Origini dell’opera

Nella primavera del 1951 la casa editrice Hoffmann und Campe pubblica il primo romanzo di Siegfried Lenz Es waren Habichte in der Luft (C’erano sparvieri nell’aria). Il testo era già comparso a puntate tra il 24 ottobre e il 25 novembre 1950 sul quotidiano Die Welt, dove Lenz aveva cominciato a lavorare come praticante nell’agosto 1948. In seguito, da redattore delle pagine culturali, era diventato responsabile anche della serializzazione delle opere di narrativa in uscita sul giornale. Era stato il suo mentore e protettore Willy Haas a dargli l’opportunità di questo prestigioso primo passo.

Il romanzo non passa inosservato e riceve senza eccezioni buona accoglienza da parte della critica. Per questo nel marzo 1951, alla pubblicazione dell’esordio del giovane promettente autore, Rudolf Soelter, il direttore della casa editrice Hoffmann und Campe, non ha difficoltà a firmare con lui un ulteriore contratto per un nuovo romanzo, che ha il titolo di lavorazione ...da gibt’s ein Wiedersehen (…là ci rivedremo).

Siegfried e Liselotte Lenz intanto partono per le vacanze. Il 15 aprile 1951 si imbarcano a Brema sulla motonave Lisboa diretta in Marocco; la rotta tocca Melilla e Tangeri e infine raggiunge Casablanca. I coniugi possono permettersi quel viaggio di molte settimane grazie all’onorario di 3.000 marchi che Die Welt ha versato all’autore per l’anticipazione della sua opera prima; inoltre, Lenz aveva in tasca quel contratto con l’editore per un nuovo romanzo, il che a venticinque anni di età gli lasciava immaginare di poter vivere dell’attività di scrittore.

Subito dopo essere rientrato ad Amburgo, Siegfried Lenz si mette a lavorare al nuovo libro. Il testo – vergato al solito a mano, come avverrà fino alla fine – viene ribattuto a macchina da Lilo Lenz con diverse copie a carta carbone. La prima stesura (Versione I) conta dodici capitoli ed è pronta dopo l’estate del 1951.

La certezza di aver scoperto un giovane autore di valore spinge la casa editrice a inviare già nell’autunno del 1951 il dattiloscritto del romanzo con il titolo di lavorazione …da gibt’s ein Wiedersehen (...là ci rivedremo) ad alcune redazioni di giornali. È probabile che in una fase così prematura e in mancanza di un testo completo mandino solo i primi capitoli, visto che le reazioni della Zeit, della Neue Zeitung di Monaco e della Frankfurter Allgemeine Zeitung si concentrano tutte sulle vicende iniziali con i partigiani (dal capitolo 2 all’8) e non affrontano minimamente la storia del passaggio di fronte.

Resta in ogni modo degno di nota l’accenno al progetto di questo romanzo nell’ampio articolo dedicato dal settimanale Die Zeit l’8 novembre 1951 ai nuovi libri sulla Seconda guerra mondiale. Scrive Paul Hühnerfeld, autore del pezzo: «L’atmosfera della campagna militare in Russia, le bufere di neve in inverno, le case dei paesi sperduti come punti neri nel nulla bianco, il sole cocente in estate, le zanzare, la polvere delle piste per gli aerei, gli spari dei partigiani nascosti sugli alberi... leggendo il romanzo di Siegfried Lenz …da gibt’s ein Wiedersehen, che verrà presto pubblicato dalla casa editrice Hoffmann und Campe di Amburgo, tutto questo ci appare così vicino da soffocarci». Il 10 maggio dello stesso anno Hühnerfeld aveva già recensito per Die Zeit, in maniera succinta ma positiva, Es waren Habichte in der Luft (C’erano sparvieri nell’aria), e già solo per questo sei mesi dopo non aveva dubbi che presto sarebbe davvero uscito per lo stesso editore un nuovo romanzo di Lenz. Hühnerfeld intitola il suo articolo «I pro e i contro della testimonianza. Autori tra resoconto e letteratura. Il dilemma dei libri tedeschi di guerra sul fronte orientale» e si mostra tutto sommato deluso da quella che secondo lui non è niente più che una «descrizione puntuale di che cosa sia la guerra» nei romanzi che ha preso in considerazione. Soltanto nel caso di Lenz riconosce una capacità di evocazione letteraria che va al di là del mero atto descrittivo: «Questo libro non si ripropone di redigere un protocollo, il suo approccio è semmai poetico. Così facendo il suo autore riesce più di tutti gli altri a rendere ciò che è davvero la guerra».

