché arriva. Nessun problema. Ma posso dirti esattamente cosa farà, l’avvocato. Si siederà accanto a te e ogni tanto dirà: «Non è obbligato a rispondere a questa domanda». E intanto ogni minuto che passa con te finirà sulla sua parcella. Io posso dirti la stessa cosa gratis: non sei obbligato a rispondere a nessuna delle nostre domande. Lo diciamo subito a tutti. Non devi rispondere se non te la senti di farlo, ma ogni cosa che dirai sarà registrata e trascritta, e potrà essere usata come prova. È chiaro, no? O preferisci pagare per sapere le stesse cose?

– No. Cioè, voglio dire… Va bene. Non mi serve un avvocato, immagino.

E cosí il problema numero uno, quello di avvertirlo che ha diritto a un avvocato, è superato.

– Ovvio che non ti serve, – dice Breslin, dando un colpetto al videoregistratore. – Bene, il registratore è acceso. Detective Conway e Breslin a colloquio con il signor Rory Fallon. Parliamo pure.

Rory dice subito, proprio come Lucy: – Si tratta di Aislinn?

– Ehi, Rory, piano, – dice Breslin, ridendo e alzando le mani. – Rallenta un attimo, eh? Ci arriveremo, promesso. Ma io e la detective Conway dobbiamo fare centinaia di colloqui come questo, perciò dobbiamo porre a tutti le stesse domande nello stesso ordine, altrimenti ci confondiamo e dimentichiamo che cosa abbiamo già chiesto a chi. Perciò facci un favore: lasciaci condurre questo colloquio a modo nostro. Va bene?

– Va bene. Scusate –. Ma intanto ha rilassato le spalle, scoprendo che è solo uno tra centinaia di intervistati, mentre noi siamo solo due sgherri preoccupati di non perdere il bandolo della matassa. Breslin è in gamba. L’ho già visto lavorare, ma è la prima volta che condivido un interrogatorio con lui, e a dispetto di me stessa non mi dispiace.

– Non c’è problema, – dico, tranquilla. Breslin si siede accanto a me e ci mettiamo comodi, sfogliando taccuini, adattando i nostri culi alla forma delle sedie, controllando che le biro funzionino. – Bene, – dico. – Cominciamo dall’inizio. Cos’ha fatto ieri? Grosso modo da mezzogiorno in poi?

Rory fa un respiro profondo e spinge gli occhiali sul naso. – Allora, a mezzogiorno ero al negozio. Sono il proprietario del Wayward Bookshop, a Ranelagh, avete presente? È proprio sotto il mio appartamento, dove siete venuti… dove i vostri colleghi sono venuti a prendermi.

– Ci sarò passata davanti un centinaio di volte, e non mi sono mai decisa a entrare, – dico. – Ma ora dovrò farlo, sennò lei inoltrerà un reclamo contro di me –. Io e Breslin ridacchiamo, e Rory sorride in automatico: un bravo ragazzo, che fa quello che ci si aspetta da lui. – Allora, come sono andati gli affari, ieri?

– Piuttosto bene. Il sabato vengono molti clienti regolari, soprattutto mamme e papà che portano i figli a scegliere un libro. Abbiamo un’ottima sezione per bambini, se lei… voglio dire, se lei… non sto dicendo che…

– Porterò i miei nipoti, – dico, ma non ho nipoti. – Sono fissati con i dinosauri. Ma come vanno gli affari, in generale?

– Bene. Cioè… – Fa una scrollata di spalle un po’ rigida. – Le librerie stanno tutte attraversando un periodo difficile. Ma noi, almeno, abbiamo dei clienti regolari.

Il che vuol dire che fa fatica ad andare avanti. Controlleremo cosa vuol dire «bene», per lui. – Allora devo proprio portare i miei nipoti da lei, anche per dare una mano agli affari, – sorrido. – A che ora ha staccato?

– Chiudo alle sei.

– E poi cosa ha fatto?

– Sono tornato a casa per farmi una doccia. Ero… avevo un… – La sua faccia prende una bella sfumatura rosata. – Avevo un invito a cena a casa di una ragazza. Di una donna.

– Oooh, , – dice Breslin, con un ghigno, bilanciando la sedia sulle gambe posteriori. – Rory rubacuori. Raccontala tutta allo zio Don. Fidanzata? Trombamica? Vero amore?

– Lei è… – Il rosa vira piú verso il rosso. Rory si passa le mani sulle guance come se potesse cancellare il colore. – Ecco, non so se posso definirla la mia ragazza, esattamente. Siamo usciti insieme solo poche volte. Ma sí, spero tanto che la storia vada avanti.

Parla al presente. Non significa molto, Rory non è uno stupido. Io sorrido a quella storia d’amore giovane e adorabile. Rory in qualche modo ricambia il sorriso.

– Allora hai fatto uno sforzo, – dice Breslin. – Vero? Dimmi che hai fatto uno sforzo, Rory. Quella camicia va benissimo per vendere Il Gruffalò alle mamme con bambini in età da lettura, ma se vuoi impressionare una bella donna, se vuoi aprirla come un libro, diciamo cosí, quella camicia non va. Come ti sei vestito per andare da lei?

– Camicia, pullover e pantaloni. Decenti, voglio dire, non…

Breslin gli dà un’occhiata scettica. – Di che tipo? Di quali colori?

– Camicia bianca di lino, pullover celeste e pantaloni blu scuro. Io sono un tipo da jeans, ma Aislinn… Sapevo che avrebbe indossato qualcosa di chic, perciò ho pensato che dovevo farlo anch’io.

– Mmh. Bene, pensavo peggio. Hai buon gusto, quando ti sforzi, figliolo –. Breslin accenna al soprabito sullo schienale della sedia di Rory. – Quel cappotto?

Rory sposta lo sguardo tra Breslin e il cappotto, incerto. – Sí. Non ho un altro cappotto invernale. L’ho comprato da Arnott’s. È un capo di un certo… Insomma, va bene, no?

– Non male, – dice Breslin, squadrando il soprabito con aria critica. – Può andare. Ma di sicuro non ti sei messo quei guanti, spero. O sí?

Rory volta la testa a fissare i guanti. – Sí, li ho messi. Perché? Cos’hanno di sbagliato?

– Gesú, – dice Breslin, con una smorfia. Allunga una mano sul tavolo e tocca i guanti con la penna. Li gira dall’altro lato. Sembrano puliti. – Forse sto invecchiando; forse oggi i giovani vanno a cena da una ragazza con guanti da mountain bike. Sul serio portavi questi, ieri sera?

– Faceva freddo.

– E allora? Per lo stile bisogna soffrire, Rory. Non ne hai un paio neri? Avresti fatto una figura migliore.

– Li ho cercati. Ero convinto di averne un paio di pelle nera, da qualche parte, ma non so dove sono finiti. Ho trovato solo questi.

Li cercheremo anche noi. – Smettila di tormentarlo, – dico a Breslin. – Tanto i guanti te li togli non appena entri in casa, no? Che importa se sono belli o brutti?

Breslin alza gli occhi al cielo e si fa indietro sulla sedia, scuotendo la testa. Rory mi lancia una rapida occhiata di gratitudine. Stiamo trasformando la sala interrogatori in un terreno che gli è familiare: persino i rimproveri di Breslin non sono troppo diversi dalle prese in giro che deve aver sopportato a scuola, e questo lo sta calmando. Rory non è uno smidollato piagnucolone, come avevo pensato all’inizio, vedendolo agitato. È un po’ piú complesso di cosí. Dentro la sua zona di comfort, Rory va alla grande. Fuori, non ce la fa. «Io sono un tipo da jeans»… Aislinn era fuori dalla sua zona di comfort.

– Allora, – dico. – Dove vive Aislinn?

– Stoneybatter.

– Comodo, – annuisco. – Un salto dall’altro lato del fiume, in pratica. Come c’è andato?

– In autobus. A piedi fino a Morehampton Road, non pioveva ancora, poi ho preso il 39A fino a Stoneybatter. La fermata è quasi all’angolo con casa sua.

– No, no, no, un momento –. Breslin ha le sopracciglia alzate. – Autobus? Hai preso l’autobus per andare da lei? Bel sistema di impressionare una donna, Rory. Non ce l’hai una macchina?

Rory è di nuovo rosa in faccia e agitato. Quelli che arrossiscono mi piacciono. – Ce l’ho. Ma ho pensato… Voglio dire, se avessimo bevuto vino a cena, e se fossi dovuto tornare a casa…

– Ce l’hai? Che tipo di macchina?

– Una Toyota Yaris.

Breslin reprime una risata. – Sí? Di che anno?

– 2007.

– Gesú, – dice Breslin ridendo e fissando il taccuino. – Ora capisco perché hai preso l’autobus. Continua.

Rory abbassa la testa e si spinge gli occhiali sul naso. È un remissivo, di quelli che quando perdono il controllo, lo perdono sul serio. Gli chiedo: – A che ora è uscito di casa?

Rory raddrizza la schiena all’istante. È cosí contento quando parlo io invece di Breslin che mi direbbe qualsiasi cosa. – Alle sette meno un quarto.

Questa è la cosa piú interessante che ha detto finora. Aveva appuntamento con Aislinn alle otto, e non ci vuole un’ora e un quarto per andare da Ranelagh a Stoneybatter, soprattutto di sabato sera. Se ci fosse andato a piedi ci avrebbe messo la metà di quel tempo.

– E quando ha preso l’autobus?

– Erano quasi le sette. Ne è arrivato uno non appena ho raggiunto la fermata.

Possiamo controllarlo: sugli autobus ci sono telecamere di sicurezza. Me lo scrivo. – A che ora aveva appuntamento a casa di Aislinn?

– Alle otto, ma… Ecco, non volevo arrivare tardi. Se fossi arrivato in anticipo, mi sarei fatto una passeggiata nei dintorni.

Brrr, – dico. – Con quel tempo? Una passeggiata?

Rory sposta i piedi come se non trovasse una posizione confortevole. Parlare di quel tempo in piú lo rende nervoso. Nulla mi piacerebbe di piú che scrivere «Rory: innocente» e mettermi in caccia del malavitoso di Steve, ma sento l’odore del sangue: lí c’è qualcosa.

Rory dice: – Non lo so… per trovare la casa senza problemi, quel tipo di cose.

Faccio una faccia perplessa. – Ma ha detto che la casa era dietro l’angolo dalla fermata dell’autobus. Mi sembra che conoscesse già la zona.

Rory sbatte le palpebre a ripetizione. – Cosa? No… non è cosí. Ma Aislinn mi aveva spiegato come arrivarci e avevo guardato la mappa sul cellulare. Non era complicato, ma ho pensato di arrivare con un po’ di tempo in piú, per qualsiasi evenienza.

Lascio calare un silenzio scettico, ma lui non lo riempie. – Va bene, – dico. – Quindi è sceso dal 39A alla fermata di Stoneybatter. A che ora?

– Appena prima delle sette e mezzo. Non c’era molto traffico.

Ma c’era tutto il tempo di arrivare a casa di Aislinn, ucciderla e tornare alle otto per bussare alla porta e mostrarsi confuso. Spiegherebbe anche il fatto di aver spento il forno. Non voleva che l’allarme antifumo scattasse prima che lui avesse il tempo di mettere in scena la commedia con le telefonate e i messaggi e presumibilmente l’andirivieni preoccupato davanti alla porta, nel caso qualcuno lo stesse osservando. L’odore caldo del sangue mi riempie le narici.

Guardo verso il vetro a senso unico, ma ovviamente non vedo nulla dall’altra parte. Uno sguardo a Steve mi avrebbe fatto capire se la pensa come me. Invece al suo posto ho Breslin, che dondola sulle gambe della sedia e scarabocchia sul taccuino. Mi viene voglia di dare un calcio alla sedia e mandarlo per terra.

– È arrivato con molto anticipo, – dico. – Cos’ha fatto?

– Sono arrivato fino in cima a Viking Gardens, è il nome della strada di Aislinn. Per assicurarmi di avere le indicazioni giuste.

– Ha visto qualcuno, in Viking Gardens?

– No. La strada era deserta. Ma non sono rimasto lí. Non volevo rischiare di essere scambiato per un ladro o uno stalker –. Un’altra spinta con il dito agli occhiali.

– Si è messo a cercare la casa?

– No, la strada è dritta e senza uscita. Dall’alto vedevo tutto, e non c’era bisogno di andare a cercare la casa. Non volevo che Aislinn guardasse per caso dalla finestra e mi vedesse fuori, con mezz’ora di anticipo. Avrebbe dovuto invitarmi a entrare, e di sicuro non era pronta, e insomma sarebbe stato imbarazzante.

È nervosissimo, ma le risposte gli vengono facili, senza doverci pensare, senza correzioni. Ma non significa molto, non con uno come Rory. Ci ha già detto che pensa a tutto in anticipo, cerca di prevedere ogni ipotesi e prende precauzioni in modo che nulla disturbi i suoi piani. Se ha pianificato l’omicidio, ha preparato il suo alibi con cura. Probabilmente ha fatto una ricognizione un paio di giorni prima. Se invece non l’ha pianificato, ha comunque avuto tutta la notte per inventare una buona storia di copertura e ripassarla a mente qualche centinaio di volte. La zona di comfort, per lui, è dentro la sua testa.

– Inoltre lei avrebbe pensato che eri una specie di pervertito ossessivo, che la spiava dalle finestre, – fa notare Breslin. Rory trasalisce. – E non è una bella impressione. Cos’hai fatto, quindi?

– Pensavo semplicemente di camminare fino alle otto. Poi mi sono reso conto che non avevo portato nulla.

– Cioè, vuoi dire i preservativi? – Breslin fa un ampio sorriso. – Ora, questa sí che è fiducia in sé.

