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La testimone

Sono contenta che Tony torni a casa. Luke aveva ragione. Ho bisogno di lui.

Il problema è che sono in preda a una tale agitazione, ho la testa assillata da così tanti pensieri, che non so più che cosa sia reale e cosa sia frutto della mia paranoia. È come se quest’ultimo anno avesse mandato in sovraccarico il mio sistema nervoso, e adesso non riesco più a ragionare.

Sono così stressata da immaginarmi le cose? I rumori al negozio. La certezza di essere spiata. Che qualcuno sia effettivamente entrato a cambiare di posto le cesoie. E che abbia lasciato cadere davanti alla porta la lente d’ingrandimento. Me lo sono sognato? Sono cose che m’invento io?

Non voglio credere che Luke sia capace di volermi spaventare, per quanto possa sentirsi trascurato o vendicativo. No. Non può essere. E allora?

Sono nell’ambiente confortevole del soggiorno a guardare cosa succede sul televisore grande. No. Confortevole non è la parola giusta. Non c’è più niente di confortevole. Persino a letto, di notte, non riesco a stare ferma, mi ci vogliono ore per prendere sonno.

Oggi ho preso la dose massima di paracetamolo, ma sembra che non funzioni neanche quello. Ho la testa come un pallone.

Luke è di nuovo di sopra e ogni tanto fa un salto giù a offrirmi qualcosa da bere, spinto probabilmente da messaggi che gli arrivano dal padre, come è solito fare per ricordargli la festa della mamma e il giorno del mio compleanno. Ogni volta che ricompare, osservo con attenzione il suo viso e mi chiedo se non dovrei affrontarlo apertamente. Provocarlo e chiarire la situazione. Dirgli che non sono arrabbiata ma che ho bisogno di sapere. Ce l’hai con me più di quanto lasci intendere? Per via di quello che è successo a Emily? Per tutta la preoccupazione che ho riservato ad Anna? L’altra mattina è stato lui a venire in negozio per qualche motivo che non riesco a immaginare?

Poso lo sguardo sulla libreria accanto al mobile che contiene il televisore e il lettore DVD. Lì ci sono le foto più importanti. Luke da neonato. Il primo giorno di scuola. Le sue medaglie del primo Ten Tors. Ah, com’ero orgogliosa quel giorno. Le scuole sostengono che questa iniziativa nel Devon e in Cornovaglia sia una vera e propria tradizione: percorrere i “ten tors”, vale a dire una gara di trekking sul Dartmoor, e che viene presentata come una semplice scampagnata. Il Ten Tors in teoria è un rito di passaggio in onore della bellezza della regione. Ma se devo essere sincera, in realtà è terribile. Io non mi cimenterei neppure se mi pagassero, e non riuscivo a credere che Luke fosse così ansioso di partecipare.

Gli piace il basket ma per nessun motivo lo descriverei come un ragazzo particolarmente sportivo. Mai stato negli scout o cose del genere. Più interessato alla musica, direi.

Per il Ten Tors devono camminare in squadre di sei, senza supervisione di adulti, e devono portare il proprio equipaggiamento per bivaccare di notte sul Dartmoor. I percorsi sono di minimo cinquantacinque chilometri, da completare in due giorni, e se le condizioni climatiche si mettono male il terreno diventa pericoloso. Cosa che succede molto spesso.

L’evento è monitorato dall’esercito e in corrispondenza di ciascuno dei dieci “tors” c’è un posto di controllo per accertare che il percorso sia stato completato. Ma tra l’uno e l’altro, le squadre di ragazzi sono completamente abbandonate a se stesse. E le cose non solo possono mettersi male, ma a volte ci si mettono davvero.

È successo che durante un’esercitazione una ragazza è morta annegata. È stato terrificante, e il caso ha fatto molto scalpore. Ho pensato e forse segretamente sperato che annullassero per sempre questa gara, invece no. Si sono limitati a dare un giro di vite al regolamento.

Partecipano varie scuole di tutto il Sudovest dell’Inghilterra e la competizione è davvero notevole. Licei contro istituti tecnici. Scuole private contro scuole statali. Tutto fatto in spirito giocoso, ma ugualmente molto serio. Non c’è squadra che non speri di vincere.

