Capitolo quattro
Darren
Il ritmo della musica reggae non era proprio quello con cui ero abituato a ballare, così tirai Vanessa a me e iniziammo a dondolare, come ci andava. Dovevo fare qualcosa, perché vederla mettere in bocca frutta esotica mi aveva scatenato troppe fantasie in mente. Ero pronto a baciarla e assaggiare il suo sapore, sicuramente squisito. Avrei voluto baciarla in quel preciso istante, ma era impossibile. Ci osservavano tutti. Poi Maya e Cameron si unirono a noi. I commilitoni di mio fratello, con i loro pargoli, cominciarono a gironzolarci intorno… fissavano, parlavano e bevevano troppo.
Vanessa sospirò e si appoggiò a me. Stava bene fra le mie braccia, quasi ci fosse stata già molte volte, mi dava l’impressione che fosse il suo posto.
D’un tratto mi accorsi di come mi guardava mia madre, appena ci girammo. Mostrava evidente irritazione. Alcuni di noi erano venuti su quell’isola per essere testimoni dell’unione di due famiglie nel sacro vincolo del matrimonio. Ma non Diane. Ne ero consapevole. Durante quella settimana avrebbe perso un figlio. L’idea, anche se poco probabile, che potesse perdere anche me per Vanessa la stava mandando fuori di sé.
Ma non mi importava. Avevo smesso di prendere in considerazione cosa lei e Frank pretendessero da me da parecchio ormai. Mio fratello e mia sorella lo avevano già fatto diverso tempo prima di me. Uno alla volta avevamo smesso di vivere secondo i dettami di superficialità e ignorare le aspettative poco realistiche che i nostri genitori ci avevano propinato come ovvie: lavori da colletti bianchi, appuntamenti con ragazze dell’alta società, country club.
’Fanculo tutto. Io avevo voglia di vivere.
«A cosa pensi?».
Riflettei sulla domanda di Vanessa per qualche istante, chiedendomi come potessi spiegare quello che era successo alla nostra famiglia negli ultimi quindici anni. Ma almeno io lo sapevo?
La strinsi più forte e la fissai negli occhi velati di preoccupazione. «Pensavo a te», mentii, ma quella bugia si trasformò presto in verità. Mi entrò nella mente appena la guardai. Ero stato con tante bellissime donne, qualcuna era riuscita a rapirmi in quel modo? Mi fermai a riflettere, ma non mi sovvenne nessuna e mi domandai perché. Cosa aveva lei di tanto speciale?
Scoppiò a ridere. «Sì, certo».
«No, in questo momento sto pensando che vorrei conoscere tutto di te. Una vera fortuna, dato che abbiamo un’intera settimana da passare insieme».
«Perché sono diventata all’improvviso tanto interessante ai tuoi occhi?».
Non sapevo cosa rispondere. Avevo pensato a lei per gran parte delle ultime ventiquattr’ore. Avevo capito che non era come le altre. Eppure la sua espressione era di sincera sorpresa. Dio, non aveva proprio idea di quale reazione provocasse negli uomini.
Ero determinato a conoscerla meglio, e volevo cercare di farla avvicinare.
«Credo che tu sia una persona che va oltre le apparenze. Tutto quello che riesco a vedere di te mi fa impazzire, ma voglio conoscerti meglio. Voglio vedere il resto».
Rimase in silenzio per un istante. «Da quanto ne so, non sei solito comportarti in questo modo».
La guardai senza replicare, l’idea che la mia reputazione mi precedesse non mi piaceva. Una vocina nella testa mi diceva che avrei dovuto perdonarla. Proprio come aveva detto lei, avrei potuto trovarmi tanti amici durante la vacanza. Ma non volevo arrendermi così facilmente. Volevo conoscere Vanessa, e non avrei permesso al mio passato di mettermi i bastoni fra le ruote.
«Posso dirti una cosa? Anche tu hai un passato. Scommetto che hai qualche oscuro segreto che non vorresti portare alla luce del sole. Cosa ne dici se non ci pensiamo? Per i prossimi giorni, siamo soltanto noi, senza il nostro bagaglio di vita vissuta. Permettimi di avvicinarmi a te, Vanessa, e farò di tutto per rivelarmi, niente più maschere».
«Okay».
Sentii le spalle rilassarsi.
