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Occidente

La Festa del Solstizio d’Inverno avrebbe avuto inizio alle sei nella Sala dei Banchetti del Palazzo di Ascalon. Come da tradizione, a seguire ci si sarebbe spostati nella Sala delle Udienze per musica e danze.

Mentre le campane della torre dell’orologio levavano il loro canto, Ead si studiò allo specchio. Indossava un abito di seta azzurro chiarissimo spolverato di perline con il colletto di pizzo bianco.

Ancora per una sera, si sarebbe vestita da cortigiana. Se mai avessero scoperto che aveva accettato un titolo da parte della regina di Inys, le sorelle l’avrebbero definitivamente tacciata di tradimento. Ma per sopravvivere a corte non sembrava esserci altra scelta.

Bussarono alla porta ed entrò Margret in raso color avorio e cintura d’argento, con un attifet tempestato di pietre di luna.

«Sono appena stata da Sabran» disse. «Vuole nominarmi Ancella del Baldacchino.» Posò la candela. «Ho pensato che non avessi voglia di andare alla Sala dei Banchetti da sola.»

«Avevi ragione. Come al solito.» Gli sguardi delle due ragazze si incrociarono nello specchio. «Meg, cosa ti ha detto Loth su di me?»

«Tutto.» Margret le posò le mani sulle spalle. «Sai che il mio patrono è il Cavaliere di Coraggio. Sono convinta che essere coraggiosi significhi anche avere ampie vedute e pensare per noi stessi. Se davvero sei una strega, allora forse le streghe non sono poi così malvagie come si dice.» D’un tratto si fece seria. «Però ho una domanda: preferisci essere chiamata Eadaz?»

«No, ma grazie per avermelo chiesto» rispose lei, commossa. «Puoi chiamarmi Ead, e io continuerò a chiamarti Meg.»

«Molto bene.» Margret la prese a braccetto. «Allora lascia che ti introduca di nuovo a corte, Ead.»

Uno spesso strato di neve ricopriva i gradini. Uomini e donne sbucavano da ogni angolo del palazzo, attratti dalla luce che filtrava dalle finestre della Sala dei Banchetti. Quando entrarono, il ciambellano proclamò: «Lady Margret Beck e madonna Ead Duryan».

Il suo vecchio nome. Il suo nome falso.

La Sala dei Banchetti piombò in un silenzio quasi assoluto. Centinaia di occhi andarono a posarsi sulla strega. Margret le strinse il braccio più forte.

Il tavolo d’onore era vuoto, fatta eccezione per Loth che sedeva alla sinistra del trono. Appena le vide agitò un braccio.

Avanzarono in mezzo alle file di tavoli. Margret prese posto all’altro lato del trono, e Ead accanto a lei. Non era mai stata invitata al tavolo d’onore, solitamente riservato alla regina, ai Duchi Spirituali e ad altri due ospiti di prestigio che ai vecchi tempi erano quasi sempre Loth e Roslain.

«Ho visto ossari più allegri di questa stanza» borbottò Margret. «Hai parlato con Roslain, Loth?»

Loth si voltò verso di loro coprendosi le labbra con la mano.

«Sì» rispose. «Dopo che il tiraossi le ha sistemato la mano.» Parlava a voce bassa. «A quanto pare ci avevi azzeccato, Ead: Crest crede di dover giudicare la moralità delle regine.»

Ead non se ne rallegrò affatto.

«Non sono sicuro del momento in cui sia cominciata la sua follia» proseguì Loth «ma quando la regina Rosarian era ancora viva, una delle sue ancelle ha rivelato a Crest che lei e il capitano Gian Harlowe erano amanti. Da allora Crest ha visto Rosarian come… una meretrice, indegna del ruolo regale. Ha tentato con diverse punizioni, fino a stabilire che non c’era modo di correggerla.»

Dall’espressione sul volto del giovane, Ead capiva che doveva trattarsi di un boccone amaro. Per troppo tempo Loth aveva creduto nel delicato artificio della corte, e ora le foglie tanto ingegnosamente disposte erano volate via rivelando le zanne luccicanti della tagliola.

«Crest diede un primo avvertimento alla regina Rosarian,» continuò Loth con la fronte corrugata «ma lei non troncò la relazione con Harlowe nemmeno…» Lanciò un’occhiata in direzione delle porte. «Nemmeno dopo la nascita di Sab.»

Margret sollevò le sopracciglia. «Dunque Sabran potrebbe essere sua figlia?»

«Ammesso che quanto dice Crest sia vero, ma io credo di sì. Una volta iniziato a parlare sembrava non vedesse l’ora di raccontarmi tutti i dettagli della sua… impresa.»

Un altro segreto da mantenere. Un’altra crepa nel trono di marmo.

«Appena Sabran crebbe abbastanza da poter avere una figlia a sua volta,» disse ancora Loth «Crest si rivolse a re Sigoso. Sapeva che odiava Rosarian per averlo rifiutato, così si fece aiutare a ucciderla sperando che tutta la colpa sarebbe ricaduta su Yscalin.»

«E Crest continua a considerarsi una pia donna devota?» Margret sbuffò. «Dopo aver assassinato una Berethnet?»

«La devozione può trasformare in mostri quanti bramano il potere» osservò Ead. «Gente così distorcerebbe qualsiasi insegnamento solo per giustificare le proprie azioni.»

Ne sapeva qualcosa. Giustiziando Zāla, anche Mita era convinta di agire per conto della Madre.

«A quel punto Crest ha atteso» disse Loth. «Ha atteso di vedere se, rispetto a Rosarian, Sabran sarebbe stata una regina più devota. Ma i primi sentori di ribellione si sono manifestati con il rifiuto della gravidanza. Iniziò a pagare dei sicari a cui affidava il compito di introdursi armati nella Torre della Regina per spaventarla. È proprio come sospettavi, Ead: che i tagliagole venissero scoperti faceva parte del piano. Crest aveva promesso una ricompensa alle loro famiglie.»

«E si è infiltrata nel piano di Truyde per uccidere Lievelyn?» chiese Margret, e Loth annuì. «Ma perché

«Lievelyn commerciava con Seiiki. Almeno, questa è la ragione che mi ha dato. Inoltre temeva per le finanze di Inys… ma penso che il vero problema fosse che Sabran non aveva seguito il suo consiglio riguardo allo sposo ideale. Che cominciasse a farsi influenzare anche da altri.»