Rory china la testa di scatto e riprende a spingersi su gli occhiali. – No! Voglio dire dei fiori! Non volevo presentarmi a mani vuote. Aislinn mi aveva detto di non portare del vino, cosí pensavo di comprarle un mazzo di fiori a Ranelagh, ma me ne sono dimenticato. Ero cosí concentrato su cosa mettermi, stirare tutto per bene, a che ora uscire… E mi sono ricordato dei fiori solo quando ero già lí.

– Imba… razzante, – cantilena Breslin. Riprende a dondolarsi sulla sedia e a giocherellare con la penna.

– È vero. Per un attimo sono andato in panico, ma c’è un Tesco su Prussia Street, perciò…

– Un momento, – dico, con la faccia confusa. – Credevo che non conoscesse la zona.

– No, infatti. Perché?

– Come faceva a sapere dov’è il supermercato?

Rory batte le palpebre. – L’ho cercato sul telefono. E mi sono diretto da quella parte…

Prima che Breslin apra bocca, so già che sta per intervenire. Stiamo lavorando bene, insieme: io tranquillizzo Rory, cosí possiamo ottenere le informazioni di base, lui lo bastona ogni volta che ne ha l’opportunità, e io mi metto sotto la pignatta pronta a raccogliere tutti i dolciumi che saltano fuori. Lavorare bene con Breslin non mi piace. Ho l’impressione che mi stia fregando di nuovo, in un modo che non riesco a determinare con precisione.

– Fiori di Tesco? – chiede Breslin, una faccia tra ghignante e schifata. – Non hai detto che Aislinn è una tipa raffinata?

Rory sposta il sedere sulla sedia. – L’ho detto, ed è vero. Ma a quell’ora…

– Una donna raffinata passa la giornata in cucina per te, e tu ti presenti con un mazzo di margherite mezze morte color rosa shocking? Ma per favore!

– Be’, non pensavo alle margherite. Volevo… Aislinn mi aveva detto che da piccola suo padre la portava a Powerscourt, e visitavano insieme il giardino giapponese, guardando le azalee, e lui le raccontava storie di una principessa coraggiosa di nome Aislinn. Perciò speravo di trovare una pianta di azalea. Pensavo… – Un piccolo sorriso triste, guardandosi le mani. – Pensavo che ne sarebbe stata contenta.

– Un bel pensiero, – dico, annuendo. – Proprio bello. Credo che le sarebbe piaciuto molto.

– Sí, – dice Breslin, con tono di approvazione, puntando la biro verso Rory. – Questo è giocare in serie A. Sono cose come questa che fanno arrivare un uomo dove vuole arrivare, se capisci cosa intendo. Un’idea del genere può persino compensare quelli –. Indica i guanti. – Peccato che hai mandato tutto a puttane, perché scommetto che Tesco non vende azalee.

– Lo so che non le vende. Ma a quell’ora, di sabato sera, non avrei trovato nessun posto aperto. E ho pensato che anche un brutto mazzo di fiori era meglio di niente –. Rory sposta lo sguardo tra noi due, cercando approvazione.

Breslin agita una mano. – Dipende dalla ragazza. Se è di gusti popolari, hai ragione tu. Ma questa Aislinn… Pazienza, inutile pensarci ora. Quindi sei andato da Tesco…?

– Sí. Non restavano molti fiori e la maggior parte erano proprio grandi margherite tinte di strani colori. Ma ho trovato un mazzo di iris che andavano bene.

– Infatti. Gli iris vanno benissimo, – dico io. – Che ora era?

– Le otto meno un quarto, all’incirca.

E possiamo controllare anche quello: telecamere sull’autobus, telecamere nel supermercato… Tutto quello che Rory ci sta dicendo è verificabile, e mi chiedo se non sia una mossa deliberata. La storia dei fiori dimenticati funziona bene. Tesco è a sette o otto minuti a piedi da Viking Gardens: perfetto per giustificare quella mezz’ora extra.

Se Rory fosse andato e tornato di corsa – e cercheremo di scoprire se qualcuno l’ha visto affrettarsi – avrebbe risparmiato un paio di minuti. L’omicidio è stato una cosa pressoché istantanea: due secondi per il pugno, forse dieci o venti per controllare se Aislinn respirava ancora e se il cuore batteva, altri dieci per spegnere il forno. Praticamente l’assassino può essere entrato e uscito nel tempo di un minuto. È la pianificazione dell’omicidio, sempre che ci sia stata, che ha richiesto tempo.

Se Rory è il nostro uomo, non è affatto uno smidollato di ultima categoria. È nervoso, ma copre ogni crepa prima ancora che possiamo arrivarci, è sempre un passo avanti. Se ci convinciamo che è stato lui, direi che avremo una bella lotta.

– Sul filo di lana, – dico. – Quanto è rimasto dentro?

– Solo un paio di minuti. Ho fatto in fretta. Come ha detto lei, non avevo molto tempo. Cose di questo tipo sono il motivo per cui mi piace essere in anticipo.

– Ha ragione, – dico. – E quando è uscito dal supermercato…

– Sono tornato a Viking Gardens. Ho fatto in tempo: ho guardato l’orologio e mancava pochissimo alle otto.

– C’era qualcuno in strada?

Rory ci pensa, sfregandosi il naso. – C’era un signore anziano che portava a spasso il cane, un cane bianco, piccolo. Stava uscendo da Viking Gardens e mi ha fatto un cenno di saluto con la testa. Non credo ci fosse nessun altro.

Di nuovo, facile da controllare. – E poi, cos’è successo?

Ho cominciato a guardare i numeri delle case, finché ho trovato quella di Aislinn, al ventisei. Ho suonato il campanello…

Non finisce la frase.

– E poi? – dico io.

– Lei non è venuta ad aprire.

Arrossisce di nuovo, in modo piú profondo. Immagino Steve dietro il vetro, che prende quel rossore come la prova che ha ragione lui e Rory Fallon è del tutto innocente. Io non ne sono tanto sicura. Quel rossore può essere dovuto al ricordo di un’umiliazione subita, o alla consapevolezza di star mentendo.

– Ah, – dico. – Strano. Cosa ha pensato?

Rory china di nuovo la testa. – Prima di tutto, che Aislinn non avesse sentito. Il campanello funzionava, l’ho sentito squillare dentro la casa, ma forse lei era in bagno o era uscita sul retro, per qualche motivo.

– E cosa ha fatto?

– Ho aspettato un paio di minuti e ho bussato alla porta. Poi ho suonato di nuovo il campanello. Lei non è venuta ad aprire, allora ho aspettato qualche altro minuto e le ho mandato un messaggio. Mi sono chiesto se avessi sbagliato indirizzo. Ho aspettato a lungo, ma lei non ha risposto nemmeno al messaggio.

– Oooh, – dice Breslin, con una smorfia di finto dolore. – Deve essere stato un brutto colpo.

– Ho pensato che forse non aveva sentito il segnale del messaggio in arrivo –. Rory nota il misto di pietà e divertimento sul viso di Breslin e abbassa di nuovo la testa. – Può succedere. Magari stava cucinando e aveva lasciato il telefono in un’altra stanza. Alcuni segnali di avviso sono molto bassi…

– Sí, io il mio non lo sento mai, – dico. – Quindi cos’ha fatto, ci ha riprovato?

– L’ho chiamata al telefono. La casa è un piccolo cottage su un solo piano, perciò lo squillo del telefono doveva sentirlo per forza, in qualunque stanza fosse. Ma non mi ha risposto –. Rory alza gli occhi, nota il sogghigno asciutto di Breslin e li abbassa di nuovo. – Ci ho provato un’ultima volta, con l’orecchio accostato alla porta, per sentire squillare il telefono. Ormai mi stavo chiedendo se lei fosse in casa, o se… Ma non sono riuscito a sentire nulla.

Controlleremo anche questo. Dico: – E cos’ha pensato, a quel punto?

– Non lo so. Ho pensato che probabilmente… – La voce gli è quasi scomparsa.

– Parla piú forte, sennò la telecamera non registra, – dice Breslin.

Rory alza appena il volume, ma ancora non riesce a guardarci in faccia. – Ecco… Aislinn ha cancellato un appuntamento all’ultimo minuto, un paio di settimane fa. E non mi ha mai detto perché, solo che aveva avuto un contrattempo. E anche per gli altri appuntamenti è stato complicato mettersi d’accordo: io suggerivo un giorno, e per lei non andava bene, o magari all’inizio sí e poi veniva fuori un problema. A volte poi non risponde al telefono… Non so se lo fa apposta per tenermi sulla corda; non sembra il tipo, ma come ho detto non la conosco ancora bene. O magari nella sua vita c’è qualcosa di cui non è ancora pronta a parlarmi, tipo un genitore alcolizzato o con l’Alzheimer, che a volte ha bisogno di assistenza all’improvviso.

Per non parlare di un altro uomo: questa possibilità deve pur essergli venuta in mente. Forse non ne parla per evitare le battute di Breslin, ma è curioso che abbia lasciato fuori proprio questa.

– Cosí ho pensato, – continua Rory, – che fosse di nuovo la stessa storia delle altre volte.

– E tu lí, con il tuo mazzolino di fiori di Tesco, – dice Breslin, con un accenno di sorriso sarcastico. – Già pronto all’azione –. Rory abbassa la testa ancora di piú.

Io dico, con simpatia: – Si è preoccupato? Che a Aislinn fosse successo qualcosa?

Rory si volta, grato, verso di me. – Sí, un po’ sí. Ecco perché quando siete entrati vi ho chiesto se si trattava di lei. Temevo che fosse svenuta, o scivolata nella doccia, o che stesse cosí male da non poter nemmeno rispondere al telefono. Voglio dire, forse era questa la cosa che non era pronta a dirmi, no? Una malattia, l’epilessia, o che so io. Ma non sapevo cosa fare. Non potevo chiamare il 999 e dire che l’emergenza riguardava una donna che non veniva ad aprire la porta a un tizio che conosceva solo da poche settimane. Mi avrebbero riso in faccia, dicendomi di trovarmi una nuova ragazza. Anch’io sapevo che quella era l’ipotesi piú probabile. Ma non potevo evitare di immaginare tutte le possibilità. Lo faccio sempre, anche quando non… Aislinn sta bene?

È fuori dalla sua zona di comfort, e diventa subito titubante e inutile. O vuole darci questa impressione. – E cosa ha fatto? – gli chiedo.

– Le tende non erano chiuse del tutto e in casa c’era la luce accesa, cosí ho provato a guardare dentro dalla fessura. Avevo un po’ paura che i vicini mi notassero e chiamassero la polizia, ma avevo i messaggi di Aislinn in cui mi invitava a cena, e ho pensato che se fosse arrivata la polizia sarebbe stato un bene, avrebbero controllato che fosse tutto a posto…

Quest’uomo non potrebbe ordinare un sandwich senza mettersi a pensare a tutte le possibili conseguenze della maionese. – Cos’ha visto?

Rory scuote la testa. – Niente. Era una fessura molto stretta e sono riuscito a vedere solo un pezzo del divano e una lampada, che era accesa. Non volevo esagerare, e ho dato solo una rapida occhiata.

– Ha visto del movimento? Ombre? Un’indicazione della presenza di qualcuno in casa?

– No. Nulla del genere. C’erano delle ombre tremolanti, ma piú che persone in movimento mi sembravano quelle di un camino acceso.

Infatti il camino era acceso. Mi faccio un appunto mentale di controllare se è possibile vederlo sbirciando attraverso le tende. Se Rory è il nostro uomo, ha un grande autocontrollo; tanti altri non avrebbero resistito alla tentazione di parlare di un intruso misterioso.

– E cosa ha fatto?

– Le ho inviato un altro messaggio, nel caso ci fossimo capiti male e avessi sbagliato giorno, o… – Breslin ride dal naso, e Rory ha un sussulto. – Ho detto «nel caso». So benissimo che in realtà la cosa piú probabile è che sono stato scaricato. L’ho già detto. Ma se c’era stato un malinteso e io me la prendevo a morte e cancellavo il suo numero dalla mia rubrica, magari ci saremmo persi entrambi qualcosa di fantastico. E non volevo correre questo rischio, anche a costo di fare la figura dell’idiota.

– Sembra che tu sia stato esaudito, – dice Breslin. – Te ne saresti dovuto andare quando lei non ti ha aperto la porta. Poi, se lei vuole ripensarci, tocca a lei fare tutto il lavoro. Devi trattarle male, se vuoi che ti trattino bene.

– Io non faccio cosí.

– No? E come ti va?

– Lui è un uomo perbene, Breslin, – intervengo io. – Meno male che ce ne sono ancora. Rory, quando Aislinn non ha risposto al messaggio, cos’ha fatto?

Rory dice piano: – Mi sono arreso. Erano le otto e mezzo passate, mi stavo congelando e cominciava a piovere. E quale che fosse la spiegazione, se anche fossi restato lí tutta la notte, non avrebbe fatto nessuna differenza. Perciò sono andato via.

– Mi sa che eri parecchio incazzato, – dice Breslin. – Attraversi mezza città in una sera d’inverno con un tempo di merda, ti tocca anche fare una corsa da Tesco e ritorno, e lei non si degna nemmeno di aprirti la porta. Se fosse successo a me sarei stato furioso.

– Io no. Ero piú che altro… sconvolto. Sí, certo, ero anche un po’ irritato, ma…

– Ovvio. Cos’hai fatto, hai preso a pugni la porta? Hai urlato? Imprecato? Preso a calci i lampioni? – Mentre Rory apre la bocca, aggiunge: – Ricorda, controlleremo con i vicini di casa.

– Non ho fatto nulla del genere –. Rory volta la testa, come se non aver preso a calci la porta di Aislinn lo rendesse meno uomo. – Sono tornato a casa e basta.

– Bravo, – dico io. – Altri avrebbero fatto una scenata in strada, e non è certo il modo di impressionare una ragazza. Ha preso di nuovo l’autobus?

– Ho camminato. Non avevo voglia di aspettare l’autobus, né di vedere gente. Sono andato a piedi.

