18
«Allora, cos'è successo qui?» mi chiese Luke dopo un momento.
«Te l'ho detto, non lo so. Non sapevo neppure che Angel fosse sull'isola.»
«Non parlavo di questo. Che cosa ci facevi quaggiù nei boschi? Timmy ha detto che eri andata a controllare il capanno di Gabe.»
«Infatti.»
«Allora, ripeto... che ci facevi qui? Questa è la direzione sbagliata, se volevi tornare a Thornberry.»
«Non voglio parlarne!» scattai. «Non adesso. Per amore del cielo, Luke, Angel era mia amica. Non riesco ancora a credere che sia là dentro.»
«Be', allora proviamo a pensarci. Forse è venuta qui perché voleva parlare con te?»
«No. Avrebbe potuto telefonarmi. Almeno, prima del terremoto.»
«Forse quello che aveva da dirti era troppo importante per parlarne al telefono.»
«È possibile, immagino. Se il suo telefono era controllato, forse, o...»
«O, che cosa?»
«Se sospettava che il telefono di Thornberry potesse essere controllato.»
Guardai Luke. Perché avrei dovuto condividere con lui quelle ipotesi? Perché avrei dovuto fidarmi di lui più di prima?
Perché hai visto Gabe in quel modo con Kim. E ora non puoi fidarti di lui. Non puoi neppure fidarti di ciò che ti ha detto di Luke.
Il mondo stava andando a rotoli. Angel giaceva in una fredda, umida tomba su Esme Island. e io non sapevo più a chi rivolgermi. O a chi fosse prudente rivolgermi. Volevo liberarmi dal rimorso che provavo per la sua morte, ma non potevo.
«Devo seppellirla» mormorai. «Non voglio lasciarla qui all'aperto, come... come Jane.»
A quel punto, non ce la feci più. Scoppiai in lacrime.
Luke sospirò: «Oh, mio Dio, Sarah», e mi prese fra le braccia. «Mi dispiace tanto.»
Mi tenne stretta fino a quando non recuperai un po' di controllo, poi mi batté qualche colpetto sulle spalle e mi asciugò le lacrime con il pollice.
«Vieni, mettiamoci al lavoro» disse. «Non ci vorrà molto.»
In ginocchio, gettammo il terriccio dentro la fossa servendoci delle mani. Quello, credo, fu il momento in cui persi tutte le speranze. Le lacrime mi scorrevano sul viso e cercavo di mormorare delle preghiere, ma non credevo più che sarebbero state ascoltate. C'era un malvagio su quell'isola, un pazzo... o una pazza... che si aggirava fra noi, e niente aveva più senso.
A metà del lavoro, mi sedetti sui talloni e guardai Luke.
«Sei stato tu a fare questo?» chiesi, con una voce aspra, innaturale, abbandonando le mani lungo i fianchi. «Se sei stato tu, devi dirmelo. Dimmelo, per amor del cielo! Non lasciarmi nel dubbio. E se io sono la prossima, facciamola finita. Puoi seppellirmi qui, con Angel...»
Le lacrime mi colmarono di nuovo gli occhi e lasciai che mi scorressero sulle guance senza fare nulla per impedirlo. Erano successe troppe cose. Troppe morti, troppe scosse di terremoto... così tante che i traumi, fisici ed emotivi, ormai sembravano mescolarsi in un tutto unico.
Luke fissò gli occhi nei miei, e io feci del mio meglio per capire se mentiva. Ma non vi trovai altro che comprensione.
«Sarah, ti giuro che non ho ucciso la tua amica. E non ho ucciso Jane. Non so come fartelo credere.»
«Be', io lo so» scattai, rabbiosa. «Dimmi che cosa state combinando tu e Grace. Se non vuoi dirmelo, come posso credere a qualunque cosa tu dica? Senti, so che sei qui a causa mia. Tutte quelle domande sulla prova che posseggo contro i Cinque, il fatto che tuo padre sia coinvolto...»
Mi interruppi a metà della frase, chiedendomi, un po' tardi, se avevo detto troppo.
Luke sospirò.
«Okay, Sarah, ci hai scoperti. E hai assolutamente ragione. È stato mio padre a mandarci qui. E perdipiù, vorrei tanto che non fosse così, ma questo ha proprio a che vedere con te.»
