30

Occidente

Truyde utt Zeedeur era segregata nella Torre dei Sospiri. La graticola l’aveva convinta a confessare molti dei suoi crimini: poco dopo l’annuncio della visita regale si era avvicinata a un gruppo di teatranti chiamati Servitori della Verità, una compagnia per così dire senza padroni che, non godendo della protezione di alcun nobile, veniva trattata con disprezzo dalle autorità. Truyde aveva promesso il proprio appoggio, oltre che denaro per le famiglie degli attori, in cambio del loro aiuto.

Il finto attentato avrebbe dovuto convincere Sabran di essere in mortale pericolo, farla sentire esposta alla minaccia di Yscalin e del Senza Nome. Secondo il piano di Truyde, lo spavento avrebbe persuaso la regina a entrare in trattative con l’Oriente.

Non ci voleva un genio per capire che qualcosa era andato storto: nella messinscena si erano infiltrati individui che nutrivano un odio sincero per la Casata di Berethnet. Una di loro, Bess Weald, la cui abitazione di Riva Sovrana era stata trovata piena di libelli dei vati della rovina, aveva ucciso Lievelyn. Nella mischia avevano perso la vita anche parecchi innocenti Servitori della Verità, oltre che un certo numero di guardie cittadine, due Cavalieri Protettori e Linora Payling; i suoi genitori, devastati dal dolore, erano già andati a ritirare le spoglie.

Forse Truyde non avrebbe voluto uccidere nessuno, ma le sue buone intenzioni erano state del tutto inutili.

Ead aveva già scritto a Chassar per riferirgli l’accaduto. La Priora non sarebbe stata contenta di sapere che Sabran e sua figlia, ancora nel grembo, erano state sfiorate dalla morte.

Casa del Rovo era tappezzata con il grigio sciamito del lutto. Sabran si rifiutava di uscire dall’Anticamera. La salma di Lievelyn giaceva nel Santuario di Nostra Signora, in attesa della nave che l’avrebbe riportata in patria. Sul trono di Mentendon sarebbe salita la principessa Ermuna, con Bedona come erede diretta.

Qualche giorno dopo la morte del principe, Ead entrò negli appartamenti reali. Di solito l’alba era un momento tranquillo, ma quella mattina la tensione che avvertiva lungo la schiena non voleva saperne di allentarsi.

Durante l’imboscata aveva ucciso quattro persone sotto gli occhi di Tharian Lintley, a cui di certo la sua destrezza con i coltelli non era sfuggita. Probabile che in quel bagno di sangue nessun altro l’avesse notata, ed era ormai chiaro che Lintley non ne aveva fatto parola con nessuno, ma Ead preferiva comunque mantenere un basso profilo.

Più facile a dirsi che a farsi per un’Ancella del Baldacchino. Specialmente perché anche la regina l’aveva vista in azione.

«Ead.»

Si voltò: Margret, ansimando, la prese per il braccio. «Loth» sussurrò. «Mi ha scritto una lettera.»

«Cosa?»

«Vieni con me, svelta.»

Col cuore che le batteva all’impazzata, Ead seguì l’amica in una stanza vuota. «Come ha fatto a evitare la censura di Combe?»

«L’ha inviata a un drammaturgo amico di mamma. Me l’ha passata lui durante la visita ad Ascalon.» Margret estrasse dalla gonna un foglietto spiegazzato. «Guarda.»

Ead riconobbe al volo la grafia, e rivederla le riempì il cuore di gioia.

Carissima M, non posso dire molto per paura che questa mia venga intercettata. A Cárscaro le cose non sono come sembrano. Kit è morto, e temo che Neve sia in pericolo. Guardati dal Coppiere.

«Lord Kitston morto» mormorò Ead. «Come?»

Margret deglutì. «Prego si tratti di un errore, ma… Kit farebbe qualunque cosa per mio fratello.» Sfiorò il timbro. «Ead, questa arriva dalle Colombaie.»

«Rauca» disse Ead, stupita. «Se n’è andato da Cárscaro.»