Quindi non c’è un autista o un passeggero dell’autobus che possa dirci se Rory sembrava scosso o agitato, o se aveva del sangue sui guanti. Sollevo le sopracciglia, in un’espressione preoccupata. – Gesú, non mi piacerebbe una camminata del genere. Attraversare la città di sabato sera, con tutti quei teppisti ubriachi in cerca di guai… Qualcuno l’ha infastidita?

Rory muove le spalle, non proprio scrollandole ma quasi. Sta cercando di nuovo di sparire dentro sé stesso. – Se lo avessero fatto, probabilmente non me ne sarei nemmeno accorto. Un tizio mi ha gridato dietro qualcosa, in Aungier Street, ma non so cosa: non mi sembrava neppure inglese, e non sono sicuro che parlasse con me. Ero… – di nuovo quella mossa delle spalle. – Distratto.

– Non credo si sia perso molto, – dico. – Cosa ne ha fatto dei fiori?

– Li ho gettati via –. All’improvviso nella voce di Rory torna tutta la delusione di quella serata. Il suo tono è sconfitto e crudo e pieno di una tristezza orribile. Perdere Aislinn, in un modo o nell’altro, è stato un brutto colpo, per lui. – All’inizio non ricordavo nemmeno di averli in mano, e quando me ne sono reso conto volevo solo liberarmene. Ho pensato di darli a qualcuno, invece di sprecarli, ma non ne avevo la forza. Perciò li ho gettati in un bidone.

– Dove, esattamente?

– Sui viali. Sí, ho fatto tutta quella strada a piedi con in mano un cartello che diceva: «Scaricato», prima di ricordarmi dei fiori. Divertente, eh? – dice, rivolto a Breslin.

– Io avrei fatto la stessa cosa, – dico. Alzo un sopracciglio verso il vetro: Steve deve mandare un paio di reclute a frugare nei bidoni sui viali, prima che passi il camion della spazzatura. Potrebbe esserci del sangue su quel mazzo di fiori. – Solo che mi sarei anche fermata a farmi una pinta, prima di tornare a casa. Lei no, invece?

– No. Volevo solo arrivare a casa –. Rory si passa le mani sul viso. La tensione comincia a segnarlo. – Potete dirmi che cosa succede?

Io dico: – E a che ora è arrivato?

– Non ne sono certo. Un po’ prima delle nove e mezzo, direi. Non ho guardato l’orologio.

– A chi hai telefonato, Rory? – chiede Breslin.

– In che senso?

– Quando sei tornato a casa. Per sfogarti sull’invito andato a puttane. Al tuo migliore amico? A tuo fratello?

– A nessuno.

Breslin lo fissa. – Non può essere. Ah, Rory, dimmi che hai qualcuno a cui puoi telefonare. Perché nella vita un sacco di gente riceve il classico calcio nel culo, è una cosa che succede. Ma se torni a casa dopo una serata del genere e non puoi pensare nemmeno a un solo amico da chiamare per parlare male delle donne e del mondo intero… be’, è la cosa piú triste che ho sentito da settimane. Anzi da mesi.

Rory dice: – Non ho chiamato nessuno. Mi sono preparato un panino, perché per ovvie ragioni non avevo cenato, e mi sono seduto a guardare fuori dalla finestra, sentendomi il piú gran cretino del mondo, e immaginando spiegazioni sempre piú ridicole di come tutto potesse ancora risolversi per il meglio, e desiderando essere il tipo d’uomo che sa gestire una situazione del genere andando fuori a sbronzarsi e magari fare a pugni con qualcuno o scopare con una sconosciuta.

L’umiliazione nella sua voce è selvaggia. Ha un buon sapore. Se riusciremo a farlo crollare sarà cosí: attraverso l’umiliazione.

Anche Aislinn forse ci è riuscita nello stesso modo. Scoprire che lei se la faceva con qualcun altro può averlo fatto esplodere.

– A mezzanotte Aislinn non mi aveva né chiamato, né mandato un messaggio. Allora sono andato a letto. L’ultima cosa al mondo che desideravo era chiamare uno dei miei amici per raccontargli tutta la storia. Va bene?

Breslin mantiene lo sguardo incredulo per un altro minuto. Rory distoglie gli occhi e si tira i polsini della camicia, ma tiene la bocca chiusa.

Finora ha raccontato una storia facilmente verificabile, e deve sapere che possiamo controllare i tabulati telefonici. Se ha parlato con qualcuno, lo ha fatto in un modo non rintracciabile. Mi chiedo se qualche suo amico abiti vicino a casa sua.

Ma per il momento lascio perdere. – Solo per evitare ogni possibile confusione, – dico, – può confermare che è questa la donna con cui usciva? La donna che doveva vedere ieri sera?

Tiro fuori dal fascicolo una foto di Aislinn e la spingo sul tavolo verso di lui. Rory la fissa, a occhi spalancati, dimenticando di colpo tutta l’amarezza. – Come mai avete…? Avete già… È successo… Cosa?

– Come ha detto il detective Breslin, – gli dico, in tono gentile ma fermo, – dobbiamo procedere con ordine. È questa la donna che doveva vedere ieri sera?

Per un attimo penso che Rory tiri fuori gli attributi, esigendo una spiegazione, ma continuo a fissarlo e a sorridere, e alla fine lui cede: – Sí. È lei.

– Il signor Fallon ha identificato una foto di Aislinn Murray, – dico alla telecamera.

– Diamo un’occhiata –. Breslin si sporge in avanti e prende la foto. Le sopracciglia scattano in su e fa un fischio lungo e basso. – Oh, oh, i miei rispetti, amico mio. Proprio una bella figa.

Cosí Rory si dimentica delle sue domande. Fissa Breslin con uno sguardo duro, che Breslin non nota nemmeno: tiene ancora la foto con il braccio teso, e annuisce con approvazione.

– È molto bella. Ma non è questo che mi piace, di lei, – dice Rory.

Breslin gli dà un’occhiata incredula, da sopra la foto. – Sí, certo. Sei attratto dalla sua personalità effervescente.

– Sí, esatto. Aislinn è interessante, intelligente, calda. Ha un’immaginazione notevole… Il fisico non c’entra. Fisicamente, non è neppure il mio tipo.

Breslin esplode in un’altra risata nasale. – Ma per favore. Sarebbe il tipo di chiunque! Mi stai dicendo che a te piacciono brutte? Che avresti preferito una grassona pelosa con la faccia come un krapfen schiacciato, ma ti è andata male e ti sei dovuto accontentare di questa? Mi piange il cuore per te.

Rory arrossisce. – No, non è questo. Sto solo dicendo che non sono mai stato con una ragazza cosí… be’, cosí elegante. Le altre mie fidanzate erano tutte un po’ casual.

– Non mi sorprende, – dice Breslin, con un’occhiata alla camicia di Rory. – Allora come hai fatto a beccare questa? Senza offesa, ma bisogna dirlo: qui sei un po’ al di sopra della tua portata. Non ti dà fastidio, se te lo faccio notare, vero?

– No. Ho già detto che è molto bella –. Rory si sposta sulla sedia, vorrebbe che Breslin mettesse giú la foto. Breslin le dà un’altra occhiata lasciva.

– Proprio notevole. Mentre tu… Voglio dire, non hai nulla che non va, ma non sei esattamente Brad Pitt, no?

– Lo so benissimo.

– Allora come ci sei riuscito? – Breslin agita la foto.

– Ci siamo messi a parlare. Alla presentazione di un libro nel mio negozio. Verso i primi di dicembre. Questo è tutto.

– Ah –. Breslin lo squadra dall’alto in basso, scettico. – Qual è la tua tecnica? Seriamente. Qualsiasi consiglio tu possa darmi, sarei felice di accettarlo.

Rory si sta incazzando. Siede piú dritto, fissa Breslin negli occhi. – Non ho nessuna tecnica. Le ho solo parlato. Non credevo nemmeno di avere una possibilità. So perfettamente che bastava dare un’occhiata a me e una a lei per scommettere qualsiasi cifra contro la probabilità che tra noi due potesse nascere qualcosa. Era quello che pensavo anch’io. Ho attaccato discorso con Aislinn solo perché era da sola nella sezione dei bambini, e visto che la libreria è mia, volevo che tutti i presenti stessero bene.

– E poi, – dico io, – è scoccata la scintilla.

Gli sto sorridendo, e viene da sorridere anche a lui, prima di ricordare cosa è successo ieri. – Sí, proprio cosí. O meglio, io pensavo di sí.

– Di cosa avete parlato?

– Di libri, piú che altro. Aislinn stava sfogliando una raccolta di favole di George MacDonald; io avevo amato quel libro, da piccolo, e gliel’ho detto, e lei ha risposto che era stato anche uno dei suoi preferiti. Da lí, siamo andati avanti. A tutti e due piace il realismo magico, e ci piacciono gli spin-off, le rielaborazioni. Aislinn amava Il grande mare dei sargassi, allora le ho detto che doveva leggere Fantasmi americani. Lei mi ha detto che a quattordici anni si era cosí irritata per come finiva Piccole donne che aveva riscritto il finale, con Jo che sposa Laurie. Aveva incollato le pagine alla sua copia del libro, cosí quando lo rileggeva poteva fingere che finisse davvero cosí. Era molto divertente, quando ne parlava, raccontando com’era furiosa contro Louisa May Alcott, finché non aveva trovato una soluzione… Abbiamo riso tanto –. Rory sorride di nuovo, inconsciamente.

Blatera come se io fossi la sua migliore amica. Breslin e io stiamo facendo il nostro lavoro, e Rory, con la sua mente che valuta tutte le conseguenze, deve sapere che basta una risposta sbagliata per finire in una cella piena di comparse di Oz, ma anche cosí è strano: a questo punto lui dovrebbe puntare i piedi e insistere per avere delle risposte, e non starsene seduto lí e darci a piene mani tutto ciò che vogliamo da lui. Un tipo accomodante, hanno detto le reclute, ma qui si esagera. Gli unici che non puntano mai i piedi sono quelli che hanno qualcosa da nascondere.

Vorrei vedere la faccia di Steve. Ma vedo solo il vetro.

– Quindi vi siete scambiati i numeri di telefono, – dico. – E poi…?

– Ci siamo scambiati un po’ di messaggi, poi siamo usciti a bere qualcosa, al Market Bar. E ci siamo trovati di nuovo benissimo. Io sentivo… So che dirlo mi fa sembrare un adolescente, ma sentivo che stava succedendo qualcosa di incredibile. Non riuscivamo a smettere di parlare e di ridere. Siamo arrivati alle otto, e ce ne siamo andati solo quando ci hanno buttati fuori.

– Sembra la serata che sognano tutti, – dico.

Rory volta le mani con i palmi in alto. – È proprio quel che pensavo anch’io. Aislinn… mi ha detto che prima era una ragazza ordinaria, ha usato proprio questa parola, «ordinaria»; e ora, ogni volta che un uomo attacca discorso con lei, pensa solo che qualche anno fa non le si sarebbe neppure avvicinato, e non riesce a superare questa sensazione: non riesce a rispettare quel tipo di persone. Mentre di me pensava che io le avrei parlato esattamente nello stesso modo anche se ci fossimo conosciuti anni fa, il che è vero. Ne sembrava… sorpresa. Anzi, piú che sorpresa, frastornata. Capisce cosa intendo? C’era davvero una sintonia, non solo da parte mia.

Questa Aislinn non sembra la fissata de Le regole che mette in pratica una serie di teorie. Sta succedendo di nuovo: diventa piú indistinta ogni volta che scopro qualcosa su di lei. Oppure Aislinn ha raccontato a Rory un sacco di balle. O è Rory che le sta raccontando a noi.

Breslin dice: – E alla fine della serata?

– L’ho accompagnata a prendere un taxi.

– Avanti, Rory, sai cosa voglio dire. Non ti ha dato almeno un bacetto?

Rory alza il mento. – Questo in che modo è rilevante? – Tenta un tono sdegnato, ma non gli riesce.

Breslin sorride al taccuino. – In nessun modo –. Poi dice, rivolto a me: – E questa sarebbe la serata che sognano tutti?

Rory abbocca. – E va bene, ci siamo baciati.

– Aaah, – dice Breslin. – Meno male. Solo un bacio?

– Sí, solo un bacio.

Breslin sogghigna. Io dico: – E dopo quella sera?

– Abbiamo continuato a messaggiarci. L’ho invitata a cena fuori. Come ho detto ci è voluto un po’ per riuscire a combinare, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Siamo andati al Pestle.

– Bel posto, – dice Breslin, annuendo. Persino io ho sentito parlare del Pestle, anche se vorrei riprendermi le cellule cerebrali che ho usato per farlo. – Ti sei venduto un rene?

Sul viso di Rory lampeggia un sorriso triste. – Ho pensato che a lei sarebbe piaciuto. Non mi sono fermato a pensare che è un posto alla moda, l’ho scelto perché ha un giardino coperto sul tetto, da dove avremmo potuto guardare la città e parlare… Non lo so, di tutti quelli che ci vivono, di che tipi sono… A posteriori, direi che è stato un errore. Devo esserle sembrato come gli altri, uno che la giudicava dall’aspetto fisico. Lei pensa… – si volta all’improvviso verso di me, con gli occhi spalancati. – Pensa sia stato per questo che…?

– Non abbiamo abbastanza informazioni per capirlo, – rispondo. – Le è sembrato che si stesse godendo la serata?

– Sí. Voglio dire… – Un’ombra gli passa sul viso. – Sí, ne sono convinto. Ma era come se avesse in mente anche qualcos’altro; non riusciva a rilassarsi. Ogni volta che tutto partiva bene, quando dicevamo qualcosa di interessante, o ridevamo insieme… Aislinn faceva una faccia preoccupata e chiudeva la bocca, e io dovevo riprendere la conversazione dall’inizio. È stato allora che ho cominciato a chiedermi se c’era qualcosa che lei non era ancora pronta a dirmi, tipo una situazione familiare, oppure…

– Oppure, – dice Breslin, – si stava rendendo conto che non le piacevi poi cosí tanto. E ogni volta che tu avevi l’aria di pensare che fosse tutto fantastico, si preoccupava perché per lei era una serata infernale e non sapeva come dirtelo.

