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L’amica

Sarah finge ancora di dormire, ma questa volta è più difficile. Deve vedersela con le infermiere, non solo con sua madre.

«Coraggio, Sarah. Devi provare a bere un sorsetto. Ci stai?». L’infermiera le sta toccando delicatamente la mano.

Va’ via. Va’ via.

«Non potete continuare a idratarla per endovena?». Per quasi tutta la notte sua madre non ha smesso di singhiozzare e agitarsi e piangere al suo capezzale. «Ha un aspetto spaventoso. Non riesce a mettersi a sedere».

«Si fidi. È meglio per Sarah se resta vigile e riesce a bere qualcosa da sola».

Sono in un reparto che si chiama HDU. Sarah ha scoperto che sta per High Dependency Unit, appena un gradino sotto la terapia intensiva. Già da alcune ore è presente a tutto ciò che le succede intorno, ma si sente stordita e si finge incosciente.

Vogliono sapere quante compresse ha ingerito. Continuano a chiederglielo. Ha ascoltato le conversazioni tra il personale medico e sua madre. Se ha capito bene, stanno conducendo analisi per determinare quante erano le compresse, ma ci vuole del tempo e sarebbe più facile, spiegano tutti, se fosse lei a rivelarlo.

Le infermiere hanno cercato di convincere sua madre ad andare a riposare nella saletta per i parenti e Sarah vorrebbe tanto che accettasse.

Si sente troppo stanca e sfinita per provare rimorso. È stufa marcia di sentirsi in colpa, vorrebbe solo che tutti la lasciassero in pace.

Ora sua madre sta raccontando all’infermiera che l’ultima volta che sono state in ospedale era per un presunto attacco di asma, quando Sarah era alle elementari. A tutti i genitori era permesso sdraiarsi nella sala di ricreazione vicino al reparto pediatrico. Dormivano sui materassi per terra, ma c’era chi aveva goduto del lusso di autentiche brandine pieghevoli.

Questa volta non ci sono né materassi né lettini. Margaret ha passato la notte come un fantasma girando per sgranchirsi le gambe, a intervalli di qualche ora, tra la poltroncina di plastica verde accanto al letto di Sarah e la tavola calda dell’ospedale con il suo caffè imbevibile e le sue merendine dai distributori automatici.

Adesso Sarah vomita di meno. Sempre decisa a non dire niente.

Quante pillole, Sarah. Abbiamo bisogno di sapere quante ne hai prese.

«Non ne ho molte in casa. Paracetamolo. Due confezioni al massimo», ripete la madre di Sarah per l’ennesima volta.

La verità? Sarah non ricorda quante compresse ha preso. Ne ha comprate un po’ in farmacia e altre al supermercato. Hanno delle regole stupide su quante ne puoi comprare nello stesso posto.

È stato il pensiero della ricostruzione in TV. L’insistenza nel richiedere nuovi testimoni. Quella maledetta stronza sul treno.

Quante volte ha ripetuto alla polizia e ai suoi che sono tutte bugie dettate dalla malignità? Sesso in gabinetto? Con un perfetto sconosciuto? Ma per chi l’hanno presa? Come osano.

Ma poi Sarah è stata travolta dal panico. E se il programma in televisione avesse fatto saltar fuori qualche altro testimone? Dopo l’immediato scalpore per la scomparsa di Anna, il caso era scivolato nel dimenticatoio. Ma certo che voleva aiutare la polizia nelle indagini, certo che voleva che Anna fosse ritrovata. Solo che non voleva che qualcuno scoprisse la verità su ciò che aveva fatto lei. Quella no. Per favore, non quella…

«Non sarebbe meglio chiamare di nuovo il dottore? Magari chiamiamo il primario? Sentire cosa pensa?»

«Sto seguendo le istruzioni specifiche del medico. La prego, cerchi di calmarsi. Sarah ha smesso di vomitare ed è meglio se riusciamo a farle assumere un po’ di liquido per bocca. Si fidi. È meglio per lei. Poi potremo stabilire con maggior precisione a che punto siamo».

«Cosa intende?». La madre di Sarah è l’agitazione fatta persona.

«Silenzio». È Sarah, non ha saputo trattenersi. Poco più di un bisbiglio. «Silenzio, tutti quanti».

«Oh, che bello. Brava ragazza, Sarah. Coraggio, allora. Cerca di aprire gli occhi e vediamo se riesci a metterti a sedere per un po’, vuoi? Presto avremo i risultati dei test. Ti potremo dire come sta andando. Ma ci sarebbe di grande aiuto…».

«Non so quante ne ho prese. Capito? Non lo so, e basta».

«Credo che faremmo bene a lasciarla stare. Per piacere». La madre di Sarah comincia a piangere e lei sente affiorare le lacrime. Vorrebbe che ci fosse Lily, ma non lo può dire a sua madre. Un altro argomento tabù.

«Mi spiace…».

«Non hai niente di cui scusarti, amore. Andrà tutto bene. Tutto bene. Te lo prometto. Ti mandano tutti il loro sostegno affettuoso. I genitori di Anna. Jenny e Paul e Tim e tutti gli altri. Vogliono solo che ti rimetta al più presto».

Sarah chiude gli occhi. Non è vero. La verità è che danno la colpa a lei. Gliel’hanno fatto capire.