Il programma di preparazione dura mesi, durante i quali i teenager migliorano le loro doti di resistenza fisica e le loro tecniche di sopravvivenza. Lettura di carte topografiche. Fitness. Allestimento di bivacchi. Devono trasportare tende e attrezzatura per cucinare e devono persino sterilizzare l’acqua che bevono. Sono tantissimi quelli che rinunciano. Ma non il nostro Luke. Ci ha veramente stupiti: non solo ha tenuto duro fino in fondo, ma alla fine lo hanno nominato caposquadra. E la prima spedizione è andata così bene che ha voluto rifarlo. Il percorso da cinquantacinque chilometri il primo anno e quello più duro di settanta chilometri abbondanti l’anno scorso.

Perciò, sì, ero orgogliosa più di quanto potrei spiegare quando si è fatto avanti ed è stato fotografato nel momento della premiazione. C’erano ragazzi a centinaia dappertutto ma ricordo bene quando ho sentito il suo nome dall’altoparlante e ho visto sul suo volto quell’espressione radiosa di felicità. Là, al centro della scena. Il suo momento.

E ora? Emily ha chiuso con lui e Luke sta malissimo. Un’altalena di stati d’animo. Era così diverso, così spensierato, in quella foto sul Dartmoor.

Le notizie dalla Spagna sono una ripetizione continua ormai da due ore e mi stanno facendo venire mal di testa. Tutti i canali principali hanno ridotto i servizi perché sono diventati troppo ripetitivi.

Io continuo a pensare ai Ballard in Cornovaglia. Come dev’essere per loro?

Ed eccolo di nuovo. Quel nodo nel fondo della pancia. Perché è qui il punto. Il risultato dell’equazione. Non si può sfuggire al fatto che avevo ragione a sentirmi in colpa. Karl o Antony o entrambi hanno rapito quella ragazza e le hanno fatto chissà cosa, soltanto perché io ho preso la decisione sbagliata. Perché ho voluto giudicare in fretta. Perché ho stigmatizzato il comportamento di Sarah dalla sella del mio cavallo bianco.

Sento che mi trema il labbro ma respingo ogni mio tentativo di autocommiserarmi. No, Ella. Questa cosa non riguarda te, riguarda Anna. Si tratta di guardare in faccia la situazione.

Resta solo il mistero dei biglietti. I rumori al negozio. Chi mi sta punendo? Se sono sempre stati all’estero, i biglietti non mi arrivano certo da Karl o Antony. E se non è la signora Ballard, allora di chi si tratta?

Finalmente la chiave nella toppa…

Aspetto di sentire lo scatto della chiusura. Il tonfo della valigia. E con sgomento constato che ha fatto da innesco. Prima che arrivi alla porta, sto singhiozzando.

«Oddio, Ella. Tranquilla, cara, adesso sono qui».

Le sue braccia intorno a me. Il mio Tony. E sento all’improvviso enorme gratitudine per quelle braccia e insieme il rimorso per non essere stata del tutto sincera con lui.

«Su, su, amore. Coraggio».

«Va tutto bene. Scusa».

«Non hai niente di cui scusarti».

E allora, quando finalmente mi calmo, gli racconto tutto. Ogni singolo dettaglio questa volta. L’aver ingaggiato in segreto Matthew perché affrontasse per conto mio la signora Ballard quando pensavo che fosse lei a spedirmi i biglietti. L’essere andata in Cornovaglia, ignorando la sua contrarietà e subendo così l’ira dalla madre di Anna. Aver pensato che qualcuno mi stesse spiando al negozio, ma con il dubbio di essere io ad avere le allucinazioni.

«Benissimo, ho capito. Che ne dici se chiudiamo il negozio per un po’? Ti prendi una pausa. Facciamo venire quelle sanguisughe degli allarmi a controllare l’impianto. E adesso ascoltami». Tony mi posa le mani sulle braccia e si protende verso di me per guardarmi da vicino. «Tutto questo è orribile. Quello che sta succedendo in Spagna, intendo, e Dio solo sa come andrà a finire. Ho ascoltato la radio e immagino che i genitori di Anna stiano passando un inferno. Ma non sei stata tu, Ella. Di qualunque cosa si tratti, a farlo è stato questo svitato di Karl. Non tu».

