47
Meridione
Aralaq correva inarrestabile per la foresta. Loth era convinto di aver avuto prova della sua rapidità già sui sentieri dei Fusi, ma adesso poteva solo reggersi alla pelliccia mentre l’icneumone saltava radici contorte, guadava ruscelli e sfrecciava tra gli alberi leggero come un sasso piatto rimbalza sull’acqua.
Si appisolò mentre Aralaq portava lui e Ead sempre più a nord, lontano dal fitto del bosco. I sogni lo condussero prima al maledetto cunicolo di Yscalin dove Kit giaceva ancora, quindi più lontano, nella stanza dei mappamondi della tenuta, dove il precettore raccontava a lui e Margret la storia del Dominio di Lasia. Sua sorella era sempre stata una studentessa modello, avida di saperne di più sulle loro antiche radici meridionali.
Loth aveva abbandonato la speranza di rivedere Margret. Ma ora, forse, una possibilità c’era.
Il sole sorse e tramontò. Le zampe dell’icneumone colpivano implacabili la terra. Solo quando finalmente si arrestarono, Loth si svegliò.
Cercò di pulirsi gli occhi dalla sabbia. Nel bel mezzo di una polverosa distesa di terra si allungava un lago, simile a una vena di zaffiro sotto il cielo terso. Un gruppo di olifanti marini si crogiolava nell’acqua bassa. Oltre il lago si stagliavano i picchi rocciosi che circondavano Nzene, tutti del rosso brunito dell’argilla cotta. Il Monte Dinduru, il più elevato, era quasi perfetto nella sua simmetria.
Verso mezzogiorno giunsero ai piedi delle montagne. Aralaq imboccò un erto sentiero che si inerpicava sul picco più vicino. Quando furono così in alto che le gambe presero a tremargli, Loth azzardò una sbirciata verso il fondovalle.
Sotto di loro si estendeva Nzene, la capitale di Lasia, eretta in una conca tra le Lame degli Dèi e circondata da torreggianti mura di arenaria. L’ombra delle montagne, le più alte e impervie del mondo conosciuto, sezionava le vie del centro. Alle spalle della città si dipartiva una strada enorme, di certo una rotta commerciale verso l’Ersyr.
Palme da dattero e ginepri erano allineati lungo i viali luccicanti di sole. Loth riconobbe l’edificio della Biblioteca Dorata, costruito con lastre di arenaria provenienti dalle rovine di Yikala e collegato al Tempio del Visionario. In cima a un promontorio che affacciava sui tetti, sorgeva lo svettante Palazzo del Grande Onjenyu, residenza dell’Illustre Governatrice Kagudo e della sua famiglia. Il fiume Lase serpeggiava tra i suoi sacri frutteti.
Aralaq fiutò un riparo sotto uno spuntone di roccia, profondo abbastanza da proteggerli tutti dalle intemperie.
«Come mai ci fermiamo?» chiese Loth asciugandosi il sudore. «Ead ha detto di arrivare a Córvugar.»
Aralaq piegò le zampe anteriori per permettergli di smontare. «Il coltello con cui l’hanno aggredita era impregnato di veleno di sanguisuga dei ghiacci. Impedisce la coagulazione» spiegò. «A Nzene avranno una cura.»
Loth sollevò Ead dalla sella. «Quanto starai via?»
Nessuna risposta. L’icneumone leccò la fronte della ragazza ancora una volta prima di scomparire.
Quando Ead riemerse dal suo mondo di ombre, il sole stava ormai tramontando. Al posto della testa aveva un calderone infernale. Pur essendo vagamente consapevole di trovarsi in una caverna, non aveva la più pallida idea di come ci fosse arrivata.
Si tastò la gola; solo quando le sue dita incontrarono la gemma calante tornò a respirare.
Recuperarla le era costato parecchio. Ricordava, nell’istante in cui aveva strappato il ciondolo dal collo di Mita, il morso dell’acciaio imbevuto di chissà quale maleficio. Con la lama di fuoco che le era divampata tra le mani aveva incendiato il baldacchino, prima di rotolare oltre la balaustra lanciandosi nel vuoto.
Era atterrata come un gatto sul balcone della cucina. Per fortuna non aveva incontrato nessuno che potesse ostacolarle la fuga, perché anche così aveva rischiato di non riuscire a raggiungere Loth e Aralaq prima che le forze la abbandonassero.
