36

Occidente

Gli usignoli avevano dimenticato come si canta. Ead, sdraiata sulla branda, ascoltava il respiro della regina.

Dall’attacco del wyrm, le capitava spesso di essere travolta da sogni che rievocavano quella notte. La corsa dal Medico di Corte. L’orrido barbiglio che avevano estratto dalla pancia della sovrana. Il sangue. La piccola forma portata via, avvolta nei panni. E Sabran immobile a letto, come dentro una bara.

Un refolo d’aria si insinuò nella Stanza del Baldacchino. Ead si rigirò sulla schiena.

Non era bastato assicurarsi che il dottor Bourn e i suoi assistenti facessero bollire tutto prima di avvicinarsi alla paziente. La ferita si era infiammata, provocando la febbre. Per giorni Sabran era rimasta in bilico tra la vita e la morte… ma non si era arresa. Aveva combattuto con la determinazione di Glorian Cuore Invitto.

Alla fine si era trascinata fuori dalla tomba, devastata nel corpo e nell’anima. Quando finalmente la febbre era scomparsa, il Medico di Corte aveva dichiarato che il barbiglio apparteneva al Grande dell’Ovest. Temendo un possibile contagio di peste, il dottore aveva fatto chiamare una Mentese esperta di anatomia draconica; la diagnosi era troppo tremenda perché la si potesse ripetere ad alta voce.

La regina di Inys non aveva contratto il morbo, ma non avrebbe mai dato alla luce figli vivi.

Un altro spiffero si insinuò nella stanza, convincendo Ead a chiudere la finestra.

Il cielo notturno era punteggiato di stelle, al di sotto delle quali tremolavano le luci di Ascalon. In città c’era di sicuro qualcuno ancora sveglio, intento a supplicare divina protezione dall’essere che ormai tutti chiamavano Wyrm Bianco.

Il popolo non sapeva nulla del tormento che assillava i Duchi Spirituali e le Ancelle del Baldacchino, gli unici, a parte il Medico di Corte, a conoscenza del più pericoloso segreto del mondo.

Alla morte di Sabran Nona si sarebbe estinta l’intera Casata di Berethnet.

Ead spuntò lo stoppino di una candela e la accese di nuovo. Dalla notte del Wyrm Bianco, la paura del buio della regina era molto peggiorata.

Le testimonianze storiche raccolte in varie parti del mondo attestavano l’esistenza di cinque Grandi dell’Ovest; i cinque mostri erano raffigurati sulle pareti delle grotte di Mentendon e nei bestiari compilati dopo l’Era Dolente.

E in base a quelle testimonianze, nessun Grande dell’Ovest aveva gli occhi verdi.

«Ead.»

Si voltò. Sabran era un’ombra dietro i drappi leggeri del baldacchino.

«Maestà?»

«Apri la finestra.»

Ead appoggiò la candela sulla mensola del camino. «Prenderete freddo.»

«Sarò pure sterile» sbottò Sabran «ma finché respiro sono ancora la tua regina. Fa’ ciò che ti ordino.»

«Siete ancora convalescente. Se un raffreddore dovesse uccidervi, il Primo Funzionario mi farebbe staccare la testa.»

«Accidenti a te, cocciuta sgualdrina. Te la stacco io se non fai come dico.»

«Dubito vi servirà a granché quando avrà salutato per sempre il mio collo.»

Sabran si voltò verso di lei.

«Ti ammazzo.» Aveva i tendini tesi come corde. «Vi odio tutti, corvi presuntuosi. Pensate solo a cosa potete estorcermi. Rendite, terreni, un’erede…» La voce le morì in gola. «Maledetti. Giuro che piuttosto che sorbirmi un’altra goccia della vostra pietà mi butto dalla Torre Alabastrina.»

«Basta così» la riprese Ead. «Non siete una bambina. Smettetela di piangervi addosso.»

«Apri la finestra.»

«Alzatevi e apritevela da sola.»

Sabran sbuffò fuori una risatina crudele. «Potrei mandarti al rogo per la tua insolenza.»

«Danzerei sulla pira, se servisse a farvi alzare dal letto.»

Risuonò il rintocco della campana. Con un brivido, Sabran si abbandonò nuovamente sui cuscini.

«Dovevo morire di parto» sussurrò. «Dovevo dare la mia vita in cambio di quella di Glorian.»

I suoi seni avevano prodotto latte per giorni dopo l’aborto, e la pancia non si era ancora sgonfiata del tutto. Per quanto si sforzasse di guarire, il suo stesso corpo riapriva costantemente la ferita.

