5

Oriente

Ai nuovi Guardiani dei Mari era stato concesso di trascorrere l’ultimo giorno a Capo Hisan come meglio credevano, e la maggior parte di loro aveva scelto di andare a dire addio agli amici. Alla nona ora della notte sarebbero partiti tutti quanti in palanchino verso la capitale.

La nave che avrebbe portato i savi all’Isola delle Piume invece era già salpata. Sul ponte, tra la folla riunita a salutare la costa di Seiiki, non c’era traccia di Ishari.

La loro amicizia durava da anni. Quando Ishari era stata sul punto di morire per una febbre, Tané l’aveva accudita; al primo sanguinamento di Tané, Ishari era stata come una sorella e le aveva insegnato a fabbricare i tamponi di carta. E adesso rischiavano di non rivedersi mai più. Se solo Ishari si fosse impegnata di più, avesse dedicato più energie all’addestramento, avrebbero potuto entrare nella Guardia insieme.

Ma ora era un’altra l’amica cui Tané doveva pensare. Si fece largo a testa bassa nella confusione di Capo Hisan, dove musici e danzatori si erano radunati per la festa della Chiamata. Un gruppo di bimbi la superò ridendo, gli aquiloni variopinti sospesi sulle loro teste.

Le strade erano gremite di gente che si asciugava il sudore con pezze di lino. Tané scansò un uomo che insisteva per venderle degli amuleti e si riempì i polmoni di fumo d’incenso mescolato all’odore della pioggia sulla pelle sudata e del pesce fresco. Ascoltò i richiami di mercanti e lattonieri, gli squittii di gioia della folla quando un uccellino giallo si mise a cantare.

Poteva essere la sua ultima passeggiata a Capo Hisan, l’unica città che avesse mai conosciuto.

Trasferirsi lì era stato un azzardo fin dall’inizio. Era un luogo pericoloso, pieno di tentazioni che mettevano a dura prova la rettitudine degli apprendisti. C’erano bordelli e taverne, bische e combattimenti tra galli, reclutatori che tentavano di instradare i giovani alla pirateria. Tané si era chiesta più volte se le Case dell’Apprendimento non fossero state costruite tanto vicino alla città apposta per testare la tempra morale dei discepoli.

Giunta nei pressi della locanda, si concesse un sospiro di sollievo. Nessun soldato in vista.

«Chiedo scusa» chiamò tra le sbarre.

Una bambina minuscola si avvicinò al cancello. Quando vide che Tané indossava la tunica azzurra dei Guardiani dei Mari, cadde in ginocchio con la fronte tra le mani.

«Cerco l’onorevole Susa» disse Tané in tono gentile. «Potresti andare a chiamarla?»

La bimba si precipitò dentro la locanda.

Nessuno si era mai inchinato in quel modo davanti a lei, che era nata nel villaggio di Ampiki, all’estremità meridionale dell’isola, da un’umile famiglia di pescatori. Un giorno d’inverno particolarmente ventoso, nel bosco vicino al villaggio era divampato un incendio, che si era esteso al paese inghiottendo quasi tutte le case.

Tané non aveva ricordi dei suoi genitori. Quella volta era uscita per inseguire una farfalla fino alla spiaggia, e aveva scampato così la loro stessa fine. La maggior parte degli orfani e dei trovatelli andava a ingrossare le file della fanteria, ma poiché una santona aveva letto nella farfalla un intervento divino, era stato deciso che Tané avrebbe ricevuto l’istruzione dei cavalieri.

Susa si avvicinò al cancello; indossava una veste di seta a ricami raffinati e i capelli le ondeggiavano sciolti sulle spalle.

«Tané» disse, aprendo il cancello. «Dobbiamo parlare.»

Tané conosceva bene quella ruga sulla fronte dell’amica. Scivolarono dietro la casa, e si ripararono entrambe sotto l’ombrello di Susa.

«Se n’è andato.»

«Il forestiero?» Tané si passò la lingua sulle labbra.

«Sì.» Anche Susa sembrava nervosa, e non lo era mai. «Prima al mercato ho sentito delle voci. Una nave pirata è stata avvistata al largo di Capo Hisan. I soldati hanno setacciato la città in cerca di un carico di contrabbando, ma se ne sono andati a mani vuote.»