Mita meritava una morte atroce per ciò che aveva fatto a Zāla, ma non per mano sua. Ead non si sarebbe mai macchiata del sangue di una sorella.
Una lingua ruvida le scostò una ciocca di capelli dalla fronte. Quando aprì gli occhi, si trovò il naso di Aralaq a pochi centimetri dalla faccia.
«Dove…?» farfugliò Ead con voce roca.
«Tra le Lame degli Dèi.»
No. Scattò a sedere, soffocando un gemito quando la ferita al fianco pulsò. «Vi siete fermati.» Le tremava la voce. «Stupidi idioti. Le Dame Rosse…»
«Saresti morta dissanguata.» Aralaq annusò l’impacco sulla pancia di Ead. «Non ci hai avvertiti del veleno sul coltello della Priora.»
«Non lo sapevo.»
Doveva aspettarselo. La Priora la voleva morta, ma non poteva ucciderla senza destare sospetti. Meglio indebolirla per poi raccontare alle Dame Rosse che la sorella appena tornata era una traditrice; a quel punto ci avrebbero pensato loro a trovarla e ammazzarla, e le sue mani sarebbero state pulite.
Ead spostò l’impacco. La ferita al di sotto era dolorante, ma la poltiglia di fiori di sabra aveva fatto spurgare il veleno.
«Aralaq,» disse Ead passando all’inysh «tu sai quanto sono rapide le Dame Rosse quando cacciano.» In presenza di Loth le parole le ruscellavano di bocca in quella lingua. «Non dovevi fermarti per nessuna ragione.»
«L’Illustre Governatrice Kagudo ha una scorta di antidoto. Gli icneumoni non lasciano morire le sorelline.»
Ead fece uno sforzo per respirare, per calmarsi. Era improbabile che le Dame Rosse li stessero già cercando sulle Lame.
«Proseguiremo presto» disse Aralaq lanciando un’occhiata a Loth. «Io vado avanti a vedere se è sicuro.»
Appena l’animale se ne fu andato, tra Ead e Loth si spalancò una voragine di silenzio.
«Sei arrabbiato, Loth?» chiese alla fine la ragazza.
Lui teneva lo sguardo fisso su Nzene. Le strade della capitale adesso erano illuminate da torce, che la facevano risplendere come brace.
«Dovrei proprio» mormorò. «Mi hai mentito su tutto. Il tuo nome. Il motivo per cui sei venuta a Inys. La conversione.»
«Le nostre religioni sono intrecciate: entrambe si oppongono al Senza Nome.»
«Tu non hai mai creduto al Santo. O meglio,» si corresse Loth prontamente «in realtà ci credi, ma pensi che sia un bruto, un vigliacco che ha cercato di piegare un intero popolo alla sua fede.»
«E che ha preteso di sposare la principessa Cleolind prima di uccidere il mostro, esatto.»
«Come puoi dire una cosa del genere, Ead, quando anche tu hai pregato nel santuario?»
«L’ho fatto, ma solo per sopravvivere.» Visto che Loth non la guardava, aggiunse: «Confesso: sono anch’io una maga, come diresti tu. Ma nessuna magia di per sé è cattiva. Tutto dipende da come la si usa».
Quella frase le valse un’occhiata scontrosa. «Cos’è che puoi fare?»
«Posso contrastare il fuoco dei wyrm. Sono immune al morbo draconico. Conosco gli incantesimi di protezione. Le mie ferite si rimarginano più in fretta. So muovermi nell’ombra. E le mie armi seminano morte più di quelle di qualunque cavaliere.»
«Puoi produrre il fuoco?»
«Sì.» Ead aprì la mano e una fiamma prese vita. «Fuoco naturale.» Lo fece ancora, e la fiamma si colorò d’argento. «Fuoco sovrano, che annulla gli incantesimi.» Di nuovo, e stavolta la fiamma divenne vermiglia e così calda che Loth si sentì sudare. «Fuoco di wyrm.»
Loth si fece il segno della spada. Ead chiuse la mano, estinguendo l’eresia.
«Loth,» disse poi «è il momento di decidere se possiamo essere amici. Come minimo dobbiamo entrambi essere amici di Sabran, se vogliamo che il mondo continui.»
«Cosa intendi?»