La casa editrice Hoffmann und Campe sottopone il testo alla valutazione di diversi editor e alla fine incarica della cura editoriale della prima stesura il germanista Otto Görner, di Karlsruhe. Si organizza così un incontro che avviene all’incirca nello stesso periodo in cui Die Zeit accenna sulle sue pagine al romanzo non ancora ultimato; il lavoro di editing pertanto inizia dopo la recensione. Görner è colpito dal romanzo «che afferra il lettore alla gola» quanto lo è Paul Hühnerfeld della Zeit. Dopo averlo incontrato di persona ad Amburgo comunica in un’ampia lettera all’autore il suo sostanziale consenso riguardo al nuovo romanzo, proponendo tuttavia da subito alcune correzioni, limature e tagli, e conclude scrivendo: «Sono certo, caro signor Lenz, che prenderà queste mie considerazioni per il verso in cui io le ho intese, e non come pedanterie. Il mio unico intento è di carattere tecnico, artigianale. Colgo qui l’occasione per ringraziarla ancora una volta della nostra piacevole conversazione in casa editrice». (Otto Görner a Siegfried Lenz, 13 novembre 1951).

È probabile che Lenz cominci a rimettere mano alla prima stesura subito dopo l’incontro in casa editrice e la lettera di Görner, portando a termine il lavoro a cavallo del Capodanno 1951-’52. L’autore asciuga la prima parte, quella sui partigiani, accorcia dialoghi e appone qualche correzione qua e là nel corso di una rapida rilettura. Rimaneggia invece più a fondo la seconda parte, quella relativa alla diserzione, riscrive da capo interi capitoli e ne smembra altri (cfr. Testo/Versioni).

Alla fine di questa profonda rielaborazione, Lenz si ritrova con una seconda versione del romanzo che consiste di 16 capitoli. Questa porta in maniera chiara il titolo più volte ventilato di «Il disertore», scritto di pugno dall’autore sulla cartelletta del manoscritto; probabilmente Lenz consegna questa seconda versione (Versione II) all’editore nel gennaio del 1952.

Il quotidiano Neue Zeitung aveva rifiutato di pubblicare un’anticipazione del romanzo già nel novembre del 1951 con una lettera a Otto Görner. Lo stesso fa in seguito anche la Frankfurter Allgemeine Zeitung; il redattore responsabile, Herbert Nette, esprime all’autore il suo rammarico giustificando la decisione con il fatto che sulla Frankfurter è uscito da poco a puntate il romanzo Die Feuerschwelle (La soglia di fuoco) di Rolf Schroers. Nette spiega meglio il rifiuto aggiungendo che il suo giornale «ha pubblicato poco tempo fa un altro romanzo di guerra. Il romanzo di Schroers in effetti è ambientato in Italia, ma anch’esso tra i partigiani. E dunque, per banali motivi di contenuto, nell’immediato futuro non possiamo prendere in considerazione la pubblicazione del Suo romanzo». (Herbert Nette a Siegfried Lenz, 22 gennaio 1952).

A quanto pare gli stessi «motivi di contenuto» di cui scrive la Frankfurter Allgemeine Zeitung portano in quelle settimane la casa editrice a una nuova valutazione del progetto. Sta di fatto che l’atteggiamento all’inizio benigno ancorché pedante dell’editor Görner nei confronti della forza narrativa del testo viene ora sostituito da un profondo scetticismo, espresso in una dettagliata lettera a Lenz. L’impianto generale dello scritto segue chiaramente la falsariga della valutazione che Görner ha redatto per la casa editrice in merito alla revisione del romanzo, ovvero alla sua seconda e conclusiva stesura.

