Capitolo dieci

Vanessa

 

La giornata andò avanti con i suoi alti e bassi. Il viaggio per andare al lavoro sarebbe diventato più lungo a partire dal giorno dopo, ma lo stipendio sarebbe raddoppiato. Speravo solo di aver fatto la scelta giusta. La mia conoscenza dei fondi speculativi era limitata, ma confidavo nella grande esperienza di Reilly nel campo della finanza e nei numerosi contatti con altri ricchi investitori. Il mio capo avrebbe sicuramente trovato la strada per il successo. Magari avrei avuto occasione per crescere anch’io.

Mentre stavo raccogliendo le ultime cose nel vecchio ufficio, entrò un ragazzo con un carrello pieno di scatoloni.

«I documenti dall’ufficio di Dermott?»

«Laggiù», risposi indicando un angolo dell’ormai ex ufficio di Reilly.

Dermott avrebbe preso il posto del mio capo in azienda, a quanto pareva aveva fatto carriera. Era il capo di Maya, prima che lei andasse via. Non lo conoscevo molto bene, sapevo solo che lui e la mia amica non avevano mai avuto un buon rapporto. Lei si licenziò da un giorno all’altro. Non mi raccontò mai il motivo, mi disse soltanto che lui c’entrava qualcosa.

Il cellulare sulla scrivania iniziò a vibrare. Era un numero sconosciuto col prefisso della Florida. Lo lasciai squillare e mi lasciarono un messaggio sulla segreteria. Premetti il tasto per ascoltarlo e rimasi impietrita appena riconobbi una voce legata al mio passato.

«Vanessa, sono Michael Browning. È parecchio che non ci sentiamo. Tua madre mi ha dato il tuo numero. Spero non ti dispiaccia se ti ho contattata così, di punto in bianco, ma la settimana prossima sarò a New York per una conferenza. Stavo pensando che, magari, potremmo incontrarci. Non so se ti capita di venire ogni tanto a Callaway, ma se dovessi fare un salto sappi che mi farebbe piacere rivederti. Tutto qui. Chiamami, se ti va, potremmo andare a bere qualcosa o vederci per fare quello che preferisci. Ci sentiamo presto. Ciao».

Ignorai un altro tizio che portò ancora un carrello pieno di scatoloni. Mi avvicinai alla finestra e guardai la strada. Digitai il numero di mia madre e portai il telefono all’orecchio. Rispose dopo due squilli.

«Hai dato il mio numero a Michael?». Dissi quelle parole con un tono sommesso ma arrabbiato, prima che potesse dirmi “pronto”.

«Cos… Be’, buongiorno anche a te». Sembrava irritata.

L’avevo colta di sorpresa.

«Perché, mamma?»

«Voleva rivederti, dato che si sarebbe trovato a passare in città… E poi non mi pare di aver fatto qualcosa di male. Adesso è reato dare un numero di telefono, sei seria?»

«Non avevi il diritto di farlo senza il mio permesso».

«Secondo me la stai facendo più tragica di quanto non sia, o no?»

«Cosa penseresti se invitassi papà a casa tua senza dirti nulla?».

Rimase in silenzio per un istante. «È diverso».

«E perché?»

«Perché… Punto numero uno, ho sposato un altro. Non credo sia il caso».

«Io non sono sposata, ma sto uscendo con qualcuno. Non ho bisogno che ti metti in mezzo per convincere Michael a tornare da me, portandolo a farsi un’idea sbagliata».

«Stai uscendo con qualcuno? E chi è?»

«È…». Come potevo descrivere Darren? «È un vigile del fuoco che abita qui in città. Inoltre è il cognato di Maya. Abbiamo passato molto tempo insieme, sull’isola».

«Oh. Non me l’avevi detto».

«Va avanti da pochissimo. Non so neanche come andrà a finire».

«Non mi dice nulla di buono».

Alzai lo sguardo al cielo e mi preparai ad ascoltare la solita predica. «È un bravo ragazzo, ma non ho avuto molto tempo libero ultimamente».

La sentii sospirare. «Devi trovare il tempo per una relazione, se vuoi che funzioni. Da quanto non uscivi con qualcuno? Sono i tuoi impegni che allontanano le persone».

«Mamma, ti prego, adesso non farmi la paternale».

Non aveva torto, ma in realtà non mi ero neanche impegnata a cercare una relazione. Finché il mio cuore non iniziò a provare strane sensazioni nei confronti di Darren. Il tempismo non era stato proprio dei migliori, dato che la mia vita professionale era sul punto di essere stravolta.