«Ci sono molte cose che ancora non sai.» Un clamoroso eufemismo. «Sabran e Aubrecht Lievelyn, l’Illustre Principe di Mentendon, hanno concepito una figlia. Aubrecht è stato ucciso. Dopo ti spiegherò meglio» si affrettò ad aggiungere cogliendo la sorpresa nei suoi occhi. «Poco più tardi il Palazzo di Ascalon è stato attaccato da un Grande dell’Ovest. Lo chiamano il Wyrm Bianco.» Fece una breve pausa. «Sabran ha perso la piccola.»
«Per il Santo» gemette Loth. «Sab…» Il suo viso era una maschera di rammarico. «Mi dispiace non essere stato lì con lei.»
«Anch’io ti avrei voluto lì.» Ead studiò la sua espressione. «Non ci saranno altri bambini, Loth. La dinastia Berethnet si esaurisce qui. I wyrm si risvegliano, Yscalin ha dichiarato guerra e il Senza Nome in carne e ossa presto tornerà. Ne sono certa.»
Loth diventava via via più pallido. «Il Senza Nome.»
«Sì. Tornerà» ripeté Ead. «Ma non per via di Sabran. Non ha niente a che fare con lei. Che ci sia una regina sul trono di Inys o un sole che splende nel cielo, lui tornerà.»
Il sudore colava copioso sulle sopracciglia di Loth.
«Credo di aver trovato un modo per sconfiggerlo, ma per prima cosa dobbiamo pensare alla sicurezza di Virtudom. Con in corso una guerra civile non durerebbe a lungo contro l’Armata Draconica e il Senza Nome.» Ead si premette l’impacco sulla pancia. «Sono anni che alcuni dei Duchi Spirituali abusano del loro potere. Sapendo che non ci sarà un’erede, credo che tenteranno di controllare Sabran, se non addirittura di spodestarla.»
«Per il Santo» mormorò Loth.
«Nella tua lettera scrivevi a Meg di guardarsi dal Coppiere. Hai idea di chi sia?»
«No. Sigoso non ha detto altro.»
«All’inizio pensavo si trattasse del Rapace Notturno,» ammise Ead «ma ora sono certa che sia Igrain Crest. Il suo stemma sono i calici gemelli.»
«Lady Igrain. Ma Sab la adora» commentò Loth, visibilmente sconvolto. «Inoltre, tutti quelli che hanno scelto il Cavaliere di Giustizia come patrono hanno la spilla con i calici… e il Coppiere ha cospirato con Sigoso per assassinare la regina Rosarian. Per quale motivo Crest dovrebbe fare una cosa simile?»
«Non ne ho idea» confessò Ead. «Ma voleva che Sabran sposasse il Capoclan di Askrdal, e dopo che lei ha preferito Lievelyn, Lievelyn è stato ucciso. Per quanto riguarda i tagliagole…»
«Eri tu a fermarli?»
«Sì» rispose Ead come nulla fosse «però mi chiedo se avessero davvero intenzione di assassinare la regina. Forse Crest voleva che qualcuno li fermasse. Sabran sarebbe stata sempre più spaventata. La minaccia costante era solo una punizione perché non voleva rispondere al richiamo della maternità.»
«Ma la regina madre?»
«Da tempo a corte si vocifera che la regina Rosarian condividesse il letto con Gian Harlowe oltre che con il principe Wilstan» disse Ead. «L’adulterio va contro i precetti del Cavaliere di Sodalizio. Forse Crest vuole che le regine siano più… obbedienti.»
Loth serrò la mascella.
«Quindi vorresti che ci schierassimo contro Crest» suggerì. «Per proteggere Sabran.»
«Esatto. E poi che ci schierassimo contro un ben più annoso nemico.» Ead lanciò un’occhiata all’ingresso della caverna. «Ascalon potrebbe essere da qualche parte a Inys. Se riusciamo a trovarla, possiamo indebolire il Senza Nome.»
Sopra le loro teste, un uccello lanciò il suo richiamo. Loth passò a Ead una fiasca d’acqua.
«Ead,» disse «tu non credi nelle Sei Virtù.» La fissava intensamente negli occhi. «Per quale motivo vuoi rischiare la vita per Sabran?»
Ead bevve.
Era una domanda che lei stessa avrebbe dovuto porsi da tempo. Quei sentimenti erano cresciuti come un fiore in cima a un ramo. Erano spuntati piano, dolcemente… per poi sbocciare all’improvviso e per sempre.
