22
L’investigatore privato
«Dico sul serio, devi smetterla di guardarmi in quel modo». La moglie di Matthew lo guarda sorridendo divertita, con la figlia appena nata che succhia beata al suo seno sinistro. La bambina, minuscola da far paura ma con un’impressionante chioma di capelli scuri, è delicatamente posata su un cuscino che protegge il ventre di Sally dopo il cesareo.
Matthew non ha alternative. Se ne sta lì a bocca aperta, occhi spalancati. È ancora tutto così…
«Scusa, ancora non mi raccapezzo».
«Lo so. È un miracolo, come continui a dire tu, Matt. Ed è meraviglioso che tu sia così, davvero. Ma devi smetterla di guardarmi con quella faccia».
«Quale faccia?»
«La faccia adorante. Come se all’improvviso fossi una divinità. Mi metti i brividi. È anche peggio della tua faccia arrapata».
«Non c’è niente che non va nella mia faccia arrapata». Fa sporgere la punta della lingua.
Matthew non sta per confessare di aver effettivamente controllato la sua faccia arrapata nello specchio del bagno in preda a un attacco di permalosità e paranoia dopo che, nei primi giorni della loro relazione, sua moglie aveva buttato lì che era abbastanza interessante. Nessuno gliel’aveva mai detto prima. Riflettendoci, per la precisione nello specchio del bagno, era abbastanza… non proprio allarmante, ma… insinuante.
«Ti ho mai detto che penso che tu sia stupefacente?». Matthew le sfiora il braccio con la punta delle dita e poi accarezza i capelli bruni della figlia.
Figlia. Assapora mentalmente la parola e fa un bel respiro.
«Allora, che programmi hai per oggi, paparino?».
La domanda lo coglie in contropiede. «Cioè? Starò seduto qui con le mie due splendide fanciulle. Cos’altro?»
«Tutto il giorno?»
«Perché no?»
«Perché se stai seduto lì tutto il giorno con quella faccia, io non potrò dormire, la tua bella figlia non potrà dormire e tu morirai di noia».
«Questo non è noioso. Questo è…».
«Un miracolo. Lo so, amore».
Adesso ridono, tutti e due.
Matthew si guarda intorno, poi si alza e va alla sedia su cui c’è la borsa con tutte le cose della neonata. Cose graziose e morbide, bianche e giallo limone, perché non avevano voluto sapere il sesso del nascituro.
Per via del cesareo d’emergenza hanno il privilegio di quella luminosa stanza singola. Matthew si sforza di non guardare sua moglie e intanto pensa di nuovo a ieri sera. All’orrore di quei momenti. Otto ore di tortura che chiamano travaglio e poi la spaventosa notizia che il bambino era nella posizione sbagliata e in difficoltà, e che era indispensabile un cesareo. Non era affatto ciò che Sal aveva desiderato e non dimenticherà mai l’espressione di paura e sconforto e choc sul volto di sua moglie mentre la portavano in sala operatoria e lui l’accompagnava stringendole la mano e cercando di rassicurarla.
Era probabilmente quella la ragione di tanta esuberanza. La sua faccia adorante. La travolgente ondata di sollievo.
«Senti, io ti suggerirei di andare a casa adesso per qualche ora. Fatti una doccia e un pisolino. Prendi da casa le cose che ti ho scritto e torni questa sera. Oggi pomeriggio viene mia madre e poi, onestamente, Matthew, sono esausta. Avrei bisogno di dormire».
Lui si gira e va a sedersi accanto al letto. «Sicura? Non mi sembra giusto andarmene di già».
«Sei qui da ore e ore, caro».
«Niente in confronto a cosa hai passato tu».
Lei serra le labbra e Matthew ha l’impressione di vedere un luccichio nei suoi occhi.
«Un po’ di paura, eh?».
Lui annuisce, dà un colpetto di tosse perché non vorrebbe che gli si crepasse la voce se parlasse troppo presto.
«Senti, Matthew. Io a questo punto sono bloccata qui per qualche giorno. Non era previsto, quindi perché non lavori un po’ al tuo caso finché non torno a casa?»
«Io non stavo pensando al lavoro». Bugia.
Sua moglie lo guarda di traverso. Lo conosce così bene.
«D’accordo. Diciamo solo un pochino. Ma solo perché dopo che succede una cosa così vedi tutto in una maniera diversa».
«In che senso?»
«Oh, niente». Gli dispiace di esserselo lasciato scappare, non vuole collegare la sua splendida bambina al lavoro, a quel nuovo pensiero che lo sta tormentando. Meno che mai vuole che il collegamento lo faccia sua moglie. Ma la verità è che adesso non può fare a meno di pensare a certe cose in un modo diverso. L’immagine di Anna sulla sua pagina Facebook usata da tutti i media per un anno intero. Sua madre, Barbara. E poi Ella. A tutto questo pensa in un modo diverso. Sente una torsione nello stomaco e si ritrova a dondolare la gamba destra.