«Pensavamo di proteggerti» disse Luke, mentre ci lasciavamo cadere a terra vicino alla tomba di Angel, lui da un lato, io dall'altro. «Mi dispiace, Sarah. Eravamo convinti di fare la cosa giusta.»
«Tu e tuo padre. E Grace. Facevate tutti la cosa giusta. Per me.»
Se nel mio tono c'era scetticismo, era quasi del tutto cancellato dall'esaurimento fisico. Non avevo più l'energia per fare molto, a parte ascoltare, e il fatto che non mi importasse più nulla di ciò che sarebbe successo a quel punto dava la misura dello stato in cui mi trovavo.
Angel era morta. Una delle migliori amiche che avessi mai avuto era morta. Le molte occasioni in cui non avevo fatto lo sforzo di incontrarla o di parlare con lei mi tornarono alla mente. Il venerdì sera in cui mi aveva chiamata, qualche mese prima, e mi aveva supplicata di fare un giro per i bar con lei. Si sentiva sola, aveva detto, e sperava di conoscere un uomo.
«È questo maledetto lavoro, Sarah. Non mi lascia il tempo per tutte quelle cose che si dice facciano le donne single. Come fare parte di una chiesa, sai? E comunque, chi vorrebbe me in una chiesa?»
Su questo si sbagliava. Oh, Angel era anticonformista. Le piaceva bere, alla fine della giornata di lavoro, ed era dura e caustica, dietro quel suo aspetto di biondina dagli occhi azzurri. Nei momenti appropriati, sapeva imprecare e scatenare un inferno e, in generale, far notare la sua presenza a tutti quelli che si trovavano a portata d'udito. Ma il suo cuore era buono, e le persone che si prendevano il disturbo di imparare a conoscerla le volevano bene. Sarebbero stati felici di avere Angel nella loro chiesa.
Il problema era la stessa Angel. Non sarebbe mai stata felice con il tipo d'uomo che poteva incontrare in una comunità religiosa, e lo sapeva. Ma io sarei potuta essere un'amica migliore. Sarei potuta andare con lei quella sera. Il fatto era che i bar non mi piacevano... li vedevo come vicoli ciechi, quanto a conoscere degli uomini. Non solo, ma di questi tempi era pericoloso uscire da un bar con un uomo.
Oh, Sarah, era più di questo, ammettilo.
Okay. La verità è che ero troppo impegnata con Ian, a quel tempo. E a Ian non piaceva che avessi degli amici. Mi voleva tutta per sé.
Ricordai un libro di Merle Shain. Aveva scritto che non avrebbe mai più rinunciato a un amico per un uomo, e che la prossima volta che si fosse sposata avrebbe portato con sé i suoi amici come dote.
Perché non ho dedicato più tempo ad Angel? L'ho assunta, ho approfittato dei suoi sforzi, di quanto aveva di meglio da offrire. Era sempre là, pronta ad aiutarmi. E io, dov'ero?
Sapevo che Luke mi stava parlando, ma avevo difficoltà a concentrarmi. Finalmente, le sue parole cominciarono a filtrarmi nel cervello.
«... Questa storia è molto più grande di mio padre, di me o di Grace» stava dicendo. «Sarah, abbiamo raggiunto un punto, in questo paese, in cui bisogna fare qualcosa. Da qualunque parte guardi, c'è troppa rabbia. Rabbia sulle strade, rabbia sul lavoro, gente che si infuria per dover fare la fila... che sia al supermercato, in banca o alle iscrizioni all'università. Nelle città la gente, o almeno molte persone che ho conosciuto, sono arrivate ad avere paura a uscire per commissioni. Sanno che ci saranno code e traffico dappertutto, e che non torneranno a casa per ore. Non solo, ma non si può più parlare con una vera persona al telefono. Devi premere numeri per questo, numeri per quello. Dio, Sarah, ho sperimentato anch'io quel tipo di rabbia. Una volta ho quasi sfasciato il telefono, scagliandolo attraverso la stanza.»
«Che c'entra tutto questo?» chiesi stancamente.
Perché mi dici questo? Di che cosa stai tentando di convincermi?