«So bene che non ho potuto darti il padre che desideravi, Vanessa, ma non ti ho cresciuta per vivere senza amore. Magari qualche volta non condivido le tue scelte, ma le accetto. È la tua vita, ti rispetto. Voglio soltanto che tu sia felice».

Chiusi gli occhi e appoggiai la testa contro il vetro della finestra. «Non mi serve un uomo per essere appagata».

Eppure stare con Darren mi aveva resa più felice di quanto non fossi mai stata.

«Lo so che sei convinta di quello che dici. Però non ho l’impressione che tu stia bene, tesoro. Ti manca qualcosa, in fondo lo sai anche tu. Sono tua madre. Certe cose le sento, anche se sono lontana».

Detestavo darle ragione. Andava dritta al cuore delle cose, al di là delle apparenze.

Non sapevo come risponderle.

Poi entrò una donna. Non aveva l’aspetto di qualcuno assunto per spostare scatoloni da un ufficio all’altro. Indossava una gonna nera a sigaretta, una camicetta di seta color lavanda e un paio di orecchini di diamanti quadrati. I capelli erano raccolti in uno chignon a banana.

«Mamma, devo andare. Ti chiamo più tardi».

Riagganciai velocemente appena quella donna mi venne incontro sorridendo. «Sono Jia Summer. Lavoro con Kevin Dermott».

«Molto lieta. Posso fare qualcosa per lei?»

«In realtà, sì. Kevin si trasferirà in questo ufficio soltanto fra qualche giorno, ma ha bisogno di alcuni documenti. Volevo rubarle un minuto per prenderli. Le dispiace?».

C’era qualcosa nei suoi modi che mi metteva sulla difensiva. Era educata e cordiale, ma avevo la strana sensazione che fosse una facciata non corrispondente alla persona che avevo davanti. Comunque fosse, non avevo nulla da perdere se avesse iniziato a rovistare in giro. Erano le cinque in punto, ufficialmente non lavoravo più lì. Feci un cenno con la mano per indicare la pila di scatoloni allineati uno accanto all’altro nel vecchio ufficio di Reilly.

«Stanno appoggiando tutto lì. Se ha bisogno di aiuto chieda pure», aggiunsi, perché il mio lavoro era aiutare le persone a risolvere i problemi, a quanto pareva. Era quella la mia vita, grazie al signor David Reilly.

Si avvicinò ai pacchi, diede una scorsa e tirò fuori qualcosa. «Ecco, è stato facile».

Si voltò e si fermò, tenendo la cartellina contro il petto. C’era scritto NYC YOUTH ARTS INITIATIVE. Ridussi gli occhi a due fessure. Era l’ente di beneficenza di Reilly. O meglio, uno degli enti che lui e sua moglie supportavano con maggior impegno, da quando lo conoscevo.

«È l’ente non profit di David, giusto?». Indicai la cartellina.

Il suo sorriso si trasformò in una maschera di ghiaccio. «Sì. Lo supporta anche Dermott. Sono entrambi molto impegnati nella beneficenza. È successo qualcosa, quindi deve dare un’occhiata veloce agli incartamenti».

Proprio in quel momento squillò il telefono. Era Darren. Jia mi salutò con un cenno della mano e uscì a passo svelto.

Trascinai l’icona sullo schermo e risposi. «Pronto?»

«Ehi, bellissima. Puoi parlare?».

Perfino al telefono la sua voce era avvolgente. Come lo sciroppo denso versato su un pancake caldo.

«Sì. Oggi è il mio ultimo giorno di lavoro nel vecchio ufficio, quindi per una volta non ho nessuno col fiato sul collo. Che c’è?»

«Voglio vederti, questa sera».

«Oh. Credevo che ci saremmo visti nel weekend».

«Lo so, ma non posso più aspettare». Rimase un istante in silenzio. «Mi manchi, rossa. È passato troppo tempo».

La dolcezza nel suo tono di voce fu come uno spillo al cuore. Avevo pensato a lui ogni giorno. Era il mio ultimo pensiero prima di addormentarmi e il primo appena mi svegliavo al mattino. Anche a me mancava… più di quanto credevo possibile. Ma la vita mi aveva messo i bastoni fra le ruote con un mare di impegni per porvi rimedio.

