20
Il padre
Henry aveva nove anni quando prese in mano una pistola per la prima volta.
Suo padre gli fece promettere di non dirlo alla mamma. Quel giorno c’era anche suo zio George. Lo portarono giù in uno dei pascoli più bassi, lungo il fiume, a sparare ai conigli.
Parassiti, aveva spiegato suo padre. Sette conigli riuscivano a mangiare quanto una sola pecora. Di conseguenza erano un incubo per i campi coltivati e anche per l’orto. E scavando causavano terribili problemi anche al bestiame. Il padre di Henry disse che da bambino aveva visto una volta un vitello con una zampa orribilmente deformata dopo essere inciampato nella buca scavata da un coniglio. Era stato necessario abbatterlo, ovviamente, ma aveva sofferto tantissimo, muggendo di dolore, prima che qualcuno andasse a prendere il fucile dall’armadietto chiuso a chiave. Maledetti conigli…
Durante quella prima lezione di tiro, si era parlato molto di regole e sicurezza. Licenza e legge. A Henry fu detto che gli sarebbe stato concesso possedere un fucile da caccia quando fosse stato molto più grande, ma solo dopo aver dimostrato di potersene assumere la responsabilità e di saper rispettare ogni singola norma alla lettera.
Era legale ed essenziale mantenere sotto controllo la popolazione dei conigli ma non era consentito sparare ai tassi, quindi era molto importante fare attenzione.
Suo padre e suo zio gli illustrarono la scaletta della sicurezza. Niente bestiame. Niente presenza di pubblico. Solo nelle ore diurne. Controllare sempre che non ci siano altri cacciatori in zona. Assicurarsi nella maniera più assoluta di sapere dove si trovava ogni persona presente prima di fare fuoco.
Sdraiati nell’erba, suo padre gli preparò il fucile e gli mostrò come sparare. Fu avvertito che avrebbe sentito un po’ di contraccolpo sulla spalla e che doveva esserne preparato. Ma che presto si sarebbe abituato. Per migliorare la sua mira lo avrebbero portato a un poligono e anche a sparare al piattello.
Il primo colpo fu per Henry orrore totale. Un disastro. Subito a segno. Lo choc di vedere il coniglio saltare in aria e ricadere a terra, e poi lo stupore e gli esuberanti festeggiamenti di suo padre facevano a pugni con la sensazione che Henry provò nel ventre. Si guardò bene dal confessarlo, ma si sentì un fiotto di vomito in bocca e pensò di dover rigettare.
Bravissimo, figlio mio! Fantastico. Un talento naturale. Oddio, George. Hai visto che roba? Ha un occhio di falco.
Oggi l’armadietto delle armi è nel piccolo ufficio di fianco allo stanzino delle scarpe. Risponde a tutti i requisiti, anche se Henry avrebbe preferito aver scelto il modello con la serratura a combinazione. Il suo, il modello base di metallo, è munito di una chiave che deve riporre da un’altra parte. In teoria, non avrebbe dovuto dire a nessuno dove la tiene, e dovrebbe cambiarle di posto regolarmente. In pratica più di una volta si è dimenticato la “nuova” ubicazione segreta, girando come un matto per casa e inveendo contro Barbara e le ragazze. Così ha preso l’abitudine di tenerla nel cassetto delle calze dentro un vecchio paio di calze rosse da rugby che non mette mai. Trova facile ricordarlo, e ripete a se stesso che è improbabile che un ladro si metta a frugare tra i suoi calzini.
Ogni tanto appare la drammatica notizia di un ragazzino che mette le mani su una pistola e Henry si fa prendere dal panico e corre a controllare le sue calze rosse. Ma in generale è tranquillo.
Oggi Henry si alza di buonora nell’impalpabile tristezza della camera degli ospiti. Barbara lo ha mandato via dalla loro camera da letto appena è rientrato dalla stazione di polizia. Non c’è stato nessun arresto formale e la polizia sta ancora controllando la sua nuova versione, ma Barbara continua a insistere che se ne deve andare di casa, e Henry si rende conto di aver peggiorato e non migliorato la situazione.
Allora, cos’ha detto la polizia? Come mai c’era la tua macchina alla stazione? Avevi detto che eri ubriaco. Hai dormito nel parcheggio del pub? Perché diavolo non mi spieghi cosa sta succedendo, Henry…
Guarda l’ora. Le cinque e mezzo del mattino. Controlla il cassetto del comodino dove ha messo la chiave che ha tolto dalla calza ieri sera mentre Barbara preparava la cena. S’infila gli stessi vestiti di ieri, abbandonati su una sedia, e si mette la chiave nella tasca destra. Poi apre le tende, infastidito da un cielo troppo bello per un giorno così. Un umore così. Un piano così.
Ascolta per un po’ il proprio respiro osservando la conformazione delle nuvole. Cirrostrato. Suo padre gli ha anche insegnato a riconoscere le nuvole. Leggere le nuvole è essenziale per chi lavora in campagna. Le nuvole dei cirrostrati sono come sottili lenzuoli, quasi trasparenti, appesi ad asciugare. Indicano che sta per piovere e Henry sente dentro di sé quella tensione involontaria che conosce bene. Il bisogno di darsi una mossa. Mettersi in moto.
Scende le scale, attento a non fare rumore, evitando il terzultimo gradino che è quello che scricchiola di più. Attraversa la cucina andando verso lo stanzino delle scarpe dove c’è Sam che scodinzola, tutto entusiasmo e occhi vispi.
