Capitolo due
Vanessa
«Le donne entrano gratis». Il buttafuori sulla porta del Bearded Lady fece un cenno verso Eli. «Dieci dollari».
Eli non si impegnò granché per nascondere l’irritazione. Alzò lo sguardo al cielo e porse una banconota da dieci all’uomo che ci marchiò con un timbrino, quindi entrammo in quel locale di Brooklyn già affollato.
«Non posso credere di aver dovuto pagare anche solo per accedere», commentò Eli.
«Il fatto che tu sia gay non ti esonera dal pagamento».
Passai davanti a due gruppetti di persone. Dopo quattro ore trascorse a riordinare un’intera cucina riuscii finalmente a liberarmi di Reilly. La stanchezza della settimana era ancora più forte, per quello ero determinata a sfruttare al massimo la serata prima di decollare l’indomani mattina.
Una delle poche abitudini che avevo mantenuto era organizzare il sabato sera, anche se non c’era più tanta trasgressione da quando Maya aveva smesso di far parte, da qualche mese ormai, della squadra “lavora sodo e divertiti tanto”, ma era l’unica abitudine che mi teneva in piedi. I quasi due anni trascorsi in azienda sembravano dodici, non ricordavo l’ultima volta in cui non avevo fatto gli straordinari per stare dietro agli incarichi e ai capricci di Reilly.
«Soltanto perché mi hai trascinato in questo macello non significa che non mi lamenterò, Vanessa». Eli si passò le dita sottili fra i capelli nero corvino, come faceva sempre, visto che gli erano cresciuti parecchio. Aveva tinto le punte della frangia di un blu elettrico che si abbinava al logo della maglietta.
Avanzai verso il bancone, nella speranza di essere notata per ordinare un drink. «Il primo giro lo offro io, così saremo pari».
Cercai invano di richiamare l’attenzione del barista. Non indossavo il mio solito abbigliamento da locale, quindi niente scollatura profonda ad agevolarmi nella missione.
Accanto a me, Eli si guardava intorno. «Devo dire che questo posto non è affatto male. I locali in cui ci sono tante donne attirano gli uomini, sbaglio?».
Sorrisi. Cambiava idea in un lampo. «Credevo odiassi i luoghi affollati».
Inclinò il capo e sospirò. «Dipende dalla folla». Mi rivolse un sorrisetto malizioso. «Oh, vedo qualcuno che conosco laggiù».
Seguii il suo sguardo, dall’altra parte del bancone, sicura di scorgere una vecchia fiamma di Eli.
In effetti era una bella visione. A pochi metri da noi c’era Darren Bridge. Non avrei dovuto sentirmi così emozionata per aver visto un uomo che conoscevo appena, ma il cuore iniziò a battere al doppio della frequenza. Qualcosa in lui mi attirava…
Avrei tanto voluto essere cieca nei confronti di quel “qualcosa”, ma l’istinto di stare lontana dai cattivi ragazzi sembrava spegnersi non appena lo incrociavo. Avevo bisogno di un ragazzaccio nella mia vita quanto di un secondo lavoro. Ma dare un’occhiata non mi sarebbe costato nulla.
Indossava una camicia bianca a maniche lunghe che non nascondeva il fisico scolpito. Era sempre in palestra. Ogni muscolo esaltava la sua bellezza. Non vedevo il viso, ma potevo consolarmi benissimo con tutto il resto. Aveva i capelli scuri con una sfumatura alta, sopra erano più lunghi e spettinati. A ogni donna sarebbe venuta voglia di passarvi le dita. I muscoli del collo e gli avambracci erano ricoperti da pelle olivastra. Si voltò appena e mostrò un sorriso dai denti perfetti.
Forse stava guardando qualcuna? Non mi avrebbe sorpreso, invece stava parlando con un uomo non meno attraente e tenebroso. Era come se Darren riuscisse ad attirare uomini eccezionalmente belli con la stessa facilità con cui le donne dell’intero locale non potevano fare a meno di scoparlo con gli occhi. Me compresa.
Eli mi diede una gomitata contro il costato e mi rivolse uno sguardo di intesa.
«Chiudi il becco», gli intimai.
Scoppiò a ridere. «Non ho detto niente. Ma la tua faccia…».
«Non è nulla di buono, lo sai anche tu. Di mestiere spezza i cuori alle persone».
«Ma solo dopo avergli sfondato il letto. Scommetto che scopa come uno stallone».