Io non rispondo. E adesso sulla soglia c’è Luke. È pallido e continua a spostare il peso del corpo da una gamba all’altra. «Sono davvero contento che tu sia tornato, papà. E adesso mi dispiace molto di non essere venuto in negozio con te, mamma».

«Per piacere, dimmi che non ci sei andata da sola». Tony mi stringe un po’ più forte le braccia, ha sgranato gli occhi.

C’è una lunga pausa di silenzio.

«È colpa mia, papà. Ero troppo stanco, troppo confuso. Comunque ho appena pubblicato altri avvisi su Facebook per vedere se trovo qualcuno che prenda il mio posto».

«Non avrai divulgato questioni private su Facebook, spero, Luke».

«No, no. Questo no. Ho solo detto che è disponibile un ottimo lavoro part-time. Vaglierò le risposte. Se ce n’è qualcuna buona, ve le passo così vedete cosa ne pensate».

«Ottimo lavoro, Luke, grazie. Presumo che tua madre sarebbe più contenta di poter scegliere per conto suo, ma la tua è una buona iniziativa, non c’è dubbio. Basta che non pubblichi informazioni private sulla mamma. Io comunque non voglio che tua madre vada giù così presto da sola. Almeno finché non sapremo con certezza come si risolverà questa situazione».

«Ma non può essere uno di quelli del treno, papà. La persona che manda i biglietti. Non è possibile, se tutto questo tempo erano sempre in Spagna».

«Potrebbe essere l’altro tizio. O qualche balordo che non c’entra niente. Per favore, Ella. D’ora in poi fai come ti ho chiesto, eh? D’accordo?». Tony allenta la presa e mi bacia sulla fronte prima di prendermi tra le braccia.

Luke va a fare dell’altro caffè, e io so perfettamente cosa aspettarmi adesso da Tony. Che abbia assunto un investigatore privato senza dirgli niente non deve essere un rospo facile da digerire. Si sforza di non sembrare in collera, ma il disappunto che gli leggo sulla faccia mi uccide.

«Credevo che mi avessi detto tutto».

«Perdonami. Ho pensato sinceramente di potertelo risparmiare e risolvere questo problema senza angustiare te, Tony. Con tutto quello che già ti pesa sulle spalle. Luke. La promozione».

«Le mie spalle sono abbastanza larghe, Ella, ma non riesco a credere che tu non me l’abbia detto. E la gita in Cornovaglia? Ti avevo detto che non era una buona idea».

«Lo so. E immaginavo che ti saresti arrabbiato, ma ho voluto fare lo stesso di testa mia. Cercare di risolvere tutto da sola. Adesso mi rendo conto che tenerti all’oscuro è stato stupido. Mi spiace tanto, caro. Ma ero davvero così sicura che fosse la signora Ballard e non volevo renderle la vita ancora più difficile, metterla nei guai rivolgendomi alla polizia». Poi racconto a Tony tutto il resto. Che Matthew è in contatto con una sua ex collega in Cornovaglia. È un’enorme liberazione non dovermi tenere più tutto dentro, soprattutto ora che Matthew ha proposto di vederci dopo la sua visita in ospedale per aggiornarmi sugli ultimi sviluppi. Ora non dovrò mentire a Tony.

Naturalmente lui mi dice che vuole conoscerlo il più presto possibile. Per fargli le sue rimostranze.

«Come sarebbe?»

«Non credo che in questa situazione sia giusto che abbia contatti con qualcuno della polizia».

«Sarà. Ma spero che cambierai idea quando lo avrai conosciuto. È una brava persona. Ex poliziotto anche lui e molto esperto. È stato lui a insistere perché consegnassi i biglietti alla polizia».

Tony sta per ribattere quando il nuovo presentatore annuncia che tornano in diretta dalla Spagna per un nuovo sviluppo. Ci giriamo entrambi e vediamo la corrispondente sempre davanti al cordone della polizia con una mano all’orecchio come per sforzarsi di sentire il collegamento dallo studio, ma subito dopo appare un’immagine davvero scioccante. A schermo intero.

È una foto sgranata che sembra scattata da una notevole distanza, ma è lo stesso fin troppo chiara. Si vede un uomo alto alla finestra del secondo piano di fianco a una donna bionda.

Con una pistola puntata alla testa.