12

Oriente

Le prove dell’acqua si susseguirono come in un lungo sogno. Quando la tempesta si abbatté sulla costa occidentale di Seiiki la maggior parte degli abitanti si rifugiò in casa, ma non i Guardiani dei Mari: da loro ci si aspettava che sopportassero le condizioni atmosferiche peggiori.

«La pioggia è acqua, proprio come noi.» Passando in rassegna le truppe, il Generale dei Mari gridava per sovrastare il frastuono dei tuoni, con i capelli appiccicati al cranio e rivoli di pioggia che gli scendevano sul naso. «Se basta un po’ d’acqua a scoraggiarvi, non sperate di cavalcare un drago o sorvegliare il mare. Questo non è posto per voi.» Alzò ulteriormente la voce: «Vi farete scoraggiare, dunque?».

«No, onorevole generale» urlarono gli apprendisti.

Per fortuna la pioggia era tiepida: Tané era già zuppa.

Le gare di tiro con l’arco e tiro al bersaglio furono abbastanza semplici. Anche sotto il diluvio Tané poteva contare su buona mira e mano ferma. La migliore con l’arco fu Dumusa, che avrebbe centrato il bersaglio anche a occhi chiusi, ma Tané riuscì a guadagnarsi la seconda posizione. Nessuno, inoltre, nemmeno la stessa Dumusa, poté eguagliarla con la pistola, anche se un apprendista della Casa d’Occidente ci andò vicino. Kanperu, il più alto e anziano di tutti: aveva le mandibole talmente contratte da poterci reggere una spada, e mani grandi abbastanza da avvolgere il tronco di un albero.

Poi fu la volta del tiro con l’arco a cavallo: l’obiettivo era colpire sei sfere di vetro appese a una trave. Dumusa non fu precisa come a piedi, e ne centrò solo cinque. Onren, non propriamente un’amante dei cavalli, digrignò i denti per l’intera durata della prova; perse il controllo dello stallone e alla fine mancò metà dei bersagli. Tané riuscì a colpirne cinque, ma un istante prima di ultimare la corsa il cavallo inciampò deviando il suo ultimo lancio e consentendo a Turosa di soffiarle la vittoria.

Più tardi, ricondussero gli animali nelle stalle. «Sei stata sfortunata, plebea» le disse Turosa scivolando giù dalla sella. «Ma credo che certe cose uno le abbia nel sangue. Chissà se prima o poi l’onorevole Generale dei Mari capirà che i cavalieri di draghi sono tali per nascita.»

Mentre passava allo stalliere le redini del cavallo, un purosangue col manto zuppo di pioggia e sudore, Tané fece di tutto per mantenere la calma.

«Ignoralo, Tané» le consigliò Dumusa smontando, i capelli fradici che le sgocciolavano sulle spalle. «L’acqua scorre dentro tutti noi allo stesso modo.»

Turosa fece una smorfia assai poco convinta, ma evitò di rispondere: non discuteva mai con altri discendenti di cavalieri.

Quando se ne fu andato, Tané si inchinò a Dumusa. «Hai un grande talento, onorevole Dumusa» disse. «Spero di diventare un’arciera del tuo livello, un giorno.»

Dumusa restituì l’inchino. «E io mi auguro di raggiungere la tua padronanza con le armi da fuoco, onorevole Tané.»

Uscirono insieme dalle stalle. A Tané era già capitato di parlare con Dumusa, ma rimanere sola con lei le procurava un certo disagio. Si era chiesta spesso come doveva aver vissuto l’altra apprendista, cresciuta dai nonni Miduchi in un sontuoso palazzo di Ginura.

Quando giunsero alla sala dell’addestramento, si sedettero; Tané iniziò a pulire le frecce dal fango. Kanperu, il loro compagno alto e silenzioso, era già lì a smontare e rimontare la pistola d’argento.

Giunse anche Onren, che li trovò tutti assorti nelle varie occupazioni.

«Non credo di aver mai tirato peggio di oggi» dichiarò ad alta voce. Si lisciò all’indietro i capelli fradici. «Voglio trovare un santuario e chiedere al grande Kwiriki di eliminare i cavalli dalla faccia della terra. È da quando sono nata che mi tormentano.»

«Tranquilla» la rassicurò Dumusa senza sollevare lo sguardo dall’arco. «Hai ancora tutto il tempo di mostrare ai Miduchi le tue qualità.»

«Facile per te che il sangue Miduchi ce l’hai già. Voialtri alla fine diventate sempre cavalieri.»

«C’è sempre una possibilità che io sia la prima a cui non succede.»