«In effetti, Sab dava peso all’opinione di Lievelyn» ammise Margret. «È uscita dal palazzo per la prima volta dopo quattordici anni solo perché lui gliel’ha chiesto.»

«Esatto. Un parvenu immorale con troppo potere. Una volta svolto il suo compito e messa incinta la regina, doveva morire.» Loth scosse il capo. «Quando il medico ha decretato la sterilità di Sabran, Crest ha ottenuto la prova definitiva che discendesse da un seme corrotto, che la Casata di Berethnet non potesse più servire degnamente il Santo. A quel punto ha stabilito che il trono doveva passare agli unici discendenti del Seguito ancora meritevoli. Ovvero i suoi eredi.»

«Una confessione del genere sarà sufficiente a condannarla» intervenne Ead.

Un’ombra di tetra soddisfazione si dipinse sul volto di Loth. «Immagino di sì.»

In quel momento, il ciambellano picchiò a terra il bastone.

«Sua Maestà la regina Sabran!»

L’annuncio ridusse la corte al silenzio. Appena Sabran entrò nel cono di luce delle candele con le armature argentee dei Cavalieri Protettori che scintillavano alle sue spalle, tutti i presenti trattennero il fiato.

Ead non l’aveva mai vista in tanta, maestosa solitudine. Di norma entrava nella Sala dei Banchetti accompagnata dalle ancelle, da Seyton Combe o altre personalità di spicco.

Sulle guance non portava nemmeno un velo di cipria, e a parte l’anello dell’incoronazione non sfoggiava gioielli. Indossava un abito di velluto nero con maniche e corsetto di un grigio lugubre. Chiunque dotato di un briciolo di spirito d’osservazione avrebbe capito che non era incinta.

Il salone si riempì di mormorii confusi. Era usanza che alla prima apparizione pubblica dopo i mesi di ritiro la regina presentasse la figlia in fasce.

Loth si alzò per farla accomodare sul trono. Lei lo occupò solennemente sotto gli occhi della corte.

«Madonna Lidden,» disse poi con voce stentorea «non cantate per noi?»

I Cavalieri Protettori si schierarono dietro il tavolo d’onore. Mai, nemmeno per un attimo, Lintley spostò la mano dall’elsa della spada. I musici di corte attaccarono a suonare e Jillet Lidden cantò.

Dalla Cucina Grande giunsero vassoi d’argento colmi di tutte le pietanze che Inys aveva da offrire nel periodo invernale. Pasticcio di cigno, beccaccia e oca arrostita, stracotto di cervo in salsa al garofano, bottatrice in crosta d’argento e fiocchi di mandorle, cavolo bianco e pastinaca glassata al miele, cozze cotte nel burro e aceto rosso. Nella sala si riprese a conversare, ma nessuno pareva in grado di staccare gli occhi dalla sovrana.

Un paggio riempì i calici di vino di ghiaccio proveniente da Hróth. Ead accettò che le servissero qualche cozza e un pezzo di anatra. Mangiando, lanciò a Sabran un’occhiata di sbieco.

Riconosceva l’espressione sul suo volto: fragilità dietro un muro di forza. Quando la regina avvicinò il calice alla bocca, Ead fu l’unica a notare che le tremavano le mani.

Biscotti, prugne zuccherate, torta speziata con pere e mirtilli, fagottini di pasta ripiena di crema di neve, un dolce bollente alle mele e molte altre prelibatezze seguirono alle portate principali. Quindi, annunciata dal ciambellano, Sabran si alzò; il salone si riempì di un silenzio sepolcrale.

Per qualche secondo la regina rimase muta. Stava eretta, con le mani sulla cintola.

«Miei buoni sudditi,» esclamò alla fine «sappiamo che ultimamente la corte è stata attraversata da una certa inquietudine e che la nostra assenza deve avervi turbati.» In qualche modo, nonostante la voce bassa, riusciva a farsi sentire. «Qualcuno a palazzo cospirava per infrangere lo spirito del sodalizio che ha sempre contraddistinto il popolo di Virtudom.»

Al posto della faccia aveva una porta chiusa. La corte attese la rivelazione.

«Rimarrete sconvolti nell’apprendere che durante la nostra recente malattia uno dei membri del Concilio, deciso a usurpare l’autorità che il Santo ci ha concesso, ci ha confinate nella Torre della Regina.» La sala vibrò di mormorii. «La persona in questione, una donna di stirpe sacra, ha approfittato della nostra assenza per inseguire l’ambizione di sottrarci il trono.»

Ead sentiva le parole rimbombarle nel petto, e sapeva che lo stesso stava accadendo a tutti gli altri nella sala. Nessuno poteva restare indifferente.

«Le sue azioni hanno avuto una conseguenza spaventosa, ed è giusto che la conosciate anche voi.» Sabran si portò una mano al ventre. «Durante questa ordalia… abbiamo perso l’amata bimba che portavamo in grembo.»

Silenzio. Ancora.

E ancora.

Quindi una damigella d’onore si lasciò sfuggire un singhiozzo, e fu come un tuono: l’intera Sala dei Banchetti esplose intorno a lei.

Sabran rimase immobile, di ghiaccio, mentre ovunque risuonavano invocazioni di morte per i responsabili. Il ciambellano batté freneticamente il bastone a terra cercando invano di richiamare la folla all’ordine, quindi Sabran sollevò un braccio.

Il subbuglio cessò all’istante.

«Viviamo in tempi d’incertezza» disse la regina «e non possiamo permetterci di soccombere al dolore. Un’ombra si allunga sul reginato. Le creature draconiche sono sempre più numerose e le loro ali alzano un vento di terrore. Leggiamo la paura sui vostri volti. La leggiamo persino sul nostro.»

Ead studiò la folla. Il discorso faceva presa: offrendo uno spiraglio di vulnerabilità, una crepa sottile nella sua corazza, Sabran dimostrava di essere dalla loro parte.

«Ma è soprattutto in tempi come questi che dobbiamo supplicare il Santo di guidarci» proseguì la regina. «Di accogliere i timorosi tra le sue braccia. Di offrirci riparo dietro il suo scudo. Il suo amore è come una spada, ci rende forti. Finché rimarremo uniti nell’Armatura di Virtudom, non potremo essere distrutti.

«Intendiamo rinsaldare con l’amore ciò che la cupidigia ha corrotto. Ora, alla Festa del Solstizio d’Inverno, concediamo il perdono a tutti coloro che sono stati così rapidi nell’obbedire alla loro padrona da trascurare, per fretta o timore, gli obblighi verso la corona. Queste persone non saranno giustiziate. Assaggeranno il balsamo della misericordia.