Ead accese altre due candele. Provava pena per Sabran, una pena così forte da squarciarle il petto, ma non poteva incoraggiare quelle crisi di autocommiserazione. Tutte le Berethnet soffrivano di attacchi del male che gli Inysh chiamavano “atra bile”, periodi di tristezza più o meno riconducibili a un motivo preciso. Carnelian Quinta era passata alla storia col soprannome di Colomba Addolorata, e si diceva che avesse posto fine alle proprie sofferenze gettandosi in un fiume. Per ordine di Combe, le Ancelle del Baldacchino dovevano assicurarsi che Sabran non facesse lo stesso.

Quella notte Ead avrebbe voluto essere una falena per posarsi sulla finestra della Camera del Concilio. Alcuni dei Duchi Spirituali probabilmente erano dell’avviso di non far trapelare il segreto. Vesti imbottite. Un’orfanella coi capelli neri e gli occhi di giada. Certi membri del Concilio avrebbero valutato soluzioni simili, ma la maggior parte di loro non si sarebbe mai piegata all’idea di obbedire a una regina che non avesse sangue Berethnet.

«Ero sicura…» Sabran si portò le mani alla testa. «Il Santo era dalla mia parte. Ho scacciato Fýredel. Perché mi abbandona adesso?»

Ead represse una fitta di senso di colpa. Con il suo incantesimo scudo non aveva fatto altro che alimentare la menzogna.

«Mia signora,» disse «dovete avere fede. È inutile rimuginare su…»

Ma venne interrotta da un’altra risata amara. «Parli come Ros. Non mi serve un’altra Ros.» Sabran strinse i pugni. «Dovrei concentrarmi sulle cose belle. Questo direbbe Ros. E quali sarebbero, Ead? La morte del mio compagno, il mio grembo sterile o il ritorno del Senza Nome?»

Ead si inginocchiò per ravvivare il fuoco.

Sabran ultimamente parlava poco, e quando apriva bocca lo faceva per offendere. Aveva sgridato Roslain perché era troppo silenziosa. Aveva deriso le damigelle d’onore che le servivano i pasti. Aveva urlato a una domestica di sparire dalla sua vista, facendola scoppiare in singhiozzi.

«Sarò l’ultima Berethnet. La rovina della mia casata» gemette, torcendo le lenzuola tra le dita. «È tutta colpa mia. Ho rifiutato la gravidanza troppo a lungo. Ho cercato di evitarla.»

Chinò il capo.

Ead le si avvicinò. Scostò le tende del baldacchino e si sistemò sul bordo del letto. Sabran era seduta storta, rannicchiata attorno al ventre ferito.

«Sono stata egoista. Volevo…» Sospirò. «Ho chiesto a Niclays Roos di prepararmi un elisir, qualcosa che mi mantenesse giovane per sempre sollevandomi dall’obbligo della maternità. E quando non ci è riuscito» aggiunse in un sussurro «l’ho cacciato in Oriente.»

«Sabran…»

«Ho voltato le spalle al Cavaliere di Generosità. Dopo tutto quello che aveva fatto per me, io non ho trovato modo di ricambiarlo neanche una volta.»

«Basta così» disse Ead in tono fermo. «Avevate un pesante fardello da portare, e l’avete fatto con coraggio.»

«È un segno divino.» La regina aveva le guance rigate di lacrime. «Più di mille anni di dinastia. Trentasei sovrane Berethnet hanno donato a Inys legittime eredi. Perché io no?» Si strinse la pancia tra le mani. «Perché è successo tutto questo?»

A queste parole, Ead le sollevò il mento con estrema gentilezza.

«Non è colpa vostra» disse. «Ricordatevelo, Sabran. Voi non avete fatto niente.»

Ma la regina si ritrasse. «Il Concilio delle Virtù tenterà ogni strada, ma i miei sudditi non sono degli sprovveduti» disse. «La verità verrà fuori e una volta che le fondamenta crolleranno, tutta Virtudom andrà in rovina. Nessuno avrà più fede nel Santo. I santuari saranno abbandonati.»

La profezia aveva del vero. Persino Ead sapeva che il crollo di Virtudom avrebbe precipitato il mondo nel caos. In parte era quello il motivo per cui era stata mandata lì: mantenere l’ordine.

Aveva fallito.