«Una possibilità» ripeté Onren. «Sai anche tu che non è molto.»

Aveva ancora il ginocchio gonfio per il duello. Avrebbe dovuto impegnarsi moltissimo, se voleva diventare cavaliere.

Kanperu andò a riporre la pistola sulla rastrelliera, quindi, uscendo dalla stanza, rivolse a Onren uno sguardo indecifrabile.

«Ho sentito che l’onorevole Kanperu è un assiduo frequentatore della taverna vicino al mercato» bisbigliò Dumusa a Onren appena l’altro fu fuori portata. «Ci va tutte le sere.»

«E allora?»

«Pensavo che potremmo andare anche noi. Da cavalieri dovremo trascorrere molto tempo insieme, sarà più facile se ci conosciamo meglio. Non siete d’accordo?»

Onren sorrise. «Dumu,» disse «stai cercando di distrarmi perché hai paura che ti surclassi?»

«Sai bene che, a parte il tiro con l’arco, mi surclassi già in tutto.» Dumusa tornò a fissare l’arma. «Forza, ho bisogno di uscire da qui per un paio d’ore.»

«Dovrei proprio riferire al generale della pessima influenza che hai su di noi.» Onren si alzò per stiracchiarsi. «Tu vieni, Tané?»

Tané ci mise un attimo ad accorgersi che la fissavano entrambe, in attesa di una risposta.

Non stavano scherzando. Volevano davvero andare alla taverna, nel bel mezzo delle prove dell’acqua.

«Grazie mille,» disse piano «ma devo allenarmi per la prossima prova.» Fece una pausa. «Non dovresti anche tu prepararti per domani, Onren?»

L’altra sbuffò. «È tutta la vita che mi preparo. Ieri sera mi sono allenata e oggi non mi è servito a niente. No,» concluse «quello che mi serve stasera è qualcosa di forte. Un bel bicchiere, e forse anche un bel…» lanciò un’occhiata a Dumusa. Malgrado gli sforzi per contenersi, scoppiarono a ridere.

Erano impazzite. Nessuno poteva permettersi distrazioni in un momento simile.

«Godetevi la vostra serata, allora» disse Tané alzandosi in piedi. «Buonanotte.»

«Buonanotte, Tané» rispose Onren. Il sorriso era scomparso, sostituito da un’espressione corrucciata. «Cerca di dormire un po’, mi raccomando.»

«Certo.»

Tané attraversò la sala e rimise a posto l’arco. Turosa si stava allenando per il combattimento corpo a corpo; vedendola passare, si picchiò un pugno contro un palmo.

I corridoi erano battuti da un vento denso d’umidità, caldo come il vapore della zuppa appena fatta. Il pavimento lindo scricchiolò sotto le sue suole mentre tornava verso gli alloggi.

Lavò via il sudore e si allenò con la spada, da sola in camera. Alla fine le braccia le si stancarono troppo, e si sentì avvolgere da tanti dubbi striscianti. Era molto strano che durante la prova il cavallo fosse inciampato così, senza alcun motivo. E se Turosa l’avesse ferito apposta per farla perdere?

Si decise quindi a tornare alle stalle e domandare al garzone, il quale tuttavia rispose che non c’era nulla di cui preoccuparsi: il terreno era fradicio, probabile che il cavallo fosse solo scivolato.

Non lasciare che quello stronzetto di Turosa abbia la meglio su di te, aveva detto Susa. Ma la sua voce, adesso, sembrava molto lontana.

Tané trascorse il resto della serata nella sala dell’addestramento, scagliando coltelli contro i fantocci. Solo quando riuscì a colpirli tutti precisamente nell’occhio si concesse di tornare in camera; qui, alla luce tremolante della lampada a olio, iniziò la prima lettera per Susa.

Per ora le prove sono difficili come immaginavo. Oggi il mio cavallo è scivolato, e ne ho pagato il prezzo.

Mi alleno fino allo sfinimento, ma i miei compagni sembrano raggiungere gli stessi risultati senza bisogno di sgobbare tanto. Bevono, fumano e si divertono mentre io non riesco a pensare ad altro che a perfezionarmi. Sono quattordici anni che mi preparo per questo momento, e l’acqua in me non scorre come dovrebbe… ho paura, Susa.

Questi quattordici anni non hanno alcun valore qui. Veniamo giudicati per chi siamo oggi, non per quello che siamo stati.

Consegnò la lettera a un servitore chiedendogli di spedirla a Capo Hisan, quindi si stese a letto ad ascoltare il suono del proprio respiro.

Da fuori veniva il bubolare di un gufo. Dopo qualche minuto si alzò e uscì dalla stanza.

