Epilogo

Darren

 

«Be’, accidenti se non sei un buon partito!».

La madre di Vanessa era un po’ più bassa di lei e almeno venti centimetri più bassa di me. Aveva i capelli ribelli, di un rosso più acceso rispetto alla figlia. Di sicuro erano tinti.

Dal suo sorriso traspariva felicità, come se davanti avesse l’uomo che aveva sempre sognato per Vanessa. Speravo di essere all’altezza.

«Sì, hai ragione, mamma». Vanessa arrossì appena.

Melody guardò sua figlia e scosse il capo. «Non è fantastica?».

Seguii quello sguardo cordiale verso la donna che mi aveva rubato il cuore. «Ce n’è una su un milione come lei».

«Non vedo l’ora di sentirti cantare, tesoro», aggiunse.

Anch’io ero impaziente. Aspettavo quel giorno dall’istante in cui mi annunciò che ci sarebbe stato il concerto. Entrò a far parte della Youth Arts Initiative non molto tempo dopo che i traffici di Reilly vennero a galla. Anche se fu messa sotto indagine, l’organizzazione non smise di operare, e Vanessa trovò finalmente il suo posto nel mondo.

Era la prima volta che organizzavano un evento all’aperto durante il quale la mia ragazza e i suoi allievi si sarebbero esibiti. Non potevo immaginare maniera migliore in cui avrebbe potuto far confluire il suo amore per la musica nell’opportunità di fare la differenza nelle vite degli altri.

Un uomo più in là con gli anni si avvicinò con una chitarra in mano. Aveva i capelli mossi, lunghi fino alle spalle, e indossava dei jeans e una camicia in stile hawaiano.

«Papà!». A Vanessa brillarono gli occhi mentre gli andava incontro.

Lui la strinse fra le braccia così a lungo che dedussi avrebbe voluto farlo da tanto. Non lo vedeva da un anno. Ebbi l’impressione che, per lei, quella fosse la visita più significativa di tutta la giornata.

Appena sciolsero l’abbraccio, si avvicinò alla madre di Vanessa.

«Cielo, mi sei mancata, Melody».

Arrossì. «Oh, piantala».

«Dico davvero».

Rimasero lì a guardarsi per un po’. Sarebbe stato bello che anche i miei genitori si fossero guardati in quel modo, almeno una volta, anche se non sarebbero mai tornati insieme.

Il canto a cappella del coro andò sfumando, poi seguì un lungo applauso.

«Okay, ora tocca a noi. Sei pronto, papà?»

«Come sempre, figlia mia». Afferrò la chitarra per la tastiera e sistemò la tracolla sulla spalla.

Una ragazza adolescente, con una maglietta raffigurante il logo dell’associazione, salì sul palco. Batté un dito sul microfono. «Grazie a tutti per essere venuti al primo appuntamento della stagione estiva con la Youth Arts Initiative. E ora, per concludere il programma di questo pomeriggio, Vanessa Hawkins, direttrice del programma, si esibirà insieme a suo padre, il cantautore Beau Lehane».

Il pubblico accompagnò l’applauso con versi di incoraggiamento. Alcuni gridarono il nome di Vanessa per mostrarle supporto. Padre e figlia salirono sul palco. Vanessa si accomodò su uno sgabello. Beau si posizionò accanto a lei, con la chitarra fra le mani. Lei sorrise prima al pubblico poi a suo padre, infine abbassò lo sguardo come quella sera al karaoke.

Da lassù mostrava la stessa bellezza e semplicità di sempre, ma appariva anche felice e tranquilla. La tensione era scomparsa dalla sua vita in una maniera inspiegabile per me. Si era liberata della sua vecchia esistenza, aveva chiuso un capitolo per inseguire il sogno a cui non aveva mai osato credere prima di allora.

Era quello il suo posto, finalmente stava sfruttando il suo talento e la sua intelligenza, condividendo il dono di cui era portatrice e che molti avevano dato per scontato. A tutte quelle sensazioni se ne aggiunse un’altra che provavo ogni giorno, più volte al giorno: la consapevolezza di amarla. Lei aveva trovato l’amore, io ero il destinatario. Si era trasformata davanti ai miei occhi, perfino la sua espressione era cambiata. Quella donna era diventata la mia ragione di vita.

Beau si sporse verso il microfono per salutare. «Grazie a tutti per essere venuti. Suoneremo un brano, spero vi piaccia». Guardò Vanessa, poi il pubblico. Aveva un sorriso sognante. «Scrissi questa canzone molto tempo fa, per una donna bellissima con cui ebbi il piacere di esibirmi per diversi anni. Poi lei decise di dedicarsi a cose più importanti, ma non dimenticherò mai i momenti stupendi vissuti insieme. Questa è per te, Melody».

Iniziò a suonare. Le prime note di un brano che non conoscevo si diffusero in tutto il parco attraverso gli altoparlanti montati ai lati del palco. Intonò il primo verso e lasciò continuare Vanessa. Mi venne la pelle d’oca, il cuore mi batté forte.

Era una canzone d’amore, un amore selvaggio e passionale che porta a fare cose che, altrimenti, non oseremmo mai fare.

La voce di Vanessa risuonò forte e sincera, e si alternò a quella di Beau, dando vita a una perfetta armonia. La sentii cantare con il cuore, mi domandai se fosse possibile amarla di più.

Appena la canzone terminò mi ricordai di respirare, non mi resi conto di trattenere il fiato.

Padre e figlia salutarono con un inchino, seguì un lunghissimo applauso. Era amata da tutti in quel posto, apprezzata come non le era mai successo in passato. A fine spettacolo scese dal palco, il pubblico iniziò a gironzolare.

Sembrava esitante mentre camminava verso di me, ma appena si avvicinò le andai incontro e la abbracciai, sollevandola da terra. Urlò e scoppiò a ridere intanto che la tenevo stretta.

«Ti è piaciuto?»

«Moltissimo», risposi. «Sei stata fantastica. Non ho parole».

La rimisi giù, ma la tenni comunque stretta contro il mio petto. Il cuore mi batteva forte. L’adrenalina pompava nelle vene. Avevo la sensazione che stessi per fare una pazzia, tuffarmi in una situazione da cui qualcun altro sarebbe scappato. La guardai negli occhi, davanti a me avevo il viso che avrei voluto vedere per il resto della vita.

«Sposami».

Sbatté le palpebre, poi mi guardò con attenzione. Era scioccata. «Cosa?»

«Sposami. Diventa mia moglie. Voglio stare per sempre con te, Vanessa. Ogni giorno della mia vita. Ti amo tanto, e se non faccio qualcosa adesso avrò sprecato trent’anni, e sarò costretto a guardarti come tuo padre ha guardato tua madre poco fa, a vivere con la consapevolezza che non ti ho amato come avrei dovuto».

«Parli sul serio».

Le diedi un bacio casto. «Sai che non scherzo. Adesso dimmi di sì. Sapevi già che ti amo».

Sorrise. «Mi fai fare delle pazzie».

Rimasi fermo ad aspettare, come se mi trovassi sul ciglio di un burrone.

«Vanessa…».

«Ti sposo», sussurrò.