«Hanno perquisito le case di Orisima» realizzò all’improvviso Tané. Susa annuì. «E hanno trovato il forestiero?»

«No. Ma non c’è modo di nascondersi laggiù.» Susa lanciò un’occhiata alla strada, la luce delle lanterne riflessa nelle pupille. «Deve aver approfittato di un momento di distrazione dei soldati per fuggire.»

«Nessuno può attraversare il ponte senza che le guardie lo vedano. Deve essere ancora lì.»

«Se riesce a nascondersi così bene, quell’uomo sarà un mezzo fantasma.» Susa strinse le dita intorno al manico dell’ombrello. «Tané, credi ancora che dobbiamo avvertire l’onorevole governatore?»

Era dalla cerimonia che Tané si poneva la stessa domanda.

«Ho detto a Roos che saremmo andate a prenderlo, ma… forse, se rimane a Orisima ancora per un po’, riuscirà a evitare la cattura e a imbarcarsi di nascosto sulla prossima nave per Mentendon» proseguì Susa. «Potrebbero scambiarlo per un semplice colono. Non è più vecchio di noi, Tané, e può darsi che non abbia nemmeno scelto di essere qui. Non mi va di firmare la sua condanna a morte.»

«E allora non facciamolo. Che vada per la sua strada.»

«E il morbo rosso?»

«Non ha sintomi. Se davvero è ancora a Orisima, e non vedo come potrebbe essere altrimenti, il contagio non andrebbe comunque lontano.» Tané abbassò la voce. «Qualunque ulteriore relazione con lui ci esporrebbe troppo, Susa. Tu l’hai condotto in un posto sicuro. Il resto ora è nelle sue mani.»

«Ma se lo trovassero, potrebbe dire di noi» bisbigliò Susa.

«E chi gli crederebbe?»

Susa fece un respiro profondo, e parve rilassarsi un pochino. Squadrò Tané dall’alto in basso.

«A quanto pare ne è valsa la pena.» Le brillavano gli occhi, quando sorrideva così. «La Cerimonia è stata all’altezza dei tuoi sogni?»

Il bisogno di parlarne montava dentro di lei ormai da ore. «Meglio ancora. I draghi erano stupendi» rispose Tané. «Li hai visti?»

«No, dormivo» ammise Susa. Probabilmente aveva passato la notte in bianco. «Quanti cavalieri selezioneranno quest’anno?»

«Dodici. L’onorevole Eterno Imperatore ci ha inviato due grandi guerrieri.»

«Non ho mai visto un drago lacustrino. Sono diversi dai nostri?»

«Hanno il corpo più grosso e un artiglio in più. Cavalcare con loro sarebbe un vero privilegio.» Tané si fece più vicina all’amica sotto l’ombrello. «Devo diventare cavaliere, Susa. Mi sento in colpa a desiderarlo così ardentemente dopo tutte le benedizioni che ho già avuto, ma…»

«È il tuo sogno fin da quando eri piccola. Sei ambiziosa, Tané, non devi fartene una colpa.» Susa rimase un attimo in silenzio. «Hai paura?»

«Certo.»

«Bene. La paura ti aiuterà a combattere. Non lasciare che quello stronzetto di Turosa abbia la meglio su di te, chiunque sia sua madre.» Tané le lanciò uno sguardo di rimprovero, ma poi sorrise. «Dài, ora devi sbrigarti. E ricorda, non importa quanto lontano volerai, io rimarrò per sempre tua amica.»

«Lo stesso vale per me.»

Il cancello della locanda si aprì di scatto, facendole trasalire. «Susa» chiamò la bambina. «Devi rientrare adesso.»

Susa lanciò un’occhiata alla casa. «Devo andare.» Rivolse uno sguardo incerto a Tané. «Vi è concesso ricevere lettere?»

«Vorrei vedere.» Tané non aveva mai sentito di un guardiano che avesse mantenuto amicizie tra i civili, ma sperava che loro due avrebbero costituito un’eccezione. «Ti prego, Susa, sta’ attenta.»

«Sempre.» Il suo sorriso si fece esitante. «Non sentirai troppo la mia mancanza. Una volta lassù, in cima alle nuvole, ti sembreremo tutti insignificanti.»

«Ovunque sarò,» disse Tané «rimarrò al tuo fianco.»

