Capitolo nove
Vanessa
«Aspetta!». La voce di Eli assunse un tono stridulo appena salita la prima rampa di scale.
Ripresi fiato per qualche secondo, i muscoli delle braccia mi facevano male per aver trascinato la mia bellissima sedia. Era vecchia, ricoperta di tessuto arancione ruggine. Appena la vidi a un buon prezzo in un negozio di mobili usati me ne innamorai, anche se ero sicura che non sarebbe piaciuta a nessuno. Soprattutto dal momento che io ed Eli stavamo affrontando il trasloco in un appartamento al secondo piano, cercando di non morire dalla fatica. Il problema non era il lato estetico, piuttosto la pesantezza.
«Okay, continuiamo pure», disse Eli.
Salimmo insieme quella rampa stretta.
«Ehi, permettimi di aiutarti con quella».
La voce di Darren rimbombò dietro di me. Si avvicinò e mi liberò senza sforzo apparente di quel peso.
«La sto tenendo dall’altra parte», commentò Eli con un grugnito.
«Mollala e togliti di mezzo, Eli. Ce la faccio».
Mollò la presa, e altrettanto velocemente Darren caricò quella sedia di piombo sulla schiena, evitando per un pelo il soffitto della tromba delle scale. Bilanciò il carico e la portò in quella che stava per diventare casa mia.
La posò in un angolo del soggiorno e rimase lì, non sembrava molto affaticato.
«Grazie», dissi rimuovendo l’inesistente polvere dalla seduta. «Cosa ci fai qui?»
«Mi avevi detto che ti trasferivi. Allora ho pensato che avessi bisogno di aiuto».
Mi strinsi nelle spalle, cercai di non far caso ai muscoli indolenziti per aver trasportato su svariati scatoloni, quel giorno. «Ce la facciamo anche da soli. Comunque grazie».
Eli mi rivolse uno sguardo esasperato. A nessuno piaceva l’idea di dare una mano per un trasloco ma, diamine, gli amici servivano anche a quello. Maya e Cameron non sarebbero tornati dal viaggio di nozze prima dell’indomani, quindi potevo chiederlo soltanto a lui.
La presenza di Darren in casa già mi stava mettendo a disagio. Non era tanto per quello sfacciato spettacolo di muscoli. Neanche per come la maglietta lo fasciava, regalandomi la visione di un corpo che non molto tempo prima era stato tutto mio.
Ebbi la sensazione che quell’appartamento fosse finalmente mio, anche se era ancora tutto imballato. In quel momento, tuttavia, l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era come Darren cambiasse completamente il mio modo di vedere le cose. Il letto non era più soltanto il posto su cui collassare dopo una lunga giornata di lavoro. Era un angolo di paradiso che avrei voluto condividere con lui. Era il posto dal quale iniziare tutto daccapo, ma se ci avesse passato anche solo una notte non me lo sarei più tolto dalla testa.
«Ti avevo detto che me la cavavo».
«Vanessa, dài. Sono ore che ci stiamo ammazzando di fatica». L’espressione di Eli si trasformò da esasperata a irritata.
Lo sguardo di Darren si spostò da me al mio coinquilino. «Eli, hai fame?»
«Diamine, sì».
«Anch’io». Tirò fuori il portafoglio, prese delle banconote e gliele porse. «Vai a prendere una pizza da Tony, qui sotto. Ci penserò io a portare su il resto».
«D’accordo. Vado. Mi pare il minimo che possa fare per sdebitarmi». Agitò le banconote in aria e mi sfilò davanti.
Si volatilizzò nel corridoio e ci lasciò nel silenzio dell’appartamento mezzo vuoto.
«Cosa ti è venuto in mente?». L’irritazione nel mio tono di voce sorprese anche me, ma avevo fame e mi sentivo stordita, oltre a essere esausta perché ero appena tornata al lavoro.
«Te l’ho detto, ti aiuto con il trasloco».
«Non ho bisogno del tuo aiuto».
Serrò la mascella, il suo sguardo mi bruciò dentro con un’intensità che non avevo mai visto. Si avvicinò a grandi passi, continuò a guardarmi negli occhi.
