3.

La sala detective adesso è piena di vita. La stampante va a manetta, un telefono squilla, le veneziane sono aperte per tentare di portare dentro un po’ di pallida luce solare. Si sente l’odore di mezza dozzina di pasti diversi, piú tè, bagnoschiuma, sudore, calore e azione. O’Gorman è reclinato sulla sedia con i piedi sulla scrivania, si getta delle patatine in bocca e grida qualcosa a King riguardo a una partita. King sta leggendo una deposizione, e ripete «sí» ogni volta che O’Gorman fa una pausa per respirare. Winters e Healy discutono su un testimone che Healy vorrebbe sballottare un po’ mentre Winters crede che sia tempo perso. Quigley fruga in uno schedario, con un’espressione scocciata sulla bocca molle, sbattendo i cassetti quando li chiude. Accanto allo schedario, McCann è chino a sfogliare carte sulla scrivania, e sussulta a ogni cassetto sbattuto: ha l’aria di avere un doposbronza pazzesco, ma le borse sotto gli occhi e l’ombra di barba permanenti gli dànno quell’aspetto quasi sempre. O’Neill ha il telefono premuto contro un orecchio e un dito ficcato nell’altro. Accanto alla mia scrivania e a quella di Steve due tizi in piedi, che devono essere le nostre reclute, tentano di appoggiarsi con nonchalance a tutto quello che trovano, per dare l’impressione di essere a proprio agio e ridendo a una delle barzellette cretine di Roche, nella speranza che lui si ricordi di loro quando avrà bisogno di qualcuno per qualche lavoro noioso.

Non vedo Breslin, ma il suo cappotto è appeso allo schienale della sedia. Probabilmente sta ancora cercando di trovare una centrale operativa, borbottando tra sé contro la sfortuna di dover prendere ordini da una come me. Non sono preoccupata: Breslin è nel gioco da troppo tempo per mettersi a fare il borioso quando non gli conviene.

Qualcuno alza la testa, vedendo entrare me e Steve, poi torna a fare quello che stava facendo. Nessun saluto, nemmeno da parte nostra. Andiamo dritti alle nostre scrivanie. In sala detective io cammino a passi lunghi e ben distesi, per combattere l’istinto di procedere sulle punte, con la paura che qualcuno allunghi un piede per farmi lo sgambetto. Non ci ha ancora provato nessuno, ma ho l’impressione che sia solo questione di tempo.

– Ehi, – dico alle reclute, che drizzano la schiena e mettono su espressioni vigili. Sono entrambi della nostra età: un palestrato che comincia a perdere i capelli davanti, e un tizio grasso e biondo che cerca di farsi crescere i baffi, senza molto successo. – Io sono Conway, lui è Moran. Avete qualcosa per noi?

– Stanton, – dice il palestrato, con un finto saluto militare.

– Deasy, – dice il grasso. – Sí, abbiamo portato il vostro uomo, Rory Fallon, pochi minuti fa.

– Povero bastardo, – dice Roche dal suo angolo, che puzza di dopobarba e di tastiera appiccicosa. Roche è un grosso stronzo che è entrato in polizia perché riesce a farselo venire duro solo facendo piangere gli altri, ma non è stupido: sa quando tenere a freno l’istinto e quando lasciarlo libero, e ottiene risultati. – Devo andare a dirgli di tagliarsi le palle da solo, per risparmiare tempo e fatica?

– Non mi sento in colpa se la mia percentuale di casi risolti è piú alta della tua, Roche, – dico. – È perché sei un ritardato. Impara ad accettarlo.

Le reclute restano a bocca aperta e tentano di nasconderlo. Roche mi lancia un’occhiata da maschio alfa, che non faccio nemmeno lo sforzo di notare. – Parlatemi di Fallon, – dico, gettando la cartella sulla sedia.

– Ventinove anni, proprietario di una libreria a Ranelagh, – dice quello grasso. – Abita sopra la libreria.

– Con qualcuno?

– No. Da solo.

Peccato. Un coinquilino sarebbe stato non solo un buon testimone, ma anche un buon candidato per l’uomo che ha fatto la telefonata.

Steve chiede: – È successo qualcosa che dobbiamo sapere, mentre tenevate sotto controllo la casa?

I due si guardano, scuotono la testa. – Niente di che, – dice il palestrato. – Ha aperto le tende intorno alle dieci, in pigiama. Nessun altro movimento visibile. Quando siamo andati a prenderlo era vestito, ma senza scarpe. Non sembrava avesse intenzione di uscire.

– Aveva fatto colazione, – dice il grasso. – Caffè e roba fritta, a giudicare dall’odore.

Steve mi guarda. Un uomo ammazza la sua ragazza con un pugno, torna a casa e si mette in pigiama per farsi una bella dormita, si alza al mattino e si prepara uova e salsicce. Può succedere: Fallon magari era sconvolto e andava con il pilota automatico, o è uno psicopatico, o stava preparando la propria difesa. Oppure.

La sala è surriscaldata, un calore spesso che mi fa prudere il collo. – Cosa gli avete detto?

– Quello che ci aveva detto lei, – dice il grasso. – Che pensavamo potesse aiutarci con un’indagine e gli abbiamo chiesto se era disposto a venire con noi in centrale per fare una chiacchierata.

– E lui ha detto di sí e basta? Niente resistenza, niente domande?

Loro scuotono la testa. – È un tizio accomodante, – dice il palestrato.

– Già, – dico io. – Quasi chiunque, alla richiesta di recarsi in una stazione di polizia per rispondere a delle domande, vuole almeno sapere di cosa si tratta, prima di mandare al diavolo i piani per la giornata e seguirti. O Rory Fallon è proprio un pollo, oppure vuole dare l’impressione di non avere nulla da nascondere.

– Ha detto qualcosa, lungo la strada? – chiede Steve.

– Una volta in macchina ha chiesto di che si trattava, – dice il grasso. Interessante: ovviamente Rory può sapere esattamente di cosa si tratta, ma non sapere che noi possiamo provare che lo sa. Questo significa che Lucy non l’ha chiamato subito, non appena noi siamo andati via. Un punto contro la teoria di una relazione tra lei e Rory. – Gli abbiamo risposto che non conoscevamo i particolari, ma che i detective incaricati dell’indagine gli avrebbero detto tutto. Dopodiché ha tenuto la bocca chiusa.