Susa aveva rischiato ogni cosa che aveva per un sogno non suo. Quel genere di amicizia si trovava una sola volta nella vita. A volte mai.

La spazio intorno alle ragazze si addensò di ricordi, e all’improvviso non fu solo la pioggia a rigare le loro guance. Magari Tané sarebbe tornata a Capo Hisan come guardiana della costa orientale, o forse Susa sarebbe andata a trovarla, ma per una volta in vita sua Tané si ritrovò senza certezze. I loro cammini si stavano separando e, a meno che il drago non decidesse il contrario, avrebbero potuto non incontrarsi mai più.

«Qualunque cosa succeda, se qualcuno dovesse associarti al forestiero, vieni di corsa a Ginura» mormorò Tané. «Vieni a cercarmi, Susa. Ti proteggerò per sempre.»

Ornamento di separazione

A Orisima, in una stanza troppo angusta per essere definita laboratorio, Niclays Roos studiava una fiala alla luce tremolante della lanterna. L’etichetta logora recitava: EMATITE. Immergersi anima e corpo nella Grande Opera era la cosa migliore, l’unica che potesse aiutarlo a togliersi il forestiero dalla testa.

Non che l’opera, grande o piccola, stesse dando chissà quali risultati. Era pericolosamente a corto di ingredienti e gli strumenti alchemici a sua disposizione erano vecchi almeno quanto lui, ma prima di richiedere altre scorte voleva concedersi un ultimo tentativo. Il governatore di Capo Hisan era comprensivo, e tuttavia la sua generosità spesso veniva tenuta a freno dal Signore della Guerra, che sembrava a conoscenza di tutto ciò che avveniva a Seiiki.

Il Signore della Guerra era una figura quasi leggendaria. La sua famiglia era salita al potere in seguito al Grande Cordoglio, subito dopo la caduta della Casata imperiale di Noziken. Di lui Niclays sapeva solo che abitava in un castello a Ginura. Ogni anno la vicaria di Orisima veniva scortata lassù dentro un palanchino blindato per rendergli omaggio, offrire doni da Mentendon e riceverne altri in cambio.

Niclays era l’unico abitante dell’avamposto a non essere mai stato invitato ad accompagnarla. I compatrioti mentesi gli riservavano un trattamento civile, ma lui era il solo a trovarsi sull’isola in esilio. Il fatto che nessuno di loro sapesse perché, poi, non bastava a renderglieli più simpatici.

A volte gli veniva voglia di dire la verità, solo per godersi la loro reazione. Rivelare che era lui l’alchimista che era stato capace di convincere la giovane regina di Inys dell’esistenza di un elisir di lunga vita, grazie al quale si sarebbe liberata una volta per tutte del problema del matrimonio e della procreazione. Era lui il farabutto che aveva sperperato il tesoro di Berethnet per finanziare anni e anni di ipotesi, esperimenti e dissolutezza.

Quale orrore avrebbe letto nei loro volti. Quale disgusto per la sua mancanza di virtù. Non avevano idea che persino il giorno del suo arrivo a Inys, dieci anni prima, pur covando nell’intimo un concentrato di dolore e rabbia, in un anfratto nascosto del cuore si manteneva fedele ai principi dell’alchimia. Distillazione, Creazione, Sublimazione: le uniche divinità che avrebbe mai invocato. Non avevano idea che ogni volta che sudava davanti al crogiolo alla ricerca di un modo per restituire il corpo alla gloria della giovinezza, tentava anche di dissolvere la lama di risentimento che gli si era piantata nel fianco. La stessa che alla fine l’aveva distolto dal crogiolo per spingerlo nell’oblio confortante del vino.

Entrambe le imprese si erano rivelate fallimentari. E Sabran gliel’aveva fatta pagare.

Non con la vita, però. Secondo Leovart avrebbe dovuto essere eternamente grato per la cosiddetta misericordia di Sua Ostilità. Certo, Sabran non si era presa la sua testa… ma tutto il resto sì. E adesso eccolo lì, intrappolato ai confini del mondo, circondato da gente che lo disprezzava.

Che chiacchierassero pure. Se l’esperimento avesse funzionato, si sarebbero presentati tutti alla sua porta a mendicare l’elisir. Con la lingua stretta tra i denti, rovesciò l’ematite nel crogiolo.