«Ma non possiamo perdonare la donna che li guidava. È stata la sua brama di potere, oltre che l’abuso di quello che già le era stato concesso, a traviare gli altri.» Tutte le teste dei presenti ondeggiarono per esprimere accordo. «Ha disonorato la sua stirpe sacra. Ha denigrato la virtù della sua patrona… giacché l’ipocrisia e la malvagità di Igrain Crest non conoscono giustizia.»

A quel nome, un moto di irrequietezza serpeggiò per i tavoli.

«Con le sue azioni, Igrain Crest ha disonorato non soltanto il Cavaliere di Giustizia, ma anche il Santo benedetto e i suoi discendenti. Per questo, con tutta probabilità sarà giudicata colpevole di alto tradimento.» Sabran si fece il segno della spada, imitata dall’intera corte. «Tutti i Duchi Spirituali stanno per essere interrogati; per quanto la nostra fervente speranza sia che si dimostrino innocenti, ci rimetteremo alle prove.»

Ogni sua parola era il rimbalzo di una pietra su un lago, generava increspature d’emozione. La regina di Inys non poteva lanciare sortilegi, ma quella notte la voce e il portamento l’avevano trasformata in un’incantatrice.

«Uniamoci nell’amore. Nella speranza. E nello sprezzo. Sprezzo per chi vorrebbe distoglierci dai nostri valori. Sprezzo per l’odio draconico. Solleviamoci per affrontare i venti del terrore e, in nome del Santo, rivoltiamoli contro i nostri nemici.» Avanzò sulla pedana del trono. «Non abbiamo ancora un’erede, poiché nostra figlia riposa tra le braccia del Santo… ma la regina è viva più che mai. E, proprio come Glorian Cuore Invitto per il suo popolo, noi per il nostro affronteremo ogni battaglia. Qualunque cosa accada.»

L’ultima frase venne accolta da urla di approvazione. I cortigiani annuivano e gridavano: «Regina Sabran!».

«Dimostreremo al mondo intero» proseguì lei «che nessun wyrm potrà mai piegare il popolo di Virtudom!»

«Virtudom!» riecheggiarono le voci. «Virtudom!»

Ormai erano tutti in piedi, gli occhi accesi da una fanatica adorazione, le coppe strette in pugno.

Sabran aveva condotto i suoi sudditi dagli abissi del terrore alle vette della venerazione.

Aveva la lingua d’oro.

«Ora, con la stessa audacia che abbiamo dimostrato negli scorsi mille anni,» gridò ancora «celebriamo la Festa del Solstizio d’Inverno… e prepariamoci per la primavera, la stagione del cambiamento. La stagione della dolcezza. La stagione della generosità. I suoi frutti non saranno messi da parte ma distribuiti a tutti voi.» Afferrò il calice dal tavolo e lo sollevò in un brindisi. «A Virtudom!»

«VIRTUDOM!» ruggì in tutta risposta la corte. «VIRTUDOM! VIRTUDOM!»

Le voci riempirono il salone come musica, levandosi fino alle travi del soffitto.

Ornamento di separazione

I festeggiamenti si protrassero fino a tarda notte. Fuori erano stati accesi i falò, ma i cortigiani sembravano ben felici di trattenersi nella Sala delle Udienze con Sabran seduta sul trono di marmo e le fiamme che ruggivano nell’immenso camino. Ead e Margret stavano in piedi in un angolo.

Mentre sorseggiava il suo vino speziato, Ead con la coda dell’occhio colse un lampo rosso. D’istinto portò la mano al coltello nascosto nel corsetto.

«Ead.» Margret le sfiorò il gomito. «Che succede?»

Capelli rossi. I capelli rossi di un ambasciatore mentese, non un mantello… eppure Ead non riusciva a calmarsi. Le sorelle sarebbero arrivate, prima o poi, attendevano solo il momento giusto.

«Niente. Perdonami» rispose Ead. «Cosa dicevi?»

«Dimmi che problema c’è.»

«Nulla in cui ti piacerebbe immischiarti, Meg.»

«Non mi stavo immischiando. Oh be’, forse sì» ammise Margret. «Ma a corte bisogna essere un po’ invadenti o si finisce per non avere niente di cui parlare.»

Ead sorrise. «Sei pronta ad andare a Betulladorata domani?»

«Sì. La nave parte all’alba.» Margret fece una pausa prima di aggiungere: «Ead, immagino che tu non sia riuscita a riportare a casa Valour».

Nei suoi occhi brillava una scintilla di speranza. «L’ho lasciato in una tenuta di Passo Harmur da una famiglia ersyri di cui mi fido» disse Ead. «Non poteva venire con me nel deserto. Ma lo riavrai, promesso.»

«Grazie.»

Qualcuno, passando accanto a Margret, le toccò la spalla: Katryen Withy, in abito di seta cangiante e capelli ornati d’argento e perle.

«Kate.» Margret la abbracciò. «Kate, come stai?»

«Sono stata peggio.» Katryen la baciò sulle guance prima di voltarsi verso Ead. «Oh, Ead, sono così felice che tu sia tornata.»

«Katryen.» Ead la osservò con attenzione: un’ombra livida sotto l’occhio, la mandibola gonfia. «Cosa ti è successo?»

«Volevo andare da Sabran.» Si sfiorò la guancia con cautela. «Crest mi ha fatta chiudere in camera e quando ho provato a oppormi la sua guardia mi ha ridotta così.»

Margret scosse il capo. «Se quella tiranna fosse riuscita a prendere il trono…»

«Ringraziando la Donzella, non accadrà mai.»

Sabran, che fino ad allora aveva conversato fitto con Loth, si alzò in piedi; il salone piombò nel silenzio. Per chi si era dimostrato leale alla regina era giunto il momento della ricompensa.

Anche se breve, la cerimonia fu emozionante. Innanzitutto Margret venne nominata Ancella del Baldacchino e i Cavalieri Protettori ricevettero un encomio formale per la loro incrollabile fedeltà alla corona. A coloro che li avevano sostenuti furono concesse terre e ricchezze, dopodiché…

«Madonna Ead Duryan.»

Ead si fece largo tra la folla, accompagnata a ogni passo da un seguito di occhiate e bisbigli.