Avevo intenzione di aspettare finché non avrei avuto più tempo, abbastanza da poterlo trascorrere senza troppe preoccupazioni. Ma la mia vita era caratterizzata da lunghi periodi di continuo lavoro e pochi momenti di svago, che sfruttavo soprattutto per dormire o adempiere ad altre incombenze molto meno divertenti della mia vita da adulta. Tuttavia, se avessi atteso troppo avremmo finito per non rivederci più. Gli avvertimenti di mia madre ancora mi risuonavano nelle orecchie, e capii che aveva ragione. Avrei rischiato di perderlo se non avessi trovato tempo per lui.

«Se riuscirò a imballare tutto, potrei uscire di qui a un orario decente».

«Grandioso. Ho un paio di appuntamenti in palestra. Che ne dici se ci vediamo a casa tua alle sette?»

«Si può fare. Se dovesse spuntare qualche contrattempo ti invierò un messaggio».

«Perfetto». Il suo tono di voce si era fatto più allegro. «Non vedo l’ora di rivederti».

Sulle mie labbra comparve un sorriso. Chiusi gli occhi, e per un istante fu come essere tornati sull’isola.

«A più tardi».

 

 

Darren

 

Uscii dagli spogliatoi, fresco di doccia e pronto per andare da Vanessa. Avrebbe lavorato fino a tardi, grazie a quello stronzo del suo capo che le aveva affidato alcune commissioni all’ultimo minuto, ma questo non mi avrebbe impedito di portare avanti la serata che avevo organizzato.

«Ehi, sconosciuto», urlò Raina appena passai davanti al suo studio, lungo il corridoio.

Rallentai il passo per fermarmi e tornare indietro. Il timore mi pesava come un macigno sullo stomaco. La mia vita sarebbe stata parecchio più facile se non l’avessi più rivista. Non era colpa sua. Impostai un sorriso di circostanza e mi appoggiai contro lo stipite.

«Sei riuscita a sopravvivere senza di noi?», domandai per scherzare.

«Senza voi due energumeni? Certo». Si avvicinò e mi fece l’occhiolino, poi mi fissò bagnandosi le labbra.

Mi schiarii la voce e cercai di rimuovere il ricordo di quello che era successo l’ultima volta che mi aveva guardato in quel modo. «Spero che non ti sia divertita troppo in nostra assenza».

«No», mugugnò, ormai così vicina da mettermi in imbarazzo. «Per divertirmi ho aspettato che tornassi».

Risposi con un cenno del capo, censurando la risposta che stavo per darle. Mi passò una mano sul petto, fino ad arrivare alla cintura dei jeans. Stava correndo più di quanto mi immaginassi. Maledizione.

«Non qui, Raina».

Provai a indietreggiare, ma agganciò le dita alla cintura per bloccarmi.

Aveva un sorriso scherzoso. «Sì, forse hai ragione. Incontriamoci dopo il lavoro».

Tentai di mandare giù il nodo che mi ostruiva la trachea. Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo. Non ero mai stato bravo in certe cose, allontanare una persona che non mi attirava più. Soprattutto perché non avevo avuto bisogno di sviluppare quell’abilità. Non mi ero mai comportato in maniera tanto stupida. Di solito chiarivo la situazione fin dall’inizio, ma quel rapporto era sempre stato fumoso e poco definito.

«Che ne dici se continuiamo a vederci senza troppi coinvolgimenti?», esordii infine.

«Per me va bene. Casa tua o casa mia?». Abbassò la mano sulla zip, sfiorandomi il pacco.

Se l’avesse fatto in un altro momento mi avrebbe provocato un certo effetto, invece non sentii alcunché. All’improvviso, mi resi conto che non sarei riuscito a mettere le distanze tra noi tanto velocemente. Indietreggiai perché non potesse toccarmi.

Mise il broncio. «C’è qualcosa che non va?»

«Questo non va, in realtà». Feci un cenno con la mano per indicare noi due, imprecando nella mia mente. Come avevo fatto a ritrovarmi in quel casino? «Non avrei dovuto avvicinarmi a te. Non avevo pensato a quanto potessero diventare imbarazzanti i rapporti sul posto di lavoro».

Sollevò le sopracciglia. «Darren, a me un rapporto senza legami va più che bene. Voglio dire, credevo di essere stata abbastanza chiara l’ultima volta».

Guardai l’orologio che avevo al polso, alla ricerca disperata di una scusa che me la togliesse di torno. «Ascolta, devo andare. Ci vediamo in giro, va bene?».

Si avvicinò di nuovo. Ogni passo che faceva era un colpo allo stomaco, ma non per l’eccitazione.