– L’abbiamo trattato bene, – dice il palestrato. – Gli abbiamo offerto una tazza di tè, gli abbiamo detto che apprezzavamo molto la sua disponibilità, che non andremmo da nessuna parte senza cittadini responsabili come lui, e tutto il resto. Abbiamo pensato che lo avreste voluto trovare rilassato.

– Perfetto, – dice Steve. – Dove lo avete messo?

– Nella saletta interrogatori giú in fondo.

– È il tipo che può pensare di andarsene, se lo teniamo sulle spine ancora per un po’?

Loro ridono. – Nooo, – dice il palestrato. – Come ho detto, è accomodante.

– È un bravo ragazzo, – dice il grasso. – Che ha fatto una brutta cosa.

– Grazie, – dico io. – Ci servirà anche un elenco dei suoi conoscenti. Potreste mettervi al lavoro su questo? Mi interessano soprattutto amici maschi, fratelli, padre, cugini con cui è in rapporti stretti. È stato un uomo a telefonare a noi, e se non si tratta di Fallon, dobbiamo sapere chi è stato –. Il palestrato prende appunti, assicurandosi che io lo noti. – Potete andare nella sala operativa, ormai dovrebbe essere già pronta. Riunione alle quattro. Se ci sono cambiamenti, vi avviso.

I due vanno via con un passo scattante, calibrato per dare l’idea che sono sul pezzo, ma senza fretta. Ricordo quel passo, ricordo quando ero io a praticarlo, mentre andavo a fare elenchi e fotocopie per conto di qualche detective della Omicidi, sperando che un giorno sarei entrata in questa sala detective per non uscirne piú. Provo quasi compassione per Stanton e Deasy, finché capisco che per loro, se riusciranno a entrare qui, andrà tutto liscio.

Steve è davanti al suo computer e batte sui tasti. – Come mai vuoi tenere Fallon sulle spine? – gli chiedo.

– Solo per qualche minuto, – risponde, senza smettere di battere. – Torna a casa e va a letto, si alza e si fa uova fritte e salsicce? È un sangue freddo notevole, per un cittadino modello. Anche se vuole solo tentare di sembrare innocente. Sto passando il suo nome nei database, per vedere cosa viene fuori.

– Controlla anche la vittima. Vorrei sapere dove l’ho vista prima –. Faccio il numero della mia segreteria telefonica, blocco il telefono tra collo e spalla e comincio a sfogliare le dichiarazioni del festival di deficienti della notte scorsa: dobbiamo mandare il fascicolo ai magistrati prima che scadano i termini del fermo. McCann borbotta al cellulare, è chiaro che si sta prendendo una lavata di testa dalla sua signora («Lo so, stasera giuro che sarò a casa per le… Sí, lo so che abbiamo prenotato. Naturalmente sarò…»). Roche lo guarda e mima degli schiocchi di frusta.

Trovo un altro messaggio da Breslin. Comincio a sperare che riusciremo a lavorare a questo caso senza doverci mai incontrare di persona. «Ciao, Conway». Sempre un tono ricco, nel caso che Hollywood sia in ascolto, ma con una sfumatura seccata: io e Steve ci siamo comportati male. «Sembra che ci sia qualche problema di collaborazione. Sono tornato alla base. Vado a occuparmi di farci assegnare una sala operativa; tu chiamami appena puoi. Ci sentiamo presto». Cancello il messaggio.

– Rory Fallon non è nel sistema, – dice Steve.

– Per niente?

– Zero.

– Santa Maria bella, – dico. Restare fuori dal sistema è piú raro di quanto si potrebbe pensare; basta una multa per eccesso di velocità e sei dentro. Rory ufficialmente non ha commesso neppure un’infrazione, nella sua vita. – Questo non significa che fino a ieri fosse vergine, ma solo che non è mai stato beccato.

– Lo so. Volevo solo metterti al corrente.

– Hai già provato con Aislinn?

– Lo faccio ora, aspetta…

Intanto chiamo la segreteria di Breslin e gli lascio un messaggio, dicendogli di trovarci nella stanza di osservazione tra dieci minuti. Steve dice: – No. Nulla nemmeno su di lei. Tra tutti e due, fanno vomitare da quanto sono puliti.

– Erano proprio perfetti l’uno per l’altra, – dico. – Peccato che non abbia funzionato –. Finisco di controllare la dichiarazione dell’ultimo testimone, e mi blocco.

Manca l’ultima pagina, quella con le firme. Senza l’ultima pagina, tutta la dichiarazione non ha valore.

Non potrò mai provare di non averla lasciata cadere mentre tornavo dalla saletta interrogatori. C’è anche una minima possibilità che sia successo davvero: era tardi, ero esausta e incazzata e con la fretta di concludere prima della fine del turno. Naturalmente posso controllare: camminare avanti e indietro come un’idiota, guardando speranzosa sotto le scrivanie e dentro i cestini dei rifiuti, mentre tutti i simpaticoni della squadra trattengono le risate, nascosti dietro i monitor, aspettando di vedere chi scoppia a ridere per primo. Oppure posso incazzarmi e mettermi a strillare contro chi mi ha fregato il foglio, che per molti sarebbe la cosa piú divertente. O posso chiudere la bocca, rintracciare di nuovo il testimone e passare un altro paio d’ore a riconvincerlo che parlare con la polizia è una cosa figa, e ritirargli fuori la sua dichiarazione, un monosillabo alla volta.

– Ehi, – dice Steve. – Qui c’è qualcosa.

Ci metto un paio di secondi prima di ricordare di cosa sta parlando. Sono cosí incazzata che vorrei spaccare la scrivania a morsi. Steve alza gli occhi: – Tutto bene?

– Sí, cos’hai trovato? Aislinn è nel sistema?