«Per grazia delle Sei Virtù» dichiarò il ciambellano «Sua Maestà è lieta di nominarvi dama Eadaz uq-Nāra, viscontessa di Nurtha. Membro del Concilio delle Virtù.»

La Sala delle Udienze risuonò di mormorii; a Inys quello di viscontessa era un titolo onorario impiegato per innalzare il rango di chi non poteva vantare nobili origini o sangue sacro. Mai, in nessuna occasione, era stato conferito a una straniera.

Sabran prese la spada cerimoniale che Loth le porgeva. Ead attese immobile che la lama le sfiorasse entrambe le spalle. Agli occhi delle sorelle quel secondo titolo sarebbe stato la definitiva conferma del suo tradimento… ma l’avrebbe sopportato, se l’avesse protetta fino al ritrovamento di Ascalon.

«Alzati, mia signora» ordinò Sabran.

Ead obbedì fissandola negli occhi.

«Grazie, Maestà.» L’inchino fu rapido.

Il ciambellano le consegnò le lettere patenti. Mentre tornava da Margret, la accolsero alcuni “mia signora” pronunciati a mezza bocca.

Non sarebbe più stata madonna Duryan.

Rimaneva un’ultima onorificenza da assegnare: per il coraggio dimostrato, Sir Tharian Lintley, le cui origini non erano più altolocate di quelle di Ead, avrebbe ricevuto una nuova nomina, diventando visconte Morwe.

«Ora, Lord Morwe,» disse Sabran in tono malizioso appena Lintley ebbe ottenuto il riconoscimento «riteniamo che tu sia nella posizione adatta per sposare la figlia di un Duca Provinciale. Dicci, ti prego… hai già qualcuno in mente?»

Risero tutti; ne avevano un gran bisogno.

Lintley deglutì. Aveva l’aria di un uomo cui siano appena stati esauditi in un colpo solo i desideri di una vita intera.

«Sì.» Scrutò tra la gente. «Sì, Maestà, in effetti sì. Ma preferirei prima parlarne in privato alla fanciulla. Per essere certo dei suoi sentimenti.»

Margret, che fino ad allora l’aveva osservato a denti stretti, levò un sopracciglio.

«Avete parlato fin troppo, Sir Tharian» gridò. «È il momento di passare all’azione.»

Altre risate. Lintley sorrise imbarazzato, e Meg lo stesso. Con la luce delle candele che le danzava negli occhi, attraversò la sala per prendergli la mano tesa.

«Maestà,» disse Lintley «domando il vostro permesso e quello del Cavaliere di Sodalizio per prendere questa donna come compagna fino alla fine dei miei giorni.» Il modo in cui la fissava… come un’alba dopo anni di notte. «Per amarla come merita.»

Margret guardò nervosamente verso il trono, ma Sabran aveva già fatto un cenno d’assenso.

«Permesso accordato» disse. «Con immenso piacere.»

La Sala delle Udienze risuonò di ovazioni. Con grande gioia di Ead, anche Loth applaudiva insieme agli altri.

«E ora» riprese Sabran «una danza pare d’obbligo.» Rivolse un cenno ai musicisti. «Forza, suonate la Pavana del Re Tritone

Questa volta l’applauso fu fragoroso. Lintley bisbigliò qualcosa all’orecchio di Margret che sorrise e gli diede un bacio sulla guancia. Mentre i ballerini si disponevano ai loro posti, Loth scese dallo scranno e si inchinò davanti a Ead.

«Viscontessa,» disse con finta solennità «mi fareste l’onore di un ballo?»

«Volentieri, mio signore.» Ead prese la mano dell’amico e si lasciò condurre al centro della sala. «Allora, che ne pensi?» chiese poi, notando che guardava in direzione di Margret.

«Sono contento. Lintley è un brav’uomo.»

La Pavana del Re Tritone iniziava tranquilla, come l’oceano in una giornata serena che, poco per volta, al crescere della musica, si ingrossava. Era una danza complessa, ma Ead e Loth la conoscevano bene.

«Quando arriverete a Betulladorata i miei genitori avranno già appreso la novità» disse Loth mentre saltellavano in mezzo alle altre coppie. «La mamma farà ancora più fatica ad accettare che io non sia ancora fidanzato.»

«Credo che il sollievo di saperti vivo supererà tutto il resto» replicò Ead. «E poi, chi l’ha detto che tu voglia per forza sposarti?»

«In qualità di conte di Betulladorata ci si aspetta che lo faccia. Io stesso ho sempre desiderato una compagna.» Loth abbassò lo sguardo sul volto di lei. «E tu?»

«Io.» Ead volteggiò verso destra, trascinandolo con sé. «Mi stai chiedendo se avrò mai un compagno?»

«Non puoi tornare a casa, ma forse potresti… farti una vita qui. Con qualcuno, sì.» Le rivolse uno sguardo tenero. «Sempre che tu non l’abbia già fatto.»

Ead provò una stretta al cuore.

Si separarono un attimo per formare una girandola insieme agli altri ballerini. Appena si ricongiunsero, Loth aggiunse: «Me l’ha detto Crest. Suppongo che l’abbia saputo dal Rapace Notturno».

Parlarne ad alta voce poteva essere pericoloso, Loth lo sapeva bene.

«Non me l’hai taciuto perché temevi che ti avrei giudicata, spero» mormorò. Fecero entrambi una piroetta. «Sei la mia più cara amica. Desidero solo che tu sia felice.»

«Anche se è un affronto al Cavaliere di Sodalizio.» Ead sollevò le sopracciglia. «Non siamo sposate.»

«Un tempo ne avrei fatto un problema» ammise Loth. «Ma ora so che ci sono cose più importanti.»

Ead sorrise. «Sei davvero cambiato.» Si ripresero per mano via via che la musica diventava più irrequieta. «Non volevo che ti angosciassi per noi. Ti lasci coinvolgere troppo.»

«Sono fatto così» rispose lui. «E poi mi angoscerebbe assai di più l’idea che una mia amica non si fidi di me.» Le strinse la mano. «Per te ci sarò sempre.»

«E io per te» rispose Ead. Sperava tanto che fosse vero.

Mentre la pavana si avviava alla fine, Ead si chiese se, dopo tutto quello che era successo, sarebbero mai tornati a distendersi in totale serenità sotto l’albero di mele, a chiacchierare fino all’alba passandosi il vino. Loth si inchinò, il sorriso che gli increspava la pelle intorno agli occhi, e lei rispose con una riverenza. Quando si voltò, decisa a tornarsene in camera, trovò Sabran ad attenderla.