«Sto solo dicendo che in un mondo dove ci sono atleti violenti, uomini di spettacolo violenti e musicisti rock violenti... un mondo in cui ci sono persone che picchiano altre persone per strada senza una ragione, e bambini che si sparano l'un l'altro a scuola... semplicemente non c'è da stupirsi se ci sono poliziotti che si comportano nello stesso modo. Una volta ho sentito dire, in un programma televisivo, che il quaranta per cento di tutti i poliziotti sono colpevoli di violenze domestiche. Parte del problema è che coloro che fanno domanda per entrare nella polizia non sempre vengono selezionati a sufficienza, specie quando c'è la necessità di rafforzare un Dipartimento con più uomini. Ricordi che cos'è successo quando l'Organizzazione Mondiale del Commercio si è riunita a Seattle? È scoppiato l'inferno.» Luke si chinò a raccogliere un sasso e strofinò meccanicamente la superficie infangata, mentre parlava. «Non fraintendermi, ci sono molti poliziotti che non sono violenti, né in famiglia né per strada. La maggior parte vive una vita tranquilla e normale. Ma gli altri si sono insinuati nei Dipartimenti, e sono questi che fanno paura. Sono questi che dobbiamo tentare di fermare.» Mi guardò. «Sarah, i cattivi poliziotti, ovunque siano, provengono dallo stesso ambiente dei Cinque di Seattle. Sono ingaggiati per combattere il crimine, e decidono da soli che non è importante come lo combattono. Fabbricano prove quando non ce ne sono, e le distruggono quando ci sono. Il fatto è che i pezzi grossi delle città vogliono che le strade siano ripulite, e in alcuni casi la polizia ha virtualmente carta bianca per ottenere questo risultato, in qualunque modo.»
«Io non ero una criminale» replicai, rabbiosa. «Non avevano alcun diritto di mettermi in casa quelle droghe.»
«Credi che non lo sappia? È per difendere te, e gente come te, che mio padre sta cercando di fare qualcosa. Lui e l'FBI lavorano ormai da mesi per sradicare il problema dei cattivi poliziotti. E così, quando ti hanno incastrata... e mio padre non ha dubitato neppure per un momento che fossi stata incastrata... è stato naturale volerti aiutare.»
Quella storia cominciava a suonarmi anche troppo familiare. Non era forse la stessa che mi aveva ammannito Gabe?
Tranne che, nella sua versione, lui e Ian erano i buoni, e Luke, suo padre e Grace i cattivi.
«Mi sembra di ricordare che tuo padre era duro con i criminali» osservai. «È sempre stato dalla parte dei poliziotti... non dalla mia.»
«Non quando quei poliziotti commettono dei crimini» ribatté lui.
«Il fatto è che Gabe mi ha detto che era lui a lavorare contro i Cinque. Mi ha spiegato che era un poliziotto di Seattle e che lui era stato mandato qui per proteggermi. Ha aggiunto che tu e tuo padre eravate dalla parte dei criminali.»
Luke scosse la testa.
«Chissà perché questo non mi sorprende? Non lo vedi, Sarah? Gabe dev'essere uno di loro. Si è tenuto vicino alla verità abbastanza da essere convincente, ma il fatto è che se fosse quello che dice di essere, io lo saprei. Sarah, Gabe dev'essere legato in qualche modo ai Cinque di Seattle, e sono disposto a scommettere che fin dal primo momento in cui è comparso a Thornberry la sua intenzione era di mettere le mani sulla prova che hai contro di loro.»
Quasi scoppiai a ridere.
«E tu, Luke? Non hai fatto la stessa cosa?»
«Maledizione, per me è diverso! Mio padre era certo che i Cinque ti avessero incastrata, e non ha perso tempo a chiedermi di venire qui ad aiutarti.»
«A chiederlo a te e Grace, vuoi dire.»
«Sì, a me e a Grace. Ma a lei non subito. Mi ha chiesto di venire a tenerti d'occhio, ma io non sono potuto partire subito. Ero alle Bahamas a completare quel lavoro di cui ti ho parlato. Se avessi saputo che eri davvero in pericolo, sarei partito ugualmente, ma a quel tempo non pensavo che la situazione fosse così grave.» Luke sospirò. «E va bene, senti, ti dirò tutto. Grace e io ci siamo conosciuti a New York. Ci siamo... frequentati, ma solo per un po'. Lei e suo fratello erano entrambi nella polizia, e una notte, qualche mese fa, suo fratello era di pattuglia con un collega. L'altro poliziotto sparò a un uomo di colore ad Harlem, sostenendo di avere creduto che l'uomo stesse per estrarre una pistola. Quando risultò che la vittima era disarmata, il poliziotto gli mise addosso una pistola, per tentare di far apparire l'uccisione come legittima difesa.»