– No, non lei. Forse non è nulla, ma c’è il suo indirizzo. Il 20 ottobre scorso, all’una del mattino, il suo vicino di casa, al numero 24, ha chiamato la polizia di Stoneybatter. Era in giardino a fumare un’ultima sigaretta prima di andare a letto, e ha visto qualcuno scavalcare il muro di cinta dietro la casa di Aislinn, per poi sparire nel vicolo. La descrizione non è un granché; in fondo al vicolo c’è un lampione, ma l’intruso ci è passato vicino in fretta, e di schiena. Maschio, corporatura media, soprabito scuro, e dal modo in cui ha scavalcato il muro il vicino ha pensato che fosse di mezza età; ha detto anche che gli è sembrato biondo, ma può trattarsi del riflesso della luce. La polizia ha mandato due ragazzi a dare un’occhiata, ma a quel punto l’uomo era scomparso senza lasciare traccia. Non c’erano segni di intrusione forzata, quindi hanno immaginato che il vicino lo avesse disturbato prima che potesse entrare. Hanno consigliato a Aislinn di prendere delle misure di sicurezza e se ne sono andati.

– Ah, – dico. Non spiega dove avevo visto Aislinn prima d’ora, ma è abbastanza interessante da spingere la pagina mancante in un angolo della mia mente. – C’è qualcosa su come l’ha presa lei? Era spaventata? In panico? È andata a passare la notte da Lucy?

– No. Dice solo: «La residente ha un allarme di fascia bassa e serrature di sicurezza, ma le è stato consigliato un sistema d’allarme collegato con la polizia e di prendersi un cane».

– E non ha fatto nessuna delle due cose –. Roche tenta di origliare: gli mostro il dito e abbasso la voce. – Per essere una donna sola, ha preso la tentata intrusione con molto sangue freddo. Ti sembra il tipo con due palle cosí?

Steve dice: – Mi sembra piú che sapesse che non c’era nulla di cui preoccuparsi.

– Perché non era uno scassinatore, – dico io, – ma il suo uomo segreto. Guarda un po’. Forse esiste davvero –. Sento salire di nuovo l’eccitazione, ma la reprimo. – Comunque, non basta a scagionare Rory Fallon. Forse lui ha scoperto che Aislinn aveva un altro e non gli è piaciuto. Andiamo a chiederglielo.

– Un attimo, voglio controllare un’ultima cosa –. Steve si rituffa dentro i suoi dati.

Io metto ciò che resta delle deposizioni nel cassetto della scrivania, che ha una chiave ed è dove le avrei messe fin dall’inizio, se O’Kelly non fosse arrivato mentre ci preparavamo ad andare via. Infilo la chiave nella tasca dei pantaloni. Poi mi metto a controllare la sala da dietro il mio taccuino.

Nessuno sta aspettando apertamente che io perda la testa, ma non sono cosí scemi. Quigley ha trovato il suo fascicolo e lo sta leggendo, frugandosi in un orecchio con un dito. Questo probabilmente significa che non si aspetta di essere osservato, ma non si sa mai. Quigley è un pezzo di merda, O’Gorman è uno scimmione, Roche è il meglio di quei due mondi: chiunque di loro (o magari tutti insieme) può aver pensato che rovinarmi la giornata sarebbe stato divertente. McCann sembra troppo preoccupato delle sue faccende per pensare ad altro e O’Neill mi è sempre parso un uomo sensato, ma non posso escludere nessuno.

Non che abbia importanza. Il punto, e loro lo sanno bene quanto me, non è chi è l’autore della burla: può essere uno diverso ogni giorno. Il punto è che, chiunque sia stato, io non posso farci nulla.

– Ehi, – dice Steve, a bassa voce. – C’è dell’altro.

Stavolta ricordo di cosa si tratta. – Sí? Cosa?

– Ho pensato di scoprire se Aislinn è mai stata sul radar della squadra Crimine organizzato. Perciò ho controllato per vedere se qualcun altro avesse cercato il suo nome nei database –. Faccio per alzarmi e andare a dare un’occhiata al suo monitor, ma lui mi ferma con uno sguardo. – Resta seduta. E sí, il 17 settembre dell’anno scorso qualcuno ha lanciato una ricerca su di lei.

Ci guardiamo.

Io dico: – Devono esserci una ventina di Aislinn Murray. Come minimo.

– Aislinn Gwendolyn Murray? Nata il 6 marzo 1988?

Penso a tutta velocità. – Non voglio tirare dentro quelli del Crimine organizzato. Non ancora. Ho un amico…

Steve dice, cosí piano che faccio fatica a sentirlo. – Il login era della Omicidi.

Ci guardiamo di nuovo. L’espressione cauta di Steve è la stessa che avverto sulla mia faccia; stiamo cercando di capire quanto dobbiamo essere cauti.

– Se si trattava di un caso della nostra squadra, – dico, – chiunque sia stato non dovrebbe avere problemi a condividere l’informazione.

Steve fa cenno di no con la testa e apre la bocca per spiegarmi come mai è una cattiva idea, e ha ragione: la cosa piú furba è tenerci per noi quel che sappiamo e cercare di scoprire da soli ciò che ci serve. Ma quella pagina mancante mi rode ancora, e ne ho abbastanza di tenere la bocca chiusa e di muovermi in punta di piedi intorno ai colleghi della mia stessa squadra. Ruoto la sedia in modo da vedere la sala e schiocco le dita sopra la testa. – Ehi! – dico, a voce piuttosto alta: le teste si voltano, i dialoghi si interrompono. – Aislinn Gwendolyn Murray, nata il 6 marzo dell’88. Qualcuno ricorda di aver fatto una ricerca su di lei, lo scorso settembre?

Occhiate perplesse. Un paio scuotono la testa, gli altri non si prendono nemmeno il fastidio e continuano a fare quello che stavano facendo.

Ruoto di nuovo la sedia e torno a guardare Steve.

Lui dice: – Forse chi ha fatto quella ricerca non è di turno adesso. Oppure… – Fa un cenno vago con la testa.

– Oppure non mi darebbe neppure il vapore della sua piscia se stessi morendo di sete. Lo so –. Odio quando Steve si mostra pieno di tatto. – O può anche essere stata una ricerca personale, non autorizzata.