Rory s’incollerisce. – Non era affatto una serata infernale. Sapevo che lei lo avrebbe detto, ma… – Breslin fa per dire qualcosa, Rory però alza la voce; sta tirando fuori le palle. – Ma io ero lí e non ho visto nulla del genere. La maggior parte del tempo andava tutto benissimo.

– Se lo dici tu, – dice Breslin, come se trattenesse a stento un sorriso ironico. – E alla fine di quella serata?

– Ci siamo baciati di nuovo. Immagino sia questo che voleva sapere.

Le gambe davanti della sedia di Breslin scendono sul pavimento con un tonfo. – Vi siete baciati? Lei non ti ha invitato a casa sua? Hai ipotecato i tuoi organi interni per portarla al Pestle e ne ricavi solo una pomiciata contro un lampione, come un ragazzino? Se questa è la tua idea di una serata ben riuscita…

Rory scatta. – Due giorni dopo mi ha invitato a cena da lei. Potete controllare il mio cellulare, ci sono tutti i messaggi. Lo avrebbe fatto, dopo una serata infernale?

Breslin fa un sorriso ampio, aperto, bagnato. Un ghigno da acquolina in bocca. Tutto questo gli piace un mondo. E lo capisco, la sento anch’io quella fame. Abbiamo trovato il sistema per lavorarci Rory, e ora lui è nostro. Possiamo farlo rimbalzare su e giú, fargli fare giri strani, come se fosse uno yo-yo.

Ma non voglio ancora dei rimbalzi troppo forti. Lancio un’occhiata di avvertimento a Breslin e dico: – E l’invito a cena era per ieri sera.

– Già –. La spina dorsale di Rory si affloscia; il momento di risolutezza è passato. – Prima era per la settimana scorsa, ma Aislinn ha avuto un contrattempo. Cosí l’abbiamo spostato a ieri sera.

Breslin fa marcia indietro, ma non troppo. – Quando stavamo parlando di come sei arrivato a casa di Aislinn, hai detto… – sfoglia i suoi appunti, – che hai preso l’autobus nel caso che aveste bevuto del vino, e tu fossi dovuto tornare a casa. Significa che non eri sicuro di passare la notte da lei, giusto?

Rory diventa rosa di nuovo. – Non ne avevo idea. Per questo non ho portato la macchina. Non volevo far pensare a Aislinn che davo per scontato che mi invitasse a restare.

Mi sorprende che quest’uomo riesca ad alzarsi dal letto la mattina senza farsi venire un attacco di panico pensando che potrebbe scivolare sul tappetino del bagno e piantarsi lo spazzolino da denti in un occhio, perdendo cosí la capacità di far atterrare un aereo in caso di infarto del pilota, e condannando centinaia di persone a una brutta morte. Normalmente alzerei gli occhi al cielo davanti a tali discorsi, ma in questo caso può venire utile. Appena saremo pronti a spingere.

L’atteggiamento da «supponiamo che…» è per i deboli. Per quelli che non hanno la forza di pilotare le situazioni a modo loro, e quindi si nascondono nei sogni a occhi aperti, dove possono giocare ad avere il controllo su ciò che succede. E questo li rende ancora piú deboli. Ogni «e se…» è un regalo che fai a chi vuole capire come manipolarti, cioè a noi, nel caso presente. Se un uomo ha i piedi piantati nella realtà, la realtà è l’unico modo che abbiamo di arrivare a lui. Se invece lascia pascolare la mente in decine di ipotesi fantasiose, ciascuna di tali ipotesi è una crepa che possiamo allargare per entrargli dentro.

Breslin dice: – Ma tu pensavi che ieri sera fosse «la» sera.

– Non lo sapevo. Per questo ho…

– Dài, Rory, non dire stronzate. È il terzo appuntamento, no? L’ultima volta avevi sfondato il budget per lei, hai ottenuto un invito a cena in casa sua, chiunque si aspetterebbe…

– Io non mi aspettavo nulla. Il prezzo del ristorante non ha nulla a che fare con… Aislinn non è una…

Rory è simpatico quando è incazzato, è come un gerbillo che drizza il pelo. Breslin alza gli occhi al soffitto. – Va bene, proviamo cosí: hai portato i preservativi?

– Non vedo come questo sia…

– Rory, non fare il timido, per favore. Qui siamo tutti adulti. Quando hai bussato alla porta di Aislinn, ieri sera, avevi con te dei preservativi, sí o no?

Dopo un attimo, Rory risponde: – Sí, ne avevo una confezione in una tasca del cappotto. Per sicurezza.

– Be’, almeno hai le priorità giuste, – dice Breslin, con un sorriso ironico. – Hai dimenticato i fiori ma i pigiamini per l’uccello te li sei ricordati.

– Si nota che hai una certa età, Breslin, – dico io, con un altro sorrisetto ironico. – La tua generazione non aveva ancora capito bene il concetto di sesso sicuro. La mia e quella di Rory sono diverse: noi non andiamo da nessuna parte senza un pacchetto da tre, perché non si sa mai.

Breslin mi lancia un’occhiata infastidita che è finta solo in parte. Io torno a guardare Rory: – Dico bene? Ce li ha ancora nella tasca del cappotto?

Se ci sono, è una conferma che si tratta proprio del cappotto che indossava ieri. Ma lui scuote la testa. – Li ho tirati fuori. Quando sono tornato a casa e mi sono tolto il soprabito, li ho sentiti in tasca e ho… – si mette a respirare in fretta, – ho pensato che avrei dovuto sapere dall’inizio che non sarebbe successo. Proprio come ha detto lei, – aggiunge guardando Breslin, il quale annuisce. – Ho pensato che forse l’unico motivo per cui Aislinn era uscita con me era per qualche orribile burla tipo candid camera. Ho pensato che mentre io me ne stavo lí a bussare, a messaggiare e a telefonare come un idiota, lei e i suoi amici dietro la porta si sganasciavano dal ridere, guardando il perdente che aveva davvero pensato di avere una possibilità con lei.

L’emozione è autentica. Gli prende tutto il corpo, con una forza sufficiente a sollevarlo dalla sedia per il colletto e sbatterlo contro il muro. Questo non significa che la sua storia sia vera. Può essersi sentito cosí umiliato una volta tornato a casa, ma anche quando è arrivato in anticipo da Aislinn e non ha ricevuto il benvenuto che si aspettava. O magari è successo all’inizio, dopo che lei gli ha confessato che si vedeva con un altro, o quando sono usciti dal Pestle e lei non l’ha invitato a casa sua. E Rory ha deciso di punirla.

Rory continua: – Ho gettato la confezione contro il muro. Mi faceva sentire ridicolo e disgustoso e sporco e… È ancora da qualche parte nel mio soggiorno. Spero di non ritrovarla mai.

Io dico, in tono pratico ma con simpatia (la donna di mondo è piena di simpatia): – Se davvero lo ha fatto apposta a non aprirti la porta, è proprio una stronza.

Rory scrolla le spalle. Si sta di nuovo accartocciando su sé stesso. Quest’ultimo sfogo lo ha svuotato; sembra persino piú piccolo. – Forse. Non so cos’è successo davvero.

Breslin si muove. Rory alza gli occhi e vede il sorrisetto. Sposta lo sguardo di scatto.

– No, sul serio, – dico. – Se è incazzato, ne ha tutto il diritto.

Rory risponde: – Non sono incazzato. Vorrei solo capire –. All’improvviso sembra esausto. Si toglie gli occhiali e tira un polsino per pulirli. Ora che non riesce a vedermi bene, può guardarmi in faccia piú facilmente. I suoi occhi miopi e non protetti sono limpidi come quelli di un animale. – Solo per poter smettere di immaginare tutte le spiegazioni possibili. È quello che ho fatto per tutta la notte. Non riuscivo a fermare la mente. Credo di aver dormito al massimo un paio d’ore –. Io spero che qualcuno possa confermare di averlo sentito muoversi durante la notte, o di aver visto la luce accesa. – Vorrei solo sapere la verità. Nient’altro.

– Perché pensa che l’abbiamo fatta venire qui? – gli chiedo.

– Non lo so –. Rory raddrizza la schiena. Sente che stiamo arrivando al punto. – Ovviamente è successo qualcosa. Forse nella zona dove abita Aislinn, visto che mi avete fatto tante domande su… Ma non riesco… Ci sono troppe… Voglio dire, spero che non…

Dico, senza nessuna gentilezza: – Aislinn è morta.

La frase lo colpisce come un riflettore in faccia. Rory sobbalza sulla sedia, si porta le mani al viso, gli occhiali schizzano dall’altro lato del tavolo. Per un attimo penso che stia avendo un attacco di qualcosa, è il tipo da girare sempre con un inalatore in tasca. Ma si riprende. Allunga una mano, afferra gli occhiali e se li rimette sul naso. Gli ci vogliono tre tentativi, perché gli cadono e deve riprenderli, tentando allo stesso tempo di non sporcare le lenti. Poi preme insieme i palmi, li appoggia in verticale contro la bocca e ci respira in mezzo, fissando il nulla.

Io e Breslin aspettiamo.

Rory dice, attraverso le dita: – Come? Quando?

– Ieri sera. Qualcuno l’ha uccisa.

Lui ha un sussulto. – Oh, Dio. Oh, Dio. È per questo che… era… quando io bussavo, lei era… la persona era ancora in…

Io dico: – Ora capisce perché dovevamo parlare con lei?

– Sí. Io… Oh, Dio! – Rory mette a fuoco gli occhi e li fissa su di me, spalancati. Finalmente gli si è accesa la lampadina, o questa è l’impressione che vuole dare. – Non penserete… un momento. Credete che io sia… sono un indiziato?

Breslin ride, una risata fredda.

– Cosa? Cosa c’è di divertente?

– Ma sentilo, – dice Breslin, rivolto a me. – È tutto preso da Aislinn, dalla sua fantastica personalità, e appena gli diciamo che quella povera ragazza è morta, si dimentica di lei e gli importa solo di sé stesso.

– Certo che mi importa di lei! È solo… Non volevo dire… – Sembra mancargli l’aria. Ha un aspetto orrendo: pallido, scomposto, occhi da folle che sposta tra me e Breslin. Spero proprio che si sia portato dietro il suo inalatore. – Pensavo a un’intrusione in casa, a un’aggressione. Non avrei mai…

Si porta le mani alla testa e si massaggia le tempie. Ha il respiro ansimante.

Sembra tutto giusto. Lo shock e il dolore sono brutti, non sono una storia di lacrimucce e fazzoletti per asciugarsi gli occhi. Ma Rory ha avuto tutta la notte per costruirsi una corazza di «e se» da indossare. E proprio perché è abituato a concentrarsi su quello che sarebbe potuto succedere invece che su ciò che è successo, è di sicuro capace di muoversi dentro una storia inventata come se fosse vera.

L’unico punto in cui la sua versione mostra la corda è quella mezz’ora tra il momento in cui è sceso dall’autobus e quello in cui ha bussato alla porta di Aislinn. Lí c’è qualcosa. Tutto il resto può pendere verso l’innocenza o la colpevolezza, al cinquanta per cento. Ma in quella mezz’ora, la mezz’ora piú importante, non c’è innocenza.

Anche se lo shock è autentico, Rory può essere lo stesso il nostro uomo: c’è un ovvio motivo per cui magari si aspettava di sentir parlare di un’aggressione e non di un omicidio.

– Come mai, – gli chiedo, – pensava a un’intrusione o a un’aggressione?

– Posso… – Rory ha la voce impastata. Deglutisce a vuoto, gli trema il mento. – Lasciatemi solo un minuto, per favore.

– Perché? – chiede Breslin.

– Perché ho appena scoperto… – Muove la testa a scatti, come per scacciare una mosca molesta. – Ho bisogno solo di un minuto.

– Sta andando benissimo, – gli dico. – Ormai abbiamo quasi finito.

– No. Non posso. Mi serve…

– Ti stiamo chiedendo di darci una mano, Rory, – dice Breslin. – C’è un motivo per cui questo ti crea problemi?

– Ho solo bisogno di sgombrarmi la testa. Ho… Devo restare qui? Ho il diritto di andare via? – La voce prende un tono piú acuto e piú forte.

Breslin lo guarda con un labbro arricciato. – Rory, ricomponiti –. Ma Rory è fuori portata, ormai. Il disgusto di Breslin non lo tocca. – Questa è solo routine, niente di personale. Faremo questa stessa conversazione con ogni singola persona che aveva qualcosa a che vedere con Aislinn. E posso garantirti che le persone che le volevano bene vorranno fare qualsiasi cosa per aiutarci. Tu no?

– Certo che sí. Voglio solo… Non sono in arresto, giusto? Posso andare a fare una passeggiata, e poi torno?

Non è un pollo totale, dopotutto. Il morbido Rory è capace di opporre resistenza, quando vuole.

È a un millimetro dall’alzarsi e andarsene. Se lo fa, dovrò scegliere: lasciarlo andare o arrestarlo. E nessuna delle due è una buona idea.

– Gesú, ma non ha visto che tempo c’è fuori? – dico, in tono colloquiale. – Piove a dirotto. Si bagnerà fino alle ossa, e intanto noi perderemo questa stanza e dovremo aspettare ore per averne un’altra –. Rory mi fissa, troppo disorientato per mettere ordine nei pensieri. – Facciamo cosí: la lasciamo solo per qualche minuto, va bene? Il tempo di riprendere fiato. È una bella botta da digerire.

Breslin fa un movimento di scatto, ma non mi volto a guardare. Rivolgo a Rory il mio sorriso da donna di mondo, caldo, ma non tanto da risultare appiccicoso. – Noi andiamo a prendere un tè e torniamo –. Tiro indietro la sedia e mi alzo, prima che lui riesca a prendere una decisione. – Le porto una tazza di qualcosa, già che ci siamo?