Neanche fosse stata polvere da sparo! Prima che potesse impedirlo, la sostanza prese a bollire, quindi traboccò, andando a rovesciarsi sul tavolo in una nube di fumo maleodorante.

Niclays sbirciò disperato nel calderone: non era rimasto che un residuo catramoso incrostato sul fondo. Con un sospiro si pulì le lenti dalla fuliggine. Più che all’elisir di lunga vita, la sua creazione assomigliava al contenuto di un vaso da notte.

L’ematite non era la soluzione. E d’altra parte, nulla gli assicurava che quella fosse davvero ematite. Panaya si era fidata della parola di un mercante, e se c’era una cosa per cui i mercanti non erano celebri era proprio l’onestà.

Che se ne vada pure tutto al Senza Nome. Avrebbe rinunciato a quello stupido elisir se ci fosse stato un altro modo di comprarsi il ritorno in Occidente e fuggire una volta per tutte dall’isola.

Non che avesse intenzione di darlo a Sabran, ovvio. Lei poteva pure crepare. Ma qualsiasi regnante ne fosse venuto a conoscenza avrebbe fatto in modo di riportarlo a Mentendon e assicurargli un’esistenza di agi e ricchezze. Da parte sua, Niclays si sarebbe assicurato che Sabran capisse di cosa era capace e, quando lei fosse andata a supplicarlo per un assaggio di eternità, negarglielo sarebbe stato un piacere celestiale.

Ma quel lieto giorno era ancora lontano. Gli sarebbero servite le costose sostanze che i governanti lacustrini ormai morti da tempo avevano adoperato per prolungarsi la vita, come oro, orpimento e piante rare. Anche se la maggior parte di loro, tentando di vivere per sempre, aveva finito per avvelenarsi, c’era la possibilità che le antiche ricette per l’elisir accendessero in lui una scintilla di ispirazione.

Era di nuovo tempo di scrivere a Leovart e chiedergli di blandire il Signore della Guerra con una bella lettera. Solo un principe poteva convincerlo a cedere il suo oro per fonderlo.

Niclays si scolò il tè freddo, sognando di poter bere qualcosa di più forte. La vicaria di Orisima gli aveva impedito di frequentare la birreria, accordandogli due misere coppe di vino a settimana. Le mani gli avevano tremato per mesi.

Tremavano anche ora, ma non per la sete di oblio. Ancora nessuna notizia di Triam Sulyard.

Le campane ripresero a suonare. I Guardiani dei Mari dovevano essere sul punto di partire per la capitale, mentre gli altri apprendisti erano già in viaggio verso l’Isola delle Piume, un territorio impervio sperduto nel Mare Lucente dove erano custoditi secoli di conoscenza sulla stirpe dei draghi. Niclays aveva scritto più volte al governatore di Capo Hisan per chiedergli il permesso di recarsi laggiù, ma le sue richieste erano sempre state duramente respinte. L’Isola delle Piume era interdetta agli stranieri.

Potevano essere proprio i draghi la chiave per la sua opera. Vivevano per migliaia di anni, dunque doveva esserci qualcosa nei loro corpi che li aiutava a rigenerarsi.

Ma non erano più come in passato. I draghi delle leggende orientali possedevano poteri straordinari, come mutare forma o la capacità di realizzare i sogni. L’ultima occasione in cui avevano dato prova di questi doni risaliva agli anni immediatamente successivi al Grande Cordoglio. Quella notte il cielo era stato attraversato da una cometa e mentre tutte le viverne del mondo erano sprofondate nel sonno, i draghi dell’Est si erano ritrovati più forti che mai.

Ma ora il loro potere tornava a vacillare. Eppure vivevano. L’elisir incarnato.

Non che quella teoria fosse di grande aiuto per Niclays. Al contrario, prenderne atto spingeva il suo lavoro in un vicolo cieco. Gli isolani veneravano i loro draghi come dèi e di conseguenza il commercio di qualunque sostanza da loro derivata veniva punito con una morte particolarmente lunga e orrenda. I pirati erano gli unici a correre quel rischio.

Con un mal di testa da far digrignare i denti, Niclays riemerse dal laboratorio. Ebbe appena il tempo di fare un passo sulle stuoie che trasalì.

Triam Sulyard sedeva accanto al focolare, fradicio fino al midollo.

«Per i… gingilli del Santo» esclamò Niclays. «Sulyard!»