Meglio allenarsi un altro po’.

Ornamento di separazione

Il governatore era un uomo snello, dritto come un fuso, che abitava in una lussuosa villa al centro di Capo Hisan e che, a differenza del Sovrintendente, sapeva sorridere. Aveva i capelli grigi e il volto gentile, ed era noto per la clemenza che riservava ai piccoli criminali.

Purtroppo, avendo infranto la legge principale di Seiiki, Niclays aveva ben poche speranze di passare per un piccolo criminale.

«Dunque,» esordì il governatore «la donna ha condotto lo straniero a casa vostra.»

«Sì» confermò Niclays. Aveva la gola talmente secca che quasi non riusciva a parlare. «Sì, è così, onorevole governatore. Stavo gustando una coppa del vostro ottimo vino seiikinese quando hanno bussato alla mia porta.»

Era rimasto segregato in una stanza per giorni, quanti non lo sapeva: al buio tenere il conto era impossibile. Quando finalmente le guardie l’avevano scortato fuori, si era sentito mancare, convinto che lo stessero portando dritto al patibolo. Invece l’avevano affidato a un dottore, che gli aveva esaminato mani e pupille. Quindi le guardie gli avevano consegnato degli abiti puliti e l’avevano accompagnato dall’ufficiale più potente di quella zona di Seiiki.

«Quindi avete accolto quell’uomo in casa vostra» continuò il governatore. «Pensavate fosse un colono regolare di Orisima?»

Niclays si schiarì la gola. «Io, ehm… no. Conosco tutti a Orisima. Ma lei mi ha minacciato» esclamò, sperando di sembrare abbastanza scosso al ricordo. «Mi… mi ha puntato un coltello alla gola e… ha detto che mi avrebbe ucciso se non avessi accolto lo straniero.»

Panaya gli aveva raccomandato di dire la verità, ma tutte le storie hanno bisogno di un pizzico di infiorettatura.

A tenerlo costantemente sotto controllo c’erano due fanti con le teste coperte da elmi di acciaio assicurati sotto il mento con nastri verdi. Come un sol uomo, fecero scorrere di lato i pannelli della porta per far entrare una coppia di soldati che trascinavano una prigioniera.

«È questa la donna di cui parlate?» chiese il governatore.

I capelli le piovevano disordinatamente sulle spalle, e aveva un occhio violaceo e gonfio. A giudicare dal labbro spaccato della guardia alla sua sinistra, non era un tipo arrendevole. Un gentiluomo, nella situazione di Niclays, avrebbe negato.

«Sì» ammise lui.

La donna gli indirizzò uno sguardo carico d’odio.

«Sì» ripeté il governatore. «Fa la musicista in un teatro di Capo Hisan. Lo stimabile Signore della Guerra certi giorni concede anche al pubblico di Orisima di godersi gli spettacoli degli artisti seiikinesi.» Sollevò le sopracciglia. «Avete mai assistito a una rappresentazione?»

Niclays abbozzò un sorriso stanco. «Di solito preferisco starmene per conto mio.»

«Ottimo» gli ringhiò contro la donna. «Così puoi fotterti tutto da solo, avido bugiardo.»

Una donna in uniforme la colpì. «Zitta.»

Niclays sussultò mentre la prigioniera crollava sul pavimento con le spalle curve, portandosi una mano alla guancia.

«Grazie della conferma.» Il governatore gli porse uno scrittoio portatile laccato. «Lei non ci dirà nulla su come lo straniero è giunto sull’isola. Voi lo sapete?»

Niclays deglutì a fatica: gli sembrava di avere la saliva densa come minestrone.

Maledetta onestà. Per quanto Truyde fosse lontana, non poteva rischiare di coinvolgerla in quella faccenda.

«No» mentì. «Non me l’ha detto.»

Il governatore lo scrutò da sopra le lenti. I suoi occhietti erano cerchiati da ombre scure.

«Sapiente dottor Roos,» disse, intingendo nell’acqua un bastoncino d’inchiostro «ho grande stima di voi, dunque sarò franco. Se non mi darete altre informazioni, dovrò torturare questa poveretta.»

La donna si mise a tremare.

«Non è nostra abitudine adottare questi metodi, se non in circostanze di estrema gravità. Abbiamo prove sufficienti per dimostrare il suo coinvolgimento in una congiura ai danni dell’intera Seiiki. Se ha condotto lei lo straniero a Orisima, deve per forza sapere da dove proviene. Potrebbe essere in combutta con i contrabbandieri, crimine punibile con la morte… o in alternativa sta coprendo qualcun altro, qualcuno che ancora ci sfugge.» Il governatore selezionò un pennello dallo scrittoio. «Se scoprissimo che è solo una pedina, lo stimabile Signore della Guerra potrebbe accordarle la grazia. Siete certo di non sapere chi abbia fatto entrare Sulyard, o quale sia lo scopo del suo viaggio?»

