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Seattle, 5 maggio

Parole.

Le parole mi hanno logorata, ultimamente. Sono all'incirca tutto quello che mi è rimasto, ora, il solo conforto che mi resta. Siedo alla scrivania di mio padre, nella casa in cui sono cresciuta, raccontando la storia allo schermo di un computer. Scrivo, adesso, soltanto per me. Ogni sera cancello quello che ho scritto, per timore che il mio lavoro venga sequestrato dalla polizia. Giorni con le dita sulla tastiera, sempre pronta a premere il tasto di cancellazione nell'eventualità che quella che passa per la legge si presenti alla mia porta.

Nel frattempo, raccolgo le idee, mettendole in parole.

Raccogliere... Radunare... Riunire.

Ho sempre amato queste espressioni. Hanno una moltitudine di significati, come le nuvole che si radunano per una tempesta, o fedeli che si riuniscono per pregare. O, come è stato per ciò che è accaduto a Thornberry... possono significare una raccolta di menzogne.

Tutte noi abbiamo mentito su qualcosa, quella dannata primavera. E così, essendoci riunite per ragioni che nessuna di noi capiva del tutto, ci siamo fatte del male, a noi stesse e l'un l'altra, in modi che non conoscevamo prima di allora.

Vi dirò questo: ciascuna di noi ha fatto ciò che doveva fare. Di questo sono sicura, ancora oggi. Un sentiero si è aperto, e noi lo abbiamo imboccato, senza neppure pensare dove potesse condurre.

E ci ha portate dritte all'inferno.