«Sono qui, e non andrò da nessuna parte finché non avrai finito col trasloco. Se una volta finito vorrai cacciarmi a calci sarai libera di farlo. Non so cosa sia successo nell’intervallo di tempo fra l’ultima notte passata insieme sull’isola e adesso, ma mi sento… perso».
Socchiusi appena la bocca, mi colse di sorpresa. Sapevo cosa voleva dire. Il mio atteggiamento con lui era cambiato radicalmente da quando eravamo rientrati, e non gli avevo neanche dato spiegazioni. Ma quella parola… “perso”. Era il termine giusto per descrivere il turbinio di emozioni che stavo provando anch’io mentre cercavo di convincermi che lui non mi volesse, se non per una storiella passeggera.
Ogni minuto che passava mi convincevo sempre più che l’esperienza vissuta insieme, e di cui non avevamo mai parlato, non fosse stata per lui tanto significativa quanto lo era stata per me. Ogni tocco colmo di delicatezza, ogni volta che mi ero aperta a lui e mi ero concessa.
Mi sollevò il mento con un dito affinché lo guardassi negli occhi. «Parla con me», esordì in tono pacato, in viso un’espressione determinata.
«Sei venuto qui per parlare?».
Fece una smorfia. «E questo che diavolo significa?»
«Abbiamo passato metà del tempo della nostra vacanza nel tuo letto. Pensavo che volessi qualcosa di più da me che una semplice chiacchierata fra amici».
Non che mi sarebbe dispiaciuto vederci ogni tanto. Ma non era quello il rapporto che avrei voluto instaurare con lui.
Desideravo una relazione. Sì, lo capii soltanto in quel momento. Ero stata sola per troppo tempo, e forse con la persona giusta avrei anche potuto sopportare con meno fatica i ritmi serrati di Reilly. Tuttavia Darren non era il mio lieto fine. Lui aveva significato tanti momenti di felicità, ma prima o poi era destinata a finire tra noi. Il mio cuore non l’avrebbe sopportato.
Mi scostai, cercando di non far caso a quanto l’aria fosse fredda lontano da lui.
«Mi manchi», mi disse.
«Anche tu mi manchi». Mi guardai le mani, tentai di liberarmi dalla polvere. «Mi dispiace se mi sono dimostrata tanto scostante».
«Ti sei resa irreperibile. Devo ammetterlo, non sono abituato a essere ignorato».
Chiusi gli occhi un istante e mi lasciai scappare un sospiro per la stanchezza. «So che le cose non potrebbero mai essere come sull’isola, ho bisogno di un po’ di tempo per abituarmi».
«Soltanto perché siamo tornati a New York non significa che le cose debbano cambiare. Insomma, io voglio vederti. Voglio…». Aprì la bocca, ma non aggiunse altro.
«Per quanto mi piacerebbe, non posso essere la ragazza che cerchi, Darren. Magari non riesco a dirti di no, ma devo fare di tutto per contenermi, più di quanto non abbia fatto sull’isola. Mi sono spinta troppo oltre, lasciandomi coinvolgere anche se dentro di me sapevo che non sarebbe durata. Non posso mettermi con qualcuno se già so che arriverà il giorno in cui dovrò fingere che non sia successo niente».
«Non ti sto chiedendo questo. Il tempo che abbiamo trascorso insieme ha significato qualcosa anche per me». Si avvicinò e impostò un tono di voce più basso. «Ho un passato turbolento alle spalle, va bene? Non lo nego. Ma ciò non significa che non sono in grado di provare sentimenti. Quando ti ho vista per la prima volta, mesi fa, ti ho desiderata. Si era trattato di una mera attrazione fisica. Non avevo idea di cosa sarebbe successo, che ti avrei desiderata come ti desidero ora, che non sarei più stato capace di guardare le altre donne come in passato. Non mi aspettavo nulla di tutto questo, ma non ho intenzione di perderla senza neanche averci provato».
«Se stai parlando di una relazione…».
«Sì». Deglutì a fatica, i tratti del viso erano tesi, come se fosse difficile per lui non ripetere le solite frasi da rimorchio.
Mi afferrò i polsi e appoggiò i pollici sul punto in cui si monitora il battito cardiaco.
«Cosa stai facendo?», sussurrai.
«Mi sto accertando che il tuo cuore abbia la stessa frequenza del mio».