La sera prima del maledetto programma TV si sono ritrovati con l’idea di darle sostegno morale, ma era andato tutto storto. La situazione era precipitata fino alle parole grosse. I due ragazzi erano davvero arrabbiati. Jenny piangeva.

Il fatto è che avevano intenzione di andare tutti a Londra. Tutti e cinque. Anna e Sarah a festeggiare la fine della scuola e delle uniformi scolastiche, e quelli più grandi solo per divertimento. Poi era andata come al solito, quando cercavano di combinare qualcosa. La gente è così inaffidabile.

Quand’erano piccoli era molto diverso. La differenza di età non aveva mai importanza. Jenny e i due maschi erano più avanti di due anni a scuola, e allora? Poi, alle superiori, quando i più grandi avevano cominciato a fare qualche lavoretto, tutto era cambiato. All’improvviso avevano più soldi. Volevano fare cose diverse. E avevano cominciato a dare buca.

Sarah aveva detestato tutte quelle novità. Aveva odiato in particolare quel modo di non rispettare gli accordi. E quando avevano alzato la voce, la sera prima, gliel’aveva rinfacciato senza mezzi termini.

Se non foste stati tutti così egoisti. Se non aveste deciso di fare per conto vostro. Forse non mi sarei trovata da sola a cercare Anna per tutta Londra.

Paul era stato il primo a tirarsi indietro. Gli avevano offerto una settimana in Grecia. Villa con piscina con i genitori. Poi era toccato a Tim. Un patito delle scarpinate. Gli avevano offerto una settimana di trekking in Scozia e voleva vedere il museo del mostro di Loch Ness. E poi non era entusiasta di essere l’unico maschio a far compagnia a delle femmine.

Per finire Jenny aveva avuto l’occasione di andare a veder suonare una band con il ragazzo che aveva all’epoca. Così erano rimaste solo Sarah e Anna.

Non per questo avresti dovuto dimenticarti di lei… I maschi erano tutti e due infuriati. Non si capisce perché vi siete divise…

E poi Jenny a chiedersi perché non avevano rispettato il solito patto. Proteggersi a vicenda. Eravate a Londra, insomma…

Sarah avrebbe voluto che chiudessero il becco tutti quanti. E poi, perché doveva essere proprio lei a star dietro ad Anna? Non poteva essere il contrario, eh? Perché Sarah veniva dal quartiere di case popolari e si presumeva che fosse più scaltra? Perché Anna faceva un po’ la principessina? Per quello?

Certo che avevano un patto.

È stata Anna a non rispettarlo, così ha gridato. A tutti loro. A Tim con la sua egoistica vacanza di trekking. A Paul con la sua bella villa. A Jenny con il suo concerto. Aveva sbraitato addosso a loro la bugia, come aveva fatto più e più volte con la polizia.

Avevamo stabilito che ci saremmo trovate al bar alle due per tornare a casa in taxi. Non è venuta.

Anna ha violato il patto. Okay? Anna non è venuta…

Ve l’ho detto. Ve l’ho detto. Ve l’ho detto.

Sua madre aveva cercato di calmarla riguardo al programma in TV. Alla donna sul treno non sarebbe stato consentito fare dichiarazioni false. Non in televisione. Era una calunnia. È evidentemente un po’ picchiata…

Ma Sarah è pietrificata. E se si facesse avanti qualche altro testimone? Che era sul treno o al club?

Ricorda la reazione di suo padre al Paradise Hotel di Londra. All’inizio si era rifiutata di parlargli. Se n’era andato di casa da anni e lei aveva evitato qualsiasi contatto. Ma con tutto quello che era successo, sua madre lo voleva lì e lui era esploso quando il poliziotto gli aveva riferito cosa aveva detto la testimone.

Sta dando della puttana a mia figlia?

Così, seduta a casa davanti al televisore acceso, Sarah era terrorizzata al pensiero di cosa sarebbe potuto saltar fuori. Sarebbe dovuta andare da Jenny. Alla fattoria. Con tutti gli amici. Ma poi la sua mente era stata assalita da tutte quelle immagini. Il club. Quella sensazione di nausea che l’aveva presa quando aveva guardato l’ora…

Il battibecco con Anna. Non fare la bambina…

Il guaio quando non si dice tutta la verità alla polizia è che alle volte, passato un anno, non ci si ricorda più bene cosa si è detto e cosa non si è detto. Sarah era pietrificata al pensiero che dopo tanta confusione potesse imbrogliarsi… e venirsene fuori con la dichiarazione sbagliata.

Così aveva detto che avrebbe fatto un bagno e aveva preso le pillole. E non era come se avesse preso la chiara decisione di volersi uccidere. Niente di così drammatico, niente di così drastico.

Voleva solo fermare il panico, l’attesa del programma. Non sapere quanto avrebbero scoperto. Voleva solo che quella situazione angosciosa si fermasse.

Ora, mentre l’infermiera l’aiuta a mettersi a sedere e le sprimaccia i guanciali dietro la schiena, di fianco al letto compare un’altra persona. Un’altra infermiera in una divisa di un colore diverso. È più anziana, sembra di un livello superiore, e parla con sua madre. Un bisbiglio sinistro. Qualcosa su un esame medico…

«Non volevo spaventarla. Il dottore vorrebbe solo scambiare due parole con lei».

«Cosa c’è? Cos’è successo?»

«È meglio se viene con me. Prego, signora Headley».