Succede spesso. Non ti piace la faccia del ragazzo di tua figlia, o la coppia che è venuta a visitare l’appartamento che vuoi dare in affitto, e fai una ricerca su di loro per vedere se salta fuori qualcosa. L’abbiamo fatto tutti: mia madre non era contenta del suo nuovo vicino di casa, e infatti ho scoperto che si trattava di un tossico, ma almeno non era uno spacciatore e comunque se ne andò poche settimane dopo. Chiunque si senta scandalizzato da queste cose ha bisogno di uscire di piú, ma di fatto si tratta di ricerche illegali. Se il cugino di un poliziotto stava pensando di assumere Aislinn, o se i genitori di un detective volevano affidare la chiave di casa di scorta alla giovane vicina di casa, bastavano trenta secondi al computer; un favore innocuo, e non c’era bisogno che nessuno lo venisse a sapere. Ma ora che Aislinn è stata uccisa, chiunque abbia fatto un controllo illegale su di lei si prenderà una lavata di testa dal capo e perderà un paio di giorni di ferie, come minimo. Perciò, è logico che nessuno abbia alzato la mano.

Steve dice: – Può anche essere una ricerca non autorizzata ma non personale. Quadra con l’idea del criminale. Per esempio, se qualcuno del Crimine organizzato vuole fare una ricerca su Aislinn senza che la sua squadra lo sappia, per un motivo qualsiasi, chiede a un amico della Omicidi di fare il controllo al suo posto…

Mi costa fatica pensare a un controllo innocuo. La sala mi sembra infida, con angoli deformati, ombre contorte… Dico: – E l’amico non ce lo dirà mai.

Steve dice, a voce ancora piú bassa: – Conosco un tizio ai Crimini informatici. Può scoprire da quale computer è partita la richiesta.

– Troverà il computer, ma non chi lo stava usando. Se avessimo dei login individuali, invece di questa merda da «una squadra, una password»…

– Vuoi che lo contatti lo stesso?

– No, – rispondo. – Non ancora –. Tutti sono tornati alle loro scartoffie o alle loro conversazioni; nessuno guarda verso di noi. Ciò nonostante, vorrei aver tenuto la bocca chiusa.

La stanza di osservazione è piccola e brutta. C’è un tavolo appiccicoso, una sedia barcollante e un distributore d’acqua che di solito è vuoto. Niente finestre e l’aria condizionata non funziona da anni; se fosse stata una sala interrogatori, gli avvocati si sarebbero messi a strillare che i loro clienti avevano il diritto di respirare, e l’avrebbero riparata in men che non si dica. Ma poiché del nostro diritto di respirare non frega niente a nessuno, la ventola resta scassata. E la stanza puzza di sudore, anni di caffè rovesciati, dopobarba di detective che erano già in pensione quando Steve e io eravamo ancora in accademia, fumo di sigaretta che risale a prima del divieto. E in inverno è peggio, perché il riscaldamento stimola il bouquet completo.

Breslin non è ancora arrivato. Getto il cappotto sullo schienale della sedia – non mi fido a lasciarlo in sala detective e poi dovermi chiedere se qualcuno ci si è pulito il cazzo sopra – e mi avvicino per dare un’occhiata a Rory Fallon. Steve è accanto a me, siamo cosí vicini al falso specchio che il nostro fiato lascia un po’ di condensa sul vetro.

Fallon dimostra meno dei suoi ventinove anni. È esile e non tanto alto, sul metro e settantadue. Potrei gettarlo a terra con una mano sola, ma per questo omicidio è bastato un solo pugno, e un pugno può tirarlo anche un rammollito. Ha i capelli castani lisci, e si vede che era appena stato dal barbiere in vista dell’appuntamento con Aislinn. Gli occhiali in finta tartaruga sono cosí vecchi che la plastica della montatura ha perso limpidezza. La camicia fuori moda color panna è infilata come si deve nei jeans sbiaditi, e i lineamenti fini gli dànno un’aria da artista sensibile o da smidollato, a seconda dei punti di vista. Non è male, ma non sembra il tipo da far perdere la testa a una come Aislinn. Mi aspettavo un uomo imponente, coperto di vestiti firmati da capo a piedi, grande fan del rugby. Rory sembra il tipo di persona che di un videogame apprezza la parte in cui esplori il terreno di gioco e la grafica, e non la parte dove devi ammazzare i cattivi.

– Dieci euro che si mette a piangere, – dico. È una cosa che Steve e io abbiamo cominciato a fare con i «domestici». Ovviamente, le scommesse sul lavoro sono vietatissime, ma me ne faccio una ragione. Alla metà dei sospettati basta guardarci in faccia per aprire i rubinetti, e a me viene voglia di prenderli a calci in culo. Devo mordermi la lingua per non dire loro che è questo il momento di mostrarsi uomini (o donne); «Facevi il duro mentre pestavi a morte la tua metà, e ora te la fai addosso?» Se devo sopportare questo schifo, posso almeno farci su un po’ di soldi scommettendo.

– Ah, merda, – dice Steve. – Spero di avercelo, un dieci da darti. Basta guardarlo.

– La prossima volta impara a essere piú veloce.

Osserviamo Rory Fallon voltare la testa qua e là e muovere i piedi sotto la sedia, cercando di inquadrare l’ambiente. Le stanze per gli interrogatori sono progettate in modo da non lasciarsi inquadrare. Il linoleum, il tavolo e le sedie sono il piú anonimi possibile, e non solo per via dei tagli al budget; è perché cosí la tua mente non riesce a interpretare l’ambiente e comincia a caricarlo di significati. Se resti abbastanza tempo da solo in una sala interrogatori, da anonima diventa sinistra e poi un vero e proprio film dell’orrore.

Rory ha piegato per bene il cappotto sullo schienale della sedia e ha allineato sul tavolo un paio di guanti di nylon imbottiti. Le mani sono nella stessa posizione dei guanti, con i palmi appoggiati sul tavolo e i pollici che si toccano appena. Le nocche, almeno da questa distanza, sembrano perfette: nemmeno un graffio.

Steve dice: – Hai visto le mani?

– Non basta a scagionarlo. Sophie ha detto che probabilmente aveva i guanti, ricordi?

– Chiamala. Vedi se alla fine hanno trovato qualche impronta.