Fece un respiro profondo, a quanto pareva l’avevo persuasa, finalmente si accese un briciolo di speranza. Tuttavia ebbi l’impressione che stesse pensando troppo alla decisione che aveva appena preso. Era una ragazza molto saggia, ma ero deciso a farla parlare.
«Ti va di fare una passeggiata, di allontanarci da sguardi indiscreti?».
Dopo aver lanciato un’occhiata a mia madre senza darlo a vedere, si voltò e assentì con un leggero sorriso. «Sì».
Ci incamminammo verso il mare, lontani dalla festa. Il cielo aveva virato dal rosa al viola fino a un azzurro scuro, come le onde che si infrangevano ai nostri piedi.
La presi per mano, lei non protestò. Buon segno, pensai, ma quel contatto mi provocò anche una sensazione di conforto che non aveva nulla a che fare con il sesso sfrenato a cui aspiravo.
«Allora, raccontami di te. Voglio conoscere la vera Vanessa Hawkins».
«Vorrei tanto avere una storia avvincente da raccontarti, in realtà non è niente di speciale».
«Mi risulta difficile crederlo. La donna che ho incontrato in discoteca qualche mese fa lavorava un milione di ore a settimana e andava a ballare ogni weekend. Voglio sapere di più di quella ragazza che canta al karaoke come una professionista. Dove hai imparato a cantare così bene? Non ho mai sentito nulla di simile».
«Da mia madre. Non ho mai seguito lezioni di canto, ma sia lei sia mio padre erano musicisti, dunque credo si tratti di un talento innato. Non avevamo molte risorse quando ero piccola. All’inizio non avevamo neanche la TV, quindi mia madre e io cantavamo le canzoni che aveva imparato in giro. Mi insegnava i testi mentre mi accompagnava con la chitarra».
«Ma perché lavori a Wall Street se hai una voce del genere?».
Si strinse nelle spalle, si voltò verso il tramonto. «Amo cantare. Non fraintendermi, ma non ritengo che potrei costruirci un futuro. Con mia madre non ha funzionato».
«Perché dici così?»
«Quando i miei genitori stavano ancora insieme erano sempre in tour. Suonavano in diversi club e locali disseminati in tutto il Paese. Non era uno stile di vita che si confaceva al mestiere di genitore, così, quando mia madre rimase incinta, fu un evento inaspettato. L’ultima tappa del tour fu un piccolo locale nella periferia di Pensacola, non lontano da Callaway, il paesino in cui sono cresciuta. Mia madre era quasi al nono mese, quindi tornò dai suoi genitori. Mio padre disse che l’avrebbe raggiunta dopo alcune tappe per restare con lei. Ma non lo rivide più».
«Non l’hai mai conosciuto?»
«Sì, l’ho incontrato qualche volta a New York, ogni volta che era di passaggio. È un tipo divertente. Molto carismatico. Ha talento. L’ho visto esibirsi in un paio di occasioni».
«E così, sei rimasta in buoni rapporti con lui. Davvero notevole».
Si strinse nelle spalle. «Già. Parlare con lui è come parlare con qualcuno che ti sta simpatico. So che è mio padre, ma non credo di provare i sentimenti che si provano nei confronti di un genitore. Non siamo molto legati. Lo sento distante, è come se non mi importasse di lui come dovrebbe. Lo so, è strano, ma non c’è mai stato. Non sa come essere un genitore. Credo di averlo semplicemente accettato».
«Deve essere bello. Forse Diane e Frank potrebbero prendere esempio».
«Tu sei mai stato legato ai tuoi genitori?»
«Sì, tempo fa. Molto, molto tempo fa. Da quanto ricordo, a nove anni iniziai a vedere sempre meno mio padre. Ci trasferimmo fuori città, lui veniva a trovarci con regolarità. Più era impegnato con il lavoro, più mia madre appariva infelice. Per qualche ragione tutto questo non ci fece avvicinare a lei, mentre Cam, Liv e io ci legammo ancora di più».
Si chinò leggermente verso di me. «A quanto pare c’è un po’ di tensione tra loro e Cam, da quello che mi ha raccontato Maya», disse.
«Oh, sì. Colpa dei soldi che hanno sempre avuto a disposizione. Dal punto di vista di mio padre, lui ha lavorato il più possibile per assicurare a Cameron, Liv e me le migliori possibilità. Frequentare le scuole più importanti, sposarci con i rampolli delle famiglie più benestanti, trovare un buon lavoro grazie agli studi nelle Ivy League, e così via».