«Mi sembra di ricordare il caso.»
«Probabilmente ne hai sentito qualcuno simile al telegiornale. Sarah, queste cose accadono più spesso di quanto il pubblico sappia. Non tutti arrivano ai notiziari. In questo caso Ramon, il fratello di Grace, sapeva che il collega aveva mentito. Anzi, cercò di fermarlo, ma non ci riuscì. Alla fine, minacciò di testimoniare contro di lui, se non si fosse costituito spontaneamente. Il giorno dopo Ramon fu assassinato. L'accaduto fu fatto apparire come una sparatoria per strada, e Grace non poté provare che il collega di Ramon aveva ucciso la vittima di Harlem. Ma Ramon le aveva raccontato come si era svolto l'episodio, e lei gli aveva creduto. Continuò a indagare, cercando di provare che il fratello era stato ucciso, e il resto del Dipartimento cominciò a perseguitarla. Alla fine, non riuscendo a dimostrare nulla, diede le dimissioni, disgustata.»
«Be', se questo è vero, mi dispiace per lei. Ma non spiega perché è qui.»
«È qui perché mio padre le chiese di venire. Mio padre aveva conosciuto Grace a New York, all'epoca in cui ci frequentavamo ancora. Avevano parlato parecchie volte del Dipartimento di polizia di New York e di ciò che era capitato a suo fratello. Lui sapeva che aveva lasciato il lavoro e che aveva bisogno di denaro. Pensava anche che sarebbe stato utile metterti vicino una persona che nessuno conosceva, qualcuno di cui potesse fidarsi. Quando Grace seppe quello che ti era successo, fu più che disposta ad aiutarti. Era troppo simile a ciò che era accaduto a suo fratello. Non poteva rifiutare.»
«È buffo. Non ho mai visto Grace Lopez come il mio angelo custode.»
«Be', è vero che Grace si è incattivita, ultimamente. Ma credimi, è così solo da quanto ha perso suo fratello. E inoltre, non mostrarsi amichevole con nessuno faceva parte della sua copertura, qui.»
«Be', devo dire che c'è riuscita. Ma come ha fatto tuo padre a convincere Timmy a entrare a far parte del suo piano?»
«Come sai, mio padre è molto ricco. Ha sempre avuto simpatia per Timmy e rispetto per ciò che ha tentato di fare qui. Quando, di recente, ha appreso che le sue risorse finanziarie erano esaurite, le ha dato abbastanza denaro per mantenere in piedi Thornberry. Non le aveva mai chiesto niente in cambio, fino al mese scorso. Le ha detto che eri in pericolo, e le ha spiegato che Grace era un'agente sotto copertura e che voleva che la invitasse qui, per incaricarsi della tua sicurezza. Timmy non era entusiasta dell'idea. Ha dovuto disdire l'invito a una scrittrice a cui teneva molto... ma si è sentita obbligata a soddisfare la richiesta di mio padre.»
Non c'era da stupirsi che Timmy fosse stata così irritabile. Non riuscivo a immaginarla permettere a qualcuno di dirle chi doveva stare, o non stare, nel suo adorato ritiro. Doveva avere rimpianto amaramente la decisione di invitarmi, con tutti i guai che mi ero portata dietro.
«E così, tu e Grace siete venuti qui per proteggermi» conclusi.
«Esatto.»
«Tu, tuo padre e un'ex agente di polizia di New York... che, guarda caso, è anche la tua ex ragazza... siete tutti qui per aiutare la piccola, vecchia Sarah.»
«Sì. Ed è vero che è stata la mia ragazza, ma è finita molto tempo fa.» Luke cambiò posizione, a disagio. «Dopo che suo fratello fu ucciso, non ha più avuto alcun interesse per le storie romantiche.»
«Ti ha piantato?»
«È stata una decisione presa di comune accordo» rispose Luke. «Io viaggio molto, non potevo offrirle il sostegno di cui aveva bisogno... Non che lo chiedesse. La verità è che, anche se considero la nostra storia acqua passata, spero che collaborare a mettere i Cinque di Seattle dietro le sbarre l'aiuti a venire a patti con la morte di suo fratello. In ogni caso, è decisa a vedere conclusa questa vicenda. Grace può anche non essere la persona più cordiale di questo mondo, al momento, ma probabilmente è la persona che ti è più amica.» Mi guardò negli occhi. «A parte me, s'intende.»