La chiamo, la metto in viva voce e tengo d’occhio la porta per vedere se arriva Breslin. – Sophie, ciao, sono io con Moran.

– Ciao, ti aggiorno: abbiamo finito di esaminare il corpo e il salotto –. La perdo un attimo, poi torna in linea. – Qui dentro sembra un ricevimento, aspetta –. Sento sbattere una porta. – Eccomi.

– Come sta andando con le impronte?

– Niente fortuna, finora –. Dietro la sua voce sento fischiare il vento. È uscita in strada. Poi evidentemente mette la mano a coppa intorno al telefono e il ruggito si smorza. – Abbiamo un sacco di impronte sulle stoviglie, sul pomello della porta, sulla bottiglia di vino e sui bicchieri, ma come prima impressione sembrano troppo piccole per essere di un uomo e molto probabilmente sono della vittima.

– Quindi avevamo ragione sul fatto che lui indossava i guanti, – dico. Steve fa una smorfia.

– Stiamo ancora cercando, ma direi di sí. Probabilmente in pelle o in Gore-Tex, qualcosa di molto liscio. Non abbiamo trovato fibre sul viso della vittima, in corrispondenza di dove è stata colpita, e se i guanti fossero stati di lana o simili le avremmo trovate.

Dico, guardando Steve: – Guanti grossi, quindi. Il che vuol dire che può anche non essersi prodotto un segno visibile sulla mano.

– Il che vuol dire che avete prelevato il vostro indiziato, – dice Sophie, – e le sue mani sono a posto.

– Già. L’invitato a cena.

– Avete i guanti che indossava ieri sera? Perché in quel caso il guanto destro dovrebbe recare tracce del sangue della vittima, anche se lui lo ha lavato. È il tipo di sostanza che tende a restare.

– Oggi ha un paio di guanti grigi di nylon. Sembrano puliti ma te li faremo recapitare, e se otteniamo un mandato ti invieremo anche tutti gli altri che troveremo in casa sua, ma scommetto che non avremo fortuna neppure in questo. È probabile che li abbia gettati via mentre tornava a casa –. Mentre parlo osservo Fallon. Ha smesso di guardarsi intorno ed è seduto immobile. Si guarda le mani e fa respiri profondi, sembra una specie di meditazione. Do un colpo sul vetro per interrompere quelle stronzate. – C’è qualcos’altro che dobbiamo sapere, prima di cominciare con lui?

Sophie fa un sospiro esasperato. – Non molto. Questa mattinata fondamentalmente è stata una perdita di tempo. L’unico elemento solido che abbiamo trovato sono tre fibre di lana nera sul vestito della vittima: due sul lato sinistro del petto, una sul lato sinistro della gonna. Non corrispondono a nulla di ciò che lei indossava e non possiede un cappotto nero, perciò non le sono rimaste attaccate perché è uscita a comprare qualcosa all’ultimo minuto. Abbiamo pensato che si fosse messa un pullover mentre cucinava, per proteggere il vestito, ma non abbiamo trovato pullover o cardigan neri –. Sophie tiene la voce bassa. Fuori da casa di Aislinn c’è qualcuno, forse solo i ragazzini, o forse i giornalisti. – Perciò penso che le fibre provengano dal nostro uomo, quando l’ha abbracciata per salutarla o l’ha afferrata prima di colpirla. Guarda se il vostro indiziato possiede un soprabito nero di lana.

– Ne ha indossato uno per venire in centrale, – dico, guardando Steve, che fa spallucce. Una persona su due a Dublino ha un cappotto nero di lana. – Te lo mandiamo. Bel colpo, Sophie, grazie.

– Niente di che. Senti, c’è qui una specie di baby-reporter che si sporge oltre il nastro sperando di origliare qualcosa. Vuoi che vada a dirgli che sospettiamo dei ninja?

– Sí, allieta pure la sua giornata. Ci sentiamo presto.

– Aspetta, – interviene Steve, chinandosi verso il telefono. – Sono Moran. Potete esaminare la camera da letto e il bagno?

– Che brillante idea. Pensavi fossimo qui per ridipingere la casa?

– Voglio dire, in punti che ieri sera magari non sono stati toccati, ma che possono conservare tracce di quando qualcuno è rimasto a dormire in casa della vittima. E potete controllare se sul materasso ci sono tracce di fluidi corporei?

– Ah, – dice Sophie. – State pensando a un ex?

– Qualcosa del genere. Grazie. Saluta da parte nostra il baby-reporter.

– Gli dirò che lo arresterete per aver marinato la scuola. Giuro, dimostra dodici anni. Sto diventando vecchia… – E riattacca.

Fallon sta facendo un altro tentativo con la meditazione. Breslin o sta costruendo la sala operativa mattone su mattone, oppure ci sta castigando per averlo fatto aspettare. Mentre ho in mano il telefono, ne approfitto per dare un’occhiata alle notizie: – Un secondo, – dico a Steve, toccando lo schermo.

L’edizione del pomeriggio del «Courier» è già uscita. Il Bieco Crowley ha battuto un colpo.

In prima pagina campeggia il titolo: La polizia beffata da brutale omicidio. Sotto ci sono due foto. Una di Aislinn in versione recente, mentre ride con indosso un vestito arancione attillato e brillantini intorno agli occhi, la foto di un party natalizio che Crowley deve aver pescato sul profilo Facebook di qualcuno. Nell’altra foto ci sono io, mentre mi rialzo dopo essermi chinata sotto il nastro che delimita la scena del crimine, con la mia faccia migliore: borse sotto gli occhi, capelli spettinati, il pugno alzato e la bocca aperta in un ringhio che spaventerebbe un rottweiler.

