Capitolo quindici

Vanessa

 

«Voglio che se ne vada».

Le parole di Reilly rimbombarono nell’ampia cucina mentre scendevo le scale. Il suo tono seccato mi colpì come un pugno allo stomaco.

Mi sta licenziando. Oh, Dio. È la fine.

«Non mi importa con quanti bambini senzatetto abbia organizzato eventi di pittura a dita, è il mio denaro che finanzia il progetto, e io non la voglio al CDA. Appoggerai il mio voto, in caso contrario ritirerò il capitale. Voglio proprio vedere per quanto tempo resterà a galla l’organizzazione senza il mio contributo».

Mi rilassai, anche se decisi di non palesarmi. Lo sentivo camminare per la cucina. Poi scorsi il suo viso pallido e stanco. Il vino bevuto la sera prima non aveva certamente giocato a suo favore.

«Basta stronzate, Nicole. Non mi importa se tu e Cheryl siete amiche. Vota contro di me, e io ritirerò l’investimento. Sarà finita anche per te. Questo è l’ultimo avvertimento da parte mia. Ci vediamo alla riunione di fine mese, sono sicuro che prenderai la decisione più ragionevole».

Riagganciò e appoggiò le mani sul ripiano di granito, sospirando.

Avrei voluto tornare su, nella mia stanza, ma quella casa era troppo silenziosa. Posai la valigia all’ingresso ed entrai in cucina.

Sollevò lo sguardo. «’Giorno».

«Buongiorno. Vuole che prepari del caffè?»

«No. Ne prenderemo uno per strada. Sei pronta?»

«Quando vuole», risposi in tono pacato, evitando di guardarlo in faccia.

Non ci scambiammo una parola per tutto il tragitto in macchina. Appena saliti sull’aereo provai a rompere il ghiaccio, nella speranza di uscire da quella situazione imbarazzante con la scusa del lavoro.

«Questa sera abbiamo l’aperitivo con gli investitori. Ho organizzato tutto per quanto riguarda il luogo dell’evento, dunque non dovremmo avere problemi. Poi ha un incontro a pranzo, oggi, con Dermott. Le va di andare, oppure chiedo di rimandarlo?»

«No, va bene oggi».

«Okay». Inviai di corsa un’e-mail all’assistente di Dermott per confermare l’ora e il posto dell’incontro.

Reilly sospirò e osservò fuori dal finestrino. «Mi dispiace per ieri sera».

Smisi di digitare sulla tastiera. Non sapevo cosa dire. Mi mancavano le parole, come sempre quando avevo a che fare con lui. Comunque fosse, ricordava quello che era successo ed era l’ultima cosa che desideravo accadesse. L’illusione che il nostro rapporto sarebbe andato avanti facendo finta di nulla si dissolse.

Quello che aveva fatto non era bello. Non intendevo perdonarlo, ma neanche volevo che ne restasse il ricordo.

«Non perdo mai. Mai nella vita…». Scosse il capo e tornò a guardarmi. «Sai che ai tempi delle scuole superiori giocavo a baseball? Ero il giocatore più bravo della città. Poi sono andato a Yale, ho giocato per un po’ anche lì, ma gran parte del tempo lo passavo a studiare. Mi sono laureato col massimo dei voti. Dopo sono arrivato a Wall Street, e il resto è storia. Sono bravo in quello che faccio».

«Lo so». Nessuno avrebbe mai potuto negarlo. Nel gioco del fare soldi, dominato dall’avarizia, lui era tra i migliori.

«Non ho mai subìto sconfitte fino a Cheryl. Un giorno si è svegliata e ha deciso che la sua vita doveva andare in un altro modo. Così, di punto in bianco. D’un tratto, lungo la scalata della vita, avevo fallito in qualcosa. Non me lo sarei mai aspettato. Ho sofferto a lungo per questo. Poi ho iniziato a pensare che forse non si era trattato di un vero fallimento. Forse non avevo perso quella battaglia. Perché mi accorsi che anch’io volevo qualcos’altro. Volevo te».

Riuscivo a malapena a respirare. «Reilly, io…».

«David. Chiamami David».

«David». Deglutii a fatica e iniziai a tormentarmi l’interno del labbro, come se in quella maniera potessi trovare le parole giuste. «Non avevo idea che provassi certi sentimenti per me. Sei stato sempre tanto…». Freddo, insensibile. La possibilità che sotto la scorza dura quell’uomo mi desiderasse sessualmente non mi aveva mai sfiorata. «Mi hai reso l’esistenza parecchio difficile».

«Cambierà tutto», propose all’istante. «Questa nuova tappa della vita, il lavoro al fondo speculativo, le cose cambieranno. Saremo una grande squadra, io e te».

Parlava come se avesse già deciso per entrambi.

Non contava cosa volessi, che fossi innamorata di un altro. Senza contare che non ero minimamente attratta da un uomo la cui unica missione sembrava quella di rendermi la vita un inferno.