«Ho capito una cosa» rispose, dopo un istante di silenzio. «È dal giorno in cui è nata che le propinano sempre la stessa storia. Non conosce nient’altro. Eppure, nonostante tutto, in lei ho riconosciuto una parte autentica. Questa parte, che in principio sembrava fragile, si è forgiata nel fuoco della sua stessa forza e ha piegato le sbarre della gabbia. E poi ho capito… che questa parte è fatta di acciaio. Questa parte è la vera Sabran.» Ead sostenne lo sguardo del giovane. «È lei la regina di cui Inys avrà bisogno nei giorni a venire.»
Loth si sedette accanto a lei. Quando le sfiorò il gomito, Ead lo guardò in faccia.
«Sono contento che le nostre strade si siano incrociate di nuovo, Ead Duryan.» Parve ripensarci. «Eadaz uq-Nāra.»
Lei gli appoggiò la testa sulla spalla, mentre Loth, sospirando, le cingeva la vita con il braccio.
Aralaq tornò in quel momento, facendoli sussultare. «Il grande uccello è in volo» annunciò poi. «Le Dame Rosse si avvicinano.»
Loth scattò in piedi. Raccogliendo arco e faretra, Ead si sentì pervasa da una strana calma.
«Aralaq, attraverseremo le steppe di Yscalin senza mai fermarci» disse. «Fino a Córvugar.»
Loth montò in sella. Lei lo raggiunse, quindi gli passò il mantello con cui coprire entrambi.
Aralaq slittò sulle zampe lungo il pendio della montagna dalla cui ombra fuoriuscì per affacciarsi sul lago. Sopra le loro teste volteggiava silenzioso Parspa.
L’oscurità copriva le loro tracce. Proseguirono al riparo delle Lame degli Dèi finché non ci fu più nulla dietro cui nascondersi; a quel punto, uscendo allo scoperto oltre le montagne, Aralaq iniziò a correre.
Le steppe di Lasia, dove un tempo sorgeva la città di Jotenya, si estendevano a nord della regione. Nell’Era Dolente il territorio era stato divorato dagli incendi, ma poco per volta l’erba era tornata a impossessarsene e dalle ceneri erano sorti, qua e là, alberi dalle foglie allungate.
Il terreno era diverso adesso. Aralaq prese velocità, finché le sue zampe non parvero fluttuare sull’erba gialla. Ead si aggrappò alla pelliccia; le faceva ancora male la ferita, ma si impose di stare vigile, all’erta. A quell’ora, gli altri icneumoni dovevano ormai aver individuato le loro tracce.
Su di loro scintillava una spirale di stelle, braci in un cielo affumicato, ben lontane da quelle che punteggiavano le notti di Inys.
Dalla terra si levarono altri alberi. Ead aveva gli occhi secchi per gli assalti del vento. Dietro di lei Loth tremava. Cercò di avvolgere il mantello più stretto, coprendogli almeno le mani, quindi si perse a immaginare la nave su cui sarebbero salpati una volta giunti a Córvugar.
Una freccia sibilò di fianco ad Aralaq, mancandolo per un soffio. Ead si voltò per farsi un’idea del pericolo.
Erano in sei. Fiamme rosse, ciascuna in groppa a un icneumone. Quello bianco apparteneva a Nairuj.
Aralaq ruggì e spinse più forte sulle zampe. Era il momento. Chiamando a raccolta le energie, Ead si liberò del mantello, strinse con forza le spalle di Loth e balzò dietro di lui, schiena contro schiena.
La soluzione migliore era mirare agli animali. Aralaq era tra i più veloci della sua specie, ma l’esemplare bianco poteva batterlo. Mentre incoccava la freccia, a Ead tornò in mente la giovane Nairuj che si vantava di quanto poco ci mettesse ad attraversare il Bacino di Lasia.
Si prese qualche secondo per adattarsi all’andatura di Aralaq. Una volta interiorizzata la cadenza del suo passo sollevò l’arco. Loth allungò le mani all’indietro afferrandole i fianchi come per paura che potesse cadere.
Dritta e sicura, la freccia di Ead saettò sull’erba, ma proprio all’ultimo momento l’icneumone bianco balzò in aria evitandola. Il secondo colpo invece partì storto nel momento in cui Aralaq superava con un salto la carcassa di un lupo.
Più veloci di così non potevano andare. Né d’altra parte potevano fermarsi a combattere. Ead avrebbe potuto affrontare due, al massimo tre maghi, ma non sei Dame Rosse, soprattutto ferita. Loth era troppo lento e in quanto ad Aralaq, gli altri icneumoni l’avrebbero fatto a pezzi. Mentre tirava la corda dell’arco per la terza volta, Ead rivolse una preghiera alla Madre.