«Be', è una bella storia, Luke. Quadra tutto magnificamente. Ma... voglio sapere anche il resto.»
Lui sospirò e allargò le braccia.
«Perché continuo a dimenticare che ho a che fare con un avvocato? Okay, senti, mio padre non stava facendo molti progressi, fino a quando i Cinque di Seattle non se la sono presa con te. Quando è successo, ha capito che poteva sfruttare i tuoi guai per metterli in trappola.»
«E così, la verità è che si sta servendo di me. E anche tu.»
«Se vuoi metterla così... Personalmente, penso che ti stiamo aiutando.»
«Me la sarei cavata benissimo da sola» affermai, benché, francamente, ne dubitassi. Ma dovevo dirlo. Non mi piaceva che si facessero le cose alle mie spalle, anche con le migliori intenzioni del mondo.
«Può darsi che te la saresti cavata» concesse Luke. «Ma la verità è che volevo aiutarti.»
«Perché?» chiesi, alzandomi.
«Non lo indovini?»
«No.»
Anche Luke si alzò, ed entrambi ci pulimmo le mani sui pantaloni.
«Sarah» cominciò lui, irritato, «sei una ragazzina ostinata. Lo sei sempre stata.»
«Non sono una ragazzina.»
«Sicuro che lo sei. E c'è di più. Un tempo eri la mia ragazzina.»
«Già, be', un tempo non avevo i molari. Tutti cresciamo, Luke.»
«Io ti voglio bene sul serio, però.»
«Davvero?»
Lui mi afferrò per le spalle.
«Non mi credi? Neppure adesso?»
La verità era che gli credevo. Dopo tutto quello che era successo, era la sola persona su Esme Island a cui credevo. E volevo provare di nuovo la sensazione dei vecchi giorni, quando lui e io eravamo le sole persone al mondo, quando niente importava, all'infuori di noi.
Tuttavia, c'era ancora un anello mancante, da qualche parte.
«Ci sono alcune cose che non quadrano» dichiarai. «Come ha fatto tuo padre a sapere che avevo una prova con cui potevo minacciare i Cinque?»
Gabe mi aveva detto che Murty aveva riferito le mie minacce al giudice Ford. E che lui aveva ordinato di impadronirsi di quella prova, a qualunque costo.
«Mio padre aveva fatto mettere sotto controllo il telefono di Mike Murty» rispose Luke. «Molto prima dello stupro di Lonnie Mae Brown. Sospettava i Cinque di altri reati, ma non era riuscito a ottenere niente di solido contro di loro. Purtroppo, erano troppo prudenti per dire qualcosa di compromettente al telefono di casa loro... fino alla sera in cui telefonasti a Murty, cioè.»
«E così, tuo padre mi sentì minacciare Murty con una prova, e ti ha mandato a cercarla? Per farne che, Luke?»
«Per impedire a qualcuno come Gabe Rossi di metterci le mani sopra, in primo luogo. E poi per riportarla... e riportarti... a Seattle sana e salva, in modo che potesse essere usata in tribunale contro di loro.»
«E allora, perché non mi hai semplicemente detto perché eri qui?»
«Be'... avevamo paura che lo dicessi alla persona sbagliata.»
«Cioè, Gabe?»
«E chiunque potesse essere in contatto con lui.»
Rimasi in silenzio, riflettendo. Poi chiesi: «Sai chi è realmente Gabe?».
«Riteniamo che possa essere un poliziotto corrotto pagato dai Cinque. O forse è solo un criminale che possono ricattare, e sta facendo tutto questo per restare fuori di prigione. Ho chiesto a mio padre di fare un controllo su di lui, ma per ora non ha trovato nulla.»
«Ma se fosse davvero il collega di Ian, tuo padre lo saprebbe?»
«Il collega del tuo ex amante?»
Luke addolcì la domanda con un sorriso.
«Come che sia.»
Di sicuro Luke e suo padre avevano scavato a fondo nella mia vita.