Scossi il capo. Batteva all’impazzata. Non riuscivo a credere che Darren Bridge mi stesse dicendo quelle cose, e che gli credevo. «Non so cosa rispondere».
Si portò il mio polso alle labbra e lo baciò. «Dimmi che vuoi uscire con me. Dimmi che cercherai di fare il possibile affinché funzioni fra noi, nonostante quello che pensi a ragione di me».
Mi sforzai di far entrare un po’ d’aria nei polmoni. «Voglio dirti di sì».
«E allora dillo, cazzo».
«Non voglio essere la tua ennesima conquista, Darren. Il mio cuore non lo sopporterebbe».
«Non lo sei. Non lo sei mai stata e mai lo sarai. Capito?».
Prima che potessi rispondergli mi baciò con le sue labbra morbide e decise. Mi arresi a quel bacio e al suo contatto, mi abbandonai contro il suo corpo come se fosse sempre stato il mio posto.
Fra i miei impegni soffocanti e il suo passato, non avevo idea di come potessimo costruire una relazione. Ma era da tempo che non provavo tanta emozione. Ogni più piccolo dubbio al quale mi ero aggrappata svanì mentre mi crogiolavo fra le sue braccia. La maniera perfetta in cui mi baciò mi fece sperare che fosse possibile trovare un modo per riportare un pezzetto del paradiso vissuto in quella settimana nella nostra quotidianità, e che forse potevamo riviverlo anche per intero.
Darren
Il weekend sembrava troppo lontano, ma era l’unico momento in cui Vanessa avrebbe potuto trovare del tempo libero. Il suo capo la faceva lavorare senza tregua, inoltre doveva mettersi in pari con le carte accumulate durante la settimana di ferie. Era una vita stressante, mi ricordava molto quella che conduceva mio padre.
Quando Ian e io ci avvicinammo all’ingresso della palestra intravedemmo Olivia in direzione della doppia porta a vetri. Appena entrammo il vento le fece svolazzare alcune ciocche di capelli lunghi e color cioccolato. Aveva un gran sorriso sulle labbra. Per una frazione di secondo mi rammentò la bambina che aveva sempre contato su di me, sicura che l’avrei protetta e mi sarei preso cura di lei ogni volta che i nostri genitori non c’erano. E mi portò alla mente anche tutti i dispetti che le facevo.
«Ehi, stavo andando via. Vieni anche tu a cena, stasera?»
«A cena?»
«Cam e Maya ci hanno invitato per una piccola rimpatriata». I suoi occhi azzurri si soffermarono su Ian un po’ troppo a lungo. «Anche tu sei invitato, se ti fa piacere».
Lui le rivolse il suo sorriso d’ordinanza, quello che faceva cadere le modelle ai suoi piedi. «Mi pare un’idea grandiosa. Io sono Ian, comunque».
Le strinse la mano, lei arrossì.
Li guardai accigliato, ma non sembrarono far caso a me. «In realtà, Ian e io avevamo intenzione di andare in qualche locale, più tardi. Comunque, ti avviso se decideremo di fare un salto».
Olivia tornò a fissarmi. Forse avevo fatto un buon lavoro nel mostrare disappunto, perché quel sorriso svanì di colpo.
«Okay, come no. Allora ci vediamo stasera, semmai».
Salutò con la mano, senza guardarci, quindi attraversò la porta e uscì.
«Cosa cazzo ti è saltato in mente?». Parlai con un tono di voce alquanto seccato.
Ian sollevò un sopracciglio. «Cosa?»
«Tocca mia sorella e ti taglio la gola. Intesi?».
L’ultima cosa di cui avevo bisogno era che qualcuno come lui le ronzasse intorno.
Non sapevo quanto potesse essere ingenua, ma con me lo era sempre stata. E il mio collega non era esattamente un uomo senza doppi fini.
Si voltò a osservare la sagoma sempre più indistinta di Olivia che si allontanava, poi tornò a guardare me. Mi fece un cenno col capo. «Intesi».
Lo fissai ancora per qualche secondo, per essere certo che avesse capito che non scherzavo. Mi piaceva Ian. Non mi avrebbe fatto piacere doverlo uccidere.
Mi scoccò un gran sorriso. «Amico, credo che tu abbia bisogno di una scopata. Stai diventando un rompiballe bastardo».
