Capitolo dodici
Vanessa
Aprii gli occhi con lo sgradevole trillo della sveglia che avevo impostato sul telefonino. La disattivai. Alcuni secondi dopo misi a fuoco la stanza da letto. Sospirai e mi stiracchiai. Mi facevano leggermente male i muscoli per la notte trascorsa con Darren, ma non me ne pentivo neanche un po’.
Lui si rigirò nel letto, accanto a me. Andai in bagno per lavarmi i denti e quando tornai lo trovai seduto, con la schiena appoggiata contro la testiera e il lenzuolo tirato su fino alla vita. Aveva qualcosa fra le mani.
«Lui chi è?», domandò.
Sentii avvamparmi le guance e mi avvicinai. «Non sono affari tuoi».
Allungai un braccio per prendere l’orsacchiotto, ma lo allontanò. Mi sedetti vicino a lui e incrociai le braccia contro il petto, un po’ mortificata. Avevo ventisei anni, dopotutto.
«Rimettilo a posto, Darren».
«Ascolta, se hai intenzione di condividere il letto con qualcun altro vorrei almeno conoscere il nome del mio rivale».
Scoppiai a ridere e gli diedi uno spintone sul petto. «Non credo si possa definire una competizione».
«No? Non ti sei infervorata così tanto per me appena sei tornata a casa».
«Piantala di prendermi in giro». Mi sedetti sulle ginocchia, gli strappai il peluche dalle mani e lo gettai lontano, sull’altra sponda del letto.
Mi si accendeva un fuoco ogni volta che pensavo a Darren, e in quel momento ero nella stessa stanza con lui. Che se ne accorgesse oppure no, quando ero in sua compagnia mi sentivo viva. Era una bellissima sensazione, eppure allo stesso tempo mi terrorizzava.
«Come si chiama?».
Sollevai lo sguardo al soffitto, consapevole che non mi avrebbe dato tregua finché non avessi risposto alle sue stupide domande.
«Beau. Okay? Possiamo parlare d’altro adesso?».
Spalancò gli occhi. «E non dovrei essere geloso?»
«Beau è il nome di mio padre. Quindi no. Me lo ha regalato una delle rare volte in cui si è ricordato del mio compleanno».
«Oh». Il suo sorriso svanì appena. «Mi dispiace».
«Non devi. A me non dispiace affatto».
Mi strinsi nelle spalle, quel ricordo non mi aveva messo alcuna tristezza. Beau era mio padre, sì, ma era anche un uomo. Un essere umano con i suoi difetti, come chiunque.
«Non tutti siamo tagliati per essere genitori. Avremmo potuto anche vederci più spesso, ma forse sarebbe stato peggio».
«Altri non sarebbero tanto indulgenti», commentò in tono pacato, disegnando piccoli cerchi sul mio ginocchio piegato.
«Siamo quello che siamo. Alcuni non sono capaci di essere quello che il mondo pretende che siano».
«Tua madre si è risposata?»
«Sì, Phil è un brav’uomo».
«Non mi sembri tanto entusiasta di lui».
Feci spallucce. «È un tipo a posto. Beau è stato l’amore della sua vita. Quello che hanno vissuto insieme non potrà mai viverlo con uno come Phil, ma sono felici. Sono contenta di non saperla più sola. E poi sono sicura che non le spezzerà mai il cuore».
Darren mise su un’espressione seria, e per un po’ non disse nulla.
Dentro di me sapevo che lui avrebbe potuto farmi molto male. Ridurmi il cuore in mille pezzi. La passione che provavamo l’uno per l’altra era esagerata. Un gioco pericoloso. Gli uomini che avevo avuto in passato non erano neanche lontanamente come Darren.
Si avvicinò, quasi avesse voglia di far deragliare tutti i miei pensieri inespressi. In un lampo mi ritrovai sotto di lui. Sentivo il suo corpo caldo e disteso su di me. Mi scappò un sospiro appena mi fermò le braccia sopra la testa. Qualcosa dentro mi si sciolse.
Poi iniziò a toccarmi ovunque. Mi tirò su la camicia da notte con una mano e cominciò a giocherellare con un capezzolo, finché non si inturgidì. Quindi vi passò la lingua.
«Amo le tue tette, il tuo corpo». Prese il capezzolo fra le labbra, lo succhiò per poi staccarsi con uno schiocco. Si spostò più giù, fermandosi all’altezza del cuore dove lasciò un bacio delicato. «Tutto», sussurrò e i suoi occhi castano chiaro mi stregarono.
Mi stavo innamorando di lui. Mi sentivo completamente rapita.