«Non mi pare una brutta vita».
«Non lo è. Ma è la loro vita, non la mia». Non riuscii a nascondere una certa dose di acredine nel mio tono di voce.
Perché diventare un vigile del fuoco quando avrei potuto essere un banchiere? Perché vivere al centro di Brooklyn quando potevo permettermi una casa negli Hamptons? Una cosa era certa: molti avrebbero dato un occhio per godere dei privilegi che Frank Bridge volle darci. Ma quello che gli altri non ebbero occasione di vedere fu la luce negli occhi di mia madre che si spegneva ogni volta che papà non tornava per il weekend, perché doveva lavorare su un accordo o accaparrarsi un nuovo cliente. Lui viveva e respirava soltanto per lavorare, neanche tutta la vodka del mondo riuscì a colmare la mancanza di un marito che aveva lasciato sua moglie a portare avanti la famiglia da sola e a mantenere l’immagine della consorte del banchiere. Da quanto ricordavo, avevo sempre desiderato che la mia vita fosse l’opposto di quella che avevo vissuto in gioventù.
Mentre ripensavo al mio passato, Vanessa rimase in silenzio accanto a me. Le strinsi appena la mano.
«In realtà non mi sono mai sentito a mio agio a indossare le scarpe da barca. Non ho un bell’aspetto a bordo di uno yacht».
Socchiuse la bocca. «I tuoi genitori hanno uno yacht?»
«No. Ma molti dei loro amici sì. Ho sentito dire che mantenere il personale di bordo è dura».
Scoppiammo entrambi a ridere, mi sentii subito più leggero dopo la pesante conversazione sulla mia famiglia. La sua bellezza acqua e sapone era enfatizzata dal sorriso. Dolce e sincero.
Volevo vederlo più spesso. Si era mostrata estremamente guardinga dall’incontro al locale. Dunque mi ero ripromesso di farla ridere il più possibile durante la vacanza.
Camminammo in silenzio per qualche minuto. Eravamo abbastanza vicini al luogo della festa da riuscire a udire i bassi della musica, ma il calare del crepuscolo ci regalò un po’ di privacy. Non avrei avuto la sua completa attenzione ancora per molto.
«Raccontami qualcosa di te che non sa nessuno».
«Per esempio?»
«Un segreto. Un aneddoto imbarazzante. Un’abitudine bizzarra».
Tornò a sorridere, anche i suoi occhi ridevano. «E perché mai dovrei raccontartelo?»
«Ci stiamo conoscendo. Andiamo. Deve pur esserci qualcosa».
Pareva a disagio.
«Quale segreto nascondi?».
Scosse diverse volte il capo. «No. Niente. Non posso dirtelo».
«Dài».
«Scordatelo. Mi faccio venire in mente qualcos’altro».
Mi fermai, la feci voltare e la abbracciai di nuovo. Perché la sentivo così perfetta su di me? Il suo corpo sottile si adattava perfettamente al mio, avvertivo i seni morbidi che premevano contro di me. Il suo sorriso scomparve, e la vena che le pulsava sul collo catturò la mia attenzione. Passò la lingua sulle labbra, un piccolo gesto con cui non mostrava alcuna intenzione di sedurmi. Ma non potei fare a meno di pensare in quanti altri modi avremmo potuto stare bene insieme. C’era soltanto una maniera per scoprirlo.
«Ascolta, sei bloccata su un’isola con me. Che ti piaccia o no, devi abituarti all’idea di avermi tra i piedi e ascoltare tutte le mie domande».
«L’isola è grande». Accennò un sorriso.
Le accarezzai i fianchi, nel tentativo di imprimere nella mente la sensazione che provavo quando la toccavo. «Scappa, e io ti troverò». Il mio tono di voce uscì più minaccioso di quanto volessi. Ma ero serio.
Si passò di nuovo la lingua sulle labbra e distolse lo sguardo. Se l’avessi stretta appena più forte avrebbe notato la reazione che mi provocava quel gesto.
«Mettiamola così. Raccontamelo, altrimenti ti bacerò».
Ridusse gli occhi a due fessure. «Non lo faresti mai».
«Invece sì. Qui, adesso. Hai idea del desiderio irrefrenabile che ho di assaggiarti?».