«Sto uscendo con qualcuno».

Si avvicinò. «Sono un uomo molto ricco, Vanessa. Avresti tutto quello che vuoi. Tutto quello che potresti desiderare, per sempre».

Il suo tono di voce era inflessibile. All’improvviso mi sentii a disagio, come la notte appena trascorsa, quando le pareti della stanza parvero chiudersi intorno a me appena mi aveva ingabbiato contro il muro. Non sapevo cosa dire, ma per fortuna non mi permise di aggiungere altro.

«Riflettici». Tornò ad appoggiarsi contro lo schienale del sedile e aprì il giornale ripiegato alla perfezione accanto a lui. «Ora che ci penso, forse è meglio spostare il pranzo con Dermott a domani».

Con quella frase chiuse la conversazione.

Aveva deciso. Lo conoscevo, e sapevo che faceva sul serio.

La sensazione di panico mi pervase, ma in qualche modo riuscii a tenerla a bada. Avrei trovato un’altra occasione per spiegargli che non potevo condividere la sua visione del futuro. Non potevo essere chi desiderava. Speravo soltanto che, quando gliene avrei parlato, mi avrebbe ascoltata.

 

Darren

 

Una prostituta picchiata, un attacco cardiaco, tre esplosioni e un incendio domestico. Per fortuna avevo lavorato tutta la notte, non sarei riuscito comunque a chiudere occhio, neanche se ci avessi provato. Non smettevo di pensare a Vanessa. Avevamo parlato per più di un’ora, mi ero fatto giurare una decina di volte che stava bene. Ancora mi ribolliva il sangue all’idea che quel coglione del suo capo avesse allungato le mani.

Ian e i ragazzi della squadra cercarono di distrarmi tra un’emergenza e l’altra, ma io non avevo affatto voglia di scherzare. Una volta finito il turno presi la mia decisione.

Chiamai l’ufficio dove lavorava e mi feci dare tutte le informazioni sul volo. Un’ora dopo ero all’aeroporto che l’aspettavo al ritiro bagagli.

Comparve dietro le porte di sicurezza, finalmente parte dell’ansia che mi attanagliava svanì. Soltanto guardarla rendeva il mondo più giusto. Più facile da affrontare. Più bello.

Mi riconobbe subito, come se avesse sentito la mia voce che la chiamava. Sorrise, corse verso di me e si gettò tra le mie braccia.

La afferrai e la sollevai da terra, affondandole il viso fra i capelli per inalare quel dolce profumo. Mele e vaniglia.

«Cosa ci fai qui?». Appena si scostò vidi che le brillavano gli occhi. Il suo sorriso era tenero e sincero.

La osservai mentre sentivo la sua pelle morbida sotto le mie mani al ricordo della voce che avevo ascoltato la notte prima. Avrei tanto voluto dirglielo, ma per telefono non c’ero riuscito. Dovevo guardarla negli occhi, averla davanti in carne e ossa. Abbastanza vicina da poterla toccare…

«Devo dirti una cosa». Le presi i polsi e strinsi delicatamente, intercettando il battito regolare del suo cuore. «Vanessa… io ti amo».

Il suo sorriso svanì e mi accorsi che le si bloccò il respiro. Percepii la frequenza cardiaca accelerare sotto il pollice, come la mia. Con le labbra che le tremavano, aprì la bocca per pronunciare qualcosa.

«No. Non dirlo. Non ancora. Perché adesso mi odierai».

E se avessi rovinato tutto? No, non di già. Si accigliò, nella sua espressione lessi una domanda. Io non potevo darle la risposta che cercava, quindi non risposi nulla e la baciai. Quel bacio durò finché una voce maschile non ci interruppe, urlando il suo nome.

«Vanessa! Cosa stai facendo?». Un istante dopo quell’uomo rivolse il suo sguardo furioso a me. «Tu chi sei?».

A giudicare dalla maniera in cui mi parlò pareva che pretendesse di mettermi in ginocchio e lucidare le sue maledette scarpe. Che razza di stronzo. E così, quello era l’uomo che abbaiava i suoi ordini a Vanessa, tutti i giorni.

«Sono Darren Bridge. E tu, a quanto sembra, sei il tizio che si sente in diritto di allungare le mani sulla mia ragazza».

«Andiamo. Non ho tempo per certe cose».

Protese un braccio verso di lei, che si scostò, quasi il suo istinto non le desse altra scelta.

«Ma come? Cos’è questa novità che non posso toccarti?».

Lo sguardo perplesso sul volto del suo capo mi alterò all’istante. Pensava davvero che Vanessa fosse di sua proprietà. Si sbagliava di grosso. Le si avvicinò di nuovo e la afferrò per un braccio, tirandola a sé, senza preoccuparsi di guardarla.

No. Non poteva. Ero andato lì per dirgliene quattro in maniera sbrigativa. Ma a quel punto mi avrebbe ascoltato molto più a lungo.