Il solo pensiero mi mandò a fuoco la pelle. Non mi sarebbe dispiaciuto mica scoprirlo…
Resistetti alla tentazione di dirgli di nuovo di chiudere il becco, prima che potesse alimentare il ricordo di un precedente incontro con lui, alcuni mesi prima. Maya mi aveva avvertito che Darren era un puttaniere e che avrei dovuto stargli lontano, se fossi stata in grado di usare il cervello. Sarebbe stato facile. Drink e locali portavano sempre a decisioni sbagliate, ma anche se mi era rimasto accanto per tutta la sera non era mai andato oltre un pizzicotto sulla guancia.
Le possibilità erano due: si trattava di chiacchiere infondate e in realtà era un galantuomo, oppure non ero il suo tipo, dunque si era comportato da persona educata e mi aveva fatto compagnia durante la serata.
Mi voltai per appoggiarmi al bancone, non ero ancora riuscita ad attirare l’attenzione del barista. Dovevo distogliere lo sguardo da Darren.
«I tipi come lui fanno sempre un’ottima prima impressione. Sono un miraggio. Non esiste qualcuno così sexy che sia anche bravo a letto».
Eli sollevò un sopracciglio. «E questa che razza di teoria strampalata sarebbe?».
Mi strinsi nelle spalle. A volte inventavo delle regole per sentirmi meglio. Dentro di me, tuttavia, sapevo benissimo che era una cavolata. Cameron era altrettanto affascinante, non avevo mai sentito Maya lamentarsi. E poi, erano innamorati da anni. Personalmente era parecchio tempo che non provavo quella sensazione di piacere che dà dormire con la persona amata. Inoltre, se le teorie di Maya su Darren erano fondate, di sicuro il suo stile di vita non gli concedeva il tempo sufficiente per innamorarsi di una donna.
«Signorina?».
Mi voltai e vidi due Dirty Martini davanti a me, come per magia.
«Non li ho ordinati».
«Li vuole? Li offre quel tizio laggiù». Il barista puntò il pollice alle sue spalle con un’espressione indecifrabile.
Ridussi gli occhi a due fessure. «Quale tizio?»
«Credo quello lì, V». Eli mi diede un’altra gomitata, con maggior delicatezza stavolta.
D’un tratto sentii una mano calda sul fianco che si spostò sulla schiena appena mi girai. Quando vidi Darren rimasi senza fiato. La sua presenza, non sapevo il motivo, sembrava risucchiare tutto l’ossigeno intorno a me.
«Non sono abbastanza “dirty”?». Sorrise.
Il cuore iniziò di nuovo a sfarfallare.
«Cosa?». La mia risposta dall’aria confusa si perse nella sala del locale.
Si avvicinò, le narici si impregnarono del profumo fresco della sua acqua di colonia, il suo respiro caldo mi colpì l’orecchio. «Grey Goose Martini, molto Dirty. Credevi l’avessi dimenticato?».
Oh. Provai una leggera delusione quando capii che non aveva fatto alcuna allusione sessuale con il nome del cocktail. Però aveva ricordato qual era il mio preferito.
«Grazie. Voglio dire, non dovevi». Non ero certa che fosse la risposta più giusta da dare ma, per qualche ragione, la sua presenza mi mandava in pappa il cervello. Forse perché il suo corpo caldo era a pochi centimetri dal mio. Forse perché il sorriso sexy e lo sguardo intenso mi paralizzavano, così come sicuramente succedeva a molte altre donne.
Eli fece un cenno con la mano e riuscì a distogliere l’attenzione di Darren da me. «Io sono Eli, nel caso te ne fossi dimenticato».
«Felice di rivederti». Spostò la mano dalla mia schiena per porgerla a Eli. «Allora, siete emozionati per questo viaggio, o no?»
«Grand Cayman o morte!». Eli sollevò il bicchiere con un sorriso malizioso, quindi brindò contro la bottiglia di birra di Darren.
Eli bevve un sorso, poi si accigliò. Un istante dopo tirò fuori il cellulare dalla tasca e mise a tacere la suoneria, quindi portò l’apparecchio all’orecchio. «Taylor, aspetta», urlò nel microfono. Sollevò un dito per farmi sapere che si sarebbe allontanato.
Darren occupò il posto lasciato da Eli, appoggiò un braccio sul bancone per poi chinarsi verso di me. «Vieni spesso qui?».
Il cocktail mi andò quasi di traverso. Non me lo aveva chiesto per pura cortesia.
Mi rivolse un sorriso smagliante, mostrando i denti bianchi e perfetti. «Te lo domando perché mi interessa davvero, non sto cercando di intavolare una conversazione di circostanza. Giuro».