Se nella prima lettera il tono dell’editor era ancora rispettoso nel riconoscere il valore del giovane autore, ora Görner sembra deciso a far pesare tutta la sua autorità su Lenz, che ha la metà dei suoi anni, e allo stesso tempo a dimostrare la sua netta posizione alla casa editrice. Innanzitutto rimprovera all’autore di non aver apportato al testo le modifiche richieste – «come consigliato con fondate argomentazioni». Il che è buon diritto del suo ruolo professionale. Nella parte centrale della lettera, Görner chiarisce in maniera molto più esplicita ciò che intende: «Narrare in maniera avvincente e graziosa non basta. L’autore deve a ogni costo superare gli ostacoli insiti nel suo soggetto. Propongo che ci fornisca innanzitutto la traccia di una nuova versione. Senza di essa, qualsiasi ulteriore lavoro sul testo è privo di senso. L’autore deve impegnarsi una buona volta a riflettere a fondo sulle possibilità insite nel materiale che si è scelto». Sono evidentemente indicazioni rivolte più all’orecchio della casa editrice che a quello dell’autore a cui la lettera è destinata, e che a questo punto si vedrà costretto a prendere atto di aver portato avanti il lavoro sul proprio testo «forse con troppa fiducia nell’atmosfera di amichevole comprensione», come presume Görner.

Si percepisce il panico del collaboratore di casa editrice quando arriva alla questione essenziale che la profonda rielaborazione del manoscritto pone ora in maniera inevitabile: «... e dunque il romanzo dovrebbe proprio avere il titolo Il disertore, il che è impossibile. Un romanzo del genere sarebbe potuto uscire nel 1946. Oggi si sa che nessuno si sogna più di sentirsi tale. [...] In questo modo lei rischia di arrecare un danno enorme a se stesso, e non potranno aiutarla nemmeno i suoi buoni rapporti con giornali e radio. I consigli che le proponiamo non vengono già perché saremmo saccenti accademici, ma perché conosciamo il nostro tempo e gli sviluppi degli eventi e sappiamo esattamente come un romanzo ben iniziato può rovinare in un fallimento letterario».

Insomma, nel clima dell’epoca di Adenauer, con il minaccioso inasprirsi dei rapporti tra potenze occidentali e blocco dell’Est, per Görner è del tutto improponibile un romanzo con protagonisti dei disertori che dalla Wehrmacht passano all’Armata Rossa; pertanto propone a Lenz di rielaborare da capo tutto il materiale e ridefinire i personaggi. Insiste in particolar modo che a Proska venga affiancata una controparte «positiva» che ne bilanci il comportamento facendolo apparire più singolare. E perché qualcosa non vada di nuovo per il verso sbagliato, l’editor scrive: «Si crei una scaletta su come intende far procedere il tutto, e suddivida per bene il materiale. Quindi mandi questa scaletta anche a noi, una cosa di 3-4 pagine, anche solo un elenco di parole chiave o brevi frasi. A quel punto, dopo essersi accordato con noi, traduca questa scaletta in narrazione, seguendola con scrupolo punto per punto».

In quel modo, il romanzo per cui Lenz aveva firmato un contratto era praticamente respinto. E in un misto di minaccia e allusione per niente sottile la casa editrice scrive ancora: «Caro signor Lenz, ora eviti colpi di testa, non compia gesti rabbiosi come mettersi a scrivere un libro del tutto nuovo».

La risposta dell’autore è netta quanto ammirevole nei toni, considerando i tanti mesi che Lenz aveva lavorato a quell’importante secondo romanzo.

Siegfried Lenz

Jsestr. 88

Amburgo 13

Amburgo, 24.1.52

Caro Sig. Görner,

La ringrazio per la Sua lettera esauriente, in merito alla quale desidero scriverLe quanto segue:

Lei trova che la seconda stesura del mio manoscritto non sia ben riuscita. A questo proposito posso solo dire che rispetto in tutti i modi il Suo giudizio.

Lei mi rimprovera di non averci lavorato a sufficienza e di non essermi sforzato di compiere le necessarie riflessioni. Non è affatto così. Personalmente, io di solito devo applicare più sforzi e tormentata pazienza su una sola pagina «di raccordo» che su otto pagine di testo corrente – ed è ciò che ho fatto. Che a Lei la trama da me elaborata appaia troppo poco ragionata – soprattutto in vista di possibili conseguenze dopo la pubblicazione del manoscritto – mi dimostra: che io nello scrivere debbo volgere le spalle all’intuizione; che io nello scrivere ho bisogno di un costante autocontrollo, e infine che io ho iniziato questo manoscritto senza considerare i miei limiti. Il salto oltre l’ostacolo non mi è riuscito né mi riuscirà. Non era un ostacolo costruito per me. Ho riflettuto con grande serietà sulle possibilità offerte dal mio materiale; e ho trovato solo le possibilità che ho poi esplorato, e che a quanto pare non sono ritenute sufficienti.