La presi con forza per un braccio finché non la lasciò andare. Un velo di timore gli offuscò gli occhi. Ero più alto, muscoloso e incazzato di lui. Aveva ragione a temere.

Mi insinuai fra loro e non persi altro tempo prima di sferrargli un pugno dritto sul naso. Cadde a terra. Avrebbe potuto farmi piacere, se non avessi già immaginato di generare una rissa in cui lo avrei colpito almeno un paio di volte ancora.

«Toccala di nuovo e dovrai comprarti una faccia nuova. Questo è solo l’inizio».

«Darren!». Vanessa urlò e si scostò da me, per poi accovacciarsi a terra dove il suo capo era riverso.

Avevamo attirato l’attenzione di un po’ di gente, quelli che ci passavano davanti sembravano non poter fare a meno di fermarsi un attimo.

«Vanessa, lascialo stare. Andiamo via».

Mi ignorò e iniziò a frugare nella borsa alla ricerca di fazzoletti di carta con cui gli tamponò il naso, nel disperato tentativo di bloccare l’emorragia.

«Stai bene?». Mantenne un tono di voce basso.

«No, non sto per niente bene, cazzo. Quel maledetto uomo di Neanderthal è il tuo fidanzato?». Le sue grida rabbiose vennero attutite dal colpo subìto e dai fazzoletti.

«Vanessa, dài». Odiavo l’idea di essere un altro che le urlava contro, ma era assurdo che gli stesse concedendo attenzioni dopo quello che era successo. «Ce la farà da solo. Andiamo».

«Lasciaci stare, Darren. Hai già fatto abbastanza».

Reagii con una smorfia. «Hai intenzione di restare ad aiutare questo stronzo?».

Si voltò e mi lanciò uno sguardo contrariato, continuando a tamponare il viso di Reilly. «È il mio capo, e tu gli hai appena rotto il naso. Vattene».

 

 

Vanessa

 

Io ti amo.

Non riuscivo a togliermi quelle parole dalla testa. Aveva detto che mi amava. Il mio cuore quasi esplose dalla voglia di ricambiare. Perché lo amavo, sì. Più di quanto ritenevo possibile.

Le costruzioni sfilavano velocemente davanti a noi mentre attraversavamo la città in macchina. Ancora non potevo credere a quello che era accaduto. Imprecai in silenzio per aver telefonato a Darren la notte prima, dandogli motivo di preoccuparsi. Il risultato era stato disastroso.

«Gli hai raccontato di ieri sera?».

Mi voltai verso Reilly, seduto accanto a me. «Mi hai presa alla sprovvista. Avevo bisogno di parlare con qualcuno».

«Avresti potuto parlare con me», sbottò.

«Non mi sembravi nelle condizioni di affrontare una conversazione».

Fece un verso di disgusto appena tolse i fazzolettini per sostituirli con altri puliti che avevo preso nei bagni dell’aeroporto. «Come si chiama? Darren Bridge? Lo denuncerò».

Come se il mio livello di adrenalina non fosse già al massimo, lo sentii aumentare ancora. Gli rivolsi uno sguardo titubante. Esitai prima di pronunciare le parole che avevo in mente. «È il figlio di Frank Bridge. Di sicuro vi conoscete».

Si girò e guardò fuori dal finestrino, senza smettere di tamponarsi il naso. «Sì. Credo di aver notato anche la somiglianza. Ma non avrei mai creduto che avesse cresciuto un bastardo simile».

Mi morsi la lingua. Non avevo intenzione di giustificare il comportamento di Darren, ma lo aveva fatto per difendermi. Nessuno si era esposto così tanto per me. Mai. Anche se aveva preso una decisione stupida. Non era stato lui a inimicarsi il mio capo.

«Ovviamente non potrò presentarmi all’aperitivo di stasera con gli investitori. Non posso mostrarmi in questo stato. Dovrai andarci tu, verranno anche Bill e Adriana».

«Come farò a capire con chi devo parlare?»

«Adriana ti istruirà. Andrai bene. Soltanto… comportati come al solito. Sii gentile, professionale. Non ho dubbi che te li farai subito amici».

«Okay». Sospirai con un certo nervosismo, chiusi gli occhi e appoggiai la schiena contro la pelle fredda della limousine. «Mi dispiace», dissi in tono pacato. Avrei tanto voluto che tutto quel macello fosse stato solo un brutto sogno. Che disastro.

«Non devi scusarti tu. Dovrebbe farlo lui».

Mi voltai verso il mio capo, pronta a implorarlo. «David… ti prego».

Fece un cenno con la mano. «Non devi preoccuparti di nulla. Penserò io a tutto».

Sapevo bene che non era una persona indulgente. Serrai la mascella. Dio, se Darren non fosse stato già in guai seri lo avrei chiamato per arrabbiarmi e dirgli quanto era stato sciocco affrontare un uomo come David Reilly.