Chiusi gli occhi e mi cullai nel ricordo della notte appena trascorsa, appagata dalle sensazioni scatenate dal suo tocco. Anche se esausta dalla prestazione del giorno prima, lo desideravo ancora.
«E questa…». Fece scivolare le dita sulle mutandine.
Mi morsi il labbro appena sfiorò il clitoride che strofinò fino a risvegliarlo, provocandomi scosse piacevoli sulla pelle.
«Darren, cosa mi stai facendo?».
Non avevamo di certo tempo per divertirci, quella mattina. Tuttavia, mi ritrovai ad aprire le gambe per accogliere le sue carezze. Spostai il bacino in avanti, lui rispose insinuando due dita dentro di me mentre con il pollice continuava a stimolarmi. Proprio quello che ci voleva per aumentare il desiderio. Iniziò a muovere le dita sulla pelle sensibile delle pareti interne, poi le tirò fuori. Ancora e ancora. Prima lentamente, poi con maggiore velocità. Mi aveva ridestato ogni terminazione nervosa che ormai pulsava dal piacere.
Mi avvamparono le guance. La città intorno a noi dormiva, il mattino era avvolto nel silenzio e io stavo per essere guidata verso un orgasmo che sembrava più potente di me. Ma fu quello sguardo famelico e cupo che mi distrasse dal piacere per lasciarmi attonita.
Gli afferrai il pene. Sbuffò e iniziò a strofinarsi contro il palmo della mia mano. Il potenziale godimento che potevo procurargli era tutto ciò di cui avevo bisogno.
Mentre lui mi stimolava, io mi muovevo a ritmo, disegnando dei cerchi e accarezzandogli il sesso dalla base all’estremità. Avvertivo le pulsazioni e il calore del suo membro. Eravamo completamente concentrati l’uno sull’altra, mi eccitai sempre più.
Sarei venuta pochi istanti dopo, e anche lui. Mi balenò per la testa l’idea di guidarlo dentro di me, senza protezioni, per raggiungere l’orgasmo insieme.
Non ancora…
Chiusi gli occhi a quel pensiero e sentii il mio corpo irrigidirsi. Gemetti, travolta dal piacere più intenso.
Ero tormentata dalla violenza di quell’orgasmo tanto impetuoso quanto fugace. Vidi la sua espressione tesa mentre muovevo ancora il bacino in preda al piacere. Le sue dita, bagnate dai miei fluidi, si strinsero alle mie per farmi dondolare con maggior foga e rafforzare la presa che avevo allentato durante le contrazioni.
Dopo mi fece mettere a cavalcioni su di lui, disteso a pancia in su.
Mi strinse con decisione e accelerò i movimenti. «Cazzo, piccola, così».
La sua espressione si fece ancora più tesa, la bocca era aperta. Inarcò la schiena mentre continuava a masturbarsi con la mia mano.
Venne sulle mie dita e sul suo addome scolpito.
«Accidenti». Con un sospiro tremante si rilassò, gli occhi al soffitto.
Sorrisi, avevo le mani appiccicose e una sensazione di appagamento. La soddisfazione di avergli provocato quell’espressione fu la ciliegina sulla torta per il mio ego.
«Hai decisamente cambiato in meglio la mia giornata». Sorrise sornione.
Scoppiai a ridere e mi chinai per baciare le labbra dolci dell’uomo che mi stava conquistando, un orgasmo travolgente dopo l’altro.
Appena mi resi conto di che ora fosse mi irrigidii. Maledizione. Dovevo sbrigarmi. Scesi subito dal letto.
«La mia doccia non è pensata per due persone. Tu sei ridotto peggio, quindi puoi andare per primo». Corsi al bagno, mi sciacquai alla bell’e meglio e aprii il rubinetto della doccia per far riscaldare l’acqua. Appena uscii, mi accorsi che non si era mosso di un centimetro.
«È tutta tua. Intanto vado a preparare il caffè».
«Grazie, rossa».
Sollevai lo sguardo verso il soffitto. Avrebbe mai smesso di chiamarmi con quel nomignolo? Forse la parte più irascibile di me aveva voglia di arrabbiarsi, ma poi ripensai a quanto mi disse in acqua durante la nostra prima notte insieme. Che ero una spia rossa che brillava nella sua testa. Avrei sempre ricordato quelle parole, perché io provavo la stessa cosa. Darren era in grado di accendermi la vita come nessun altro.
Andai in cucina e versai la giusta dose di caffè nel filtro. Mi misi a canticchiare una vecchia canzone che mia madre intonava sempre quando era di buonumore.
Sentii la porta della doccia chiudersi con un rumore sordo, poi guardai l’orologio del microonde, per assicurarmi che non stessi facendo troppo tardi per il lavoro.
