73

Occidente

Brygstad, capitale del Libero Stato di Mentendon, culla della cultura occidentale. Erano anni che sognava di ripercorrere quelle strade.

Eccole, le case alte e strette con i campanili a vela. Ecco i tetti spruzzati di neve. Ecco la guglia rampante del Santuario del Santo che svettava al centro della città.

Niclays Roos sedeva avvolto in un mantello di pelliccia a bordo della carrozza riscaldata. Durante la convalescenza al Palazzo di Ascalon, gli era giunta una lettera in cui l’Illustre Principessa Ermuna lo convocava a corte. La sua conoscenza dell’Oriente, scriveva, sarebbe tornata utile per rafforzare i rapporti tra Mentendon e Seiiki. Forse avrebbe persino potuto essere d’aiuto nel corso delle trattative per il nuovo accordo commerciale con l’Impero dei Dodici Laghi.

Lui però non desiderava nulla di tutto questo. La corte era infestata di fantasmi del passato: rimetterci piede avrebbe significato affrontarli.

D’altronde doveva almeno farsi vedere: non si rifiuta un invito regale, soprattutto se si vuole evitare di finire un’altra volta in esilio.

La carrozza avanzava a scossoni sul Ponte del Sole. Niclays guardò dal finestrino le acque ghiacciate del Bugen, le guglie sommerse di neve della città perduta. Aveva attraversato quello stesso ponte a piedi la prima volta che era entrato a corte, dopo un lungo viaggio in calesse da Rozentun. A quei tempi non poteva permettersi le carrozze: sua madre l’aveva diseredato con la scusa, non del tutto campata per aria, di avergli già pagato l’università. I suoi averi si riducevano dunque a una buona parlantina e alla camicia che portava addosso.

Per Jannart non era stato un problema.

Al posto del braccio sinistro ora aveva un moncherino che si interrompeva appena sotto il gomito. Ogni tanto faceva male, ma il dolore era sopportabile.

A bordo della Perla Danzante era stato sfiorato dal bacio della morte. Secondo i medici inysh, il peggio ormai era passato e la ferita poco per volta sarebbe guarita. Non si era mai fidato dei dottori di quella zona, ciarlatani bigotti per la maggior parte, ma in questo caso non aveva molta scelta.

Eadaz uq-Nāra aveva ferito il Senza Nome con la Vera Spada. E poi, come se per una notte non fosse stata abbastanza eroica, lei e Tané Miduchi l’avevano finito usando le gemme. Era materiale da leggenda, una storia destinata alla gloria imperitura delle canzoni… e cosa aveva fatto Niclays per tutto il dannatissimo tempo? Dormito. Il pensiero lo fece sorridere: Jannart si sarebbe piegato in due dalle risate.

In città suonavano le campane. Da qualche parte qualcuno si sposava.

La carrozza superò il Teatro del Libero Stato. Certe sere, travestito da nobilotto qualunque, Edvart sgattaiolava fuori dal palazzo insieme a Jannart e Niclays per recarsi all’opera, o a un concerto, o ad assistere a una commedia. Dopo andavano sempre a bere qualcosa nel Quartiere Vecchio, dove Edvart per qualche ora poteva scrollarsi di dosso il peso del proprio ruolo. Niclays chiuse gli occhi, lasciandosi invadere dal ricordo delle risate di amici ormai defunti.

Qualcuno per fortuna era riuscito a non morire. Dopo l’Assedio di Cárscaro era stata inviata una squadra di soccorso in cerca di Laya. Sulla Perla Danzante, tra i fumi della febbre, Niclays era riuscito a rievocare qualche dettaglio della caverna dove erano stati imprigionati, nello specifico le venature rosse che correvano lungo le pareti.

L’avevano trovata in una grotta sotto il Monte dei Lamenti, quasi morta di sete. All’ospedale da campo si erano presi cura di lei finché non era guarita; poi l’Illustre Governatrice Kagudo le aveva dato un passaggio a Nzene a bordo della sua nave. Dopo decenni di lontananza era finalmente tornata a casa, e gli aveva subito scritto di andare a trovarla.

E Niclays l’avrebbe fatto, presto; giusto il tempo di riempirsi gli occhi di Mentendon, assicurarsi che fosse tutto reale e non solo un sogno.

La carrozza si arrestò fuori dai cancelli del Palazzo di Brygstad, un edificio austero di arenaria scura che nascondeva interni d’oro e marmo bianco. Un valletto gli aprì la portiera.