«Be', nessuno, finora, ha trovato un collegamento fra Gabe e Ian. Se ti ha raccontato che era il suo collega, probabilmente ha mentito.»
«Ancora una domanda, allora. Perché eri così riluttante a farmi telefonare a mia madre?»
Luke scosse la testa.
«Ci sono alcune cose su cui devi semplicemente fidarti di me.»
«Neanche per idea! Che sta succedendo a mia madre? È coinvolta in questo pasticcio, in qualche modo?»
«Non proprio. Cioè...» Si interruppe. «Non lo era.»
«Ma adesso lo è?»
«Senti...»
Lo agguantai per il bavero del giubbotto.
«Se tu e tuo padre avete in qualche modo cacciato nei guai mia madre, giuro che vi ucciderò tutti e due, Luke!»
«Non è nei guai» rispose lui, afferrandomi i polsi. «Non adesso.»
«Ma lo era? Dimmelo, o giuro...»
«E va bene, maledizione! Sì, è stata nei guai... per un po'. Dopo che chiamasti Murty, quella sera, lui e i suoi amici fecero una visitina a tua madre. La minacciarono di morte se non ti avesse convinta a fare marcia indietro. Le ordinarono di dirtelo, in modo che tu lasciassi cadere le accuse contro di loro.»
Ero stupefatta.
«Ma non mi ha mai detto una parola!»
«Lo so. Invece, ha parlato con mio padre.»
«Ha parlato con tuo padre... anziché con me?»
«Sarah, ti ho già spiegato com'erano stati intimi da giovani. Tua madre non voleva turbarti con le minacce dei Cinque, perché riteneva che avessi già abbastanza preoccupazioni. Perciò ha parlato con mio padre.»
«E poi, che è successo?»
«Poi lui l'ha fatta portare in Florida nel cuore della notte. Ha messo lei e tua zia... in modo che tua madre avesse compagnia... in una casa sicura a Tampa, ben lontano da Miami. Ed è là che si trovano adesso.»
«Non alle Bermuda? A Tampa?» Mi staccai da Luke e mi massaggiai le tempie. «Perché diavolo non me l'hai detto? Non fa niente, lo so. Non ti fidavi a dirmi la verità perché avrei potuto parlarne con Gabe. Mio Dio.»
Non riuscivo a credere che una cosa simile fosse potuta accadere a mia madre, e che lei non me l'avesse neppure detto. Invece, si era rivolta a un'altra persona.
«So cosa stai pensando» mormorò Luke. «Ma tua madre ti amava troppo per venire da te. Eri già stata arrestata e avevi perso il lavoro. Come poteva metterti un tale peso sulle spalle? È tua madre, Sarah.»
Una madre che avevo pensato di conoscere a malapena. E immagino che fosse vero, perché mai, neppure in un milione di anni, avrei pensato che avrebbe fatto tanto per proteggermi.
Ma potevo credere a Luke quando affermava che era al sicuro? Questo avrebbe significato fidarmi di lui... e di suo padre. Non solo credere alla sua storia, ma anche affidargli la vita di mia madre.
Dovevo fare la mia scelta.
«Voglio parlare con mia madre» affermai. «Subito.»
Luke cercò di ripetermi la storia della scarsa energia rimasta nella batteria del telefono, ma io non volli ascoltarlo.
«Basta con le scuse» dissi, decisa. «Vuoi quella prova? Al diavolo, te la darò. È tutta tua, Luke. Dopo che mi avrai permesso di parlare con mia madre.»
Quando raggiungemmo il sentiero che attraversava l'isola, deviammo in direzione di Ransford e del capanno di Luke. Devo ammettere che avevo un po' paura, camminando al suo fianco nella foresta buia. Se mi fossi ancora una volta sbagliata su un uomo... se in realtà Luke mi avesse mentito... avrebbe potuto uccidermi in quel luogo e in quel momento. Ma lui non lo fece, e quando arrivammo al capanno prese una chiave dalla tasca dei jeans e aprì la serratura. All'interno, chiuse di nuovo a chiave la porta prima di accendere la candela.
Stavolta, aveva nascosto il cellulare, e lo tirò fuori da sotto un'asse allentata del pavimento, sotto la branda lungo la parete.
Luke mi permise di comporre il numero, dettandomelo cifra per cifra. Questo mi rassicurò, in un certo senso, ma mandai a memoria il numero, per usarlo in futuro, se fosse stato il caso.