Sembrava essere rimasta senza fiato. Mi fissò a bocca aperta. Con quegli occhi verdi spalancati pareva fare tante domande. La tirai a me, finché i nostri bacini non si sfiorarono. Non mi sarebbe dispiaciuto tenerla stretta in quel modo per tutta la notte. Dovevo trovare un modo per averla vicina durante tutta la settimana. Forse era la parte competitiva dentro di me che mi spingeva. Ero determinato a vincere con lei. Perché la desideravo fisicamente, ma anche per dimostrarle che ero di più delle chiacchiere che circolavano… ma cosa c’era di più in me?
«Allora, confessa. Qual è il tuo segreto?». Era l’ultima occasione. Le passai il pollice lungo il labbro inferiore, contai i secondi che mancavano per incollare le mie labbra alle sue, quando avrei potuto mordicchiarle e succhiarle. Maledizione, volevo sapere cosa la faceva impazzire.
«Dormo ancora con un orsacchiotto di peluche».
Parlò a voce talmente bassa che quasi non riuscii a sentirla.
Scoppiai a ridere, le sue labbra rosa e graziose disegnarono un broncio.
«Perdonami, rossa. Mi è piaciuta la tua confessione».
Mi diede uno schiaffo sul braccio e cercò di scostarsi, ma non gliel’avrei mai permesso. La volevo ancora attaccata a me.
«Bene. E tu hai qualche oscuro segreto che ti andrebbe di rivelare a una perfetta sconosciuta?».
Mi resi conto di aver scoperchiato il vaso di Pandora. Dovevo prestare la massima cautela. Le rivolsi la mia espressione più innocente. «Non ho segreti, sono un libro aperto».
«Non è giusto. Devi raccontarmi qualcosa». Mi fece scivolare le dita sugli avambracci.
Mi chinai per bisbigliarle qualcosa all’orecchio. «Ho un debole per le rosse».
«Questo non vale».
«Perdonami, rossa. Non ho segreti. Quanto meno, nulla che possa vincere su un orsacchiotto».
Rimase in silenzio, ma mi resi conto che non era più arrabbiata.
«Allora ti bacio», disse per minacciarmi.
«Voglio proprio vedere».
«Lo faccio davvero. Sappiamo giocare tutti e due, sai».
Inarcò le sopracciglia, ma capivo quando bluffava, ogni volta.
«E allora fallo». Smisi di provocarla, ma decisi di agire al più presto affinché quel momento non degenerasse in una minaccia vuota. Le sue mani, fino ad allora appoggiate con delicatezza sulle mie braccia, si contrassero. Se avessi potuto portarla in un posto in cui saremmo stati soli le avrei fatto contrarre ogni altra parte del corpo. A quel pensiero mi scappò un gemito, la razionalità volò fuori dalla finestra. Le affondai le dita fra i capelli e le sollevai la testa per darle un bacio che non avrei mai dimenticato; era talmente vicina che sentivo il profumo del cocco che aveva mangiato mentre respirava.
«Darren! Amico!».
Imprecai nella mia mente e mi staccai da Vanessa, che aveva già socchiuso gli occhi. Uno dei commilitoni di Cameron camminava in modo impacciato sulla sabbia verso di noi. Non capì che la sua visita era inopportuna.
«Darren!».
Jeffrey urlò come se parlasse davanti a un megafono. Doveva aver riportato problemi di udito a causa dei numerosi conflitti oltreoceano a cui aveva preso parte anche Cameron. «Accidenti, erano secoli che non ti vedevo. Dove diavolo sei stato?»
«Vi lascio soli», disse Vanessa in tono pacato e fece per allontanarsi.
«No, rimani».
Sollevai un braccio per fermarla, ma Jeffrey batté il cinque contro la mia mano protesa per poi darmi una vigorosa pacca sulla schiena.
Prima che potessi protestare, lei era già distante. Portò una mano alle labbra e mi mandò un bacio.
Vanessa
Non avrei dovuto farlo. Mandare un bacio a Darren era stata un’idea stupida, perché equivaleva a dirgli che avevo un conto da saldare con lui, e avevo l’impressione che non se ne sarebbe mai dimenticato. Quando si trattava di Darren, un bacio non era un semplice bacio. Significava spianare la strada per andare a letto insieme, e io non ne avevo alcuna intenzione. Si era intrufolato ancora una volta nei miei sogni, all’improvviso mi venne di nuovo il fiato corto come non succedeva da mesi, anzi da anni. Avrei dovuto passare parecchi giorni sull’isola, dunque c’era la concreta possibilità che finissi a letto con lui.