Henry prova una stretta alla bocca dello stomaco incrociando il suo sguardo ambrato. Gli accarezza la testa, resta qui, poi passa nell’ufficio accanto togliendosi la chiave di tasca. Sceglie il fucile da caccia più vecchio, prende delle munizioni dal fondo del mobile di legno che c’è nell’angolo (non il massimo della sicurezza, ma non è stato accurato fino in fondo), chiude nuovamente a chiave l’armadietto d’acciaio e torna nello stanzino dove Sammy si alza di nuovo sulle zampe e inclina la testa per chiedergli il permesso di accompagnarlo.
No. Oggi no, ragazzo mio. Tu resti qui.
Il cane è perplesso. Orecchie all’indietro. Ostenta fierezza e fa un piccolo movimento.
Ho detto che resti qui. Mi hai sentito. Tornatene nella tua cuccia. Subito.
I loro occhi si incontrano di nuovo e Sam se ne torna mogio al suo giaciglio dove lo guarda uscire con gli occhi luccicanti, ansimando, la lingua penzoloni.
Fuori fa più fresco di quanto credeva. Allunga lo sguardo verso il fondo del piccolo prato dall’altra parte del viale d’accesso ricordando ancora una volta le tende e il trampolino. Le ragazze che strillavano e ridevano da un nascondiglio ricavato nei cespugli.
Ricorda come ad Anna piaceva farsi dondolare presa per le gambe in mezzo al prato quand’era ancora molto piccola. Che tristezza quando era diventata troppo alta per poter fare quel gioco in sufficiente sicurezza.
Sei troppo alta.
Oh, dài, papà.
Batterai la testa. Non posso.
Ricorda la veglia che lo ha così sorpreso. Commovente quanta gente è venuta. Le candele. I canti. Barbara e Jenny avvinghiate l’una all’altra, e in disparte perché l’emozione era troppo forte. Con le labbra serrate per non piangere.
Si gira a guardare la casa, tutte le tende ancora accostate al piano di sopra, e cammina il più silenziosamente possibile sulla ghiaia verso il fienile. Usa la porta piccola sul lato, lasciando chiusi entrambi i catenacci, sopra e sotto sui battenti del portone principale. Va nell’angolo a sedersi in mezzo alle balle di fieno che ha usato per la veglia.
Posa la pistola per terra e sente aumentare il ritmo del cuore. Ha paura?
Non arriva nessuna risposta.
Si sfoglia viceversa davanti a lui un intero album di immagini. Si mescolano e spargono in giro un mazzo di cartoline. Lui e Barbara in luna di miele. Due persone così diverse. Le ragazze quand’erano neonate. Anna con i suoi capelli biondi, Jenny con i capelli così scuri.
Si chiede se non sia il suo inconscio che è andato a frugare nei ricordi più sentimentali per convincerlo a mollare. Ma… no. Molto presto la polizia scoprirà che non dormiva in macchina perché era ubriaco. Molto presto la polizia e anche Barbara scopriranno la verità.
E poi un pensiero nuovo.
Sei un idiota, Henry.
Da casa si sentirà lo sparo. Uffa. Verranno e lo troveranno lì. E vedranno. Magari Jenny per prima? Perché non ci ha pensato?
Si toglie di tasca il telefonino mentre cerca di organizzare una strategia. Potrebbe chiamare la polizia. Farli venire. Sì. Potrebbe chiudere la porta anche da dentro in maniera che la polizia abbia il suo bel da fare. Funzionerebbe? O non sarebbe meglio allontanarsi da casa? Salire magari in collina?
Ma poi bisognerebbe che a trovarlo fosse qualcun altro. Qualche altro povero innocente.
Solo ora Henry si rende veramente conto di non averla studiata abbastanza bene.
Si fruga velocemente in tasca in cerca di un pezzo di carta. Una penna? Trova solo vecchie fatture, una spanna di filo elettrico e una pacchetto vuoto di chewing gum.
Chiude gli occhi e sente la fronte corrugarsi mentre pensa all’amica di Anna, Sarah, e alle sue pillole. Lei l’aveva preparata bene? L’aveva fatto con convinzione? Aveva scritto un messaggio? Come potrà spiegarsi se non lascia un messaggio?
Il cuore gli batte adesso così forte che sente male al petto. Prepara il fucile, armandolo con entrambe le mani, poi lo posa nuovamente per terra puntandoselo al collo.
Per qualche ragione sta pensando a un programma televisivo in cui il responsabile del trucco ha spiegato che hanno usato del fegato per ricreare con un effetto realistico il sangue e i grumi di cervello. Immagina di aver già premuto il grilletto e si chiede come sarà. Il nulla? O qualcos’altro? Henry non è per niente religioso perciò non sa che cosa aspettarsi. Ma teme di provar dolore, e questo pensiero lo meraviglia.
Henry sposta leggermente il fucile puntandolo verso il soffitto e prende una decisione. Niente carta e niente messaggio quindi è costretto a telefonare. Sì. Riprende il telefono nella mano destra per chiamare la polizia.
Ha il numero del sergente Melanie Sanders e decide di parlare prima con lei. Gli piace. Sembra una persona a posto. Come si deve. Molto più gradevole del tizio della polizia londinese. Sente squillare. Una volta. Due. Tre. Prega che risponda. Cinque. Sei. Il cuore continua a martellare mentre chiude gli occhi e li stringe pregando di non dover sentire un messaggio registrato.