«Certo. Be’… non vengo spesso qui, ma ci capiterò di nuovo quando mi sarò trasferita da Eli. Prenderò in affitto la stanza di Maya, dunque mi ritroverò più spesso da queste parti».
Fece un cenno d’assenso. «Sei contenta di cambiare casa?»
«Sì. Eli è uno dei miei più grandi amici, e poi non mi piace vivere da sola. Credo che sia un cambiamento positivo per me. Lavoro molto, Eli mi aiuta ad affrontare le cose nel modo giusto. E poi mi fa piacere andare a vivere più vicino a Maya. Da quando ha lasciato l’azienda non la vedo quasi mai».
Calò il silenzio. Ripensai alle parole che avevo pronunciato con la speranza che non dessero l’impressione, che avevo avuto io, di essere state dette da una donna imbarazzata e disperata. Vivevo per lavorare, i miei amici erano tutto per me. Mi mancava Maya, Eli e io ci eravamo avvicinati molto da quando era andata a vivere con Cameron. Iniziai a giocherellare con una ciocca di capelli e mi scappò un sospiro. «Perdonami. Questi ultimi mesi sono stati stressanti. Ho dovuto affrontare molti cambiamenti».
«Capisco. Neanche Cameron è più lo stesso. Voglio dire, è mio fratello. Saremo sempre molto legati, ma ultimamente è cambiato. Maya è la persona più importante per lui, ormai».
«Cameron è un brav’uomo».
«È il migliore tra noi due. Maya è fortunata».
Si imbronciò a quell’osservazione.
«Anche lui è fortunato», ribattei. Maya poteva anche essere una gran casinista, ma Cameron le aveva fatto passare un periodo d’inferno quando, anni prima, si allontanò dopo aver abbozzato una prima proposta di matrimonio, poco convinta. Lei la prese bene, tutto sommato. In fin dei conti erano diventate persone migliori da quando si erano ritrovate e avevano deciso di provarci di nuovo.
Darren mi rivolse un sorriso appena accennato. «Hai ragione». Si avvicinò, anche se riuscivo comunque a sentirlo da dove si trovava. «Allora, dov’è il fortunato?».
Scossi il capo e abbassai lo sguardo verso il bicchiere. «Non ho un uomo». L’unico “fortunato” nella mia vita era David Reilly, e non vedevo l’ora di essere a un Paese di distanza da lui. Mi portai il bicchiere alle labbra. I sapori decisi di oliva, aceto e vodka mi bagnarono la lingua, e il pensiero di non essere per un po’ a sua completa disposizione mi fece rilassare le spalle. Trattenni un sospiro.
«Buono?». Darren guardò di sfuggita il bicchiere per poi scrutarmi il corpo, dalla testa ai piedi, per soffermarsi infine sul viso.
Appena ci guardammo negli occhi ricordai quanto erano belli. Nocciola chiaro con punte di verde. Ipnotici. Inquietanti perfino.
«Perfetto, proprio come piace a me. Non riesco a credere che te ne sia ricordato. È passato tanto tempo». Mi passai la lingua sulle labbra e cercai di convincermi che non mi stesse osservando con un certo interesse.
La sua espressione si fece più neutrale, si accigliò appena. «Non dimenticherò mai quella sera».
Rimasi interdetta, non mi uscì neanche una risposta imbarazzata. Mi mancavano le parole. Darren ci stava provando con me, come non aveva mai fatto prima, e io non sapevo come reagire. Il mio corpo mi implorava di sforzarmi di dire qualunque cosa, di toccarlo, di fargli capire cosa provavo. Ma il mio cervello era troppo scaltro per lasciarsi abbindolare.
Mentre ero tormentata dalla battaglia di resistenza contro l’uomo più sexy del mondo, e da quella che mi spingeva a raccontargli tutti i drammi e le situazioni stressanti della mia vita, Eli sbucò dall’ingresso del locale e si avvicinò. Dietro di lui vidi l’uomo con cui Darren stava parlando prima. Da vicino era molto più attraente. Alto e magro, pelle scura, occhi grigio-azzurri. Doveva essere il prodotto di diverse etnie, ma non riuscivo a immaginare quali potessero dar vita a un simile capolavoro.
Darren si voltò verso di lui. «Vanessa, lui è Ian Savo. Lavora con me alla scala 9».
«E io sono Eli», aggiunse il mio amico per poi stringergli la mano.