«Dottor Roos,» disse «Sua Altezza Reale, l’Illustre Principessa Ermuna, vi dà il bentornato alla corte mentese.»

Gli pizzicavano gli occhi; riconobbe i vetri colorati dell’abbaino all’ultimo piano.

«Non ancora.»

Il valletto parve confuso. «Ma, dottore,» protestò «Sua Altezza vi aspetta a mezzogiorno.»

«A mezzogiorno, caro ragazzo, e mezzogiorno non è ancora scoccato.» Tornò ad appoggiarsi al sedile. «Prendi pure i bagagli, io devo andare al Quartiere Vecchio.»

Riluttante, il valletto impartì l’ordine agli altri domestici.

La carrozza attraversò i quartieri settentrionali, superando librerie, musei, forni e sedi di diverse corporazioni. Affacciato con il gomito fuori dal finestrino, Niclays si beveva il panorama. Dal mercato provenivano odori d’ogni tipo, aromi che a Orisima poteva solo sognare. Pan di zenzero, mele caramellate. Torte la cui crosta morbida nascondeva spirali di pere, formaggio e uova sode. Frittelle annegate nel brandy. Le crostate di mele che un tempo amava mangiare camminando lungo il fiume.

In ogni angolo c’erano bancarelle traboccanti di opuscoli e trattati. Quella vista gli riportò alla mente Eizaru e Purumé, i suoi amici dall’altra parte del mondo. Forse, se e quando fosse stato annullato l’embargo, avrebbero potuto passeggiare insieme a lui per quelle strade.

La carrozza si fermò davanti a una locanda fatiscente, in fondo a uno dei tanti vicoli che si dipartivano da Piazza Brunna. La vernice d’oro dell’insegna era quasi tutta scrostata, ma all’interno il Sole Splendente era proprio come lo ricordava.

Doveva fare una cosa prima di affrontare la corte: andare incontro ai fantasmi, batterli sul tempo.

Ornamento di separazione

La tradizione mentese voleva che le spoglie dei defunti fossero sepolte nel loro luogo di nascita. Solo in rarissimi casi era concesso che riposassero altrove.

Jannart era uno di quei casi. Secondo l’usanza, avrebbe dovuto essere seppellito a Zeedeur, ma alla sua morte Edvart, distrutto dal dolore, aveva concesso al migliore amico l’onore di una tomba nel Cimitero d’Argento, dove riposavano i membri della Casata di Lievelyn. Non molto più tardi la malattia del sudore si era presa anche il re, che era stato sepolto insieme alla figlia neonata.

Il cimitero sorgeva vicino al Quartiere Vecchio. Il paesaggio era coperto da una coltre di neve spessa e compatta.

Quella era la prima volta che Niclays visitava il mausoleo. All’epoca era scappato a Inys, oppresso dal senso di negazione. Non credendo in alcun tipo di aldilà, non vedeva il motivo di chiacchierare con una lastra di pietra.

Dentro il mausoleo faceva un freddo tremendo. Sulla tomba era stata poggiata una statua di alabastro.

Prese un bel respiro e si avvicinò. Chiunque avesse realizzato la scultura, doveva aver conosciuto molto bene il Jannart quarantenne. Accanto alla statua un’iscrizione invocava la protezione del Santo.

JANNART UTT ZEEDEUR

NON SULLA TERRA VA CERCATO IL SOLE DI MEZZANOTTE

MA DENTRO DI NOI

Niclays passò le dita sulla scritta.

«Dietro, le tue ossa. Davanti, niente. Tu sei morto e io sono un vecchio» mormorò. «Ti ho odiato per tanto di quel tempo, Jannart. Traevo conforto dalla consapevolezza che sarei morto prima di te. Forse ho persino cercato di fare in modo che accadesse. Ti ho detestato, ho detestato il tuo ricordo, perché te ne sei andato prima, perché mi hai abbandonato qui da solo.»

Voltò le spalle alla tomba con un nodo che gli serrava la gola, quindi cadde a terra, spalle alla lapide, le mani giunte tra le ginocchia.

«Ho fallito anche con lei, Jan.» Gli era rimasto solo un filo di voce. «Mi sono perso, e così ho perso tua nipote. Quando i lupi l’hanno attaccata non ero lì a difenderla.