Mi afferrò per la maglietta e mi tirò a sé, anche se il mio corpo non accennava a muoversi. Cercai di reprimere la voglia di spingerla via. Avevo sempre detestato l’idea di sentirmi legato a qualcuno. Ultimamente desideravo appartenere a una donna e, potevo giurarci, non si trattava di Raina. Neanche per sogno. Non sapevo proprio come far spegnere in lei la speranza che ci saremmo incontrati di nuovo, senza finire per ricevere uno schiaffone.

Prima che potessi in qualche modo divincolarmi mi baciò. Labbra, lingua, mani fra i capelli. Feci una smorfia, ma mascherai il senso di disgusto appena si scostò.

«Chiamami più tardi», disse con il respiro affannoso, mordendosi il labbro mentre rientrava nello studio di yoga e scompariva dalla mia vista.

Serrai la mascella fortissimo, non dissi nulla, mi morsi la lingua. Avevo voglia di rinchiuderla in quel fottuto studio e gettare via la chiave. Per essere una professionista che diffondeva la filosofia dello yoga e della meditazione per tutto il giorno, era perspicace quanto un muro.

Mi voltai per uscire, non vedevo l’ora di allontanarmi il più possibile. Poi mi bloccai. A qualche passo da me c’era una donna bionda, bellissima, con gli occhi ridotti a due fessure, le mani sui fianchi, la bocca aperta. Il cuore mi martellava nel petto mentre mi avvicinavo. Un’ondata di rimorso andò a sommarsi al forte disprezzo per me stesso.

Si girò per andarsene, ma le corsi dietro.

«Maya, aspetta… non è come sembra».

La sua risposta la sentii sulla pelle, uno schiaffo sonoro sul viso. Misi una mano sulla guancia che aveva colpito, avevo l’impressione che stesse elaborando la situazione. Mormorava tra sé, la sua espressione era contrariata, glielo leggevo negli occhi nocciola chiaro.

«Non posso credere di aver suggerito a Vanessa di darti una possibilità. Siamo tornati da neanche una settimana e ti stai già strusciando contro un’altra donna».

«Ma io non… non stavo…».

«No? E allora cosa ci faceva la mano di Raina sul cavallo dei tuoi pantaloni? Sei un maledetto porco. Cam mi aveva avvertito, ma io…».

«Ho commesso un errore», urlai per interrompere la sua sfuriata.

Si fermò, restammo entrambi in silenzio per riprendere fiato. Mi passai le dita fra i capelli, stavo odiando quel momento da ogni punto di vista.

«Sono uscito con Raina in passato, molto prima del viaggio, ed è stato un errore colossale. Non voglio stare con lei. Io voglio Vanessa».

«Non mi pare. A me sembra che lei, per te, non sia altro che l’ennesima conquista».

«È molto più di questo. Quello che è successo con Raina fa parte del passato. Adesso le cose sono cambiate, ma non ho ancora avuto occasione di parlare con nessuna delle due. Ho deciso che voglio stare soltanto con Vanessa».

Appoggiò le mani sui fianchi, mostrando un’espressione determinata. «Allora faresti meglio a parlarle, altrimenti ci penserò io».

La osservai, ero certo che l’avrebbe fatto. Non avrei scommesso neanche un centesimo sulla probabilità che lasciasse correre. Sarebbe finita con la sua amica. Ne ero certo.

«Maya, santo Dio, non glielo dire. Rovineresti tutto».

«Se tieni a lei, deve sapere che uomo sei, in questo modo potrà decidere se varrà la pena correre il rischio. Perché posso dirti, già da adesso, che Vanessa non ha tempo per questa merda. E di sicuro nemmeno se lo merita».

«So cosa può sembrare, ma ti giuro che sono cambiato».

«Dimostralo».

«Va bene. Dammi la possibilità di parlarle».

Scosse il capo, non pareva meno arrabbiata. «Lei è una delle mie migliori amiche. Non ho intenzione di stare a guardare mentre le manchi di rispetto, hai capito? Diglielo tu, altrimenti lo farò io».

«Le parlerò. Troverò una maniera per farlo nel miglior modo possibile, ma devi permettermi di farlo».

«Va bene».

«E Cameron…», aggiunsi in tono incerto.

«Se glielo dicessi ti prenderebbe a calci nel sedere. Quindi, per non compromettere i rapporti al lavoro, gli risparmierò i dettagli più sordidi».

Feci un cenno d’assenso, grato per la pietà dimostrata da mia cognata. Non me lo meritavo, ma le ero comunque riconoscente.

«Grazie».