Il ragazzo parve risentirsi. «Non dovreste nominare le parti intime del Santo.»

«Chiudi la bocca» lo interruppe Niclays, col cuore che gli scoppiava nel petto. «Parola mia, sei un bastardo fortunato. Se hai scovato una via di fuga da questo posto, dimmela subito.»

«Ho cercato di andarmene» rispose Sulyard. «Pensavo di evitare le guardie uscendo di nascosto, ma ce n’erano altre al cancello, quindi mi sono tuffato in acqua e ho aspettato sotto il ponte che quel cavaliere orientale se ne andasse.»

«Il Sovrintendente non è un cavaliere, idiota.» Niclays non riusciva più a trattenere la frustrazione. «Per il Santo, perché accidenti sei tornato qui? Cosa avrò mai fatto per meritarmi questo? Tu, che ti presenti qui mettendo a repentaglio quella parvenza di vita che mi è rimasta…» Si interruppe. «Anzi, no, non dirmelo.»

Sulyard taceva. Niclays gli passò accanto come una furia e si mise ad armeggiare con il fuoco.

«Dottor Roos,» disse il giovane in tono esitante «coma mai Orisima è così sorvegliata?»

«Perché gli stranieri non possono mettere piede a Seiiki, pena la morte. E a loro volta i Seiikinesi non possono andarsene.» Niclays appese la pentola al gancio sospeso sul focolare. «Ci fanno stare qui per il bene del commercio, per carpire tutto il possibile del sapere mentese e perché il Signore della Guerra possa avere una vaga impressione di ciò che accade al di là dell’Abisso, ma non possiamo uscire da Orisima o diffondere eresie tra i Seiikinesi.»

«Eresie come le Sei Virtù?»

«Esatto. Inoltre, comprensibilmente, accusano i forestieri di diffondere la peste draconica… il morbo rosso, come lo chiamano qui. Se ti fossi preso la briga di informarti prima di venire…»

«Ma se chiedessimo aiuto ci darebbero senza dubbio ascolto» replicò Sulyard convinto. «Anzi, mentre mi nascondevo ho pensato che avrei potuto lasciare che mi trovassero e farmi portare nella capitale.» Non parve notare l’espressione inorridita di Niclays. «Io devo conferire con il Signore della Guerra, dottor Roos. Se solo voleste ascoltare il motivo per cui sono qui…»

«Come ti ho detto,» sbottò Niclays «i tuoi propositi non mi interessano, mastro Sulyard.»

«Ma Virtudom è in pericolo. Il mondo intero è in pericolo» insisté il ragazzo. «La regina Sabran ha bisogno del nostro aiuto.»

«Minacce gravi, eh?» Tentò di non sembrare troppo speranzoso. «Questioni di vita o di morte?»

«Proprio così, dottore. E io conosco il modo di salvarla.»

«La donna più ricca d’Occidente, venerata in tre paesi, ha bisogno che uno scudiero le salvi la vita. Affascinante.» Niclays sospirò. «D’accordo, Sulyard, hai vinto. Come intendi sottrarre la regina Sabran a tale imprecisato pericolo? Illuminami.»

«Intercedendo per lei qui in Oriente» rispose Sulyard, determinato. «Il Signore della Guerra di Seiiki deve inviare i suoi draghi in aiuto di Sua Maestà. Lo convincerò io a farlo. Deve aiutare Virtudom a distruggere le bestie draconiche prima che siano del tutto sveglie. Prima che…»

«Un momento» lo interruppe Niclays. «Stai forse dicendo che vorresti… un’alleanza tra Inys e Seiiki?»

«Non solo tra Inys e Seiiki, dottor Roos. Tra Virtudom e l’Oriente.»

Niclays lasciò alle parole il tempo di cristallizzarsi. Gli tremavano gli angoli della bocca, e mentre Sulyard manteneva un contegno grave e solenne, rovesciò indietro la testa e scoppiò in una sonora risata.

«Oh, splendido, davvero. Magnifico» commentò. Sulyard lo fissava. «Oh, Sulyard. Qui le occasioni per farsi quattro risate sono così poche che devo ringraziarti.»

«Non c’è niente da ridere, dottor Roos» replicò stizzito il ragazzo.