«Piacere di conoscerti. Molto lieto, Vanessa. Ho sentito parlare tanto di te». Si girò verso Darren. «Mi dispiace interrompervi, ma c’è una persona che vorrei presentarti. Posso rubarti ai tuoi amici per un minuto?».
Darren si accigliò in maniera impercettibile prima di bere l’ultimo sorso di birra e allontanarsi dal bancone. Appena si scostò avvertii la mancanza del suo corpo caldo.
«Certo». Mi rivolse un sorriso fugace che sembrò riflettere la mia delusione. «Torno tra un attimo, va bene?».
Assentii senza dire nulla e lo guardai andare via insieme al suo amico. Non ce la facevo. Guardarlo mentre si allontanava era come vedere il sole tramontare per lasciar spazio all’aria fredda. Mi voltai verso Eli, decisa a porre fine al mio travaglio interiore. Stava fissando il cellulare e leggeva una serie di messaggi.
«Cosa voleva Taylor?»
«Voleva stare con me, stasera. Ma gli ho risposto che avevo già in programma di ubriacarmi con te. Non l’ha presa bene».
Taylor era il compagno tira e molla di Eli. Mantenevano un rapporto non esclusivo perché Taylor era un fotografo, dunque era sempre in viaggio. Soltanto che Eli non era tipo da storie senza impegno.
«Sta per partire di nuovo?».
Rispose con un cenno del capo. «Londra».
Non lo avrebbe mai ammesso, ma era terribilmente preso da Taylor, e ogni volta che si spostava per lavoro soffriva, consapevole della possibilità che uscisse con qualcun altro. Il risultato erano messaggi vendicativi come quello che gli aveva appena inviato, in cui gli faceva capire che anche lui andava a divertirsi da solo, anche se, da quanto ne sapevo, era fedele al suo non-fidanzato.
Mi scappò un sospiro, nella speranza che mi venisse in mente qualcosa da dire per farlo sentire meglio. «Ti libererei volentieri dalla mia triste compagnia, ma ho paura di fare la figura della ragazza sconsolata e sola davanti al bancone di un bar».
«No, neanche per sogno. Gli amici non si comportano così. A proposito, ti va di bere qualcos’altro?».
Infilai l’oliva del cocktail in bocca e feci un cenno d’assenso. «Certo, vado un attimo in bagno. Torno subito».
Avanzai tra la folla di avventori e trovai la fila, per fortuna corta, per il bagno delle signore. Mentre tornavo da Eli, notai Darren dall’altra parte della sala. Era in compagnia di Ian e due donne. Il suo amico era abbracciato a una ragazza mora, alta quasi quanto lui. Poi c’era una biondina appoggiata al braccio muscoloso di Darren, lui rideva e le parlava a un orecchio per farsi capire in mezzo al frastuono.
In qualche modo avvertì la mia presenza. Si voltò e i nostri sguardi si incontrarono. Sentii le guance avvampare e provai un certo fastidio. Non sapevo quanti secondi erano passati quando finalmente mi resi conto della figura da stupida che stavo facendo, in piedi al centro della sala, intenta a fissare Darren che si intratteneva con una spasimante. Distolsi lo sguardo e andai a cercare Eli più in fretta possibile, rimproverandomi nella mente. Darren Bridge era senza dubbio il playboy dal quale tutti mi raccomandavano di stare lontana, e io ero stata una sciocca anche soltanto a pensare che non fosse così.
Appena rintracciai Eli, una voce risuonò dagli altoparlanti fissati alle pareti.
«Signore e signori, è arrivato il momento che tutti stavate aspettando. Siamo pronti per ascoltare le vostre migliori performance al karaoke. Scegliete un compagno per l’esibizione e una canzone. Salite pure sul palco, non siate timidi».
Senza troppi complimenti, presi il cocktail dalla mano di Eli. Iniziò un brano che conoscevo bene, subito dopo l’annuncio del titolo. All’improvviso fu come se il testo lo sentissi dentro di me. Mi venne un’irrefrenabile voglia di cantare, una sensazione che scacciò le emozioni che mi aveva provocato l’incontro con Darren. Mi rallegrai e buttai giù metà del Martini.
«Accidenti, cosa ti prende?». Eli mi guardò con gli occhi spalancati.
Indicai il suo bicchiere. «Bevi che adesso tocca a noi».