Rimase a fissarla mentre la pista da ballo si svuotava. Gli occhi di tutta la corte erano puntati su di lei.

«Suonate una danza delle candele, prego» ordinò Sabran.

Gli astanti reagirono con sospiri di pura delizia; da quando Ead si era trasferita a palazzo non aveva mai visto la regina ballare in pubblico. Anni prima, Loth le aveva confidato che Sabran aveva smesso di farlo il giorno in cui era morta sua madre.

Molti cortigiani non conoscevano quel ballo, ma i servitori più anziani, che di certo avevano assistito alle esibizioni della regina Rosarian, presero a staccare le candele dai lampadari, subito imitati dagli altri domestici. Un cero venne consegnato a Sabran, un altro a Ead. Loth, che era lì accanto e non poteva sottrarsi, porse la mano a Katryen.

I musici attaccarono un motivo malinconico e Jillet Lidden iniziò a cantare, accompagnata da tre coristi.

Ead fece una profonda riverenza a Sabran, che rispose allo stesso modo. Persino quel gesto contenuto fece tremare la fiamma.

Quindi cominciò il girotondo. I ballerini reggevano le candele nella mano destra, mentre con il dorso della sinistra si sfioravano appena. Sei giravolte con gli occhi fissi negli occhi, prima che la musica li richiamasse ai lati opposti della fila. Ead volteggiò intorno a Katryen, quindi fece ritorno da Sabran.

La regina era una danzatrice magnifica: i suoi movimenti erano precisi, ma anche fluenti come velluto. Pur non esibendosi davanti alla corte, in quegli anni doveva aver fatto pratica in privato. Piroettava intorno a Ead come la lancetta di un orologio, attirata sempre più vicina a ogni battito del cuore ma senza mai fare un passo fuori tempo. Quando Ead voltò la testa, le loro fronti si incontrarono e le spalle si sfiorarono per un secondo, prima di separarsi nuovamente. Ead si sentì mancare il respiro.

Non si erano mai mostrate così vicine in pubblico. Il profumo di Sabran, il suo momentaneo calore erano una tortura che solo Ead percepiva. Danzò insieme a Loth prima di tornare dalla regina con il sangue che le pulsava nelle orecchie, forte quanto la musica, anzi, più forte.

La danza parve durare in eterno. Ead si smarrì dentro un sogno di voci ossessive, dentro la melodia di flauto, arpa e ciaramella, dentro Sabran, seminascosta nell’oscurità della sala.

Quando la musica terminò, se ne accorse appena. L’unico strumento che udiva era il tamburo che le martellava nel petto. Al silenzio rapito seguì un applauso scrosciante. Sabran mise una mano intorno alla propria fiamma e la spense con un soffio.

«Ci ritiriamo per la notte.» Una damigella d’onore le prese la candela. «Ma invito tutti voi a rimanere e godervi la festa. Buona serata.»

«Arrivederci, Maestà» risposero in coro i cortigiani, salutando la sovrana con inchini e riverenze. Giunta alle porte della Sala delle Udienze Sabran scoccò un’occhiata a Ead.

Era un invito. Ead spense il cero e lo lasciò a un servitore.

Il corsetto iniziò a stringerle mentre una morsa dolce le afferrava lo stomaco. Si trattenne ancora qualche minuto in mezzo alla folla a guardare Loth e Margret che ballavano una gagliarda, quindi uscì dalla Sala delle Udienze. I Cavalieri Protettori la lasciarono passare.

L’Anticamera era fredda e buia. Ead la attraversò ripensando alle note del virginale, poi aprì le porte della Stanza del Baldacchino.

Sabran attendeva accanto al caminetto. Si era tolta tutto tranne bustino e sottoveste.

«Non ti illudere,» disse subito «sono furiosa con te.»

Ead si impietrì sulla soglia.

«Ti ho confessato tutti i miei segreti, Ead.» La sua voce era un sussurro appena udibile. «Mi hai vista come mi vede la notte. Hai visto la vera me.» Pausa. «Sei stata tu a scacciare Fýredel.»

«Sì.»

Sabran chiuse gli occhi.

«Niente nella mia vita era reale. Persino i tentativi di togliermela, quella vita, erano una messinscena creata apposta per influenzarmi e manipolarmi. Ma tu, Ead… credevo fossi diversa. Ho dato a Combe del bugiardo quando è venuto a dirmi che eri una traditrice. Ora invece mi domando se ciò che c’è stato tra noi non fosse tutto parte della recita. Parte del tuo compito

Ead cercò le parole adatte.

«Rispondimi» esclamò Sabran stizzita. «Sono la tua regina.»

«Sarai anche la regina, ma non sei la mia regina. Io non sono una tua suddita, Sabran.» Ead entrò nella stanza e si chiuse le porte alle spalle. «Proprio per questo puoi essere certa che quanto c’è stato tra noi era autentico.»

Sabran fissava le fiamme.

«Ti ho rivelato tutto quello che potevo» insisté Ead. «Una parola di più e sarei stata giustiziata.»

«Mi reputi una tiranna?»

«Ti reputo una sciocca moralista con la testa più dura di un sasso. E non c’è una sola parte di te che cambierei, per nulla al mondo.»

Finalmente Sabran la guardò.

«Dimmi, Eadaz uq-Nāra,» mormorò «il fatto di desiderarti ugualmente mi rende ancora più sciocca?»

Ead percorse i pochi metri che le separavano. «Non più di me, visto quanto ti amo.»

Le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Sabran si perse nel suo sguardo.

Rimasero così, l’una di fronte all’altra, senza quasi toccarsi. Alla fine Sabran le prese le mani e se le portò in vita. Ead gliele fece scivolare sul petto per slacciare il bustino.

Sabran continuava a guardarla. Ead avrebbe voluto trasformare quel momento in un’altra danza delle candele, avrebbe voluto assaporare la lenta ascesa dell’intimità, e d’altra parte aveva troppo bisogno di lei. Le sue dita volteggiarono tra i nastri, che scorsero nei gancetti uno dopo l’altro finché il busto non si aprì e cadde lasciando Sabran in sottoveste. Ead le fece scivolare la seta giù dalle spalle prima di prenderla per i fianchi.

La regina rimase nuda nella luce del camino. Ead si saziò lo sguardo con quelle forme, quei capelli, quelle iridi che parevano accese di luciferine.