«E invece sì, mio caro. Credi davvero che per revocare il Grand’Editto, una legge in vigore da cinque secoli, basti una parolina gentile? Sei proprio un ragazzino.» Niclays fece un’altra risatina. «E chi ti appoggia in tale gloriosa impresa?»

Sulyard sbuffò. «So che vi prendete gioco di me, signore,» disse «ma non posso permettervi di parlare così della mia signora. Non posso fare il suo nome, ma per lei sarei disposto a dare la vita mille volte. È la luce dei miei occhi, l’aria che respiro, il sole che…»

«D’accordo, d’accordo, ho afferrato il concetto. E non ha voluto accompagnarti a Seiiki?»

«Avevamo stabilito di venirci insieme. Ma quest’inverno, durante una visita a mia madre, ho conosciuto per caso una marinaia di Altarocca che mi ha offerto un posto su una nave diretta qui.» Proseguì il racconto, con le spalle sempre più curve. «Ho inviato a corte un biglietto per la mia amata… e prego che possa capire e perdonarmi.»

Niclays era tagliato fuori dai pettegolezzi di corte ormai da tempo, e la bramosia con cui li ascoltava la diceva lunga sul livello della sua noia. Versò due tazze di tè di salice e si accomodò sulle stuoie con la gamba dolorante tesa davanti a sé. «Immagino che questa dama sia la tua promessa sposa.»

«La mia compagna.» Un sorriso affiorò sulle labbra screpolate del giovane. «Ci siamo scambiati i voti.»

«Con la benedizione di Sabran, suppongo.»

Sulyard avvampò. «Non… non abbiamo chiesto il permesso di Sua Maestà. Nessuno sa di noi.»

Era più coraggioso del previsto. Sabran, a differenza della scomparsa regina madre, che aveva un debole per le belle storie d’amore, puniva duramente i matrimoni clandestini.

«La tua signora deve avere origini davvero umili se tu hai dovuto sposarla in segreto» ponderò Niclays.

«Al contrario! Vanta nobili natali! Ed è dolce quanto il miele più pregiato, bella come una foresta d’autun…»

«Per il Santo, risparmiami. Mi scoppia la testa.» Veniva da chiedersi come Sabran avesse potuto tenerselo intorno senza fargli strappare la lingua. «Quanti anni hai esattamente, Sulyard?»

«Diciotto.»

«Un uomo fatto, dunque. Abbastanza maturo da sapere che non tutti i sogni vanno inseguiti, soprattutto non quelli concepiti tra le lenzuola. Se il Sovrintendente ti avesse trovato, saresti finito dal governatore di Capo Hisan. Non dal Signore della Guerra.» Niclays bevve un sorso di tè. «A questo punto devo chiedertelo, Sulyard. Se sai che la regina Sabran è in pericolo, un pericolo tale da necessitare del soccorso di Seiiki, cosa di cui dubito… allora perché non l’hai avvertita?»

Sulyard esitò.

«Sua Maestà, purtroppo per lei, nutre una profonda sfiducia nei confronti degli orientali» disse alla fine «e gli orientali sono gli unici che possono aiutarci. Anche quando verrà informata della minaccia, cosa che senza dubbio accadrà presto, l’orgoglio le impedirà di chiedere soccorso qui a Est. Se solo potessi parlare a suo nome al Signore della Guerra, Truyde dice che lei potrebbe…»

«Truyde.»

La mano che reggeva la tazza prese a tremare.

«Truyde» ripeté in un sussurro. «Non… non sarà Truyde utt Zeedeur. Figlia di Lord Oscarde.»

Sulyard era pietrificato.

«Dottor Roos,» supplicò, dopo un’agonia di balbettii «deve rimanere un segreto.»

Prima di potersi trattenere, Niclays scoppiò in un’altra risata, questa volta attraversata da una nota di follia.

«Oh, oh,» ululò «sei davvero uno spasso, mastro Sulyard! Prima sposi in segreto la marchesa di Zeedeur, rischiando di distruggerle la reputazione. Quindi la abbandoni e, per finire, ti lasci sfuggire il suo nome davanti a un uomo che conosceva assai bene suo nonno.» Niclays si asciugò le lacrime con la manica, mentre Sulyard sembrava sul punto di svenire. «Ah, te lo meriti tutto il suo amore. Cosa può esserci ancora… hai lasciato la tua adorata in dolce attesa?»