«Be’, io credo che sarebbe più che logico che lavorassi un po’ tra una visita e l’altra. Poi potrai coccolarmi quando mi rimanderanno a casa».
Matthew si morsica il labbro inferiore. Sal aveva avuto intenzione di lottare per farsi rispedire a casa al più presto possibile. Lui aveva sperato di chiudere il caso a cui stava lavorando nell’arco delle prime due settimane. Poi il cesareo e la degenza obbligatoria avevano rovinato tutto.
«Okay. Hai ragione. Vado a casa, faccio un po’ di bucato, mi porto un po’ avanti con il lavoro finché posso e torno questa sera. Sei proprio sicura?»
«Sono assolutamente sicura».
Lui allora si alza per baciarla molto teneramente sulla bocca, poi sfiora con le labbra la testa di sua figlia.
«Straordinario, vero?»
«Un miracolo», risponde lei canzonandolo un po’, ma negli occhi le è riapparso quel luccichio.
Un’ora dopo, a casa, Matthew cammina su e giù. È così strano pensare che molto presto saranno a casa tutti insieme. Una famiglia. Non più solo lui e Sal, ma tutti e tre. Si guarda intorno chiedendosi all’improvviso se la casa sia abbastanza grande. In un angolo c’è una grande cesta di vimini con dentro qualche oggetto, molti dei quali gli sono totalmente sconosciuti. Una cosa che chiamano “baby gym” che prevede non sa bene quale costruzione. Tappetini da fasciatoio e altro del genere.
Gli sembra insieme bellissimo e, sì, miracoloso e tremendamente terrificante. Matthew si chiede se sia pronto. Se esista qualcuno che possa essere mai pronto.
Preme il tasto che accende la macchina espresso e dà un’occhiata alla posta. Niente d’importante. Posa la corrispondenza sul banco in cucina e si toglie di tasca il cellulare nel momento in cui la spia verde gli segnala che la macchina è pronta.
Mette una tazzina di porcellana da espresso sotto l’ugello e avverte quel senso di essere scollegati che provoca la vera stanchezza. Quella sensazione di non trovarsi davvero a posto nello spazio circostante. Preme il pulsante per un doppio e con l’altra mano compone il numero di Melanie. Incredibilmente gli risponde all’istante.
«Mi chiedevo quanto ci avresti messo. Allora, come l’hai saputo? È stato il tamtam o sei telepatico come ho sempre sospettato?». Melanie sta parlando a voce bassa.
Matthew prende tempo mentre ha la percezione precisa della profondità dei solchi che gli appaiono sulla fronte. Non ha la più pallida idea di che cosa stia parlando.
«Le notizie viaggiano veloci».
«Ella lo sa? È così».
Matthew non risponde.
«Be’, non dire niente a nessuno perché adesso scoppia il proverbiale casino. Per quanto ne so, i media non ci sono ancora arrivati ed è così che vogliamo che resti. Per ora almeno».
Matthew osserva la schiuma promettente sul suo espresso, stupito che il bluff abbia funzionato. Beve un sorsetto domandandosi cosa diavolo possa essere accaduto. Fino a ieri sera entrambe le polizie di Londra e della Cornovaglia volevano che i media si occupassero il più possibile del caso. Come mai tutt’a un tratto non gli sta più bene?
«Perché non mi dici quel che puoi, Melanie, e io ti do in cambio tutto quello che ho? Ti prometto anche di tenere le orecchie aperte e di avvertirti se la dritta arriva ai media». Matthew ha qualche buon contatto tra i giornalisti locali, e Melanie lo sa.
«Del tutto ufficioso».
«Oh, andiamo, Mel. Mi conosci. Posso avere incasinato la mia carriera, ma di certo non inguaio la tua».
«Va bene, ma non per telefono. Quanto ci metti a raggiungermi a Saltash? Solito caffè».
«Un’ora».
«Parto. E bocca chiusa, eh?»
«Contaci».
«Oh, a proposito, Sally come sta? Ormai dovrebbe esserci, no?».
Matthew si sente percorrere da un brivido di senso di colpa. Per qualche minuto se lo è proprio scordato. No. Non precisamente scordato. Ha spento piuttosto quel canale. È sbigottito che abbia potuto lasciare che accadesse, e si domanda se è così che sarà. Lavoro. Casa. La mente divisa in due. All’improvviso si ritrova davanti agli occhi l’immagine dell’ospedale, vivida e amorevole.
«Sono papà, Mel. Di una bambina. Ho una splendida femminuccia».