Stringo i denti cosí forte che mi fanno male. Vado a leggere, ma il testo è solo allusioni, sentimentalismo da quattro soldi e sdegno. Bellissima giovane donna, nel fiore degli anni, particolari delle ferite non ancora resi pubblici, le parole di un vicino che racconta come Aislinn andasse a fare la spesa per lui quando i marciapiedi erano ghiacciati, le parole di una vicina che non si sentirà al sicuro in casa sua finché noi non toglieremo questo str… dalle strade; poi c’è una frecciata contro la «detective Antoinette Conway, che ha condotto l’indagine sull’omicidio ancora irrisolto di Michael Murnane a Ballymun, nel settembre scorso», per chiarire che io sono incompetente e/o non me ne frega niente delle vittime se appartengono alla classe operaia. Sulla barra laterale: «Genitori in panico per pedofilo ai giardinetti», piú schizzi di boria verso il consiglio regionale che dovrebbe fare qualcosa anche contro questo schifo di tempo, e l’intervista a una celebrità che parla in tono enfatico dei benefici della quinoa e dei suoi bambini che fanno una vita che piú normale non si può.

– Cosa c’è? – chiede Steve.

Riesco a fatica a staccare i denti. – Niente.

– No, dài. Cosa c’è?

Tanto non posso tenerlo lontano dai giornali, e se gli nascondo ora l’articolo può sembrare che mi importi la faccia da cane rabbioso che ho in quella foto, mentre non me ne frega un cazzo e mezzo. – Guarda, – dico, e gli passo il cellulare.

Le sue sopracciglia schizzano in alto. – Oh, Gesú –. Poi, un secondo dopo: – Oh, Geeesú!

– Proprio, – dico.

I media non pubblicano l’identità della vittima finché non ricevono il nostro benestare. Serve a proteggere i familiari, che cosí non devono scoprirlo dal banco dei giornali del supermarket, e a volte anche noi abbiamo i nostri motivi per tenerla nascosta per un giorno o due. I giornali gettano qua e là informazioni sufficienti perché la gente del quartiere capisca di chi si tratta. «Il trentaduenne padre di due figli che lavorava nella finanza», e simili. Ma tanto la gente della zona lo sa già. E non usano foto dei detective senza permesso, nel caso che noi non desideriamo essere riconosciuti subito da dieci metri di distanza. Io non lascio mai circolare le mie foto, per buoni motivi, ma in genere nelle foto pubblicate i detective hanno sempre un’aria professionale e cordiale e tutto il resto, una faccia che stimola i testimoni a farsi avanti per parlare con noi, non a nascondersi perché sembriamo Wolverine con il doposbronza. Se un giornalista non rispetta i limiti, paga: niente piú «fonti vicine all’indagine» per te, e lo facciamo sapere anche all’editore. Quel figlio di puttana di Crowley ha superato il limite in almeno una dozzina di modi.

Ci è andato vicino molte volte anche prima, ma erano tutte banalità utili a farlo sentire una specie di Bob Woodward senza creargli reali problemi; nulla di simile a ciò che ha fatto ora. Crowley non ama i poliziotti, perché è uno spirito ribelle che non s’inchina all’autorità, ma anche gli spiriti ribelli devono pagare l’affitto, perciò si controlla. Quindi, o alla sua tarda età ha scoperto all’improvviso di avere i coglioni, o vuole commettere un suicidio professionale, oppure dietro di lui c’è qualcuno. La stessa persona che gli ha detto dove trovarmi stamattina, gli avrà detto di stampare quelle foto, promettendogli che non finirà su nessuna lista nera. Qualcuno gli ha promesso una ricompensa.

Steve sta ancora leggendo l’articolo. – Niente informazioni riservate, – dice.

Cioè, niente di cui possiamo rintracciare la fonte. – Lo so. Ma lui parla con qualcuno qui dentro, questo è sicuro. E se scopro chi…

Steve alza gli occhi. – Possiamo proporgli uno scambio. Gli offriamo l’esclusiva su ogni progresso che facciamo su questo caso, se ci dice chi è il suo contatto.

– Non può funzionare. Chiunque sia questo contatto, deve avergli già promesso qualcosa di serio. E Crowley non metterà in pericolo il suo guadagno –. Mi riprendo il telefono e lo metto in tasca. – Sai chi ha avuto la migliore opportunità di parlare con Crowley riguardo a questo caso?

Steve dice piano: – Breslin.

– Già.

– A Breslin piace fare bella figura. E un modo per riuscirci è trasformare questo caso in qualcosa che noi stiamo rovinando senza speranza, finché entra in scena lui e rimette tutto a posto.

Dico, anch’io sottovoce: – O semplicemente aveva voglia di farmi uno scherzo, per far ridere un po’ i ragazzi. O magari ha un accordo stabile con Crowley e ogni tanto deve gettargli un osso, e oggi è toccato a noi.

– Forse. Può essere –. Steve tiene d’occhio la porta, proprio come me. – Ascolta, sia come sia, dobbiamo andare d’accordo con Breslin.

– Io vado d’accordo con tutti. È il mio carattere.

– Dico sul serio.

– Va bene, collaboriamo –. Ho l’impulso di mettermi a camminare su e giú. Mi appoggio al bordo del tavolo per forzarmi a stare ferma. – Ci serviamo di Breslin per gli interrogatori e lo teniamo aggiornato sull’uomo là dentro –. Indico con un cenno del capo il falso specchio. – A parte questo, non deve sapere nulla su ciò che pensiamo.

Steve sbotta, all’improvviso: – Quando mi facevo il culo ogni giorno per poter entrare nella squadra, non era questo che immaginavo.

– Nemmeno io, – dico. – Credimi.

Solo tentare di ricordare quando è cominciata la giornata di oggi mi fa girare la testa. Ho un bisogno aggressivo di aria fresca e musica forte da spaccare i timpani, mentre corro e non mi fermo finché il bruciore in tutto il corpo mi costringe a farlo.

Breslin sceglie quel momento per spalancare la porta. Sussultiamo entrambi. Lui resta sulla soglia, mani nelle tasche dei pantaloni, e ci squadra dall’alto in basso, la bocca atteggiata a un’espressione tra fredda e divertita.

– Detective Conway. Detective Moran, – dice. – Finalmente.