Lo spazio tra loro si annullò. Ora toccava a Sabran svestire Ead, che chiuse gli occhi e si lasciò spogliare.

Si strinsero come amanti alla prima notte. Quando Sabran la baciò sul collo, appena sotto la conchiglia dell’orecchio, Ead piegò la testa di lato. Sabran le fece scorrere le dita sulla schiena.

Ead la spinse dolcemente sul letto. Le loro labbra fameliche si congiunsero mentre Sabran sussurrava il suo nome. Sembravano passati secoli dall’ultima volta.

Tra lenzuola e pellicce i corpi si intrecciarono in un groviglio impetuoso e mozzafiato. Ead avvertì un brivido di anticipazione nel riconoscere ogni minuscolo dettaglio della donna che aveva lasciato. Gli zigomi, il naso all’insù. La fronte liscia. Il pilastro della gola con il minuscolo calice alla base. Le fossette gemelle in fondo alla schiena, come impronte lasciate da due polpastrelli. Le labbra di Sabran si insinuarono tra le sue, e Ead le baciò come se non fosse rimasta più nessun’altra speranza al mondo. Come se quell’unico gesto potesse tenere a bada il Senza Nome per tutta l’eternità.

Le loro lingue danzavano la stessa pavana dei fianchi. Ead piegò delicatamente il collo della regina per poterle sfiorare con le labbra le clavicole perfette, i boccioli dei seni. Baciò la pancia, dove il livido era finalmente scomparso. L’unico segno dell’accaduto era una cucitura poco sotto l’ombelico.

Nel frattempo, Sabran le accarezzava il viso. Ead incrociò quello sguardo che l’aveva stregata e che ancora riusciva a ipnotizzarla. Le sue dita indugiarono lungo la cicatrice su una coscia prima di inoltrarsi nella rugiada che la congiungeva alla gemella.

Sabran le rotolò sopra con un sorriso malizioso, il velo dei capelli a oscurare le candele. Ead fece scorrere le mani nel punto in cui la vita si stringeva, quindi le intrecciò le dita dietro la schiena per attirarsela tra le ginocchia.

Il desiderio divampò dentro di lei come un fuoco. Sabran le mise una mano tra le cosce e le poggiò un lieve bacio su ciascun seno.

Forse si trattava di un sogno irrequieto, ma pur di viverlo insieme alla regina Ead era disposta a sfidare il deserto.

Sabran si spinse più in basso. Ead chiuse gli occhi, il respiro imprigionato nel petto. I sensi le si frantumarono in mille schegge per accogliere ogni luminosa percezione. Pelle rovente. Silene e garofano. Quando un polpastrello le sfiorò l’ombelico il suo intero corpo si tese, tremante e imperlato di sudore. Sollevò i fianchi per accogliere le labbra morbide che lentamente seguivano la curva della coscia.

I suoi tendini erano corde di virginale in spasmodica attesa di essere suonate. I sensi di Ead si concentrarono in nuclei sempre più minuscoli, tutti tesi ad accogliere le carezze di Sabran Berethnet, il suo tocco che faceva vibrare le ossa.

«Non sarò la tua regina» bisbigliò Sabran a un millimetro dalla sua pelle «ma sono tua.» Ead spinse le dita in mezzo alla sua chioma scura. «E scoprirai che so anche essere generosa.»

Ornamento di separazione

Presero sonno solo quando furono così spossate e soddisfatte che la stanchezza ebbe la meglio. A un certo punto della notte, il battere della pioggia contro i vetri le svegliò, e allora i loro corpi si cercarono ancora, caldi come le braci nel focolare.

Dopo, rimasero abbracciate sotto le coperte.

«Devi restare qui come Ancella del Baldacchino» mormorò Sabran. «Per questo. Per noi.»

Ead fissava i bassorilievi sul soffitto.

«Posso fingere di essere Lady Nurtha,» rispose «ma sarà sempre una finzione.»

«Lo so.» Sabran puntò lo sguardo nell’oscurità. «Eppure è di una finzione che mi sono innamorata.»

Ead fece di tutto per sbarrare la strada alle parole, ma in un modo o nell’altro quelle di Sabran riuscivano sempre a insinuarsi fino al suo cuore.

Chassar aveva creato il personaggio di Ead Duryan, e lei l’aveva interpretato così bene che tutti ci avevano creduto. Per la prima volta comprese l’entità del proprio tradimento, la confusione in cui doveva aver gettato Sabran.

La regina le prese la mano e cominciò ad accarezzarle il dorso delle dita, fino alla falange con l’anello di pietra di sole.

«Non te l’ho mai visto, questo.»

Ead, che stava scivolando nel dormiveglia, rispose: «È il simbolo del Priorato. L’anello delle sterminatrici».

«Dunque hai sterminato una creatura draconica.»

«Molto tempo fa. Con Jondu, mia sorella. Abbiamo ammazzato una viverna che si era risvegliata tra le Lame degli Dèi.»

«Quanti anni avevi?»

«Quindici.»

Sabran studiò l’anello con attenzione.

«Preferirei non credere alla tua storia su Galian e Cleolind. Per tutta la vita ho rivolto a loro le mie preghiere» mormorò la regina. «Se la tua versione fosse corretta, vorrebbe dire che non li ho mai conosciuti davvero.»

Ead le accarezzò la schiena.

«E mi credi?» chiese. «Sai che non ho prove.»

«Sì, lo so» rispose Sabran. I loro nasi si sfiorarono. «Mi ci vorrà del tempo per scendere a patti con tutto questo… ma non rifiuterò a priori l’idea che Galian Berethnet fosse un uomo come gli altri.»

I respiri della regina si fecero più dolci e per un attimo Ead pensò che si fosse riaddormentata. Ma poi Sabran aggiunse: «La guerra che Fýredel tanto brama mi spaventa». Intrecciò le dita con quelle di Ead. «E anche l’ombra del Senza Nome.»

Ead si limitò a passarle una mano tra i capelli.

«A breve parlerò al popolo. Devono sapere che combatterò l’Armata Draconica e che esiste un piano per sconfiggere la minaccia una volta per tutte. Se riuscirai a trovare la Vera Spada, la mostrerò a tutti. Li rincuorerà.» Sabran alzò lo sguardo. «Sei decisa a sconfiggere il Senza Nome. Ma dopo che cosa farai?»

Ead concesse alle palpebre di chiudersi. Quella era proprio la domanda che aveva cercato in tutti i modi di evitare.