Lei mi rimprovera di aver abusato della fiducia che mi ha concesso e di aver cercato di prendermi gioco di Lei. Questo rimprovero, lo capirà, mi ferisce profondamente, e sono incline a prenderlo per un’offesa involontaria. Che cosa mai mi sarei dovuto aspettare da un simile comportamento? Del resto Lei si è limitato ad affermare che io avrei cercato di prendermi gioco di Lei senza fornire la spiegazione di come o con quali mezzi io mi sarei adoperato per farlo. Nella sua prima, benevola lettera mi chiedeva di riflettere sui Suoi pensieri circa lo sviluppo della trama, sulla loro plausibilità. Ci ho riflettuto, caro Signor Görner, ma in generale non li ho potuti accettare, perché in parte andavano nella direzione opposta rispetto alle mie possibilità. Non posso credere che Lei veda in questo rigetto per me inevitabile un motivo sufficiente a rimproverarmi di aver tradito la sua fiducia.

Lei mi rimprovera del fatto che la mia rielaborazione non abbia portato quasi a nulla. Io credevo addirittura di aver cambiato, verso il finale, fin troppo del personaggio di Proska. Devo tuttavia ammettere che chi Le scrive vede i riflessi dei suoi personaggi solo da una distanza molto ravvicinata e con molte sfaccettature, come attraverso gli occhi di un insetto.

Lei mi esorta a non compiere gesti rabbiosi. A che pro dovrei compierli, caro Signor Görner, considerato che non potrebbero essermi di alcuna utilità? Ho riflettuto a lungo sulla Sua lettera, l’ho letta e riletta, ci ho anche dormito sopra e desidero dirLe ora con grande serenità e privo di qualsivoglia animosità che non scriverò questo romanzo; e non lo scriverò perché non lo posso scrivere.

Considererò questo lavoro come un indispensabile esercizio, come un allenamento dovuto, che in fin dei conti per un giovane scrittore sono conditio sine qua non. È mia convinzione di aver imparato molte cose che senza questa fatica non avrei imparato. Il guadagno più grande, ancorché difficile da riconoscere, ci viene proprio dai fallimenti. Forse tra uno o due anni mi permetterà di mostrarLe un nuovo manoscritto, un manoscritto migliore e un po’ più maturo.

Frattanto La ringrazio sentitamente per l’incomodo che si è preso, per il Suo interessamento e i molti, buoni consigli.

Con i più cordiali saluti,

S. L.

P. S.

Invio una copia di questa mia anche al Signor Soelter, in considerazione del fatto che Lei mi ha scritto a suo nome.

Alla fine, anche per non deteriorare oltre il rapporto fra l’autore e la casa editrice, ci si accorda informalmente per pubblicare il romanzo come novella, tagliandone l’incriminata «parte del disertore», in una data più propizia ancora da destinarsi. Con il passare del tempo anche questo compromesso di per sé poco promettente finisce nel dimenticatoio: Rudolf Soelter, il direttore della casa editrice Hoffmann und Campe, muore nel 1953, e l’editor Otto Görner due anni dopo. Così Lenz lascia cadere l’intera faccenda, guarda avanti e si dedica a nuovi progetti letterari. Nel 1953 esce il suo romanzo Duell mit dem Schatten (Duello con l’ombra), che da allora è considerato il suo secondo romanzo. Solo due anni più tardi, nel 1955, segue il volume di racconti So zärtlich war Suleyken (Così dolce era Suleyken). Al più tardi l’enorme successo di questo libro fa dimenticare i dissapori tra casa editrice e autore durante la sfortunata collaborazione sul Disertore. Come autore, Siegfried Lenz restò fedele tutta la vita alla casa editrice di Amburgo Hoffmann und Campe.