«Non c’è posto per me nella corte celeste» proseguì Sabran. «Quando marcirò sottoterra, ciascuno dei Duchi Spirituali rivendicherà il trono, rivalendosi della discendenza dal Seguito.» Esalò l’ennesimo risolino disperato. «Anzi, forse non aspetteranno nemmeno che io sia morta per cominciare a farsi la guerra. Credevano che avessi il potere di tenere il Senza Nome sotto controllo, ma stando così le cose quel potere è destinato a esaurirsi insieme a me.»

«Proprio per questo sarà loro interesse mantenervi il più possibile in salute.» Ead tentò di suonare rassicurante. «Per guadagnare tempo e prepararsi alla sua venuta.»

«In salute, forse, ma non necessariamente sul trono. In questo preciso istante alcuni di loro si staranno chiedendo se non sarebbe meglio muoversi subito: eleggere un nuovo sovrano prima che Fýredel arrivi e ci distrugga.» La regina parlava in tono distaccato. «Alla fine si domanderanno tutti se la storia della mia divinità sia mai stata vera. Io stessa me lo domando.» La mano le scivolò di nuovo sul ventre. «Ho dimostrato di non essere altro che carne.»

Ead scosse il capo.

«Non mi daranno pace finché non avrò nominato uno di loro mio successore. E quando accadrà, gli altri non saranno d’accordo» continuò Sabran imperterrita. «I nobili si schiereranno con i vari pretendenti. Inys si frantumerà e sfruttando la sua debolezza l’Armata Draconica ritornerà. Yscalin è già pronta per darle manforte.» Chiuse gli occhi. «Non ce la faccio, Ead. Non posso assistere alla caduta del reginato.»

Doveva essere sempre stata quella, la sua paura, fin dall’inizio.

«Era così… delicata. Glorian» aggiunse, la voce rotta dal pianto. «Nient’altro che la nervatura di una foglia. L’intreccio fragile dopo che tutto il verde è scomparso.» Aveva lo sguardo perso nel nulla. «Hanno cercato di nascondermela, ma io l’ho vista.»

Un’altra ancella le avrebbe detto che la piccola era al sicuro nella corte celeste. Roslain sarebbe riuscita a dipingerle un quadro di una bimba sorridente dai capelli corvini stretta nell’eterno abbraccio di Galian Berethnet, da qualche parte in un castello nel cielo.

Ead non lo fece. Un’immagine simile non sarebbe stata di alcun conforto a Sabran. Non ancora.

Prese la mano ghiacciata della regina e la strinse tra le sue per riscaldarla. Così, piccola e tremante in quel letto immenso, Sabran assomigliava più a una bambina sperduta che a una sovrana.

«Ead» disse «in quello scrigno c’è un borsellino con delle monete d’oro.» Indicò il forziere che custodiva i gioielli della corona. «Vai in città. Al mercato delle ombre. Vendono un veleno, laggiù, si chiama Pianto delle Vedove.»

Ead si sentì mancare il fiato.

«Non siate sciocca» riuscì solo a bisbigliare.

«Osi dare della sciocca all’ultima Berethnet?»

«Sì, se si comporta come tale.»

«Te lo sto chiedendo» insisté Sabran «non come tua regina, ma come penitente.» L’angoscia la sfigurava, le faceva tremare la mascella. «Non posso vivere sapendo che il mio popolo è destinato alla guerra civile oppure a essere distrutto dal Senza Nome. Non riuscirei a perdonarmelo.» Ritrasse la mano. «Credevo che avresti capito. Che mi avresti aiutata.»

«Capisco più di quanto non sembri.» Le appoggiò delicatamente le dita sulle guance. «Avete provato a diventare di pietra. Scoprire che non siete affatto di pietra non deve spaventarvi. Siete una regina, ma rimanete fatta di carne e sangue.»

Il sorriso di Sabran le spezzò il cuore.

«Essere regina significa proprio questo, Ead» rispose. «Regno e corpo sono una cosa sola.»

«E allora non potete uccidere il corpo in nome del regno.» Ead sostenne il suo sguardo. «Dunque no, Sabran Berethnet. Non andrò a procurarvi il veleno. Né ora né mai.»

Le parole scaturirono da un luogo che tentava di tenere sigillato da tempo. Un luogo segreto dove cresceva una rosa.

Sabran la guardava con un’espressione che Ead non aveva mai visto. Tutta la malinconia era scomparsa, sostituita da un’incuriosita concentrazione. Riusciva a distinguere ogni frammento di verde nelle iridi, le ciglia, le fiamme riflesse nelle pupille. La luce del camino le danzava sulle spalle. Quando Ead ci appoggiò sopra le mani, la regina si abbandonò al suo tocco.