«È scappato, vuoi dire. Forse è così che Kit…» Margret indicò l’ultima frase del messaggio. «Guarda qui. Non hai detto che l’assassina di Lievelyn parlava di un Coppiere?»

«Sì.» Ead rilesse il biglietto. «Immagino che Neve stia per Sabran.»

«Esatto. Quand’erano piccoli Loth la chiamava sempre Principessa di Neve» spiegò Margret. Quindi aggiunse: «Ma non riesco comunque a capire. Non esiste alcun Coppiere ufficiale a corte».

«Loth era stato inviato a cercare il principe Wilstan. Wilstan stava a sua volta indagando sulla morte della regina Rosarian» ragionò Ead sottovoce. «Forse le due cose sono collegate.»

«Può darsi» ammise Margret, con la fronte imperlata di sudore. «Oh Ead, vorrei così tanto dire a Sab che è vivo, ma Combe scoprirebbe come ho avuto il messaggio. Non posso rischiare di perdere i contatti con mio fratello.»

«La regina sta già piangendo Lievelyn. Non diamole false speranze sul ritorno del suo amico.» Ead le strinse la mano. «Lascia che al Coppiere ci pensi io. Lo stanerò.»

Margret prese un respiro profondo e annuì.

«È arrivata anche un’altra lettera di mio padre.» Scosse il capo. «Mamma dice che è sempre più agitato. Continua a dire di dover parlare urgentemente con l’erede di Betulladorata. E finché Loth non ritorna…»

«Credi che sia colpa della malattia?»

«Potrebbe. Mamma dice di non farci caso. Tornerò presto, ma non ancora.» Margret ripose la lettera nella tasca della gonna. «Ora devo andare. Magari ci vediamo a cena.»

«Sì.»

Si separarono.

Loth aveva corso un pericolo pazzesco con quel biglietto: Ead aveva tutte le intenzioni di ascoltare i suoi avvertimenti. Sabran aveva rischiato di morire durante la visita in città, ma non sarebbe mai più accaduto nulla di simile.

Non finché c’era lei a sorvegliarla.

Ornamento di separazione

Sabran aveva le nausee. Roslain si svegliava all’alba per tenerle indietro i capelli mentre vomitava in un pitale. Certe notti anche Katryen dormiva su una branda accanto al letto della regina.

Erano ancora in pochi a sapere della gravidanza. Non era il momento di fare l’annuncio, il periodo di lutto era appena cominciato.

Giorno dopo giorno, la regina emergeva dalla Stanza del Baldacchino, dove aveva trascorso la prima notte di nozze, col volto sempre più segnato. Ogni mattina le ombre sotto i suoi occhi parevano più scure, e nelle rare occasioni in cui apriva bocca lo faceva per rispondere bruscamente a qualcuno.

Per questo, quando una sera parlò senza essere interrogata, Katryen per poco non fece cadere il ricamo.

«Ead,» esordì la regina di Inys «dormirai tu con me questa notte.»

Vennero le nove, l’ora in cui le Ancelle del Baldacchino la preparavano per andare a letto; per la prima volta anche Ead si spogliò per indossare la camicia da notte. Roslain la prese da parte.

«La luce deve rimanere sempre accesa» disse. «Sabran si spaventa se si sveglia al buio. Secondo me la soluzione più semplice è tenere accesa la candela sul comodino.»

Ead annuì. «Mi assicurerò che sia fatto.»

«Bene.»

Roslain parve sul punto di aggiungere qualcosa, ma evidentemente cambiò idea. Una volta terminati i controlli di sicurezza nella Stanza del Baldacchino, accompagnò fuori le altre damigelle e chiuse le porte.

Sabran giaceva a letto, supina. Ead le si distese accanto e si coprì.

Rimasero in silenzio per un bel po’. Katryen conosceva i trucchi per rallegrare la regina, Roslain sapeva come consolarla quand’era triste. Ead si chiese quale potesse essere il suo compito. Forse ascoltare.

O dire la verità. Forse era quello che Sabran apprezzava di lei.

Erano anni che non dormiva accanto a qualcuno, e la vicinanza di Sabran le rendeva impossibile addormentarsi. Lo sfarfallio delle ciglia scure. Il calore del suo corpo. Il movimento ondulatorio del suo petto.