Accesi la macchina per il caffè e aprii il frigo per vedere cosa cucinare. Non avevo molto tempo, ma la donna sessualmente appagata che albergava in me aveva comunque voglia di preparare la colazione al proprio uomo. Prima che mi venisse in mente una ricetta con gli ingredienti a disposizione, avvertii lo squillo appena percepibile di un cellulare.
Mi guardai intorno, il telefonino di Darren era appoggiato sul tavolino da caffè. Lo presi con l’intento di portarglielo. Ma appena vidi il messaggio che illuminava lo schermo rimasi di ghiaccio.
Era il selfie di una donna sul letto, poco vestita. Il mittente, Ellie, era una bellissima ragazza con capelli castani, sguardo accattivante e scollatura abbastanza profonda da far risvegliare la mia gelosia. A quello seguì un messaggio: “Quando mi sono svegliata stamattina ho sentito la tua mancanza. Chiamami al più presto XX”.
Quelle parole furono uno schiaffo in pieno viso. La rabbia rimpiazzò tutte le sensazioni piacevoli che mi avevano allietata fino a pochi secondi prima. Serrai la mascella e sbloccai lo schermo. “Ellie” gli aveva inviato parecchi messaggi, la scorsa notte, nei quali gli chiedeva di andare a casa sua. Lui aveva scritto che aveva altri impegni. Non riuscii a resistere alla tentazione di scorrere gli altri messaggi per saperne di più. Ne vidi alcuni di donne registrate soltanto con il nome a cui non aveva risposto. Infine uno che mi fece rivoltare lo stomaco.
Raina: “Volevo solo dirti che non mi pento di quello che c’è stato fra noi. Mi sono divertita molto, e sono sicura che potremo continuare a farlo. Senza coinvolgimenti e senza che nessuno lo scopra. Cameron non ha bisogno di sapere sempre tutto”.
Il rumore dei piedi nudi di Darren sul parquet era a malapena udibile rispetto a quello del sangue che mi pulsava nelle orecchie. Alzai lo sguardo e non riconobbi la persona davanti a me. Non era l’uomo con cui avevo trascorso la notte. Non poteva essere lo stesso di cui mi stavo innamorando perdutamente. Come era possibile che fossi stata tanto stupida?
Appena gli porsi il telefono si accigliò, le mani mi tremavano.
«Che succede?»
«Chi è Ellie?». Non riuscii a mascherare il tono di voce carico di sconforto.
Fissò il telefonino per un istante, poi sollevò lo sguardo, sul viso aveva un’espressione atterrita. «Nessuna. Una ragazza con cui uscivo ogni tanto».
«E… Raina? Non lavori con lei?».
Serrò la mascella. «Ma per caso… hai letto tutti i messaggi sul mio cellulare?».
Quello che avevo fatto non era corretto, ma ormai era andata. Sentii qualcosa, dentro di me, che si raffreddava. Gli sfilai davanti, ritornai in camera da letto e iniziai a frugare tra gli abiti per trovare qualcosa da indossare per andare al lavoro. Mi mossi alla rinfusa, ma almeno evitai di dare sfogo a una crisi isterica di fronte all’artefice della mia rovina.
«Vanessa, piccola, parla con me».
Mi voltai di scatto. «Non sono la tua “piccola”. Non sono la tua rossa. Non sono altro che un nome su una lunga lista di donne, che sicuramente ti conoscono meglio di me».
«Quelle ragazze non significano nulla».
Gettò il cellulare sul letto e si avvicinò. Fra noi si accese un misto di fuoco e rabbia, sommato a tutto l’amore che provavo.
«Nulla. Hai capito? Non sono come te». Mi prese il viso tra le mani. I suoi occhi dicevano tante altre cose… Mi sarebbe piaciuto che le avesse ripetute ad alta voce.
Non potevo dirgli che lo amavo. Non in quel momento, perché c’era la possibilità che per lui non fossi così importante. Non potevo fare una figura patetica, dovevo conservare quel briciolo di dignità che mi era rimasto.
«Non appartengo al tuo mondo». Chiusi gli occhi. «Ho sbagliato a controllarti il cellulare. Avrei dovuto rispettare la tua privacy, ma appena ho letto il messaggio che ti ha inviato una delle tue ragazze non sono riuscita a trattenermi. Ho provato… gelosia, so che è stupido. Non ho il diritto di provare certi sentimenti».
Scostò le mani. «Avrei preferito che non li avessi letti, ma da una parte sono felice, perché ora sono costretto ad affrontare realtà che speravo di evitare».