Sarebbe stato tanto grave? Se i materassi delle nostre camere erano uguali, allora anche il suo era morbido, confortevole e dalla fragranza di fiori tropicali con cui il personale dell’hotel impreziosiva le stanze ogni pomeriggio. Aggiungendo il profumo di Darren non avrei avuto più scampo. Non sarei mai riuscita a tirarmi indietro.
Il problema più grande non era divertirmi con lui, mi preoccupavano piuttosto i sentimenti che già nutrivo, la voglia di spingermi oltre, una sensazione che non provavo da troppo tempo.
Ma Darren non sarebbe stato disponibile a legarsi di più da quel punto di vista, nulla con lui durava per sempre. Eppure questo non gli impediva di mandarmi in subbuglio le ovaie tutte le volte che posavo lo sguardo su di lui. Quando mi rivolgeva quel sorriso perfetto, la ragazzina di paese dentro di me desiderava preparargli la cena e stirargli le camicie per il resto dei suoi giorni. Per la prima volta, dopo tanto, quel pensiero scellerato sembrava quasi degno di essere preso in considerazione. Ma lui non voleva vedermi in cucina, e io non mi ero trasferita a mille chilometri da casa per poi fare la massaia.
In una sala privata dell’area ristoro, un gruppo di ospiti dell’hotel si era ritrovato per fare colazione in tarda mattinata. Guardai il lungo tavolo ricoperto di succhi di frutta colorati, composizioni di fiori freschi e tovagliette immacolate. Rintracciai Eli e Maya e andai subito a sedermi fra loro.
Un cameriere mi versò del caffè fumante, poi d’un tratto notai Darren entrare. Si fermò sulla soglia appena incrociai il suo sguardo. Sentivo i suoi occhi sul mio corpo, come un cocente raggio di sole. Caldo, non proprio indesiderato. Provai a far finta di nulla e tornai a parlare con Eli, cercando di concentrarmi su come poter passare la giornata con Maya. Darren aveva fatto breccia nei miei pensieri, ma io avevo dei programmi in cui non ci sarebbe stato spazio per lui. Trascorrere un po’ di tempo nella spa con la mia amica, Eli e le altre ragazze mentre gli uomini sarebbero andati a pescare, o comunque sarebbero stati per conto loro. Magari tenermi impegnata mi avrebbe aiutato a far svanire l’attrazione nei suoi confronti.
Dopo la colazione andai sul balcone per ammirare il paesaggio. L’acqua turchese che bagnava la sabbia morbida sulla quale erano adagiate sedie sdraio bianche e azzurre. Il paradiso. Era da tempo che sognavo di essere in un posto come quello, ma ero talmente distratta da non riuscire neanche a godermelo. Ogni istante dominato dalla tranquillità veniva travolto dalle fantasie su Darren.
Nonostante il cervello continuasse a chiedermi a gran voce di prestare attenzione, avrei tanto voluto che mi avesse baciata la sera prima. Diamine, morivo dalla voglia che la smettesse di parlare con i cugini per venire da me e baciarmi, subito. Volevo tornare fra le sue braccia, un posto che si era rivelato molto più comodo di quanto avessi immaginato.
Ci conoscevamo a malapena, ma stargli accanto mi faceva stare bene. Inoltre, per qualche oscuro motivo, era interessato a conoscermi meglio. Forse era tutta una messa in scena, una parte recitata alla perfezione da un attore consumato. Un alito di vento caldo mi accarezzò le spalle. Chiusi gli occhi nel tentativo di pensare meno possibile.
Cameron si avvicinò e si fermò accanto a me. Era alto e robusto, come Darren. Un po’ si somigliavano, ma erano molto diversi. Cameron era un ragazzo serioso. Le uniche volte che lo vedevo sorridere erano quando era in compagnia di Maya. Quando stavano insieme era come se si accendessero, due metà che dovevano riunirsi per formare una cosa sola.
«Come va?».
Sollevai il mio cocktail mimosa e indicai il panorama incantevole. «Potrei stare peggio. Questo posto è magnifico. Ottima scelta».