«Il Priorato è nato per combattere il Senza Nome» disse. «Una volta sconfitto lui… immagino che potrò fare ciò che voglio.»

Uno strano silenzio si insinuò tra loro. Rimasero zitte finché Sabran non si fece da parte voltandosi su un fianco.

«Sabran.» Ead non tentò nemmeno di riavvicinarsi. «Cos’hai?»

«Fa caldo.»

Il suo tono era tornato inaccessibile. Visto che continuava a darle la schiena, Ead fece del proprio meglio per addormentarsi. Non poteva pretendere la verità.

Si svegliò che non era ancora l’alba. La regina dormiva al suo fianco, talmente immobile da sembrare morta.

Ead si alzò facendo attenzione a non disturbarla. Quando Sabran si mosse, le diede un bacio sulla fronte. Forse avrebbe dovuto avvertirla che se ne stava andando, ma persino nel sonno sembrava sfinita. Almeno adesso la sapeva al sicuro, circondata da persone che le volevano bene.

Ead lasciò la Stanza del Baldacchino e fece ritorno nei suoi appartamenti, dove si lavò e si vestì. Margret la attendeva nelle stalle in abiti da viaggio, sulla testa un cappello con una piuma di struzzo; sellava un palafreno ancora mezzo addormentato. Quando le sorrise, Ead corse ad abbracciarla.

«Sono così felice per te, Meg Beck.» Le baciò la guancia. «La futura viscontessa Morwe.»

«Avrei preferito che non dovesse diventare visconte per essere considerato degno di chiedermi in sposa, ma così vanno le cose.» Margret si allontanò e le prese le mani. «Ead, mi accompagneresti all’altare?»

«Sarebbe un onore. E ora potrai dare ai tuoi genitori la bella notizia.»

Margret sospirò. Ultimamente suo padre faticava a riconoscere persino i propri figli. «Già. La mamma sarà al settimo cielo.» Si lisciò la giacca color crema. «Come sto?»

«Come Lady Margret Beck. Un modello di stile.»

Margret trasse un bel respiro. «Bene. Con questo cappello avevo paura di sembrare la scema del villaggio.»

Si inoltrarono per le strade ancora sonnolente e attraversarono il Rio Torto sul Ponte dei Supplici, intagliato con le fattezze di tutte le regine Berethnet. Mantenendo un buon passo, sarebbero giunte all’Approdo d’Estate, che serviva le regioni settentrionali di Inys, entro le dieci.

«Il tuo ballo di ieri con Sabran ha scatenato un bel po’ di chiacchiere.» Margret le lanciò un’occhiatina. «Si vocifera che siate amanti.»

«Cosa diresti se fosse così?»

«Direi che potete fare quel che più vi aggrada.»

Di Margret poteva fidarsi, e solo la Madre sapeva quanto sarebbe stato bello avere qualcuno con cui parlare dei sentimenti che provava per la regina… eppure una parte di lei preferiva comunque tenerli segreti, custodire al sicuro le loro ore rubate.

«I pettegolezzi di corte non sono una novità» si limitò quindi a rispondere. «Forza, raccontami i tuoi progetti per il matrimonio. Secondo me il giallo ti donerebbe molto. Che ne pensi?»

Ornamento di separazione

La nebbia mattutina foderava i cortili del Palazzo di Ascalon. La pioggia caduta nella notte si era congelata ricoprendo i sentieri di vetro satinato e riempiendo i davanzali di ghiaccioli.

Loth fissava le rovine della Galleria di Marmo, dove lui e Sabran si erano spesso seduti a chiacchierare per ore. C’era un fascino inquietante nel modo in cui le pietre erano colate a terra come cera fusa.

Nessun fuoco naturale avrebbe potuto scioglierle così; solo qualche orribile rigurgito del Monte dei Lamenti.

«È qui che ho perso mia figlia.»

Loth si voltò. Si stava avvicinando Sabran, il viso rosso per il freddo seminascosto sotto un cappello di pelliccia. I Cavalieri Protettori, tutti in armatura invernale argentata, la seguivano a qualche metro di distanza.

«Le avrei dato il nome più importante della casata: Glorian. Tutte e tre le donne che lo portarono furono grandi regine.» Il suo sguardo era perso nel passato. «Spesso mi chiedo come sarebbe stata. Se quel nome sarebbe stato un fardello o se, al contrario, sarebbe diventata persino più grande delle altre.»

«Io me la immagino impavida e virtuosa, proprio come sua madre.»

Sabran riuscì ad abbozzare un sorriso stanco.

«Aubrecht ti sarebbe piaciuto.» Gli si fermò accanto. «Era onesto e gentile. Come te.»

«Mi dispiace non averlo conosciuto» disse Loth.

Rimasero entrambi ad ammirare il sorgere del sole. Da qualche parte nei cortili, un’allodola levò il suo canto.

«Stamattina ho pregato per Lord Kitston.» Sabran appoggiò il capo sulla spalla di Loth, che la strinse a sé. «Ead non crede che dopo la morte ci attenda Halgalant, e forse ha ragione… ma io sono convinta, e lo sarò sempre, che esista un’altra vita dopo questa. E sono certa che lui l’ha trovata.»

«Devo crederci anch’io.» Loth ripensò alla galleria. A quella tomba desolata. «Grazie, Sab. Davvero.»

«So che la sua morte ti addolora ancora, ed è giusto che sia così,» rispose Sabran «ma non devi lasciare che annebbi il tuo giudizio.»

«Lo so.» Fece un respiro profondo. «Devo vedere Combe.»

«Molto bene. Mi troverai nella Biblioteca Privata, a sbrigare le questioni di stato che sono rimaste in sospeso.»

«Una bella mattinata corroborante.»

«Esatto.» Con un altro mesto sorriso Sabran si avviò verso la Torre della Regina. «Buona giornata, Lord Arteloth.»

«Buona giornata, Maestà.»

Nonostante tutto, era bello essere di nuovo a corte.

Nella Torre dei Sospiri Lord Seyton Combe, gli occhi iniettati di sangue, era avvolto in una coperta a leggere un libro di preghiere. Tremava, e non c’era da stupirsene.

«Lord Arteloth» disse il Rapace Notturno alzandosi quando il carceriere fece entrare Loth. «Che bello rivedervi a palazzo.»

«Mi piacerebbe poter dire lo stesso, Vostra Grazia.»

«Oh, mio signore, non me lo aspetterei di certo. I motivi per cui vi ho allontanato da corte erano buoni, ma non pretendo che li apprezziate.»