«Ho pensato…» scosse la testa. «Ho pensato di uccidermi. Sul ponte della Perla Danzante ho visto il mare bruciare. Luce nelle tenebre. Fuoco e stelle. Ho guardato in fondo all’Abisso e per poco non ho lasciato che mi prendesse.» Fece una risatina. «Ma poi mi sono tirato indietro. Troppo disperato per vivere, troppo vigliacco per morire. Anche se in effetti… c’è un motivo per cui mi hai affidato quella missione. Ho pensato che vivere era l’unico modo per onorare la tua memoria.

«Tu mi amavi. Senza condizioni. Vedevi la persona che avrei potuto essere. E io sarò quella persona, Jan. Resisterò, mio Sole di Mezzanotte.» Sfiorò il volto di pietra un’ultima volta, le labbra così simili a quelle vere. «Insegnerò al mio cuore a battere di nuovo.»

Era uno strazio abbandonarlo da solo nel buio. Ma doveva. Quelle ossa lo avevano lasciato andare da tempo.

Fuori la tempesta di neve si era placata, ma continuava a soffiare un vento gelido. Mentre attraversava il cimitero a ritroso con le guance coperte di lacrime ghiacciate, una donna avvolta in un mantello di zibellino oltrepassò il cancello di ferro battuto. Quando sollevò il viso, Niclays rimase di sasso.

La conosceva bene.

Dall’ingresso del cimitero lo fissava Aleidine Teldan utt Kantmarkt.

«Niclays» bisbigliò.

«Aleidine» rispose lui incredulo.

Malgrado l’età, era ancora una bella donna. I capelli color ruggine, folti come sempre, erano ora striati di grigio e raccolti in un’acconciatura morbida. Portava ancora il nodo d’amore, anche se non più all’indice. Nessun altro anello l’aveva sostituito.

Rimasero a guardarsi per un po’. Aleidine fu la prima a riscuotersi. «Sei tornato davvero.» Emise un suono simile a una risata. «Avevo sentito le voci, ma non osavo crederci.»

«Invece è proprio così. Dopo qualche peripezia.» Niclays tentò di ricomporsi, ma aveva la gola chiusa. «Io, ehm… ora vivi qui dunque? Intendo a Brygstad, non al cimitero.»

«No, no. Sto ancora nella Dimora delle Sete. È Oscarde che vive qui, sono venuta a trovarlo. E ho pensato di passare anche da Jannart.»

«Ma certo.»

«Siediti qui con me, Niclays» lo invitò Aleidine con un rapido sorriso. «Ti prego.»

Anche se non era certo che fosse una mossa saggia, la seguì fino a una panca di pietra addossata al muro. Prima di sedersi, Aleidine spazzò via la neve. Quel gesto gli fece tornare in mente la sua abitudine di prendersi carico di faccende solitamente deputate ai domestici, come lucidare i soprammobili e spolverare i ritratti che Jannart appendeva in giro per casa.

Il silenzio si protrasse per qualche minuto. Niclays osservava i fiocchi di neve che cadevano. Sebbene avesse studiato per anni il discorso da fare ad Aleidine se mai si fossero rincontrati, adesso le parole gli sfuggivano.

«Niclays, il tuo braccio.»

Il mantello gli si era aperto rivelando il moncherino. «Oh, sì. Pirati, credici o no» rispose con un sorriso forzato.

«Certo che ci credo. Le persone parlano in questa città. Ormai la reputazione di avventuriero ti precede.» Gli restituì un sorriso che accentuò le rughe sottili intorno agli occhi. «Niclays, so che noi… non abbiamo mai parlato con calma dopo la morte di Jannart. Sei partito per Inys così in fretta…»

«Non farlo» la interruppe lui con voce roca. «Avrai capito ormai. Tutti quegli anni…»

«Non sto cercando di rimproverarti, Niclays.» Parlava in tono gentile. «Volevo molto bene a Jannart, ma non ho mai rivendicato il suo cuore. Sono state le nostre famiglie a combinare il matrimonio, lo sai. Non è stata una sua scelta.» I fiocchi di neve le si impigliavano tra le ciglia. «Era un uomo straordinario, desideravo solo che fosse felice. E tu, Niclays, lo rendevi felice. Non provo rancore nei tuoi confronti. Al contrario, ti ringrazio.»

«Jannart ha giurato di non concedersi a nessuno all’infuori di te. L’ha giurato in un santuario, davanti a testimoni» replicò Niclays imbarazzato. «Sei sempre stata una donna devota, Ally.»