– No, grazie. Voglio soltanto…

Gli manca la voce. Si preme il dorso di una mano sulla bocca.

Breslin non si è mosso. I suoi occhi chiari mi fissano, con un messaggio chiaro come se mi avesse afferrato un polso: «Torna a sederti, cazzo».

Senza distogliere lo sguardo da Breslin, dico: – Ci vediamo tra qualche minuto, Rory.

Mi volto e vado verso la porta, lasciandola aperta ma senza voltarmi. Sono quasi arrivata alla stanza di osservazione quando sento il raschiare della sedia di Breslin sul linoleum.

Steve è davanti al falso specchio, con le maniche della camicia arrotolate e i capelli rossi che puntano in ogni direzione. Ci ha osservati con tutta l’attenzione possibile. Mi avvicino per vedere cosa fa Rory adesso che è solo. Incrocio lo sguardo di Steve solo per un attimo, mandandogli il segnale: «Dopo».

Rory ha i gomiti sul tavolo e il viso tra le mani. Il sussultare delle spalle fa pensare che stia piangendo, ma non riesco a vedere se è vero.

– Bene, bene, bene, – dice Breslin, entrando dietro di me e sbattendo la porta. – Ottimo lavoro per un primo round, Conway.

Detto con un tono di superiorità del cazzo.

– Anche tu non te la sei cavata male, – dico.

– Ma non sono sicuro che sia stata la mossa giusta andarcene proprio quando lui stava crollando. È sempre un buon momento per ottenere una confessione –. Breslin si allenta il colletto con un dito e spinge indietro le spalle. – Ma va bene. Lo abbiamo fatto crollare una volta, possiamo riuscirci di nuovo. Ho ragione?

– Non c’è problema. Tu su cosa scommetti?

Breslin spinge avanti la testa come se non credesse alle sue orecchie. – Come, scusa?

– L’indiziato, Breslin. Colpevole o innocente? Ti sto chiedendo la tua opinione.

Le sopracciglia di Breslin arrivano fino all’attaccatura dei capelli. – Sul serio?

– Se voglio sul serio la tua opinione, dici? Piú o meno.

Steve è andato al distributore d’acqua e sta riempiendo un bicchiere di plastica, mentre ci osserva. Breslin alza una mano. – Un momento, un momento, palla al centro. Stai dicendo che hai dei dubbi?

– Sto dicendo che mi piacerebbe avere la tua opinione. Ma se è un problema, posso vivere senza –. Ho di nuovo voglia di dargli un cazzotto in gola. L’alleanza sottile che avevamo costruito in sala colloqui è durata trenta secondi, una volta usciti.

– Fammi capire, Conway. Stai cercando di andarci con i piedi di piombo, è cosí? Per coprire tutte le basi? Si tratta di questo?

Non è una cattiva tecnica, quella di spingere l’altro a spiegarsi in modo da mantenere un vantaggio. Ma è questo che intendo, quando dico che Breslin non è furbo come crede: l’ho appena visto usare questo sistema con Rory, e comunque lui dovrebbe almeno pensare che, essendo io una detective, potrei conoscere i suoi stessi trucchi. Poggio una spalla contro il vetro, cosí posso tenere d’occhio Rory, e infilo le mani in tasca. – Secondo te dovremmo farlo?

Breslin sospira. – Va bene, diciamolo chiaro: una delle ultime cose che ti servono, per la tua reputazione, è saltare troppo presto alle conclusioni. Ma l’altra ultima cosa che ti serve è la reputazione di essere cosí indecisa da permettere all’indiziato di cavarsela, piuttosto che rischiare le palle. Mi segui?

Steve dice, con aria vagamente sorpresa: – Aspetta un attimo. Stai dicendo che sei sicuro che sia stato lui?

Breslin fa un sospiro esasperato e si passa le dita tra ciò che resta dei capelli, ma con attenzione, per non rovinare il riportino. – Sí, Moran, direi di sí. Rory è il fidanzato della vittima, e questo è lo strike numero uno. Era sulla scena del crimine in un momento rilevante, e non ha nemmeno tentato di negarlo, e abbiamo lo strike numero due. Indossava guanti che non lasciano fibre, come l’assassino: strike numero tre. Indossava un cappotto nero di lana, e sul cadavere abbiamo trovato fibre di lana nera: quarto strike. Inoltre, praticamente ha ammesso che cominciava a diventare impaziente, dopo aver investito tempo e denaro su questa ragazza, senza che lei mostrasse alcun segno di volergliela dare. E questo è un bello strike numero cinque. Non sono un grande esperto di baseball, ma sono sicuro che basta meno di questo per eliminare definitivamente un battitore.

Steve beve un sorso d’acqua e annuisce a ogni punto enumerato da Breslin. – Direi che sono d’accordo, – dice, in tono cordiale. Il suo accento si è fatto piú marcato. Anch’io sono in grado di recitare la parte della coatta dura di comprendonio, ma lo faccio con gli indiziati, non con i ragazzi della mia squadra. A volte Steve mi fa venire voglia di vomitare. – Mi sforzerò di mantenere la mente aperta ancora per un po’, ma…

L’esasperazione di Breslin aumenta di una tacca. – Aperta su cosa? Non c’è altro, qui, Moran. Abbiamo Fallon, abbiamo una carrellata di prove circostanziali che puntano tutte verso di lui, e non c’è nient’altro. Su cosa vuoi mantenere la mente aperta? Sulla possibilità che siano stati gli alieni? O la Cia?

Steve poggia il culo sul tavolo traballante, mettendosi comodo per la chiacchierata. Io lascio che se ne occupi lui.

– L’unica cosa che vorrei sapere, – dice Steve, – è questa: come si è svolto l’omicidio?

– Ma di cosa stai parlando? Lui le ha dato un pugno, lei ha battuto la testa ed è morta. Ecco come si è svolto.

Steve ci pensa su, aggrottando la fronte. Noi coatti siamo un po’ lenti di comprendonio. – Sí, ma perché? – chiede.

Breslin getta indietro la testa e scopre i denti, in qualcosa a metà tra un sorriso e una smorfia. – Moran. Moran. Ti sembro Poirot, io?

– Eh? No, non molto.

– Infatti. Perché qui non siamo davanti alla tele di sabato sera, con una tazza di tè e biscotti Digestive, e quindi non me ne frega niente del movente. E non dovrebbe fregartene neppure a te. Dovresti averlo imparato, ormai.

Steve si gratta il naso. – Mi sa che hai ragione, sai? Direi proprio. È solo che non riesco a vederlo. Mi piace riuscire a immaginarmi le cose, capisci cosa intendo? Tipo inquadrare la scena nella mia testa –. Si inquadra la testa con le mani, per assicurarsi che Breslin afferri il concetto.

Breslin fa un respiro profondo ed esala lentamente, per farci capire il grande sforzo che sta facendo con noi. – Va bene, – dice. – Va bene. Dedichiamo pure un po’ di tempo a inquadrare.

– Grazie, – dice Steve, con un sorriso umile. – Lo apprezzo.

– Rory si presenta con il suo pulcioso bouquet di Tesco. Aislinn, che chiaramente non è il tipo da Tesco, non è molto contenta. Fa la spocchiosa. Rory non ci sta. Ha sfondato il suo budget, ha dovuto cambiare tutti i suoi programmi, ha attraversato Stoneybatter sotto la pioggia per farla felice, ma per la principessina non è abbastanza? Le spara una citazione di Jane Austen sulle stronze ad alta manutenzione, o fighe che se la tirano, o come altro i letterati chiamano quel tipo di donne. Aislinn gli dà un ceffone e gli dice in modo chiaro perché non lo considera adatto a lei, perché finora non gli ha dato la cosa che ha dentro le mutande e perché, a quel punto, non gliela darà mai. Ma fa un commento di troppo e bam! – Breslin mima un pugno, senza metterci molta forza. – Ed eccoci tutti qui riuniti. Ora riesci a inquadrarlo, Moran? Sí?

– Funziona, – annuisce Steve, inquadrando a volontà. – Però… ecco, il bouquet non si sarebbe un po’ rovinato, con tutto quel movimento? Lui l’avrebbe lasciato cadere, no? Ma non abbiamo trovato petali sul pavimento.

– Allora vuol dire che i fiori non hanno perso petali. O che Rory ha avuto l’intelligenza di raccoglierli prima di uscire. Non stiamo parlando di una lotta prolungata. Qui si tratta di un pugno e poi di qualche secondo di «oh, merda». Un paio di petali sarebbero stati perfetti, ma in questo lavoro non si può essere troppo esigenti. Dobbiamo usare quello che abbiamo, invece di preoccuparci di quello che non abbiamo –. Breslin sta già iniziando a sorridere a Steve, pronto per il bacetto della pace: – Ho ragione, sí o sí?

Steve dice, brioso: – Hai ragione al cento per cento. Mi piacerebbe solo scuotere qualche altro albero per vedere se ne cade qualcosa, questo è tutto –. Breslin si prepara a impennarsi, apre la bocca, e Steve aggiunge subito: – Io sono nuovo, capisci? Ho un sacco di cose da imparare. E vorrei fare tutta la pratica che posso.

– Non sei tanto nuovo, nessuno di voi due lo è. Dovreste già essere in grado di gestire i vostri casi senza bisogno di baby-sitter, ma il modo in cui vi state comportando ora è il motivo per cui il capo ha deciso che ne avete bisogno.

– E noi apprezziamo il fatto che tu ti sia preso questo incarico, Breslin. Sul serio. Ma io devo arrivare alla soluzione con i miei tempi, capisci? Altrimenti non imparerò mai. Alla fine, che danno può fare?

– Moran, per favore. Il danno è che voi due state per fare una gran brutta figura, e siamo sinceri, non ve lo potete permettere. Se lasciate libero questo tizio per andare a scuotere alberi o cose del genere, farete la figura dei deboli, degli insicuri. E non solo con i ragazzi della squadra. Piú aspettate, piú la difesa ne approfitterà: «Signore e signori giurati, nemmeno la polizia era sicura che il mio cliente fosse colpevole; come potete voi non condividere i loro ragionevoli dubbi?» Non ve ne importa niente?

In sala colloqui, Rory alza la testa e si asciuga il viso con le mani. Le lacrime ci sono, per quello che vale.

Steve solleva la tazza, come se volesse brindare con Breslin. – Non preoccuparti, chiariremo con il capo che tu hai fatto del tuo meglio per metterci il fuoco al culo.

– Ehi, un momento. Credete che si tratti di me? – Breslin trova una bella espressione tra stupita e ferita. – Pensate sul serio che sia questo a preoccuparmi? La mia reputazione?

– Ah, no, assolutamente, – dice Steve, con un gran sorriso. – La tua reputazione è… stellare, ecco la parola giusta. Ci vuole altro che due come noi per rovinarla. Voglio solo dirti di non preoccuparti. Faremo in modo che ciascuno riceva il giusto credito.

– Non si tratta di me. Io non lavoro cosí. E non si tratta neppure di voi. Certo, se fosse in ballo la vostra reputazione, farei di tutto per impedirvi di combinare un casino, per il vostro bene, ma alla fine sareste liberi di fare le vostre scelte. Qui si tratta della squadra. Se ci mettete un mese a trovare le palle necessarie per accusare il signor Ovvio, lí dentro, i media non si metteranno a strillare che Conway e Moran devono imparare come si lavora; strilleranno che la squadra Omicidi deve prendere sul serio il proprio lavoro e proteggere il pubblico dai criminali. Spero che abbiate almeno il minimo di lealtà necessaria perché vi importi qualcosa.

Breslin si è cosí eccitato, parlando, che non riesco a capire se crede davvero a queste stronzate. Dico: – E che figura ci fa la squadra, se accusiamo l’uomo sbagliato?

– Bisognerà ritirare l’accusa, – rincara Steve, facendo una faccia disgustata. – Pubbliche scuse, piú che probabile. I media strilleranno che la Omicidi è una squadra di segaioli incompetenti, a cui non importa chi sbattono dentro, pur di chiudere un caso. I testimoni non vorranno venire da noi, per paura di finire in manette, perché si sa che abbiamo fretta di accusare la prima persona su cui riusciamo a mettere le mani… – Scuote la testa. – Non va bene. Per la squadra, voglio dire.

Breslin sospira di nuovo e cambia tattica, provando con la gentilezza: – Conway, Moran. Quest’uomo è colpevole come il peccato. Parola di uno che sbatteva dentro i criminali quando voi due stavate ancora riempiendo i moduli di domanda a Templemore: è il nostro uomo. La questione qui non è se è stato lui. La questione è se voi due siete in grado di fare ciò che va fatto.

– Teniamo le dita incrociate e speriamo di sí, – dico io.

– State a sentire –. Breslin si appoggia al muro, e ci gratifica di quel sorriso che fa sciogliere i testimoni. – So che voi due non avete avuto una vita facile, qui. Forse pensavate che non lo sapessi, o che non m’importasse. Ma vi sorprenderebbe sapere quanti di noi fanno il tifo per voi. Io ho sempre detto che diventerete due ottimi detective, non appena vi sarete assestati.

– Grazie, – dice Steve. A lui in realtà nessuno rompe i coglioni, gli unici suoi problemi sono quelli che gli rimbalzano addosso perché è il mio partner. Breslin vuole soltanto farci diventare paranoici. – Questo significa molto.

– Non c’è di che. Dovete solo superare la merda iniziale. I nuovi vengono un po’ stuzzicati; è solo routine, niente di personale.

Questo viscido bastardo è troppo stupido per rendersi conto di aver usato quasi le stesse parole con Rory Fallon, cinque minuti fa, oppure pensa che siamo noi gli stupidi. Cosí stupidi da berci la storia che la merda che ci tirano addosso è solo routine, o cosí disperati da fingere che lo sia.