La freccia si conficcò nella zampa anteriore di un icneumone, che cadde trascinando con sé anche la Dama.
Ne restavano cinque. Si stava preparando a colpire di nuovo quando una freccia le si piantò nella coscia, strappandole un grido strozzato.
«Ead!»
Potevano colpire Aralaq da un momento all’altro, e quella sarebbe stata la fine.
Nairuj incitava il suo icneumone. Ormai era così vicina che Ead riusciva a distinguere i suoi occhi color ocra, la linea severa della bocca. Non lesse odio nel suo sguardo. Solo pura, gelida risolutezza. Lo sguardo del cacciatore che bracca la preda. Sollevò l’arco mirando ad Aralaq.
Fu in quel momento che le fiamme divamparono nella steppa.
L’esplosione di luce per poco non accecò Ead quando l’albero più vicino prese fuoco. La ragazza sollevò lo sguardo per individuarne la fonte e Loth lanciò un grido indistinto. Si ritrovarono circondati da ombre… ombre alate con code sferzanti.
Viverne. Dopo secoli di letargo, la fame doveva averle stanate dai Piccoli Colli. Fu un attimo, e la freccia di Ead trapassò l’occhio della più vicina. Con uno strepito agghiacciante la creatura precipitò nell’erba mancando per un soffio il gruppo di Dame Rosse, che si divise per schivarla.
Tre si fermarono ad affrontare le viverne, mentre Nairuj e un’altra continuarono l’inseguimento. Quando una bestia scheletrica piombò su di loro parandoglisi davanti, Aralaq inciampò. Ead piegò il busto, col cuore che le pulsava in gola per paura che la viverna l’avesse morso. Invece no, una freccia l’aveva colpito al fianco.
«Puoi farcela» gli disse in selinyi. «Aralaq, continua a correre. Continua…»
Piombò giù dal cielo un’altra viverna che finì dritta contro la chioma dell’albero di fronte. Quando il tronco si divelse con un tremendo scricchiolio di radici, Aralaq scartò di lato riuscendo a evitarlo. Ead sentì la puzza di zolfo della viverna, il suo prolungato rantolo di morte.
Una delle sorelle si avvicinava, in groppa a un icneumone nero dalle zanne lunghe come coltelli.
Si accorsero tutti della viverna un attimo troppo tardi. Una pioggia di fuoco scese dal cielo circondando la Dama Rossa e incendiandole il mantello. Per spegnere le fiamme, la donna si rotolò a terra: il fuoco divampò tra l’erba fino ad Aralaq. Ead allungò la mano.
L’incantesimo trattenne l’incendio come uno scudo con i colpi di mazza. Loth urlò mentre le fiamme tentavano di avvolgerlo. Strepitando, la viverna cambiò direzione inghiottendo il suo stesso fuoco. Nel frattempo, il caos dilagava tra le Dame Rosse, prese di mira dalle creature che le avevano circondate. Ead si voltò a cercare Nairuj.
L’icneumone bianco era stato ferito e la viverna con le fauci macchiate del suo sangue avanzava verso la donna. Senza pensarci due volte, Ead incoccò la sua ultima freccia.
Colpì la creatura dritta al cuore.
Loth la aiutò a risistemarsi sulla sella. Prima che Aralaq sfrecciasse via in mezzo agli alberi e scomparisse nell’ombra, Ead colse Nairuj che la fissava, una mano stretta attorno al ventre.
Puzza di bruciato. Loth le avvolse di nuovo il mantello sulle spalle. Anche quando si allontanarono, le lingue di fuoco nella steppa, scintillanti come gli occhi del Senza Nome, continuarono a essere ben riconoscibili. Ead sentì la testa crollarle in avanti e perse conoscenza.
La svegliò la voce di Loth che chiamava il suo nome. Erba, fuoco e alberi erano scomparsi e al loro posto c’erano case di pietra calcarea. Corvi in cima ai tetti. E quiete. Quiete assoluta.
Nella storia di quella città, il numero dei morti superava di gran lunga quello dei vivi. Una nave dalle vele scolorite e la polena a forma di gabbiano in volo attendeva nel porto… un porto silenzioso, ai margini dell’Occidente. L’alba tingeva il cielo di una delicata sfumatura di rosa e davanti ai loro occhi si apriva immensa una nera distesa di acqua salata.
Córvugar.