Sforzandosi di trattenere le emozioni, Loth si sedette.

«Per il momento, la regina Sabran ha incaricato me di indagare sul tentativo di usurpazione» spiegò. «Dovete dirmi tutto ciò che sapete su Crest.»

Combe tornò ad accomodarsi. Loth aveva sempre trovato qualcosa di inquietante nei suoi occhi.

«All’inizio, quando la regina era costretta a letto,» cominciò Combe «non avevo ragione di sospettare di chi se ne prendeva cura. Lei stessa aveva deciso di non uscire dalla Torre per tenere nascosto l’aborto, e Lady Roslain era disposta ad accudirla durante la malattia. Ma poi, appena madonna Duryan lasciò la capitale…»

«Appena madonna Duryan fuggì dalla capitale» lo corresse Loth. «Temendo per la propria vita. Bandire gli amici della regina a quanto pare è un’abitudine a cui proprio non riuscite a rinunciare, Vostra Grazia.»

«La mia sola abitudine è proteggere la corona, mio signore.»

«Non ci siete riuscito.»

A quelle parole Combe emise un lungo sospiro.

«È vero» disse sfregandosi le ombre scure sotto gli occhi. «È vero, mio signore, non ce l’ho fatta.»

L’avvilimento nel suo tono accese in Loth una involontaria fiammella di compassione.

«Proseguite» lo invitò.

Combe si prese un attimo prima di aggiungere: «Venne da me il dottor Bourn: l’avevano scacciato dalla Torre della Regina. Mi rivelò di temere che Sua Maestà non fosse accudita quanto piuttosto sorvegliata. Lady Igrain e Lady Roslain erano le uniche a potersi avvicinare a lei.

«Già da tempo nutrivo… del disagio nei confronti di Igrain. Una donna pia, ma con qualcosa di impietoso. Non mi convinceva.» Combe si massaggiò le tempie. «L’avevo messa a parte del rapporto di una spia secondo cui Lady Nurtha, come adesso si chiama, si univa carnalmente alla regina. Il suo sguardo cambiò. Alluse alla regina Rosarian, alla sua… condotta matrimoniale.»

Il fulmineo ricordo del ritratto visto a Cárscaro, un ritratto squarciato in un accesso di gelosia furiosa.

«Iniziai a mettere insieme i tasselli, e il quadro completo non mi piaceva per niente» proseguì Combe. «Intuii che il potere della virtù della sua patrona aveva finito per intossicare Igrain; intendeva sostituire la regina con qualcun altro.»

«Roslain.»

Combe annuì. «Il futuro vertice della famiglia Crest. Quando tentai di raggiungere gli appartamenti reali, i valletti mi sbarrarono la strada con la scusa che la regina non era ancora abbastanza in forze per ricevere visite. Me ne andai senza obiettare, ma quella stessa notte, ehm, arrestai il segretario personale di Igrain.

«La duchessa è una donna scaltra, sapeva di non dover tenere nulla di compromettente in ufficio. Il suo segretario, però, sottoposto alla giusta pressione, mi consegnò certi documenti relativi alle sue finanze.» Fece un sorrisetto furbo. «Ho scoperto un flusso di entrate fisse provenienti dal Ducato di Askrdal. Un’ingente somma da Cárscaro, pagata subito dopo la morte della regina madre. Abiti di lusso e gioielli in cambio di favori. Inoltre un bel po’ di corone erano state trasferite dai forzieri di Igrain a quelli di un mercante di nome Tam Atkin, il quale, è emerso, altri non è che il fratellastro di Bess Weald, l’assassina di Lievelyn.»

«La congiura andava avanti da più di dieci anni» intervenne Loth «e voi non vi siete mai accorto di nulla.» Gli tremavano le labbra. «I rapaci hanno la vista acuta. Forse Talpa Notturna sarebbe un soprannome più adatto a qualcuno che, come voi, ha brancolato così a lungo nel buio.»

La risata amara di Combe si trasformò in un attacco di tosse.

«Me lo meriterei» gracchiò. «Sapete, Lord Arteloth, avevo occhi dappertutto, ma non li ho mai puntati sul sangue sacro. Davo per scontata la lealtà degli altri Duchi Spirituali. E così non ho visto.»

I tremori peggioravano.

«Avevo le prove per incastrare Crest» proseguì «ma dovevo muovermi con cautela. Si era asserragliata nella Torre della Regina, e capite bene che ogni offensiva contro di lei metteva a repentaglio la vita di Sua Maestà. Mi sono confrontato con Lady Nelda e Lord Lemand e insieme abbiamo deciso che la soluzione migliore sarebbe stata ritirarsi nelle nostre rispettive tenute e poi fare ritorno con un seguito sufficiente a estinguere il fuoco usurpatore. Per fortuna, mio signore, voi siete arrivato prima evitando così un ben maggiore spargimento di sangue.»

Loth approfittò del silenzio per riflettere. Per quanto odiasse quell’uomo, le sue parole sembravano sincere.

«Mi rendo conto che Igrain ha tentato di impadronirsi del trono subito dopo la fuga di Lady Nurtha da me causata, e che questo, ai vostri occhi, potrebbe farmi sembrare un complice» disse ancora Combe mentre Loth valutava la situazione «ma il Santo mi è testimone: ho sempre agito da uomo onesto. Né ho mai fatto nulla che disonorasse la mia posizione nella corte di Inys.» Il suo sguardo era saldo. «Sarà anche l’ultima delle Berethnet, ma rimane una Berethnet. E io sono convinto che debba regnare ancora a lungo.»

Loth guardò in faccia il responsabile del suo esilio, l’uomo che l’aveva spinto verso una morte quasi certa. Qualcosa nei suoi occhi trasmetteva fiducia, ma Loth non era più il ragazzino ingenuo che era stato prima di partire. Aveva visto troppo.

«Testimonierete contro Crest» domandò alla fine «consegnando le prove che avete raccolto?»

«Sì.»

«E manderete un risarcimento al conte e alla contessa di Fontedimiele?» aggiunse Loth. «Per la perdita del loro unico erede nonché figlio amatissimo Kitston Glade.» Gli si strinse la gola. «L’amico più gentile che sia mai vissuto.»

«Sì, naturalmente.» Combe chinò il capo. «Che il Cavaliere di Giustizia guidi la vostra mano, mio signore. Prego che siate più cortese dei suoi discendenti.»

Il priorato dell’albero delle arance
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