«Di recente ho avuto molti incubi.» La voce irruppe nel silenzio. «Il tuo rimedio aiutava, ma il dottor Bourn ora che sono incinta mi ha tolto tutto, comprese le gocce di stelle.»

«Lungi da me contraddire il dottor Bourn,» disse Ead «ma forse potreste usare l’acqua di rose sotto forma di pomata. È piacevole sulla pelle e potrebbe aiutare a combattere gli incubi.»

Annuendo, Sabran appoggiò una mano sul ventre. «Ne chiederò un po’ domattina. Magari la tua presenza terrà a bada i sogni, Ead. Anche se le rose non ci riescono.»

Aveva i capelli sciolti simili a drappi da cui facevano capolino le spalle.

«Non ti ho mai ringraziata… per quello che hai fatto in Vicolo dei Brividi» disse. «Ero in preda al panico, ma non mi è sfuggito lo sforzo con cui mi hai difesa, né la tua abilità nel batterti.» Sollevò il mento. «Sei stata tu ad ammazzare gli altri tagliagole? Fai parte dei guardiani della notte?»

La sua espressione era impenetrabile. Ead avrebbe voluto fare ciò che aveva stabilito, cioè dirle la verità, ma il rischio era troppo alto. Sarebbe bastata una sola parola all’orecchio di Combe per farla bandire per sempre dalla corte.

«No, mia signora» rispose. «Forse loro, a differenza di me, sarebbero riusciti a proteggere il principe Aubrecht.»

«Non era compito tuo» disse Sabran. Il suo profilo era per metà ombra e per metà oro. «Se Aubrecht è morto è solo colpa mia. Mi avevi avvertita di non aprire la porta.»

«Prima o poi i tagliagole sarebbero arrivati a lui, in un modo o nell’altro» replicò Ead. «Qualcuno deve aver pagato profumatamente Bess Weald per assicurarsi che il principe morisse. Aveva i giorni contati.»

«Potrebbe essere, ma avrei dovuto ascoltarti. Non mi hai mai raccontato bugie. Ormai è tardi per invocare il perdono di Aubrecht, ma… vorrei chiedere il tuo, Ead Duryan.»

Sostenere lo sguardo della regina richiese un certo sforzo; non aveva neanche idea dell’entità delle bugie che Ead le aveva raccontato.

«Perdono accordato» si limitò dunque a dire.

Sabran emise un lungo sospiro. Per la prima volta in otto anni Ead provò una fitta di rimorso all’idea di tutte quelle menzogne.

«Truyde utt Zeedeur deve pagare per il suo tradimento, la giovinezza non la salverà» dichiarò Sabran. «Teoricamente potrei chiedere all’Illustre Principessa Ermuna di condannarla a morte. Anche se, forse, tu che apprezzi tanto il sapore della misericordia preferiresti che le concedessi la grazia.»

«Fate come ritenete giusto.»

In cuor suo Ead non voleva che Truyde morisse. Era una sciocca pericolosa, certo, e per la sua leggerezza erano morti in tanti, ma aveva solo diciassette anni. Non le sarebbe mancato il tempo per fare ammenda.

Seguì un altro silenzio, quindi la regina si voltò a guardarla. A quella distanza, Ead notò i cerchiolini scuri attorno alle sue iridi, contorni neri a quel verde stupefacente.

«Ead,» disse «non posso parlarne con Ros o Kate, ma con te sì. Non credo che mi giudicherai, anzi forse potresti… capirmi.»

Ead intrecciò le dita alle sue.

«Con me potete parlare di tutto» rispose.

Sabran le si fece più vicina. Le sue mani erano fredde e delicate, le dita parevano nude senza i soliti anelli. Quello con il nodo d’amore l’aveva seppellito nei Giardini Sommersi, dove sarebbe sorto un memoriale.

«Prima che scegliessi Aubrecht, mi chiedesti se volevo sposarmi.» Parlava così piano che era difficile sentirla. «Ora confesso, solo a te, che no, non volevo. E… non voglio tuttora.»