– I ragazzi devono solo vedere che siete in grado di tenere botta. E questa, – indica il vetro a senso unico, – è la vostra possibilità di dimostrarlo. So che quelle stupide vessazioni possono aver minato la vostra fiducia in voi stessi, ma se bastano delle stronzate da ragazzini a rendervi insicuri al punto di non voler accusare un colpevole evidente come quello che abbiamo qui, forse fareste meglio a tornare a lavorare in divisa. Mi rendo conto che può sembrare duro, – dice, alzando una mano come se uno di noi avesse provato a interromperlo, cosa che non è successa, – ma è ciò che avete bisogno di sentire.

So che non devo guardare Steve e non lo faccio. Con la coda dell’occhio, lo vedo che dondola le gambe e beve la sua acqua, seduto sul tavolo. Anche lui sa che non deve guardare verso di me.

Breslin vuole che accusiamo Rory Fallon. Lo vuole con forza. Forse è stufo di fare da baby-sitter ai bambini dell’asilo, vuole chiudere il caso e tornare dal suo amicone McCann e ai loro casi di complotti di alto livello e omicidi di mafia. Forse vuole fare bella figura con O’Kelly, del tipo: «Questi due ci hanno messo un mese a risolvere il loro caso precedente, ma grazie a me questo lo abbiamo chiuso in meno di un giorno: ora fa’ una bella sega al mio ego e proponimi per una promozione». O forse è solo cosí abituato a ottenere quello che vuole torcendoti il braccio che non sa farne a meno. Ma.

Finora ho pensato che chi mi ha gettato addosso Crowley lo abbia fatto d’impulso, per divertimento, come quando qualcuno ha fatto cadere il mio cellulare nel caffè, all’epoca in cui ancora lo lasciavo sulla scrivania. Non ho pensato, fino a questo momento, che possa trattarsi di qualcosa di piú grosso.

Il Bieco Crowley sta agitando le acque per trasformare questo caso in una storia grossa, e qualcuno lo spinge a farlo. Se io faccio una figura di merda spettacolare, per esempio imputare ufficialmente Fallon quando c’è una grossa prova a discarico che in qualche modo è scomparsa lungo la strada verso la mia scrivania, e se per caso i giornali lo vengono a sapere, il caso esploderà a livello nazionale. E sarà il pretesto che tutti aspettano con ansia per mandarmi via.

Durante un interrogatorio, questo sarebbe il momento in cui mi alzo e premo pausa sul registratore: «Colloquio interrotto alle 14.52. I detective Conway e Moran lasciano la sala interrogatori». Poi io e Steve taglieremmo la corda in fretta e furia. Io e lui dobbiamo parlare, e subito. Osservo Breslin, per vedere che altro tirerà fuori.

– Facciamo cosí, – dice lui. – Moran, controlla le varie telecamere di sorveglianza, vedi se trovi un video di Fallon che lascia la casa della vittima, e segui le sue tracce attraverso la città. Forse possiamo scoprire dove ha gettato i guanti. Nel frattempo, Conway e io facciamo un’altra chiacchierata con Rory e tentiamo di ottenere una confessione. Non è un problema, per noi due, giusto? – Mi fa un sorriso di stima e, lo giuro su Dio, mi dà una pacca sulla spalla. Per poco non gli tiro un pugno. – Anche se non confessa, non c’è problema: abbiamo già abbastanza a suo carico. Lo arrestiamo e lo accusiamo formalmente. Io dirò ai ragazzi che quando si tratta di giocare duro voi sapete il fatto vostro, e posso garantirvi che non avrete altri problemi in sala detective. E saremo tutti felici e contenti.

È a un pelo dal dirlo chiaro: «Fate come vi dico, e vi tolgo di dosso i ragazzi». Non può essere solo perché ha voglia di tornare da McCann o perché vuole farsi bello con il capo. Ha proprio una voglia matta di vedere Fallon imputato.

Ed è sicurissimo che accetteremo l’accordo con entusiasmo. Si raddrizza la cravatta e fa per aprire la porta.

– Faremo cosí, – dico. – Deasy e Stanton stanno preparando una lista dei conoscenti di Rory Fallon. Se lui è il nostro uomo, la persona che ha avvisato la polizia sarà su quella lista. Ti chiederei di parlare tu con loro e vedere se riesci a identificare chi ha telefonato. Comincia da fratelli e amici stretti, se ne ha. E procedi come sai.

Breslin si è voltato e mi fissa, ma riesce a mantenere un’espressione neutra, pronto a fare di nuovo l’amico, se gliene diamo la possibilità. Aspetta che abbia finito e poi chiede: – Perché?

– Perché, – dico, – da ora in avanti di Fallon ce ne occupiamo io e Moran.

Breslin sposta lo sguardo dall’una all’altro, come un grosso cane che comincia a perdere la pazienza con i cuccioli, ma il fatto di dover alzare gli occhi per guardarci in faccia gli toglie un po’ di grinta. Dice: – A questo punto ho bisogno di una spiegazione.

Sto per dirgli: «La spiegazione è che questo caso è nostro e la prossima volta che provi a darmi un ordine ti prendi un calcio nei coglioni», ma Steve mi precede.

– Hai ragione al cento per cento, – dice. – Noi dobbiamo guadagnarci il rispetto dei ragazzi. E non succederà se sarai tu a ottenere una confessione al nostro posto. Apprezziamo l’offerta, ma bisogna che ci riusciamo da soli.

Devo ammettere che la sua versione è migliore della mia. Breslin resta senza parole per un paio di secondi e io ho il tempo di riprendere il controllo. Dico a Steve: – Il detective Breslin lo sa benissimo, scemo. Ti sembra una recluta? Ci stava mettendo alla prova. Voleva vedere se ce la saremmo fatta sotto, scaricando il lavoro duro su qualcun altro alla prima possibilità, o se abbiamo davvero le palle di fare il nostro lavoro.

Steve apre la bocca, confuso. Poi scoppia a ridere. – Gesú! E io qui come un cretino a fare discorsi sul guadagnarsi il rispetto dei ragazzi. Complimenti, amico, sul serio. Mi avevi proprio fregato per bene.

Breslin si mette un accenno di sorriso sulla bocca, ma i suoi occhi chiari, che si spostano ancora tra Steve e me, sono freddi e senza espressione. Non sa se credere a ciò che abbiamo detto oppure no.

Faccio un mezzo sorriso. – Aveva fregato anche me, all’inizio. Se ha una reputazione stellare c’è un motivo. Grazie, Breslin: messaggio ricevuto, chiaro e forte. Faremo il nostro lavoro. Dopodiché ci vediamo in sala operativa. Riunione alle quattro.

Gli rivolgo un cordiale cenno di saluto e mi volto verso il falso specchio. Vedo Rory, ma anche il riflesso di Breslin che mi sta ancora fissando. Mi viene un prurito alla schiena.

Alla fine lui scrolla le spalle. – Spero per voi che sappiate quello che fate, – dice. – Ci vediamo alle quattro.

Il riflesso si volta e scompare. La porta si chiude piano.

Io e Steve ascoltiamo e aspettiamo, e intanto guardiamo Rory che si fruga in tasca, prende un fazzoletto spiegazzato e cerca di ritrovare un aspetto presentabile. Poi vado alla porta e la apro di colpo. Il corridoio è vuoto.

Steve dice: – Non mi piace –. Il suo accento è tornato normale.

– Nemmeno a me.

– Qual è il suo gioco?

– Non lo so –. Lascio la porta aperta. Provo a camminare avanti e indietro, ma la stanza è troppo piccola, e ogni due passi mi trovo davanti un muro. L’odore si è fatto cosí forte che è quasi come se con noi ci fosse un’altra persona. – L’hai sentito? «Posso garantirvi che non avrete altri problemi in sala detective». Stava tentando di comprarci.

– Ma perché gli interessa tanto accusare ufficialmente Fallon?

– Non lo so. Finora non pensavo che lui fosse tra quelli che stanno tentando di fregarmi –. Steve sa quello che succede, visto che ha occhi e orecchie e non è in coma, ma noi non facciamo conversazioni cuore a cuore; questa è la prima volta che ne parlo in modo diretto e non è una bella sensazione. – Ma se accusiamo Fallon troppo presto e poi tutto va a puttane e Crowley fa montare il caso a livello nazionale… – Il solo pensiero degli applausi sarcastici in sala detective, del sorrisetto di Roche, del sollievo nella voce di O’Kelly mentre mi spiega che cosí non va, mi accende lampi rossi a zig-zag nel cervello. Dico: – Sarebbe il modo per togliersi dai piedi la sottoscritta.

Steve ha rotto il bicchiere di plastica e comincia a piegarlo in forme strane. – Potrebbe essere questo, – dice. – Un tentativo di fregare noi –. Il «noi» è una stronzata, perché nessuno sta facendo una campagna per liberarsi di Steve, ma mi scalda lo stesso il cuore in modo ridicolo. – Anche a me lui non è mai sembrato cosí… Devo dire che non mi è mai sembrato che gliene fregasse un cazzo di noi, per un verso o per l’altro.

– Anche a me. Ma se lavorasse sul serio per toglierci di mezzo, farebbe in modo da dare proprio questa impressione. Breslin non è un genio, ma fa questo lavoro da molto tempo. Ed è perfettamente in grado di nascondere le sue vere intenzioni.

– Oppure, – dice Steve, – se la storia del criminale dovesse risultare vera…

Non finisce la frase. Il crepitio della plastica accartocciata mi trapana le orecchie.

I poliziotti corrotti esistono. Nella vita reale sono meno che in televisione, ma ci sono. Si va dall’agente che ti toglie una contravvenzione in cambio di biglietti omaggio per la partita, a quello che è legato mani e piedi a qualche boss.

Se Aislinn è stata uccisa dal suo misterioso amante malavitoso, la prima cosa che lui o i suoi amici farebbero è chiamare il loro uomo alla Omicidi per dirgli di sistemare le cose. E il modo perfetto di sistemarle, senza capi sciolti, senza preoccupazioni, è quello di accusare dell’omicidio Rory Fallon e chiudere il caso.

– Breslin, – dico. Ho smesso di camminare su e giú, e ho quasi smesso anche di respirare. – Breslin. Lo pensi davvero?

Steve alza una spalla.

– Io no. Non ce lo vedo. Gli piace troppo giocare all’eroe. Non ce la farebbe a resistere, sapendo di essere il poliziotto addomesticato dei cattivi. Gli scoppierebbero i neuroni.

Steve dice: – Breslin troverà sempre un modo per considerarsi un eroe, qualsiasi cosa faccia. Lui parte da questo: è dalla parte dei buoni, quindi qualsiasi cosa fa deve essere giusta. Dopodiché lavora all’indietro per scoprire come.

È vero, non ci avevo mai pensato prima. Non avevo mai passato il mio tempo a pensare a Breslin. E non mi piace la sensazione che provo facendolo ora, come di una mano che mi afferra dietro il collo. Ciò di cui parla Steve non è una caratteristica solo di Breslin: tutti facciamo cosí. Quando prendiamo un testimone traumatizzato e lo assilliamo finché non ci rilascia una dichiarazione firmata, quando manipoliamo una madre per ottenere le prove che faranno finire il figlio in carcere, ci piace la sensazione di vittoria, e non ci perdiamo in sottigliezze morali, perché noi stiamo dalla parte dei buoni. Steve sta sbriciolando quell’idea, trasformandola in qualcosa di diverso e pericoloso.

Dice: – E lui è proprio il tipo adatto per loro: moglie, figli, mutuo da pagare…

Le gang non vanno dietro a tipi come me e Steve, single di basso ceto che ancora non hanno fatto carriera. A meno che non ci siano debiti di gioco o magari una dipendenza dalla cocaina, non c’è molto su cui fare leva. Ma Breslin ha una moglie bionda e ad alta manutenzione, tre figli biondi con i dentoni che sembrano usciti da una pubblicità, e una casa in un quartiere elegante di Templeogue. Ha molto da fare per mantenere tutto questo e molto da perdere se gli venisse voglia di tirarsi indietro. Una volta messo dentro anche solo un dito, uno come lui non può piú uscirne.

Breslin e McCann si occupano di molti omicidi importanti relativi al crimine organizzato; passano un sacco di tempo a parlare con criminali di alto livello. Sarebbe un miracolo se a un certo punto uno di loro non gli avesse fatto una proposta.

Provo la stessa sensazione di curvatura dell’aria che ho avvertito in sala detective, linee rette che si piegano ai bordi della mia visione. Il cuore prende a martellarmi nel petto.

– Sí, – dico. – Breslin è proprio il tipo.

– Esatto. E un detective della Omicidi varrebbe parecchio per il boss di una gang.

Breslin veste elegante, ma un po’ lo facciamo tutti. Ha una Bmw del 2014 e si vanta di mandare i figli in una scuola privata perché non vuole che si mescolino con i coatti e gli immigrati che riescono appena a parlare un inglese comprensibile, «E questo vale anche per i coatti, senza offesa, eh, Conway, Moran». Ma ho sempre pensato che fosse sovvenzionato dai genitori. Porta la famiglia in vacanza alle Maldive, ma se mi fosse importato abbastanza da pensarci su, avrei detto che doveva al massimo aver tolto un po’ di punti di penalità sulla patente al direttore della sua banca, in cambio di un limite di spesa alto sulla carta di credito, senza pressioni per ripianare il debito.

Steve dice: – E se è lui che passa informazioni a Crowley, questo ne spiegherebbe il motivo.

Se intorbidisci le acque abbastanza, un ragionevole dubbio ti viene. L’aria continua a curvarsi negli angoli.

E io non riesco a togliermi il ghigno dalla faccia.

Se Steve ha ragione, allora corriamo seri pericoli, da molte direzioni. Le gang non ammazzano i poliziotti, è una faccenda che crea troppi problemi, ma incendiarti la macchina per avvisarti che devi farti gli affari tuoi è un altro paio di maniche. E questo non è nulla in confronto a ciò che farebbero gli amici se noi dovessimo dare il nome di Breslin a quelli degli Affari interni.