«No, no…» il ragazzo strisciò verso di lui. «Vi imploro, dottor Roos, non denunciate il nostro crimine. Non mi merito il suo amore, però… la amo davvero. Con tutto il cuore.»

Niclays, disgustato, lo allontanò con una pedata. Era un insulto al suo di cuore che Truyde avesse scelto come compagno quel pallido ragazzino inysh.

«Lei non la denuncerò, sta’ pure tranquillo» disse con un sogghigno che parve accrescere l’angoscia di Sulyard. «È l’erede del Ducato di Zeedeur, sangue del Vatten. Speriamo che un giorno sposi qualcuno dotato di spina dorsale.» Il ragazzo tornò al suo posto. «E poi, anche se scrivessi al principe Leovart per informarlo che Lady Truyde ha fatto un matrimonio sconveniente, il viaggio in nave sopra l’Abisso richiederebbe settimane. E per allora lei si sarà già dimenticata della tua esistenza.»

Sulyard, tra i singhiozzi, riuscì a dire: «Il principe Leovart è morto».

L’Illustre Principe di Mentendon. L’unico che avesse mai aiutato Niclays da quand’era a Orisima.

«Il che spiega come mai ignori le mie lettere.» Niclays si portò la tazza alla bocca. «Quando è successo?»

«Meno di un anno fa, dottor Roos. Una viverna ha ridotto in cenere il suo rifugio di caccia.»

La notizia provocò a Niclays una fitta di dolore. La vicaria di Orisima doveva esserne al corrente, e aver deliberatamente scelto di non informarlo.

«Capisco» disse. «E chi governa Mentendon adesso?»

«Il principe Aubrecht.»

Aubrecht. Niclays lo ricordava come un giovanotto schivo, interessato unicamente ai libri di preghiere. Anche se alla morte di suo zio Edvart aveva ormai raggiunto l’età giusta, era stato deciso che il potere sarebbe andato a Leovart, a sua volta zio di Edvart, in modo che potesse mostrare al sensibile Aubrecht la via del governo. Naturalmente, una volta seduto sul trono, Leovart aveva fatto di tutto per non scenderne mai più.

Ma ora Aubrecht occupava il suo posto legittimo. Se intendeva controllare Mentendon, gli sarebbe servita una volontà davvero di ferro.

Prima di trovarsi risucchiato nel vortice dei ricordi, Niclays smise di pensare a casa. Sulyard, il viso ancora chiazzato di rosso, lo stava fissando.

«Sulyard,» disse Niclays «tornatene a casa. Imbarcati di nascosto sulla prossima nave mentese. Torna da Truyde e scappate alla Laguna del Latte, o… ovunque vadano gli innamorati di questi tempi.» Sulyard aprì la bocca, ma lui non gli diede il tempo di replicare. «Fidati di me. Qui ad attenderti c’è solo la morte.»

«Ma il mio compito…»

«Non tutti siamo in grado di portare a termine le nostre Grandi Opere.»

Sulyard sprofondò nel silenzio. Niclays si levò gli occhiali per pulirseli con la manica.

«Non amo la tua regina. Al contrario, francamente la disprezzo.» A quelle parole Sulyard trasalì. «Ma dubito davvero che Sabran vorrebbe vedere uno scudiero diciottenne morire per lei.» La sua voce venne scossa da un tremito. «Devi andartene, Triam. E devi dire a Truyde da parte mia di smetterla di lasciarsi coinvolgere in faccende che potrebbero condurla alla rovina.»

Sulyard abbassò gli occhi.

«Perdonatemi, dottor Roos, ma non posso» disse. «Devo restare.»

Niclays gli lanciò un’occhiata stanca. «E per fare cosa?»

«Troverò il modo di esporre il mio caso al Signore della Guerra… ma senza compromettervi ulteriormente.»

«La tua presenza qui è già abbastanza compromettente da farmi rischiare la testa.»

Sulyard non commentò, ma tenne la mascella serrata. Niclays strinse le labbra.

«Mi sembri un uomo devoto, mastro Sulyard» disse. «Ti consiglio di pregare. Prega che le sentinelle si tengano alla larga da casa mia fino all’arrivo della nave mentese, lasciandoti il tempo di venire a più miti consigli. E chissà, se sopravviviamo ai prossimi giorni potrei persino tornare a pregare anch’io.»

Il priorato dell’albero delle arance
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