A quel punto aspettavo che mi confidasse qualcosa di terribile. Come se fosse possibile sentirmi ancora più insignificante o devastata. Attesi quelle parole che, sicuramente, avrebbero posto fine a qualunque cosa ci fosse stata fra noi.
«Ho un passato turbolento, lo sai. Sono stato con tante ragazze. Non ho mai avuto relazioni serie. Alcune di quelle donne le ho sentite più vicine di altre…».
«Non… Smetti di parlare subito». Feci una smorfia e indietreggiai di qualche passo. «L’istinto mi diceva che sarebbe successo prima o poi, ma qualunque cosa tu faccia con le donne, Darren, sei dannatamente bravo a farlo. Perché io sono vulnerabile proprio come le altre. La sola differenza è che non ho intenzione di continuare una relazione “senza coinvolgimenti e senza che nessuno lo scopra” con una persona a cui tengo molto».
«Non te lo chiederei mai».
«Dunque immagino che siamo arrivati a un punto morto». Mi strinsi nelle spalle, simulando noncuranza, ma dentro di me stavo soffrendo di una morte lenta. L’unica cosa che avevo davanti agli occhi era un futuro senza Darren, ed era triste. Lo conoscevo a malapena, ma mi era entrato sottopelle fino a fare fatica a respirare e a non vivere un solo giorno senza sperare di averlo accanto. Anche se cercavo di rifiutare gli istanti incredibili come quelli vissuti la notte appena trascorsa, pensare di non viverli più era insopportabile.
Si avvicinò di nuovo. Mi strinsi nelle braccia, quasi quel gesto mi proteggesse dalle parole che avrebbe pronunciato.
«Sei l’unica con cui voglia stare».
«Se è vero quello che dici, perché non hai raccontato a nessuno di noi?».
Reagì con un sospiro soffocato. «È complicato. Ho delle clienti. Non tutte, ovviamente, ma molte di loro vengono in palestra».
«Be’, ma gestisci una palestra o un cazzo di bordello, Darren? Insomma, perché non fai pagare loro anche gli extra, già che ci sei?»
«Adesso stai esagerando».
Scoppiai a ridere, perché se non avessi riso sarei crollata.
«Sì, è vero. Per la cronaca, mi pare che tu tenga a me e che però non intenda dirlo a nessuno. Guardati intorno, forse un giorno incontrerai una donna che ti farà venire voglia di vedere soltanto il suo viso. Non il viso di mille altre con occhi seducenti e bei nomi come Ellie».
Riprese il telefono dal letto, imprecando. «Vuoi che la chiami in questo preciso istante e le spieghi, nei minimi dettagli, cosa significa per me la nostra relazione?»
«Non ti preoccupare. Sei ufficialmente tornato sul mercato».
Cercai di sfilargli davanti, ma mi bloccò. Col poco spazio che c’era, e la sua statura imponente, non era difficile.
«Neanche per idea».
«Vattene».
«Non ho alcuna intenzione di prenderti in giro, Vanessa». Mi posò le mani sulle braccia.
Quel contatto, carico di possessività, dava ancora più peso alle sue parole, ma come facevo a credergli?
«È rassicurante», commentai, seppur non fossi in grado di guardarlo nei suoi occhi imploranti. «Lasciami. Devo prepararmi per andare in ufficio».
«Parliamone».
«Non ho tempo per parlare con te, Darren», sbottai. «E adesso fuori di qui».
Riuscii a liberarmi dalla presa e andai in bagno, chiudendo la porta a chiave. Mi appoggiai contro la porta e rimasi ad ascoltarlo. Come se potessi sentire il suo rimorso, il suo amore, qualunque cosa che scacciasse via almeno una parte di dolore. Le uniche cose che sentivo erano il cuore che mi batteva rabbioso nel petto e le lacrime amare che mi scendevano sul viso.
Feci un respiro profondo e mi allontanai dalla porta per fare la doccia. Entrai nella cabina e le lacrime si confusero con le gocce d’acqua.
Darren
Inviai un messaggio a Cameron per dirgli che dovevamo parlare. Era ancora a casa, così mi incamminai verso l’edificio in mattoni rossi in cui viveva con la sua novella sposa. Magari la presenza di Maya avrebbe aiutato.
Perché in quel momento le cose non potevano andare peggio. Ero stato un maledetto idiota, e Maya aveva ragione. Vanessa non meritava tutta quella merda e io non meritavo il suo amore. Anche se sentivo che si stava affezionando sempre di più, le avevo dimostrato che avrebbe fatto bene a stare lontana da me. Ma non l’avrei lasciata scappare tanto facilmente.