Non vedo l’ora che comincino. Il pericolo non mi disturba, me lo mangio a colazione. Breslin il poliziotto pieno di sé che tenta di piegarmi nella forma che preferisce, come se fossi uno di quegli animali fatti con i palloncini, mi fa venire voglia di prenderlo a cazzotti. Ma Breslin il poliziotto corrotto è una prova di coraggio: una sfida velenosa che nessuna persona di buon senso dovrebbe accettare, e io ho sempre avuto un debole per le sfide.

Steve mi guarda come se fossi fuori di testa. – Cosa c’è di divertente?

– Niente. È che mi piacciono le sfide.

– Allora pensi che ho ragione, che lui… – Non finisce la frase.

Questo mi fa tornare appena un po’ seria. – Non lo so ancora. Stiamo parlando in modo ipotetico, e non mi piacciono le ipotesi –. Mi mordo un pollice per smettere di sorridere. – L’unica cosa certa è che Breslin vuole che accusiamo Fallon dell’omicidio e chiudiamo il caso al piú presto. Dobbiamo prendere tempo finché riusciremo a capire perché. Prima, quando hai detto che dovevamo fare da soli il lavoro sporco, hai avuto un’ottima idea. Dovrebbe farci guadagnare un po’ di tempo.

La bocca di Steve ha una piega poco convinta. – L’ha bevuta, secondo te?

– Non lo so. Penso di sí. Spero di sí –. Il ricordo dello sguardo freddo di Breslin mi spinge a mordere piú forte il dito. – Comunque, questa adesso è la nostra linea: siamo i pivelli un po’ tonti che non capiscono come funzionano le cose nella squadra e vogliono gestire il caso a modo loro. Per te va bene?

Una parte di me si aspetta che Steve si tiri indietro. C’è una buona probabilità che tutto questo sia solo contro di me, e se lui gioca bene le sue carte può evitare l’esplosione e ambientarsi perfettamente nella squadra, una volta che io sarò un cratere fumante. Ma se convince Breslin di essere un vero idiota, le sue carte non valgono piú nulla.

Steve sorride: – Il pivello tonto? Ce la posso fare.

– Ne sono sicura, – dico, con un sollievo imbarazzante. – Non hai nemmeno bisogno di recitare.

– Ehi, usi quello che hai, no? – Steve indica con un pollice il falso specchio. – Che facciamo con lui?

Rory si è fatto il suo pianto e ora è nervoso, allunga la testa come una mangusta, chiedendosi dove siamo spariti. Lui dovrebbe essere il centro della nostra giornata, invece mi ero quasi dimenticata della sua esistenza.

– Ci proviamo un’altra volta. Abbiamo detto a Breslin che lo avremmo fatto.

– Questo significa lasciare Breslin da solo con amici e parenti di Rory. Siamo sicuri?

Se Breslin cerca un modo di fregare Rory o me, gli amici di Rory possono essere una manna dal cielo. – Probabilmente no, – dico, – ma insomma, viviamo pericolosamente. È stato l’unico modo che mi è venuto in mente per liberarci di lui. E non lo volevo ancora lí dentro con Fallon. Fallon non regge le vessazioni e, se Breslin gli dà un’altra spinta, quello si alza e se ne va. Colpevole o no, non voglio che ci consideri dei bulli grossi e cattivi che ce l’hanno con lui. Non ancora, almeno.

– Colpevole o no, – ripete Steve. – Vuoi dire che non ne sei piú sicura?

Alzo una spalla. – Lo ero quando sono uscita da quella stanza. Non al cento per cento, ma quasi. C’è qualcosa che non quadra sul fatto che è arrivato a Stoneybatter con tanto anticipo; non voleva parlarne, l’hai notato?

– Sí. Però la reazione che ha avuto quando gli hai detto che Aislinn è morta, mi è sembrata autentica.

– Anche a me. Ma non significa che sia innocente –. Rory intanto ha preso il fazzoletto bagnato tra il pollice e l’indice e si guarda intorno in cerca di un posto in cui gettarlo. Poi si arrende e lo rimette in tasca. – Forse non sapeva di averla uccisa, – dico. – Le dà un pugno, lei cade a terra, e quando lui si china a controllare vede che respira ancora; va in cucina a spegnere il forno per evitare che si incendi la casa, e taglia la corda. Pensa che lei sia soltanto stordita, o qualcosa del genere. Passa la notte sperando che il colpo le abbia anche cancellato la memoria, e quando all’improvviso scopre che è morta e capisce di rischiare un’accusa di omicidio, si caca sotto.

– Ci sta, – dice Steve.

– Quando sono uscita da quella stanza, ci avrei scommesso i miei soldi. Ma adesso… – Rory fa per alzarsi, poi si risiede, quasi che stare in piedi sia contro le regole. – E tu?

Steve passa un’unghia su una costola del bicchiere di plastica e osserva Rory che si sforza di restare seduto. – Il punto è: anche se Rory è il nostro uomo, non significa che l’uomo segreto non esista e Breslin sia pulito –. Abbassa la voce mentre lo dice e tutti e due guardiamo verso la porta, ma fuori non c’è nessuno. – Presumiamo che quell’uomo esista, okay? Anche se non è stato lui a colpire Aislinn, di sicuro non vuole che annusiamo la sua pista, controlliamo i suoi movimenti, magari andiamo a dire a sua moglie che aveva l’amante… Uno cosí, appena scopre che Aislinn è morta, per esempio, se ieri sera era passato per una sveltina, chiama subito il suo contatto nella polizia e gli dice di sistemare tutto senza perdere tempo.

– E piú tempo ci mettiamo, – dico io, – piú probabilità abbiamo di scoprire se c’è qualcosa sotto –. Solo pronunciare quelle parole mi fa aumentare le pulsazioni.

– Quindi, perdiamo tempo, – dice Steve.

– No. Breslin ha ragione su questo, non dobbiamo farci la reputazione di inconcludenti. Semplicemente, ci andiamo piano. Per esempio, non voglio portare ancora qui Rory finché non sapremo tutto ciò che c’è da sapere sul caso. Se lo interroghiamo di nuovo, voglio avere in mano munizioni sufficienti da farlo saltare.

Steve annuisce. – E adesso?

Guardo l’orologio. Manca meno di un’ora alla riunione. – Adesso gli facciamo ripetere tutta la storia, vediamo se c’è altro che vuole dirci, ci facciamo dare guanti e cappotto e proviamo a strappargli l’autorizzazione a perquisire il suo appartamento. Poi lo mandiamo a casa e facciamo la nostra riunione. Dopodiché…

– Dopodiché ce ne andiamo a dormire. Sono distrutto.

Gli basta dirlo per partire con uno sbadiglio enorme. Io cerco di non sbadigliare a mia volta, ma è troppo tardi. Mi rendo conto di quanto sono esausta. Vedo tutto strano, non saprei dire a quale distanza sono i muri. – Ma Breslin non lo è, – dico. – Se andiamo a casa, lo lasciamo libero di fare quello che vuole.

– E se non ci andiamo, lo mettiamo sull’avviso.

Steve ha ragione. Se il morto è un bambino, o un poliziotto, lavori anche ventiquattr’ore di fila, poi ti fai una doccia, un sonnellino, e riparti per altre ventiquattr’ore. Se lo fai per ogni caso, nel giro di tre mesi sei bruciato. A un omicidio normale si dedicano i classici turni di otto ore, con punte di dodici o quattordici se succede qualcosa di interessante. Se io e Steve partiamo su questo con un turno di ventiquattr’ore, tanto vale andare da Breslin a dirgli in faccia che pensiamo ci sia sotto qualcosa di poco chiaro.

– Allora cosa facciamo? – dico.

– Lo carichiamo di lavoro, alla riunione. Per evitare che combini guai.

– Sí, certo. Ne sarà felice, immagino.

Steve sogghigna. – Qui non si tratta del suo ego, ricordi? Ce l’ha detto lui. Si tratta della squadra. Non gli seccherà rintracciare tutti i passeggeri del 39A, se è per il bene della squadra.

Anche sulla mia bocca si allarga un sorriso. – Frugare in ogni cassonetto tra Stoneybatter e Ranelagh. Incaricato: Breslin, per il bene della squadra. Battere al computer le dichiarazioni…

– Ordinare le pizze. Incaricato: Breslin, per il bene della squadra.

Siamo sull’orlo di un attacco di risa. Se mi rilasso ancora un po’ rischio di addormentarmi in piedi.

– Lo manteniamo occupato su Fallon, – dico. – Una volta finito di parlare con amici e conoscenti, può cominciare con le ex fidanzate, per vedere se Rory è mai ricorso agli schiaffi…

– Non è proprio il tipo –. Steve mette una mano sotto il rubinetto del distributore e si schizza un po’ d’acqua in faccia, nel tentativo di svegliarsi.

– Probabilmente no. Ma se Breslin vuole tanto che Fallon sia imputato, non gli importerà scavare per trovare qualcosa di sporco su di lui, no? Avrà troppo da fare per creare problemi a noi, almeno fino a stasera. E gli affianchiamo una recluta. Cosí forse ci penserà due volte, prima di far sparire qualche dichiarazione che non gli piace.

Nella mia voce deve essere filtrato qualcosa. Steve alza gli occhi di scatto. – Ti è sparita dell’altra roba? Dopo quel testimone sul caso Petrescu, intendo.

– No, – dico. Non voglio piangere sulla sua spalla e lamentarmi dei ragazzi cattivi che mi hanno rubato l’ultima pagina della dichiarazione di ieri notte. – Ma non significa che non possa succedere. Dobbiamo essere prudenti.

Steve mi osserva, mentre si asciuga le gocce d’acqua dal mento con una mano, e mi sembra che ci metta una frazione di secondo di troppo a rispondere. Ma dice, in tono tranquillo: – Una recluta non impedirà a Breslin di passare informazioni a Crowley, se è lui quello che lo sta facendo.

– Lo so. Cosa vuoi fare, seguirlo al cesso per assicurarti che non mandi un sms a Crowley con una mano mentre si tiene l’uccello con l’altra?

– No, la recluta è una buona idea. Possiamo dire a Breslin che il ragazzo ha bisogno di un mentore.

Rido. – Questa se la beve. In realtà non so se funzionerà, Breslin si girerà la recluta come gli pare. Ma è meglio di niente.

Steve dice: – Dobbiamo tenerlo lontano dai dati digitali di Aislinn.

Cellulare, e-mail, account sui social media; tutti i posti dove l’amante malavitoso, se esiste, può aver lasciato qualche traccia.

– Alla riunione diremo chiaro a tutti che ce ne stiamo occupando noi, – dico. – Breslin avrà già dato un’occhiata al cellulare, quando è stato sulla scena, ma lí non c’era nulla di utile, da quello che ho visto.

– C’è un’altra cosa che dobbiamo fare, – dice Steve. – Chiacchierare con Breslin ogni volta che ne abbiamo la possibilità, o, piú probabilmente, lasciare che sia lui a chiacchierare con noi.

– Oh, Gesú. Piuttosto mi sparo.

– È importante farlo parlare. Non è un idiota, ma…

– Gli piace troppo il suono della sua voce, – dico. – Sí, lasciamo che ci dia tutte le lezioni illuminanti che vuole; non si sa mai cosa gli può sfuggire. E parliamo anche con McCann, se ne abbiamo l’occasione. Non che sia un gran parlatore, ma non si sa mai.

Breslin e McCann sono partner da dieci anni, e sono culo e camicia. Se Breslin vuole sbattere dentro Fallon, per qualsiasi motivo, o se vuole solo che questo caso mi scoppi in faccia, McCann lo sa.

– È il meglio che possiamo fare. Di sicuro non possiamo parlare con quelli del Crimine organizzato, non in modo diretto –. Steve si morde una cuticola, guarda Rory attraverso il vetro ma senza vederlo. – Hai detto che hai un amico, lí. Lo puoi contattare e chiedergli se ha sentito qualcosa?

– Sí, non è tanto semplice –. Mi bagno anch’io una mano sotto il rubinetto e me la passo sul collo. – Vedo cosa posso fare.

– E non stampiamo niente.

– Dio, no. E non lasciamo nulla sulle scrivanie –. Penso alle dichiarazioni chiuse nel cassetto; quelle ormai non le toccano piú, a loro piace cambiare, per tenermi sempre sulla corda. Ma all’improvviso la serratura del cassetto mi sembra un giocattolo. – E neppure nei cassetti. Tutti gli appunti li teniamo con noi.

Steve si morde l’angolo di un labbro. – Cristo!

È tutto un grande nulla, ombre che forse derivano da qualcosa di grosso, e forse da qualcosa che non vale la pena di scoprire, ma l’adrenalina mi scorre addosso ed è una bella sensazione. Per poco non spruzzo un po’ d’acqua addosso a Steve. – Che faccia hai fatto. Tirati su, questo potrebbe essere il lavoro migliore che ci sia mai capitato.

– Ma non mi piace lavorare cosí. Nascondere cose alla tua stessa squadra…

– Piano, piano, – dico. – È probabile che sia solo un mucchio di merda. Come ho detto, si tratta soltanto di essere prudenti.

Un movimento in corridoio. In due passi sono alla porta, ma è solo Winters che accompagna un piccoletto in tuta, dalla faccia tutt’altro che intimidita, verso un’altra sala interrogatori. – Muoviamoci, – dico, – prima che Breslin torni a controllare cosa stiamo facendo.

Steve annuisce e getta il suo bicchiere spezzettato nel cestino. Do un’ultima occhiata a Rory, il quale ormai sussulta come se la sedia fosse elettrificata. Poi entriamo, disposti a prendercela comoda per un po’.

La stanza puzza di sudore e lacrime. – I detective Conway e Moran entrano nella sala interrogatori, – dico al videoregistratore.

– Buongiorno, – dice Steve con un sorriso cordiale, mettendosi a sedere. – Il detective Breslin è dovuto andare via e lo sostituisco io. Sono il detective Moran.