Breslin dovrebbe piacermi, visto che è uno dei pochi che si limitano a non somministrarmi piú della razione standard di merda. Ma non mi piace. La prima volta che lo vedi, ti fa una buona impressione. Quarantacinque anni circa, in forma, tutto spalle e schiena dritta e nemmeno l’ombra di quella pancia da birra che sfoggiano tanti maschi irlandesi. È abbastanza alto, con gli occhi chiari e i capelli biondi pettinati all’indietro con il gel, e ha un bel viso. Se socchiudi gli occhi, somiglia un po’ a un attore, non ricordo il nome, uno che interpreta sempre ruoli da anticonformista, il che fa un po’ ridere, visto che Breslin è la persona meno anticonformista che conosco. Ma aggiungi a tutto questo anche la voce, e puoi restare abbagliato, pensare che quest’uomo sia speciale: intelligente, rapido, sagace, raffinato. In poche parole, un vincente.

Breslin è cosí convinto di questa versione di sé che ti trascina a crederci. Durante le sue prime settimane alla Omicidi, Steve lo guardava come un dodicenne guarda il capitano della squadra di rugby, sbavando per un sorriso e una pacca sulla spalla. Io ho dovuto mordermi la lingua a sangue, per non dirgli niente, ma ce l’ho fatta perché sapevo che gli sarebbe passata. Potevo prevedere quasi il giorno preciso in cui sarebbe successo. Anch’io, quando sono entrata nella squadra, pregavo che Breslin e McCann litigassero tra loro, cosí io sarei potuta diventare partner di Breslin e ottenere rapidamente la gloria. Poi mi è passata.

E anche a Steve, dopo tre settimane circa. Uno della Buoncostume si era sparato in bocca e Breslin, in sala detective, circondato da persone che conoscevano il morto, che avevano lavorato e bevuto con lui, tirò indietro la sedia e ci illuminò con una profonda e importante lezione: quell’uomo sarebbe ancora con noi, disse, se avesse smesso di fumare, fatto piú esercizio fisico e costruito vere amicizie sul lavoro.

I ragazzi piú intelligenti della squadra continuarono a lavorare; quelli piú stupidi annuirono tutto il tempo, a bocca aperta davanti a un simile genio. Il povero Steve aveva la faccia di chi ha appena scoperto la verità su Babbo Natale.

Quando capisci che Breslin è un idiota, cominci a notare che tutto quello che dice è un cliché, che i capelli imbrillantinati sono organizzati in modo da coprire una chiazza di calvizie, e a un certo punto ti rendi conto che tutta la sua altezza ammonta a poco piú di uno e settantacinque, e che la sua percentuale di casi risolti non è nulla di speciale. E cominci a chiederti se porta la panciera. Tutto questo non ha importanza, lui riesce comunque ad abbagliare testimoni e sospettati e va via prima che loro possano scorgere la verità. Ma io ce l’ho con me stessa per essermi lasciata abbindolare, e perciò Breslin e tutto quello che lo riguarda mi fa incazzare.

– Come va? – dico. – Mi spiace che non siamo riusciti a sentirci di persona, finora. Il campo andava e veniva.

Breslin non si è mosso dalla soglia. – Forse dovresti comprarti un nuovo telefono, Conway. Ma lasciamo perdere. Ora siamo tutti qui.

– Già, – dico. – Hai dato un’occhiata alla scena?

– Sí. Dieci a uno che è una lite tra innamorati. Vediamo se riusciamo a risolvere il caso in fretta cosí possiamo tornare a cose piú interessanti. Che ne dite?

– Questo è il piano, – dice Steve, cordiale, prima che io possa aprire bocca. – Grazie dell’aiuto, siamo felici di lavorare con te.

– Non c’è di che –. Breslin gli rivolge un cenno del capo. – Siamo nella centrale operativa C.

La centrale C ha una lavagna piú grande della mia cucina, computer e linee telefoniche sufficienti per un’indagine di alto livello, una bella vista sul Dublin Castle ed è anche attrezzata con PowerPoint, se ti viene l’impulso di proiettare diapositive. Steve e io finora ci siamo entrati solo come reclute. – Ottima sala, – dico.

– Per noi, solo il meglio –. Breslin si avvicina al vetro per dare un’occhiata a Rory. – Spero solo che la migliore amica della vittima, come si chiama, vi abbia dato qualcosa di buono.

– Lucy Riordan, – dice Steve. – Ci ha dato piú che altro informazioni di background. L’infanzia di Aislinn non è stata felice: il padre se n’è andato, la madre ha avuto un esaurimento nervoso e Aislinn ha dovuto riempire il vuoto. Cosí niente esperienze formative, poca fiducia in sé stessa. La madre qualche anno fa è morta, e Aislinn ha cominciato a scoprire la vita, ma era ancora agli inizi, piena di ingenuità. Proprio il tipo capace di non sentire i campanelli d’allarme.

– E ce n’erano, di campanelli d’allarme?

– Lucy non ne ha sentiti. Aislinn e Rory si sono conosciuti alla presentazione di un libro, meno di due mesi fa. Colpo di fulmine per entrambi, ma lei ci stava andando piano. Rory sembrava un bravo ragazzo, la trattava bene. Lucy non ha mai avuto sentore di una minaccia.

– Certo, – dice Breslin, osservando Rory, che ha cominciato a muovere un ginocchio su e giú, sotto il tavolo. – Il classico pappamolla, eh? Non sembra in grado di dare un pugno neppure a sua nonna. E Lucy Comesichiama non poteva sapere che sono i piú pericolosi, se pensano di aver subito una mancanza di rispetto. Saperlo non è il suo lavoro, è il nostro. Che altro?

Steve scuote la testa. – Questo è tutto.

Breslin inarca le sopracciglia. – È tutto ciò che sa la sua migliore amica? Cosa mi dite di altri fidanzati, un ex che ci è rimasto male quando lei l’ha mollato, rivali gelose, nemici sul lavoro?

Ora scuotiamo la testa tutti e due. – Niente.

– Ma per favore. Le ragazze parlano; dico bene, Conway? Non voglio nemmeno pensare a quello che mia moglie racconta alle amiche dopo un bicchiere di chardonnay. La vittima deve aver detto alla vostra Lucy qualcosa di piú di questo.

– Secondo Lucy, loro due non erano poi tanto amiche. Si frequentavano perché si conoscevano fin da bambine e perché Aislinn non aveva altre amicizie, ma non avevano molto in comune, e non si confidavano l’una con l’altra.

Breslin ci pensa su, poggiando la schiena sul vetro e pizzicandosi il labbro inferiore. – Non credete che vi abbia taciuto qualcosa?