«Ead,» sussurrò «resta con me.»

Lo disse a voce bassissima, ma Ead sentì le parole risuonarle dentro.

Le loro labbra, adesso, erano a un soffio di distanza, e Ead non osava muoversi per paura di rovinare il momento. Si sentiva ardere la pelle, ardere per la vicinanza di Sabran.

La regina le prese il volto tra le mani. Il suo sguardo conteneva una domanda, ma anche la paura di conoscere la risposta.

Quando una ciocca di capelli scuri le sfiorò la clavicola, la mente di Ead corse alla Priora e all’albero delle arance. Pensò a cosa avrebbe detto Chassar sapendo che il sangue le cantava nelle vene per quella ciarlatana, quell’illusa che pregava davanti al sepolcro vuoto della Madre. Una discendente di Galian l’Impostore. Sabran le si fece più vicina, e Ead baciò le labbra della regina di Inys come avrebbe baciato quelle di un’amante.

Il suo corpo era vetro soffiato. Un bocciolo appena dischiuso. Quando Sabran insinuò le labbra tra le sue, Ead comprese con un’intensità mozzafiato che il suo più grande desiderio in tutti quei mesi era stato stringerla a quel modo. Quando era rimasta sdraiata al suo fianco ad ascoltare i suoi segreti. Quando le aveva nascosto la rosa sotto il cuscino. La folgorazione improvvisa le trapassò il cuore.

Rimasero immobili, con le labbra che a malapena si sfioravano.

Il cuore di Ead era troppo veloce, troppo pieno. All’inizio non osò respirare per paura che il più piccolo movimento potesse dividerle, ma poi fu Sabran ad abbracciarla e a pronunciare il suo nome. Sentì sulla pelle il palpito di un cuore che non era il suo. Rapido e leggero come una farfalla.

Si sentì smarrita, si sentì a casa, si sentì confusa. Sull’orlo di un sogno, e contemporaneamente sveglia come non mai. Le sue dita, guidate da un istinto antico, perlustrarono Sabran, ne seguirono le forme. Corsero lungo la cicatrice sulla coscia, tra i capelli, in mezzo ai seni turgidi.

La regina si allontanò per poterla guardare. Ead non colse che un frammento del suo volto illuminato dalle candele, la fronte liscia, gli occhi scuri e risoluti, prima di unirsi di nuovo a lei in un bacio caldo e nuovo, rigenerante come la fiamma di una stella appena nata sulle loro labbra. Erano alveari di luoghi proibiti, intricati e fragili. Ead rabbrividì al tocco della notte.

Sentì sotto i polpastrelli la pelle d’oca di Sabran. La sottoveste le scivolò giù dalle spalle, poi più in basso, fino alle anche, e lei poté seguire il sentiero della sua spina dorsale e accarezzarle l’arco della schiena. La baciò sul collo e dietro l’orecchio, finché Sabran sussurrò il suo nome e spinse indietro la testa offrendole l’incavo della gola, che la luna riempiva di un lattiginoso biancore.

Il silenzio nella Stanza del Baldacchino era immenso. Immensa era la notte e tutte le sue stelle. Ead sentì ogni fruscio di seta, ogni impronta delle mani sulle lenzuola o sulla pelle. Respiravano piano, aspettandosi da un momento all’altro un intruso che bussava alla porta, una chiave che girava nella toppa, la luce di una torcia invadente che svelava il loro abbraccio. La fiamma dello scandalo si sarebbe trasformata in un incendio e il fuoco le avrebbe divorate entrambe.

Ma Ead era amica delle fiamme e pur di trascorrere un’unica notte insieme a Sabran Berethnet era pronta a tuffarsi dritta nella fornace. Che entrassero pure, con le loro torce e le loro spade.

Che entrassero pure.

Ornamento di separazione

Qualche ora dopo giacevano sdraiate in un raggio di luna rossa. Per la prima volta da chissà quanti anni, la regina di Inys si era addormentata senza candele accese.

Ead fissava il baldacchino. Aveva capito una cosa, e quell’unico pensiero assorbiva tutti gli altri.

Qualunque fosse il desiderio del Priorato, non avrebbe mai potuto abbandonare Sabran.

La regina si mosse, immersa nelle profondità del sonno, e Ead inalò il suo profumo. Silene e lillà, uniti ai chiodi di garofano del pomo d’ambra. Immaginò di scappare con lei alla Laguna del Latte, il luogo fatato dove il suo nome non avrebbe potuto raggiungerla.