Si chinò e appoggiò gli avambracci sulla ringhiera. «Anche a noi è piaciuto dalla prima volta in cui siamo venuti. È un angolo di mondo tranquillo». Quindi restò un istante in silenzio.
«E tu come te la passi, Piedi freddi?», gli chiesi.
Non sembrava essere in vena di battute. Accennò appena un sorriso. «Sono spacciato».
«L’avevo intuito».
«Hai avuto occasione di parlare con Maya ultimamente?»
«Non molto, purtroppo. Eli, Olivia, sai… è sempre con qualcuno. Perché, cosa succede?».
Si tirò su, la sua espressione seria mi allarmò.
«Mi stavo chiedendo… Potresti cercare di parlarle oggi? È molto legata a te».
«Lo è di più a te».
«C’è qualcosa che non va. Non so di cosa si tratti, ma ogni volta che tento di sollevare la questione fa di tutto per cambiare argomento, per esempio parlando del matrimonio. Non so se sia dovuto all’agitazione per l’evento imminente, ma sono preoccupato».
«Sono sicura che sia tutto a posto. Comunque sia, le parlerò. Forse è solo un po’ tesa per le nozze, sai come vanno certe cose…».
«Spero che sia soltanto per quello. Voglio che domani sia un giorno perfetto per lei. Se lo merita. Se ci fosse qualcosa che la attanaglia mi piacerebbe risolvere il problema al più presto. Non vorrei che finisse per rovinare il giorno più bello della nostra vita. Dio solo sa quanto merita che vada tutto bene».
Feci un cenno d’assenso e gli posai una mano sulla spalla. «Le parlerò. Nel frattempo, cerca di non preoccuparti. Oggi è il tuo ultimo giorno da scapolo. Divertiti».
«Si divertirà, te lo garantisco».
Avvertii la presenza di Darren dietro di me, prima che la sua voce interrompesse la conversazione. Ci voltammo. Lo sguardo accigliato di Cameron sembrò sciogliersi appena vide suo fratello. Appariva così spensierato. Lo invidiavo, avevo voglia di stargli attaccata. Come una falena attratta da una candela, la sua energia mi catturava ogni volta. Anche se ero consapevole che non sarebbe durata per sempre, sentivo di nuovo quel senso di vertigine dentro.
Cameron rimase a guardarlo. «Spero che tu non abbia organizzato qualcosa di troppo bizzarro».
«Cosa può succedere di tanto folle sul canale dei pescatori?». Darren mi fece l’occhiolino. «E tu cosa mi dici, rossa? Uno spettacolo di strip-tease in programma questo pomeriggio?».
Non riuscii a trattenere una risata. Non era proprio lo stile di Maya. Per non parlare del fatto che sarebbe stato difficile trovare spogliarellisti che potessero competere con il fascino di Cameron e Darren. «Temo di no. La più grande trasgressione che ci concederemo sarà una seduta di manicure e massaggi».
«Sono felice di sentirtelo dire», brontolò Cameron.
Gli occhi bellissimi di Darren mi bruciavano la pelle, anche l’aria intorno a noi si riscaldò. Il modo in cui mi scrutava sembrava troppo intimo per essere in pubblico.
«Anch’io. Non vorrei che ti distraessi troppo».
«Non ti sta dando noia, vero?».
Darren si accigliò e rivolse uno sguardo contrariato a suo fratello. Cameron ricambiò lo sguardo, poi fissarono entrambi me.
Mi stava dando noia? Be’, sì. Ma avrei preferito gettarmi contro un’auto in corsa piuttosto che chiedere a qualcuno di impedire che Darren mi facesse la corte.
«Oh, certo che no», risposi. Sistemai il colletto della camicia di Darren. «Lo conosci. È un perfetto gentiluomo».
La mia osservazione fece sorridere Cameron, comunque la tensione fra loro rimase. Diedi un’occhiata a Maya che chiacchierava con Diane e Olivia, dunque capii che sarei andata via da sola.
«Divertitevi oggi, voi due. Spero che peschiate tanti pesci. Non cadete fuoribordo, okay?».
Darren aveva ancora la mascella serrata, ma per fortuna si rilassò almeno un po’. «Dammi un minimo di fiducia», mormorò stringendomi delicatamente un braccio mentre gli passavo davanti.