«Lo ero e lo sono» ammise lei. «Per questo, anche se Jannart ha infranto il suo voto, io ho scelto di non infrangere il mio. Ho giurato innanzi tutto di amarlo e proteggerlo.» Appoggiò una mano delicata su quella di Niclays. «Aveva bisogno del tuo amore. Il modo migliore per onorare la mia promessa era lasciare che vi amaste in pace.»

Diceva sul serio: il suo volto non mentiva. Niclays avrebbe voluto dire qualcosa ma la risposta giusta, ammesso che esistesse, gli rimase incastrata in gola. Ruotò il polso e le prese la mano.

«Truyde» riuscì a dire alla fine. «Dove è stata sepolta?»

Gli occhi della donna si colmarono di un dolore insopportabile. «La regina Sabran mi ha mandato le sue spoglie» rispose. «Riposano a Zeedeur, nella nostra tomba di famiglia.»

Niclays la strinse forte.

«Le mancavi terribilmente, Niclays» proseguì Aleidine. «Era così simile a Jannart. Aveva il suo stesso sorriso, i capelli, l’intelligenza… mi sarebbe piaciuto farti conoscere la donna che era diventata.»

Un peso gli premeva sul petto impedendogli di respirare, e la mascella gli tremava per lo sforzo di non piangere.

«Cosa farai adesso, Niclays?»

L’alchimista si costrinse a inghiottire il sapore amaro del dolore. «La nostra giovane principessa vuole offrirmi un impiego a corte,» rispose «ma prima vorrei provare con l’università. Non che ci sia qualcuno disposto a darmi una cattedra.»

«Chiedilo a lei» gli consigliò Aleidine. «Sono certa che saresti il benvenuto all’Università di Brygstad.»

«Un vecchio esule appassionato di alchimia il cui ultimo impiego è stato a bordo di una nave pirata» replicò lui amaramente. «La persona adatta a forgiare le menti delle nuove generazioni.»

«Tu hai visto regioni del mondo di cui altri hanno solo scritto. Pensa al contributo che potresti dare, Niclays. Potresti togliere la polvere dai leggii, instillare nuova vita nei libri di testo.»

Bastò la speranza a scaldargli il cuore. Non ci aveva mai pensato seriamente, ma in effetti forse avrebbe davvero chiesto a Ermuna di intercedere per lui all’università.

Aleidine tornò a fissare il mausoleo. Il fiato le scivolava via in candidi sbuffi.

«Niclays,» disse «capirei se volessi chiudere con il passato, rifarti una vita. Ma… se invece ti andasse di venirmi a trovare di tanto in tanto…»

«Sì.» Le accarezzò il dorso della mano. «Ma certo, Aleidine.»

«Mi faresti felice. E naturalmente potrei reintrodurti in società. Sai, ho un caro amico che lavora proprio all’università. Siete più o meno coetanei e sono certa che sarebbe lieto di conoscerti. Alariks. Insegna astronomia.» Le brillavano gli occhi. «Sono sicurissima che ti piacerebbe.»

«Be’, sembra…»

«E Oscarde… oh, Oscarde impazzirà di gioia. E poi, è ovvio, sarai nostro ospite per tutto il tempo che…»

«Non vorrei disturbare, ma…»

«Niclays,» lo interruppe lei «tu sei di famiglia. Non ci disturberai mai.»

«Sei molto gentile.»

Rimasero a fissarsi, provati da quello scambio estremo di cortesie. Alla fine sorrisero entrambi.

«Ora» disse Aleidine «se ho capito bene hai un’udienza con l’Illustre Principessa. Non faresti meglio ad andare?»

«In effetti sì» ammise Niclays. «Ma prima c’è un piccolo favore che vorrei chiederti.»

«Ma certo.»

«Vorrei che tu mi raccontassi, in…» consultò l’orologio da taschino «… due ore, tutto quello che è successo da quanto ho lasciato Ostendeur. Ho anni di cronaca e politica da recuperare e non voglio fare la figura dello stupido davanti alla nostra nuova principessa. So che lo storico era Jannart,» aggiunse con dolcezza «ma se non mi sbaglio tu per i pettegolezzi eri imbattibile.»

Aleidine ridacchiò. «Con estremo piacere» disse. «Vieni. Camminiamo sul Bugen. Anch’io voglio sapere delle tue avventure.»

«Oh, mia cara signora,» rispose Niclays «su quelle si potrebbe scrivere un libro intero.»

Il priorato dell’albero delle arance
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