Rory fa a malapena un cenno del capo. Io dico, avvicinando la sedia: – Come va?

– Sto bene –. Ha il naso chiuso. – Scusatemi per…

– Non c’è problema. Ora se la sente di parlare?

Rory mi rivolge un’occhiata accusatoria. – Lo sapevate dall’inizio. Che mi vedevo con Aislinn, che ieri sera ero invitato da lei. Lo sapevate.

Sia benedetto il suo piccolo cuore borghese. È sul serio irritato per essere stato ingannato dalla polizia. – Sí, – rispondo. – Lo sapevamo. So che non è stata una bella cosa da fare, ma stiamo indagando su un omicidio, e a volte l’unico modo di ottenere le informazioni che cerchiamo è quello di comportarci in modi non del tutto appropriati. Se le avessimo detto subito di cosa si trattava, lei avrebbe potuto farsi troppo cauto, e non era il caso di rischiare. Lei può sapere qualcosa d’importanza cruciale, anche se magari non se ne rende conto.

– Vi ho detto tutto quello che so.

Se l’è davvero presa a male nei miei confronti. Mi faccio indietro sulla sedia e con un’occhiata cedo il controllo a Steve.

– Crede di averlo fatto, – dice Steve. – Ma questo era prima che venisse a sapere cosa è successo. Io ho visto spesso che uno shock del genere può liberare i ricordi. Mi farebbe il favore di ripercorrere di nuovo tutto ciò che è successo da ieri sera a ora?

Il bravo ragazzo della porta accanto ha uno sguardo serio e speranzoso. Rory lo fissa con diffidenza, ma poi decide che il mio cattivo comportamento non è colpa di Steve. In ogni modo è già pronto a trovarlo simpatico, solo per il fatto che non è Breslin.

– Va bene, anche se sono sicuro che non…

– Ottimo, – lo interrompe Steve. – Anche il piú piccolo dettaglio può esserci utile. Ha visto qualcosa, mentre si trovava a Stoneybatter? O ha sentito qualcosa di strano? Mi interessa qualsiasi cosa che abbia attratto la sua attenzione.

– Direi di no. Non sono un grande osservatore, e inoltre ieri sera ero concentrato su… Aislinn. Non prestavo attenzione proprio a nulla.

– Certo, è successo anche a me. Quando una relazione è all’inizio, soprattutto una come quella che stava nascendo tra voi, sembra che non esista nient’altro.

Steve sorride, e Rory di riflesso quasi ricambia il sorriso. – Esatto. Lei sa che tempo faceva, ieri: un freddo cane, un albero mi ha scaricato uno scroscio d’acqua nel collo… eppure io mi sentivo dentro una storia fantastica. L’odore di erba bagnata, la pioggia contro la luce dei lampioni…

– Vede? È proprio quello che volevo dire: ricorda piú di quello che pensava. Ed è rimasto a Stoneybatter per un’oretta, giusto? Dalle sette e mezzo alle otto e mezzo. Deve aver visto qualcuno.

E Rory lo fa di nuovo: un’improvvisa mossa del collo, una spinta del dito sugli occhiali. Steve menziona quello specifico lasso di tempo, e di colpo a Rory il gioco non piace piú. Sento di nuovo l’odore del sangue nelle narici. Steve solleva un po’ la testa, e capisco che lo sente anche lui.

A Rory tornano i ricordi: qualsiasi cosa, pur di distrarci. – In realtà sí. Ho visto tre donne in Prussia Street, mentre andavo da Tesco. Erano vestite come per una serata fuori e due di loro avevano i capelli come Aislinn, lunghi, biondi e lisci, per questo le ho notate. Camminavano tutte e tre sotto lo stesso ombrello e ridevano. E quando sono sceso dall’autobus c’erano dei ragazzi in felpa con cappuccio che davano calci a un pallone, su Astrid Road, all’angolo con la casa di Aislinn. Quando mi sono avvicinato non hanno smesso di passarsi la palla, e ho dovuto fare il giro per evitarli. Ma non vedo come queste cose possano…

Steve annuisce a tutto, come se si trattasse di informazioni cruciali. – Non si può mai sapere. Potrebbero essere stati loro a vedere qualcosa –. Io scrivo sul mio taccuino, concentrata come se fosse tutto importante. C’è una buona probabilità che si tratti di persone immaginarie. – Ha visto qualcun altro? O qualcos’altro?

Rory scuote la testa. Steve aspetta, ma non viene fuori altro. – Va bene, – dice. – Ora si prenda un attimo e ripensi alle sue conversazioni con Aislinn. Per esempio, ricorda che lei abbia mai accennato a qualcuno che la molestava? Magari un collega di lavoro un po’ invadente, o un ex che non si rassegnava alla fine della relazione…

Rory scuote la testa.

– C’era qualcosa che sembrava metterla a disagio? Diventava mai evasiva ogni volta che veniva fuori un argomento specifico?

– In realtà… – Ora che ci siamo allontanati dal punto caldo Rory è di nuovo rilassato. – Sí. Quando si parlava dei suoi genitori, Aislinn diventava… strana. Mi aveva detto che erano morti tutti e due, il padre in un incidente d’auto quando lei era piccola, mentre la madre aveva la sclerosi multipla ed è morta di questo, qualche anno fa.

Sposta lo sguardo tra me e Steve, in cerca di conferme o negazioni, che non gli diamo.

– Ma parlarne la metteva molto a disagio, e cambiava subito argomento. Forse era solo perché non ci conoscevamo ancora bene, ma io mi sono chiesto spesso se non ci fosse dell’altro. Per esempio, se uno dei due fosse ancora vivo, ma con qualche serio problema, come ho detto prima. Ovviamente mi sono guardato bene dal chiederglielo, ma… ci ho pensato.

Non è quello che sta cercando Steve. – Capisco, – dice. – Interessante, controlleremo. Altro?

Rory scuote la testa. – È l’unica cosa che mi viene in mente.

– Ne è sicuro? Non dico per dire, ogni piccolo dettaglio può fare la differenza.

Segue un momento di silenzio. Rory prende fiato per dire qualcosa, poi espira senza dire nulla. Non guarda in faccia Steve.

Steve aspetta, con uno sguardo cordiale e interessato, come un amico al bar. Rory dice all’improvviso, in tono contrariato: – Vorrei solo sapere che altro non mi avete ancora detto.

– La capisco, – dice Steve, serio. – Posso dirle solo che non lo facciamo per divertimento. Lo facciamo per prendere la persona che ha ucciso Aislinn.

Rory alza la testa e si costringe a guardare Steve negli occhi. Chiede: – Io sono un indiziato? – E si prepara ad assorbire il colpo.

Steve dice: – In questo momento, chiunque abbia un collegamento qualsiasi con Aislinn è un potenziale indiziato. Non intendo insultare la sua intelligenza dicendole che lei fa eccezione.

Rory deve saperlo, ma nei suoi occhi appare una luce di paura. – Io non l’ho nemmeno vista, ieri sera. E le volevo bene, pensavo che avremmo… Perché avrei dovuto…

Qualsiasi cosa avesse intenzione di dirci, è scomparsa.

– Certo, certo, – dice Steve, in tono ragionevole. – Ma noi dobbiamo partire dall’idea che tutti quelli con cui parliamo diranno la stessa cosa. E tra loro ce ne sarà uno che mente. Saremmo solo felici di poter cancellare lei dalla lista: prima restringiamo il campo dei sospetti, meglio è, ma per farlo non possiamo semplicemente fidarci della sua parola. Lo capisce, vero?

– E allora come fate?

– Con l’analisi delle prove. Abbiamo sempre bisogno di prendere le impronte digitali, e in questo caso chiederemo di esaminare anche guanti e cappotti. Ovviamente non posso dirle il perché. Questo sarebbe utilissimo per poter eliminare lei dalla lista. Immagino che non avrà problemi se quelli li prendiamo noi, giusto? – Indica con un cenno del capo i guanti e il soprabito di Rory.

Rory è sorpreso, ma Steve non gli ha lasciato molta scelta. – Suppongo… Voglio dire… Sí, va bene. Ma poi li riavrò indietro, vero?

– Naturalmente, – dice Steve, allungando una mano sul tavolo e tirando verso di sé i guanti con la penna. – Ci vorrà al massimo qualche giorno. Va bene se diamo un’occhiata anche nel suo appartamento, per vedere se ce ne sono altri che possiamo eliminare dalla lista?

– Io non… – Rory batte le palpebre in fretta. La tensione e l’aria soffocante della stanza lo stanno esaurendo; comincia a non farcela piú. – Non potete prendere solo questi? Sono quelli che indossavo ieri sera, se si tratta di…

– Vede, – gli spiega Steve. – Noi non stiamo cercando di cancellare dalla lista questo cappotto e questi guanti. Stiamo cercando di togliere lei da quella lista. E per farlo ci serve tutto quello che lei avrebbe potuto indossare, non solo quello che aveva addosso. Capisce cosa intendo?

Rory si preme le dita sugli occhi, sollevando gli occhiali. – Sí, capisco. Va bene, prendete quello che vi serve. Ma io voglio esserci, quando lo farete. Non mi piace l’idea di gente che fruga in casa in mia assenza. Va bene?

– Ma certo, – conviene Steve. – I ragazzi che l’accompagneranno a casa daranno una rapida occhiata, cosí fanno un viaggio solo e intanto mandiamo avanti le cose il piú in fretta possibile. Adesso le prendiamo le impronte, cosí potrà finalmente uscire di qui e continuare la sua giornata.

Rory chiude gli occhi sotto i polpastrelli. – Sí, – dice. – Sí, mi piacerebbe.

Io getto guanti e cappotto in due sacchetti di plastica per le prove ed esco per mandarli a Sophie, prima che lui possa cambiare idea. Poi mi metto a battere il verbale in sala detective, ignorando le merde intorno a me che mi ignorano a loro volta, mentre Steve stampa una mappa, cosí Rory può indicarci la strada che ha seguito per tornare a casa, per quanto possa o voglia ricordare. Dopodiché gli fa ripetere la sua storia un’ultima volta. Io li lascio il piú possibile soli, nel caso Rory ce l’avesse ancora con me, ma quando torno nella saletta Steve scuote la testa in modo quasi impercettibile: non è venuto fuori nulla di interessante.

– Ecco, – dice Rory, spingendo la mappa attraverso il tavolo. Ha davvero un’aria sbattuta. Le labbra secche, i capelli appiccicati alla testa come se avesse fatto una corsa. – Cosí va bene?

Sulla mappa c’è una linea sinuosa che va da Stoneybatter a Ranelagh, con una piccola x in corrispondenza dei viali, con sotto la scritta «fiori». – Perfetto, – dice Steve. – Grazie mille.

– Dia una letta a questo, – dico io, tendendogli il verbale e una penna. – Se è tutto corretto, metta una sigla in fondo a ogni pagina e la sua firma alla fine.

Rory non si muove per prendere il foglio. – Voi credete… – Fa un respiro profondo. – Se non fossi andato via, se avessi continuato a bussare, o se avessi chiamato la polizia… Se fossi entrato sfondando un vetro… Credete che avrei potuto salvarla?

Sto quasi per rispondergli di sí. Se non è il nostro uomo, è proprio un pulcino bagnato, di quelli che hanno bisogno continuamente di uno schiaffo sulla testa solo per non precipitare nel buco della propria mente. Inoltre ci ha fatto sprecare mezza giornata solo perché si trovava nel posto sbagliato e aveva un’aria colpevole. Devo solo dirgli di sí e passerà il resto della vita flagellandosi con fantasie sempre piú elaborate in cui irrompe nel cottage all’ultimo minuto e salva Aislinn da un branco di teppisti violenti, dopodiché vivono per sempre felici e contenti, sposandosi e facendo 2,4 bambini, pulcini bagnati come lui. La tentazione è quasi irresistibile.

Ma se invece è il nostro uomo, non è affatto un idiota e troverà il modo di usare a suo vantaggio ogni informazione che gli diamo. Per questo gli dico: – Non c’è modo di saperlo. Legga questo –. E gli metto il verbale del colloquio sotto il naso.

Lui lo legge, o almeno, trascorre un certo tempo a fissare ciascuna pagina. Alla fine lo firma, come se non ricordasse bene come si fa.

Manca poco alle quattro del pomeriggio. Contattiamo Kellegher e Reilly, le reclute che avevano il compito di controllare le telecamere in strada, e diciamo loro quello che devono fare con Rory dopo averlo accompagnato a casa. Nel suo armadietto Steve prende una vecchia felpa e la presta a Rory, cosí non si congelerà sulla via del ritorno. Alla fine gli diciamo che ci è stato di grande aiuto e lo salutiamo.

– Mi devi un deca, – dice Steve, mentre Kellegher e Reilly accompagnano Rory in corridoio. Visto da dietro, stretto tra quei due poliziotti con le spalle grosse da contadini, Rory sembra il secchione della scuola trascinato dietro un angolo per essere preso a schiaffi.

Controllo che ci siano tutte le pagine della sua dichiarazione. – Col cazzo. Non lo hai visto piangere come una fontana? Sei tu che devi pagare.

– Quello non conta. Conta se scoppia in lacrime perché ha paura di noi, non perché ha appena saputo che la sua ragazza è morta.

– E da quando? – Steve ha ragione, ma mi va di stuzzicarlo. – No, no, no. Non puoi cambiare le regole solo perché ti conviene.

– Da sempre. Quando mai ho provato a…

– E io quando mai ho cercato di fregarti solo perché non mi piaceva il momento in cui…

Rory e le reclute sono scomparsi, c’è solo l’eco dei loro passi che scendono le scale. Chiudo la porta della sala interrogatori e ci dirigiamo verso la sala detective, per mettere insieme quello che ci serve. Il corridoio ha ancora l’aria di nascondere buche coperte con in fondo bastoni appuntiti, ma ora non mi sembra piú cosí terribile.