Impossibile.

Ornamento di separazione

La Stanza del Baldacchino era immersa nella luce. Poco per volta, Ead si riappropriò della consapevolezza del proprio corpo, e di quello di Sabran. Un’aureola di capelli neri sul cuscino. Pelle su pelle su pelle. I raggi del sole non avevano ancora raggiunto il letto, ma già percepiva il loro calore.

Non provava alcun rimorso. Si sentiva confusa, certo, e centinaia di uccellini le si agitavano nella pancia, ma tornando indietro avrebbe rifatto tutto.

Qualcuno bussò alla porta, come un nuvolone nero che oscurava il sole.

«Maestà.»

Katryen.

Sabran sollevò la testa. Con gli occhi ancora gonfi di sonno guardò prima Ead e poi la porta.

«Cosa vuoi, Kate?» chiese con voce impastata.

«Mi chiedevo se non voleste farvi un bagno stamani. La notte è stata fredda.»

Era da due giorni che provava a convincerla a uscire di lì. «Prepara il bagno» rispose Sabran. «Ti chiamerà Ead quando sarò pronta.»

«Sì, mia signora.»

Rumore di passi che si allontanavano. Sabran si voltò, puntando su Ead uno sguardo incerto. Il sole ormai era alto, e nella sua luce si studiarono a vicenda come due sconosciute.

«Ead,» bisbigliò Sabran con dolcezza «non sentirti obbligata a dormire ancora con me.» Lentamente si mise a sedere. «Quanto è accaduto stanotte esula dai compiti delle Ancelle del Baldacchino.»

Ead aggrottò le sopracciglia. «Pensi che mi sentissi obbligata?»

La regina raccolse le ginocchia al petto, evitando il suo sguardo. L’irritazione spinse Ead giù dal letto.

«Ti sbagli, mia signora» mormorò. Mise la camicia da notte e recuperò il mantello dalla sedia. «Ora devi alzarti. Kate aspetta.»

Sabran guardava fuori dalla finestra: nel sole, le sue iridi erano del pallido verde del berillo.

«Per una regina è quasi impossibile distinguere la compiacenza da ciò che viene dal cuore.» Gli occhi di berillo cercarono i suoi. «Dimmi la verità, Ead. Volevi davvero giacere con me, o è stato il mio ruolo a costringerti?»

I capelli le ricadevano tutti aggrovigliati sulle spalle. Ead si addolcì.

«Sciocca» disse. «Né tu né nessun altro potreste costringermi a fare una cosa simile. Non ti ho sempre detto la verità?»

Sabran parve rincuorata da quelle parole. «Fin troppo» replicò. «Sei stata l’unica.»

Ead si chinò per baciarle la fronte, ma la regina le prese il volto tra le mani e premette le labbra contro le sue. Quando si separarono, sul volto di Sabran c’era un sorriso sincero, raro come una rosa del deserto.

«Vieni.» Ead le avvolse il mantello attorno alle spalle. «Quest’oggi voglio vederti camminare sotto il sole.»

Ornamento di separazione

A corte, quella mattina, si tornò alla vita. Sabran riunì i Duchi Spirituali nell’Anticamera per mostrar loro che, malgrado le ferite del corpo e dello spirito, era combattiva più che mai. Ordinò di reclutare nuovi soldati, assumere mercenari, destinare più fondi agli ingegneri nella speranza che inventassero armi migliori. Quando i Grandi dell’Ovest fossero tornati, avrebbero trovato Inys pronta al contrattacco.

Da quanto Ead poté intuire, era solo questione di tempo prima che i duchi affrontassero l’argomento di un successore. Guardavano al futuro, adesso, alla guerra con Yscalin e ai due Grandi dell’Ovest in attesa di svegliare e riunire l’Armata Draconica. Non ci sarebbe mai stata un’erede al trono. Il Senza Nome stava arrivando.

Di giorno Ead tornò alle sue mansioni, ma le notti erano di Sabran. Il loro segreto la inebriava come un liquore. Al riparo tra le tende del baldacchino, tutto il resto veniva dimenticato.

Ornamento di separazione

Sabran suonava il virginale nell’Anticamera. Era ancora molto debole, e d’altra parte non c’era molto che potesse fare per occupare il tempo. Il dottor Bourn le aveva proibito di andare a caccia per almeno un anno.

Ead, seduta lì accanto, si godeva la musica. Vicino a lei Roslain e Katryen erano chine sui ricami in assorto silenzio. Preparavano bomboniere con lo stemma reale da spedire ai cittadini per rincuorarli.