Darren
Mi faceva male il viso a forza di sorridere alla ragazza bionda mentre Ian ci provava con la sua amica. Volevo tornare da Vanessa, ma non potevo. All’improvviso, come se il mondo avesse risposto alla mia preghiera, la scorsi. Era salita sul palchetto all’angolo della sala, era raggiante. Capelli rosso intenso e labbra rosa. Non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso, continuavo a guardarla.
Chissà perché, era l’ultima persona che mi sarei aspettato di vedere lassù. Sistemò il cavo del microfono. Eli, accanto a lei, fremeva per iniziare a cantare.
Rimasi a fissarla, curioso di assistere a quella performance. Volevo che si accorgesse di me, ma allo stesso tempo intendevo restare nascosto. Ancora non mi ero ripreso dallo sguardo che mi aveva rivolto poco prima. Non era la prima ragazza dalla quale mi ero allontanato durante una serata, per un motivo o per un altro. Eppure non ricordavo di essermi mai sentito tanto stronzo quanto quella sera. Di sicuro aveva pensato che mi fossi allontanato per intrattenermi con la bionda.
In un certo senso, era così.
Tutta colpa di Ian. Gli avrei tagliato le palle per avermi costretto a lasciarla. Di solito non mi pesava fargli da spalla, ma quella sera era come se avessi i paraocchi. Vedevo soltanto Vanessa. Appariva a proprio agio sul palco, davanti a tutti, davanti a me.
«La conosci?», mi urlò la ragazza bionda all’orecchio.
Sbattei le palpebre e feci un cenno d’assenso, senza mai distogliere lo sguardo. Avevo rovinato tutto così presto?
Ian era rapito dalla ragazza mora. Era bella, aveva il fisico da modella, una voce che avrebbe fatto sciogliere chiunque, sebbene lui non fosse per nulla interessato a quello che gli stava dicendo. Il mio compito era occuparmi della sua amica in maniera tale da non avere ostacoli per la conquista.
Non avrei dovuto preoccuparmi. Vanessa aveva comunque reagito alla mia presenza. Avevo notato che era arrossita quando mi ero avvicinato. L’avevo sfiorata quasi per caso, in realtà si trattava di una strategia. Sapevo che non avrei mai dovuto avvicinarmi a lei ma, appena la vidi dall’altra parte della sala, mi resi conto che niente poteva fermarmi. L’ultima volta che uscimmo insieme mi dimostrai disinteressato. La verità era che non avevo mai desiderato tanto fortemente di portare a letto una donna. New York era il mio terreno di gioco, e di rado succedeva di negarmi un po’ di divertimento. Lavoravo sodo, e scopavo con altrettanto impegno.
Strinsi la bottiglia di birra e visualizzai Vanessa come destinatario del mio mantra.
Aveva il microfono in mano, vicino alla bocca, e guardava la platea. Pareva diversa quella sera. Non aveva il solito aspetto di chi esce di casa per svagarsi con gli amici. Non indossava un abitino rosso succinto, tacchi a spillo e acconciature sofisticate come tutte le altre ragazze nel locale. Sembrava abbigliata come in un qualunque giorno feriale. I capelli erano pettinati in maniera poco appariscente. Indossava dei jeans scuri attillati e una maglietta che le lasciava una spalla scoperta, rivelando una bretellina nera e sottile. Avevo voglia di afferrare quella fettuccia con i denti e…
Nel locale calò il silenzio per non coprire la base musicale, cercai di riconoscere il brano. Alcuni secondi dopo Vanessa iniziò a declamare il primo verso, a occhi chiusi.
Gesù.
Quel posto era caldo quanto un forno con tutta quella gente, ma mi venne la pelle d’oca. Era incredibile. Il ritornello, cantato fuori tempo da Eli, non le rendeva giustizia, ma quel piccolo disturbo non mi impedì di apprezzare il talento di Vanessa.
«What doesn’t kill you makes you stronger, stronger!».
“Quel che non uccide fortifica, fortifica!”, cantava quei versi con una passione sempre più coinvolgente. Non guardava nessuno, a eccezione di Eli e del pavimento, eppure ebbi la sensazione che ogni parola le sgorgasse dritta dal cuore. La tensione che aveva mostrato pochi istanti prima con me era svanita. Sul palco era un’altra persona… chi l’avrebbe immaginato?
La ragazza bionda mi stava raccontando qualcosa, sollevai una mano per interromperla, doveva stare zitta fino alla fine della canzone, poi esplose l’applauso.
«Accidenti, è brava», urlò Ian fra i tanti versi di apprezzamento.
Diamine, sapeva cantare, eccome.
Sorrisi, fischiai e applaudii più forte che potevo.