Sospirai, non potevo dargli torto. «Sì, lo so. Ecco perché vengo in palestra tutti i giorni».
Una cosa era certa: la vita non era più la stessa da quando ero tornato da quella vacanza. Al lavoro non era cambiato nulla, ma per quanto riguardava il tempo libero finivo per passarlo in palestra.
Entrai in sala pesi e mi guardai intorno, alla ricerca di facce conosciute. L’unico viso che volevo vedere era quello di Vanessa. Dovevo escogitare un modo per rientrare nella sua vita, ma si stava rivelando sempre più difficile per via dei suoi impegni di lavoro. Non mi ritenevo una persona assillante, però ero troppo preso. Dovevo trovare una soluzione a tutti i costi.
Forse non ero un tipo paziente, ma avevo intenzione di migliorare per lei.
Avrei potuto contattare decine di donne per sfogare fisicamente la pressione ogni giorno più forte, ma Vanessa era la sola che desideravo. La voglia di lei era così forte che speravo non pensasse di essere la mia ennesima conquista.
«Ti rimetteremo a nuovo stasera, amico».
Scossi il capo. «Ma no, va tutto bene».
Caricai qualche peso sul bilanciere e feci una prima serie di sollevamenti.
Lo sforzo improvviso, l’acido lattico e la leggera fatica muscolare mi aiutarono a stare meglio.
«Sei preso da una donna?».
Diamine, a quanto pareva stavo proprio per dare la notizia a Ian.
Mi tirai su per mettermi a sedere e ripensai all’unica volta in cui loro due si erano incontrati. «Ricordi quella ragazza al locale?».
Ridacchiò. «Credo che mi servano più indizi».
«La cantante».
Sollevò un sopracciglio. «Oh, quella ragazza. Sì. Be’, devo ammettere che era attraente».
«Non pensavo te ne ricordassi, eri piuttosto affaccendato quella sera».
Scoppiò a ridere. «Oh, sì. Ci siamo divertiti. Tutti e tre. Grazie per il sostegno». Mi fece l’occhiolino.
Alzai lo sguardo verso il soffitto. Quello era uno dei tanti motivi per cui dovevo fare in modo che stesse lontano da mia sorella.
«E com’era?».
Mi tornarono in mente tutte le notti di sesso travolgente, come mi succedeva spesso, ma non sarei sceso nei particolari col mio amico.
Anche lui aveva parecchi episodi personali a cui ripensare con piacere.
«È incredibile», dissi. «Voglio portarla fuori. Fare qualcosa di speciale con lei. In questo momento è molto impegnata con il lavoro, e non posso chiederle di trovare un po’ di tempo per noi».
«Mi pare di conoscere questo tipo di storia».
Sorrisi. «Non si tratta di lavoro quando fai quello che ti piace, amico».
«È vero. Immagino che lei invece non faccia esattamente il lavoro dei propri sogni».
«No. È l’assistente personale di qualcuno».
Arricciò il naso e si mise al mio posto, sotto la barra degli squat. «Quindi? Hai intenzione di uscire con lei?»
«Sì».
Si voltò verso di me e assunse un’espressione guardinga, carica di dubbi, forse catalizzata dall’ignoranza in materia.
«Cosa c’è di male?»
«Mi sembra una fatica inutile quando invece potremmo andare in un locale dopo il lavoro e incontrare una ragazza da portare a casa. Oppure potresti chiamare qualcuna delle donne che già conosci».
Appena finì di parlare, il cellulare trillò per l’arrivo di un messaggio.
Una ragazza che avevo assistito in palestra il mese scorso, Ellie.
“Hai programmi per questa sera? Io sono libera”.
Digitai una risposta veloce. “Non stasera”. Certo, non era affatto una risposta adeguata e cortese, ma in quel momento non mi venne in mente nient’altro.
Quando sollevai lo sguardo, Ian era lì che mi fissava.
«Come intendi comportarti, Bridge?».
Mi strinsi nelle spalle. «Troverò un modo. Mi preoccupo solo di far funzionare le cose con Vanessa, è un pensiero fisso».
Cercai in tutti i modi di cambiare argomento, nel tentativo di ignorare il timore che si radicava sempre più a fondo dentro di me.