Lo guardai negli occhi, soltanto per un istante, altrimenti avrei rischiato di perdere il controllo. Ero abbastanza vicina da percepirne l’energia. Una scarica elettrica invisibile tra noi. Lo sentivo proprio in quelle parti del corpo in cui speravo di non sentirlo.
«Te la dovrai guadagnare», sussurrai, e mi allontanai prima che mi cedessero le ginocchia.
Darren
«Che significa?».
Cameron si girò. «Piantala di fare la persona seria. Non ti si addice».
Mi avvicinai. «Credi che non ti darei un pugno sul naso per quanto sei stronzo soltanto perché domani devi sposarti? Pensaci bene, Cam».
Cameron sorrise e mi scostò. «Qualcuno deve pur dirtelo. Vederti andare dietro a una come lei è come guardare un documentario della National Geographic su un leone che rincorre una gazzella. Sai bene anche tu che non ha alcuna possibilità di farla franca».
Non potevo biasimarlo. Avevo puntato Vanessa ed ero determinato a conquistarla. I segnali che percepivo mi facevano presagire il successo. C’era pura attrazione fisica, e più tempo passavamo insieme, più aumentava. Non avevo mai considerato la possibilità che non avremmo passato la notte insieme durante quella vacanza. Prima o poi, a meno che non avessi commesso qualche errore madornale e imperdonabile, si sarebbe lasciata conquistare.
Se quello fosse affare di mio fratello era un’altra questione.
«A te cosa importa?»
«Mi importa perché è la migliore amica di Maya. Ti avevo già intimato di non avvicinarti a lei. Non credevo che avrei dovuto ripetertelo».
«Ascolta, sono stato bravo». Gli puntai un dito contro il petto. «Mi sono comportato come mi avevi chiesto. Ma il tempo è scaduto».
«Non ci sono abbastanza ragazze carine sull’isola? Devi provarci per forza con lei?»
«È il massimo per me, e la voglio».
Scosse il capo, guardò Maya, poi l’orizzonte sconfinato sull’oceano. «Ti sei mai domandato il motivo? Perché lei significa così tanto che non puoi fare a meno di portartela a letto per poi lasciarla? Non sei stanco di comportarti in questa maniera?».
Serrai la mascella. «So che ami Maya, che hai voglia di sistemarti e avere tantissimi bambini ma, cazzo, perché mi stai giudicando? Si tratta della mia vita».
Non replicò. Avrei voluto che parlasse con me, che andasse avanti con la discussione, ma non aggiunse altro.
«Io… Ascolta, voglio essere…». Mi passai una mano fra i capelli e chiusi gli occhi. Vanessa era impressa nella mia mente, mi sorrideva con quelle labbra voluttuose. Era un sogno vivido ed eccitante per chiunque. Perché non dovevo desiderarla?
Il fatto che ancora nessuno l’avesse conquistata e portata all’altare era un fottuto miracolo. Al solo pensiero che qualcun altro l’avrebbe potuta far innamorare, si risvegliarono gli istinti primordiali insieme a una irrefrenabile voglia di farla mia.
«Vuoi essere cosa?». Cameron si era appoggiato alla ringhiera del balcone, con le braccia incrociate contro il petto.
Raddrizzai lentamente la schiena. «Sa come sono fatto, giusto? Se dovesse succedere qualcosa fra noi, è probabile che sappia già che sono un tipo poco raccomandabile. Forse proprio per questo vorrei dimostrarle che, comunque sia, ne vale la pena».
«Vuoi dirmi che quella donna rappresenta una sfida più difficile perché partiresti svantaggiato? Bene».
«No!», risposi irritato. L’avrei preso a pugni.
Cameron inspirò col naso e rimase a fissarmi minaccioso, senza dire nulla.
«Vorrei soltanto vedere come andrà a finire. Ci stiamo conoscendo. Di solito non ci perdo tutto questo tempo. Chissà… magari c’è la possibilità che continueremo a frequentarci anche dopo questa vacanza».
Scosse il capo sospirando. «Fai come ti pare. È adulta, quindi immagino che sia in grado di decidere da sola. Vorrei solo che per una volta non fossi tanto egoista. Se il tuo intento è quello di portarla a letto, prova a concederle una possibilità in più. È tutto ciò che ti chiedo».
«Bene, ho capito. Adesso possiamo ubriacarci per poi andare a pescare?»
«Certo».
«Stronzo», mormorai.