Io e Steve ci scambiamo un’occhiata vuota. Steve scuote la testa. – Direi di no.

– Lucy non è stupida, – dico io. – Sa che deve dirci tutto quello che sa. L’unica cosa che mi sono chiesta… – Non finisco la frase. – Ma non ha senso, probabilmente.

– Ehi, condividi i tuoi pensieri con tutta la classe, Conway. Non preoccuparti di sembrare stupida, qui stiamo solo dando spazio alle idee.

Che cretino. – Va bene, – dico. – Mi sono chiesta se Lucy non avesse anche lei una cotta per Rory. Non smetteva di parlare di che tipo fantastico è. Voglio dire, magari è vero, ma se una mia amica fosse appena stata uccisa, io avrei almeno un minimo di diffidenza verso il suo nuovo ragazzo.

– Ah, – dice Breslin. – E questa Lucy ha un alibi, per la notte scorsa?

– Sí. Lavora al Torch Theatre; era lí alle sei e mezzo di ieri sera, poi è stata costantemente in compagnia fino alle quattro del mattino. Lo verificheremo, ma come ho detto non è una stupida; non ci avrebbe dato qualcosa di cosí facile da confutare, se non fosse la verità.

– Bene, allora controlliamo com’è la relazione tra lei e il nostro uomo qui, nel caso Lucy sia in qualche modo implicata nel movente. Ma se non c’è un vero contatto, non vedo come una cotta ipotetica possa essere rilevante per noi. Voi lo vedete? – Io e Steve scuotiamo la testa, umilmente. – Abbiamo fatto un buon brainstorming, comunque. C’è altro?

– Questo è tutto, – dico.

– Be’, – dice Breslin, trattenendo un sospiro. – Comunque valeva la pena di andarci, immagino. E le informazioni di background non sono mai realmente una perdita di tempo. Ora però suggerisco di metterci all’opera. Che ne dite?

– Ottima idea, – dico io. È la pura verità. Altri sessanta secondi di questa predica e comincio a prenderlo a calci nei coglioni. – Io conduco l’interrogatorio, detective Breslin, e tu mi dài una mano. Detective Moran, tu osserva da qui e tieniti pronto a scambiarci i ruoli, se decido di mescolare un po’ le carte.

Steve annuisce. Breslin si tira i polsini. – Vieni da papà, – dice, rivolto al vetro.

– Questo è solo un colloquio preliminare, – dico. – Non sto cercando una confessione. Spingeremo per ottenerla solo quando avremo i rapporti della Scientifica e il referto dell’autopsia da sbattergli in faccia –. E dopo che io e Steve avremo avuto il tempo di fare un po’ di indagini in privato. – Per il momento, voglio delineare bene il caso: capire che tipo è Rory, com’era il suo rapporto con la vittima, cosa pensava di Aislinn, la sua versione riguardo a ieri sera. Voglio vedere se ammette di aver parlato con qualcuno tra le venti di ieri e le cinque di stamattina; se non è stato l’assassino a chiamare la polizia, è stato qualcuno con cui ha parlato, e dobbiamo trovare questo qualcuno. Voglio il suo cappotto e i suoi guanti: i tecnici hanno trovato fibre di lana nera sul cadavere, e dicono che probabilmente il nostro uomo indossava guanti non in tessuto, che corrispondono a quelli con cui Rory è venuto qui. Perciò, se possiamo convincerlo a darceli spontaneamente, evitandoci la fatica di ottenere un mandato, ne sarei felice. In un mondo perfetto, lui ci darebbe anche il permesso di perquisire casa sua e prendere tutti i cappotti e i guanti che troviamo, ma oggi non voglio farlo preoccupare troppo, perciò se vediamo che non va liscia, lasciamo perdere e prendiamo la strada del mandato. D’accordo?

Breslin ci pensa su. – Mmh. Questo è un modo di affrontare la situazione. Un altro sarebbe entrare e provare a farlo confessare il piú presto possibile. Non sto dicendo che il fatto di essere stato assegnato a questo caso sia un problema, al contrario, sono felice di dare una mano. È solo che per poter essere qui ho dovuto mettere in pausa gli altri miei casi, e non vorrei perdere troppo tempo con un domestico. Sono certo che la pensate cosí anche voi. Ho ragione?

Io piú che altro penso che dovrebbe chiudere la bocca e fare quello che il detective incaricato gli dice di fare, ma noto il lampo di panico negli occhi di Steve e mi viene da ridere, cosí mi rilasso. – Non hai tutti i torti, – rispondo, in tono amabile. – Facciamo cosí: per adesso la prendiamo con calma, come ho detto. Appena avremo in mano abbastanza per schiacciare l’acceleratore, prometto di dare il mio ok. Va bene?

Breslin non sembra contento, ma un attimo dopo scrolla le spalle. – Come preferite. Possiamo almeno cominciare mentre manca ancora un po’ di tempo alla fine del turno? – E quando io mi scosto dal tavolo, aggiunge: – Forse è meglio che ti togli quello, a meno che non faccia parte del tuo astuto piano.

Dicendo «quello» si dà un colpetto all’angolo della bocca. Mi passo una mano sulla faccia e scopro un pezzo di rosso d’uovo, che è rimasto lí dalla colazione. – Grazie, – dico, in parte a Breslin e in parte al mio socio, il capitano Occhio di Falco, il quale assume un’aria di scusa.

– La prima impressione eccetera eccetera. Ora, se siamo pronti, diamo inizio alle danze.

Breslin mi tiene la porta aperta per lasciarmi uscire per prima, cosí non posso dire un’ultima parola in privato a Steve. Non che abbiamo bisogno di scambiarci bisbigli di nascosto, comunque. Il corridoio dovrebbe avvolgermi con una sensazione di casa, con i suoi muri scrostati color verde liquame e la moquette consunta; dovrebbe sembrarmi un sentiero segnato che attraversa il mio territorio e mi conduce dal nemico, inquadrato nel mirino della sala interrogatori. Invece sembra una pista inesplorata attraverso una terra di nessuno, piena di mine antiuomo e di buche dove puoi romperti una caviglia.