Mentre passeggiavo imprecavo contro me stesso, a tratti ad alta voce, guadagnandomi così lo sguardo interrogativo di alcuni passanti. Ma non me ne fregava nulla. Quella mattina era stata allo stesso tempo una favola e un disastro colossale.
Il desiderio di organizzare la serata perfetta mi aveva portato a mandare tutto all’aria.
Neanche bussai, entrai direttamente nell’appartamento di mio fratello.
Cameron era seduto al tavolo della cucina con una tazza di caffè in mano. Maya era sul divano e leggeva un libro. Guardai entrambi, poi mi accomodai davanti a Cam.
«Ho scopato con Raina».
Serrò la mascella con lo sguardo fisso sulla tazza di caffè. «Lo so».
«Te l’ha detto lei?».
Maya sollevò gli occhi dal libro per un istante.
«Ha pensato che sarebbe stato meglio se me lo avesse detto». Parlava lentamente e con tono determinato.
Capii che era parecchio arrabbiato, nonostante stesse cercando di stare calmo. «E quindi?».
Respirò a fondo. «E quindi aveva ragione. In questo modo ho evitato di sferrare un pugno contro il muro. Ma non sono certo che mi sia passata del tutto la voglia di spaccarti la faccia».
Feci un cenno d’assenso. «Me lo merito. Devo affrontare la situazione con Raina».
Iniziai a tamburellare con le dita sul tavolo, cercando di immaginare i terribili risvolti. «Magari se mi permettessi di…».
«Non se ne parla».
«Sarebbe grandioso se riuscissimo a far finta di nulla. Come se non fosse successo».
«Questa non è una soluzione efficace». Maya si alzò e venne a sedersi al tavolo. «Ha visto Raina che ti metteva le mani ovunque. Di sicuro crede che qualunque cosa ci sia stata fra voi potrebbe accadere di nuovo».
«Le dirò che ho conosciuto un’altra donna. Capirà». Abbassai gli occhi e mi guardai le mani. Le strinsi a pugno al pensiero dell’espressione devastata di Vanessa quando aveva letto quei messaggi. «Ho combinato un vero casino. In passato con Raina. Adesso con Vanessa…».
Scossi il capo e mi passai le dita fra i capelli, sospirando con aria sconfitta. Dovevo mettere a posto le cose, in qualsiasi modo. Ma il danno era grosso e non sapevo da dove cominciare.
«Le hai parlato?». Maya aveva un tono di voce pacato misto a preoccupazione, e mi diede una debole speranza.
«Stavo per farlo. Ma siamo…». Sospirai di nuovo. «Ci siamo lasciati trascinare dal momento. Ero andato da lei per spiegarle tutto, ma non l’ho fatto. Ha letto alcuni messaggi di Raina e di altre donne, stamattina».
«E…».
«E sono convinto che non voglia più vedermi. Non posso biasimarla».
Intorno al tavolo calò un silenzio carico di tutte ciò che avrebbero voluto dirmi. Ma nulla aveva importanza. Mi stavo rimproverando più di quanto avrebbe potuto fare chiunque altro.
«Credo di essere innamorato di lei», mormorai.
Appena sollevai il capo vidi Cameron con gli occhi spalancati. Maya non mostrava più tanto rancore.
Mio fratello sbuffò. «Accidenti. Credevo che non avrei mai sentito quelle parole uscirti dalla bocca».
Rivolsi il mio sguardo perso al tavolo. «Nessuno è più sorpreso di me. Dove la trovo una ragazza come lei?»
«Dovresti saperlo, dato che hai testato metà delle ragazze presenti nell’area di New York».
«Cosa hai intenzione di fare?», domandò Maya.
«Non ne ho idea. Non penso che voglia rivedermi».
Trascorse un minuto abbondante prima che Maya aggiungesse qualcosa. «Okay. Ho un piano».
Spalancai gli occhi e aspettai trepidante quel bagliore di speranza.
«Cam e io abbiamo un annuncio da fare, e volevamo riunire tutti. Dammi il tempo di organizzare una cena per stasera. Inviterò Vanessa e te, ovviamente. Non ti garantisco niente, ma almeno vi ritroverete nella stessa stanza».
«Lei lavora sempre fino a tardi. Come possiamo essere sicuri che verrà?»
«Prenoteremo in un locale nella zona in cui lavora, così non avrà modo di accampare scuse».
«Farò il possibile per riconquistarla. Ho bisogno che mi venga concessa la possibilità di sistemare le cose».
Maya si alzò di nuovo. «Non farmene pentire».
Feci un cenno col capo. Mia cognata mi stava dando una possibilità che non meritavo.