Niclays guardò la donna sul pavimento. Lei lo fissava da dietro i capelli con l’unico occhio ancora aperto.

«Ne sono sicuro.»

Nel momento stesso in cui pronunciò quelle parole, sentì il respiro mozzarglisi come per una sferzata di manganello.

«Portatela nelle segrete» ordinò il governatore. Mentre le guardie la sollevavano, la donna prese ad ansimare in preda al panico. Niclays si accorse solo allora di quanto fosse giovane. Doveva avere la stessa età di Truyde.

Jannart si sarebbe vergognato di lui. Piegò il capo, disgustato da se stesso.

«Vi ringrazio, sapiente dottor Roos» disse il governatore. «Sospettavo che le cose stessero così, ma avevo comunque bisogno di una vostra conferma.»

Il rumore di passi in corridoio si perse in lontananza; il governatore trascorse diversi minuti con la testa china sulla lettera, durante i quali Niclays non osò aprire bocca.

«Il vostro seiikinese è molto buono. So che insegnavate anatomia a Orisima» commentò alla fine il funzionario, facendolo trasalire. «Come avete trovato i nostri studenti?»

Si comportava come se la donna non fosse mai esistita.

«Ho imparato da loro tanto quanto loro da me.» Con quella risposta, peraltro sincera, Niclays si guadagnò un sorriso del governatore. Cogliendo la palla al balzo, aggiunse: «Mi trovo tuttavia gravemente a corto di ingredienti per… altri lavori. L’onorevole Illustre Principe di Mentendon aveva promesso di rifornirmi. Inoltre temo che l’onorevole Sovrintendente di Orisima abbia distrutto gran parte delle strumentazioni in mio possesso».

«L’onorevole Sovrintendente talvolta si rivela fin troppo… zelante.» Il governatore ripose il pennello. «Non potete tornare a Orisima finché questa faccenda non sarà sistemata. Non si deve diffondere la notizia che uno straniero è riuscito a eludere la sorveglianza, ed è necessario escludere la possibilità di un contagio di morbo rosso. Temo che dovrete rimanere agli arresti domiciliari a Ginura mentre le indagini fanno il loro corso.»

Niclays lo fissò.

Non poteva credere alla propria fortuna. Al posto della tortura lo ripagavano con la libertà.

«Ginura» ripeté.

«Solo per qualche settimana. Meglio tenervi al riparo da questa faccenda.»

Niclays intuì che si trattava di una questione diplomatica. Aveva offerto ospitalità a uno straniero, un crimine che qualunque cittadino seiikinese avrebbe pagato con la morte; condannare un colono mentese, tuttavia, avrebbe compromesso la delicata alleanza con la Casata di Lievelyn.

«Certo.» Tentò di sembrare dispiaciuto. «Certo, onorevole governatore. Capisco.»

«Confido che per quando ritornerete sarà tutto risolto. E in cambio mi preoccuperò personalmente di farvi avere gli ingredienti che vi occorrono» disse il governatore. «Ma non una parola su quanto è accaduto.» Gli lanciò uno sguardo penetrante. «Vi sembra una condizione accettabile, sapiente dottor Roos?»

«Assolutamente. Grazie per la vostra generosità.» Niclays esitò. «E Sulyard?»

«Lo straniero è in carcere. Stiamo aspettando di vedere se mostra qualche sintomo del morbo rosso» spiegò il governatore. «Verrà torturato anche lui se non ci dirà chi l’ha fatto arrivare a Seiiki.»

Niclays si inumidì le labbra.

«Forse posso aiutarvi» gli sfuggì, e subito dopo si chiese cosa lo spingesse a invischiarsi ancora più a fondo. «Essendo un confratello di Virtudom potrei far scendere Sulyard a più miti consigli e convincerlo a confessare… se volete, lo incontrerò prima di andarmene.»

Il governatore parve valutare l’offerta.

«Non mi piace usare la violenza se non sono costretto. Magari domani» concesse. «Per ora devo ragguagliare lo stimabile Signore della Guerra della spiacevole situazione in cui ci troviamo.» Quindi tornò a concentrarsi sulla scrittura. «Cercate di riposare stanotte, sapiente dottor Roos.»

Il priorato dell’albero delle arance
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