La rivelazione rimase sospesa tra loro. Era un argomento spinoso: incalzati dalla minaccia di un’invasione, ben presto i Duchi Spirituali avrebbero esortato la regina, per quanto incinta, a prendere un altro compagno.

«Non avrei mai pensato di dirlo ad alta voce.» Il sussurro sfociò in una risata. «So che Inys potrebbe entrare in guerra. So che le creature draconiche si risvegliano in tutto il mondo. So che un matrimonio rafforzerebbe le nostre alleanze, e che è così che i nostri fratelli di Virtudom si sono uniti a noi: attraverso il sacro vincolo del sodalizio.»

Ead annuì. «Ma?»

«Ho paura.»

«Di cosa?»

Per un po’ Sabran rimase immobile, una mano appoggiata sulla pancia, l’altra ben stretta in quelle di Ead.

«Aubrecht era gentile con me. Buono e affettuoso» disse alla fine, con voce roca. «Ma sentirlo dentro, anche quando provavo piacere, mi sembrava…» Chiuse gli occhi. «Avevo la sensazione che il mio corpo non mi appartenesse più. Ed è… così anche ora.»

Lo sguardo le scese sul rigonfiamento del ventre, appena visibile sotto il velluto di seta della camicia da notte.

«Da che mondo è mondo le alleanze si stringono e si rafforzano attraverso le unioni regali» proseguì. «Inys vanta la flotta più grande d’Occidente, è vero, ma ci manca un esercito ben addestrato. Abbiamo pochi abitanti. In caso di invasione, avremmo bisogno di tutto l’aiuto che riusciamo a raccogliere… ma ogni nazione di Virtudom si sentirebbe obbligata a difendere innanzitutto il proprio territorio. E un’unione prevede sempre condizioni legali. Garanzie di supporto militare.»

Ead rimase in silenzio.

«Non mi sono mai sentita portata per il matrimonio, sai, Ead? Almeno non per quello riservato alla stirpe regale… nato non dall’amore, ma dalla paura dell’isolamento» mormorò Sabran. «Eppure, se mi astenessi, sarei sottoposta al giudizio del mondo intero. Troppo orgogliosa per unirmi a un’altra nazione. Troppo egoista per dare a mia figlia un padre che l’amerebbe, nel caso io stessa dovessi morire. Così mi vedrebbero. E chi si muoverebbe mai in difesa di una simile regina?»

«Coloro che la chiamano Sabran la Magnifica. Coloro che l’hanno vista mettere in fuga Fýredel.»

«Persino loro se ne dimenticherebbero vedendo le navi nemiche oscurare l’orizzonte» replicò Sabran. «Il mio sangue non vale niente contro le armate di Yscalin.» Poco per volta, le palpebre le si fecero pesanti. «Non voglio che mi consoli, Ead. È già molto essere riuscita a liberarmi dal peso di questi timori tanto egoisti. La Donzella mi ha concesso la bimba per cui ho a lungo pregato, e io riesco solo a… tremare.»

Anche se sentiva un incendio divamparle nel petto, Ead aveva la pelle d’oca.

«Da dove vengo io» commentò «nessuno direbbe mai che ciò che avete fatto è egoista

Sabran la guardò.

«Avete appena perso vostro marito. Portate in grembo sua figlia. Sentirsi vulnerabili è del tutto naturale.» Ead le strinse la mano. «La gravidanza non è sempre facile, credo sia il segreto meglio custodito in tutto il mondo. Ne parliamo sempre come della più dolce delle esperienze, ma la verità è più complessa. Nessuno ci racconta mai delle difficoltà. Dei disagi. Dell’incertezza. E così, ora che sentite il peso della vostra condizione, credete di essere la sola. E biasimate voi stessa per questo.»

Sabran deglutì.

«La vostra paura è naturale.» Ead non distolse lo sguardo da quello della regina. «Non permettete a nessuno di convincervi del contrario.»

Per la prima volta dal giorno dell’imboscata, la sovrana di Inys sorrise.

«Ead» disse «non so proprio come ho fatto finora senza di te.»

Il priorato dell’albero delle arance
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