«Maestà.»

Si voltarono tutte. Sulla soglia comparve l’armatura ramata di un Cavaliere Protettore, Sir Marke Birchen.

«Buonasera, Sir Marke» lo accolse Sabran.

«La duchessa di Coraggio vi chiede udienza, Maestà. Ha delle carte di stato da farvi firmare.»

«Ma certo.»

Nell’alzarsi in piedi, la regina vacillò pericolosamente e dovette reggersi al virginale.

«Maestà…» Sir Marke si precipitò verso di lei ma Ead, che era più vicina, fu la prima a sorreggerla, imitata subito da Roslain e Katryen.

«Sabran, vi sentite bene?» Roslain le toccò la fronte. «Chiamo il dottor Bourn.»

«No, tranquilla.» Sabran si portò una mano sul diaframma, respirando affannosamente. «Signore, lasciatemi firmare queste carte per Sua Grazia e tornate alle undici per svestirmi.»

Roslain fece una smorfia. «Mi farò accompagnare dal dottore» rispose. «Così potrà almeno darvi un’occhiata. Per favore, Sab.»

Sabran annuì. Il suo sguardo incontrò quello di Ead poco prima che uscissero tutte dalla stanza.

Di norma, la Sala delle Udienze sarebbe stata gremita di cortigiani in spasmodica attesa di sottoporre a Sabran qualche richiesta. Ma adesso tutto taceva, come era stato da quando la regina si era ritirata nei suoi appartamenti. Roslain andò a far visita alla nonna, mentre Katryen tornò a cenare in camera sua. Visto che non aveva fame e sentiva di doversi distrarre dalla preoccupazione per Sabran, Ead si diresse verso la Biblioteca Regia.

Mentre intorno al tavolo si addensava l’oscurità, Ead per la prima volta dopo giorni rifletté sul da farsi.

Doveva dire la verità a Chassar. Se quanto Sabran aveva ipotizzato sul futuro di Inys corrispondeva al vero, avrebbe comunque dovuto rimanere al suo fianco per proteggerla. Doveva comunicarlo a Chassar in persona. Dopo una lunga riflessione accese la candela, intinse la penna nel calamaio e cominciò a scrivere:

Ascalon, Reginato di Inys

Per concessione dell’Ufficio Doganale di Zeedeur

Fine autunno 1005 EC

Eccellenza,

è passato troppo tempo dall’ultima vostra. Senza dubbio l’ottimo lavoro che svolgete alla corte del re Jantar e della regina Saiyma vi terrà molto occupato. Possiamo sperare di vedervi presto a Inys?

La vostra fedele amica e devota servitrice,

Ead Duryan

La indirizzò all’ambasciatore uq-Ispad. Un’innocente richiesta dalla sua devota servitrice.

L’ufficio del Mastro delle Poste era proprio accanto alla biblioteca. Ead lo trovò deserto. Infilò la busta nella cassetta, insieme alle monete per il viaggio via uccello. Se Combe avesse ritenuto la sua lettera inoffensiva, un piccione l’avrebbe recapitata a Zeedeur, e poi un altro all’Ufficio Smistamento di Brygstad. A quel punto, un corriere l’avrebbe portata alle Colombaie e da lì, finalmente, al deserto.

Chassar l’avrebbe letta in inverno inoltrato. La Priora non sarebbe stata contenta della sua richiesta, ma una volta compreso il pericolo l’avrebbe accolta.

Era ormai notte quando Ead uscì dalla Biblioteca Regia, imbattendosi in Sir Tharian Lintley.

«Madonna Duryan,» il cavaliere fece un rapido inchino «buonasera. Speravo di trovarvi qui.»

«Capitano Lintley» lo salutò lei. «Come state?»

«Abbastanza bene» rispose l’uomo, sebbene una ruga di preoccupazione gli solcasse la fronte. «Mi dispiace disturbarvi, Ead, ma Lord Seyton Combe mi ha mandato a prendervi.»

«Lord Seyton.» Il cuore di Ead accelerò. «Sua Maestà mi ha convocata nei suoi appartamenti alle undici.»

«La regina si è già ritirata. Ordini del dottor Bourn.» Lintley si guardò intorno con fare circospetto. «Inoltre… sì, insomma, non credo che fosse una richiesta.»

Ma certo. Il Rapace Notturno non chiedeva mai niente.

«Molto bene» cedette Ead con un sorriso forzato. «Fate strada.»

Il priorato dell’albero delle arance
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