Rispose una voce maschile. Io tenni il telefono un po' staccato dall'orecchio, in modo che Luke potesse sentire, e gli lanciai un'occhiata interrogativa.
«FBI» spiegò lui a mezza voce. «È di guardia. Digli chi sei.»
«Io... Qui è Sarah Lansing» mormorai. «Voglio parlare con mia madre.»
Lui mi chiese la parola d'ordine. Ancora una volta guardai Luke.
«Digli: Bluebird.»
«Bluebird» ripetei, sentendomi un po' sciocca.
«Un momento» disse l'uomo.
Mia madre venne all'apparecchio immediatamente.
«Sarah? Oh, tesoro, è così bello sentire la tua voce! Ero preoccupata per te.»
«Mamma, stai bene?»
«Sì, benissimo. Lì è tutto a posto?»
«Sì» risposi. «Sei sicura di stare bene?»
«Tesoro, non sono mai stata meglio. Charles ci ha trovato questa deliziosa casetta, proprio sulla baia. E abbiamo degli agenti dell'FBI gentilissimi con noi. Sono due, e sorvegliano la casa come falchi. Io...» Mia madre esitò. «Immagino che tu sappia cos'è successo, ormai.»
«Qualcuno ti ha minacciata, giusto?»
«Sì, cara. Mi dispiace, non volevo che lo sapessi. Chi te l'ha detto?»
«Luke» risposi. «Mi ha detto che non volevi che mi preoccupassi. Vorrei che non l'avessi fatto, mamma. Mi sarei presa cura di te.»
Ma per quanto avessi desiderato farlo, ne sarei stata in grado? Ne dubitavo. Se erano arrivati fino ad Angel, avrebbero facilmente potuto fare del male a mia madre.
«Be', non devi preoccuparti per me, cara. Sono qui con tua zia, e siamo al sicuro come due piselli in un baccello.»
Sorrisi.
«Non è vicini come due piselli in un baccello?»
«Anche questo» rise lei.
Mia madre aveva sempre fatto confusione con i detti popolari. Sentire che lo faceva anche in quel momento mi rassicurò.
«E tu, cara? E Luke?»
«Te l'ho detto, stiamo bene.»
«Ne sono sicura» ribatté lei. «Ma non è questo che intendevo. Siete a Esme Island insieme. Hai finalmente trovato l'uomo dei tuoi sogni?»
Sorrisi.
«Senti, se sei sicura di stare bene, ora chiudo, mamma.»
«E così non intendi rispondere» borbottò lei. «Be', abbi cura di te, allora. Sarah... sarò felice quando tutto questo sarà finito. Sono preoccupata. Ma so che se Luke è con te, sei al sicuro. Charles dice che Luke non permetterà mai che ti succeda qualcosa.»
Chiusi la comunicazione e guardai l'uomo in questione.
«Sembra tutto a posto. Anzi, ha l'aria di stare piuttosto bene.»
«E così, adesso mi credi?»
«Io... sì. Adesso ti credo. Purtroppo, c'è solo un problema. Tu non avresti dovuto credere a me.»
Luke corrugò le sopracciglia.
«Come sarebbe a dire?»
«Luke, mi dispiace, ma ti ho mentito. Sulla prova, cioè. Non posso dartela, perché non so dov'è.»
Lui sorrise.
«Oh, questo. Non preoccuparti, ce l'ho già.»
Si inginocchiò, sollevò un'altra asse, vi infilò sotto una mano e tirò fuori la scatola Allegra.
«L'ho trovata sul sentiero, l'altro giorno, quando hai mandato me e Grace a quella caccia ai fantasmi alla ricerca del ciondolo di Jane.»
Spalancai gli occhi.
«L'avevi già da tutto questo tempo? E non mi hai detto niente?»
Luke si alzò.
«Intendevo farlo, ma sembrava che avessi fatto un po' troppo amicizia con Gabe. Sospettavo già di lui, e temevo che, se ti avesse convinta a fidarti, avresti potuto dirgli dov'era.»
«Per l'amor del cielo, Luke! E tu? Che cosa intendevi farne, esattamente?»
Lui sorrise.
«Io, mia sospettosa ragazzina, intendevo darla a te... al momento opportuno.» Mi mise in mano la scatola. «Immagino che questo lo sia» concluse.