13
Quando rinvenni ero nella cucina di Thornberry, distesa sul grande tavolo da pranzo. Grace e Luke erano chini su di me, e avevo qualcosa di morbido sotto la testa. Qualcuno mi aveva gettato addosso una coperta e Timmy era al lavello a sciacquare il sangue da uno straccio. Il dolore al cranio mi disse che quel sangue doveva essere mio.
«Che è successo?» chiesi.
Lo sforzo di parlare mi fece saettare attraverso la testa un dolore ancora più lancinante, che mi strappò un gemito.
«Ti abbiamo trovata priva di conoscenza sul sentiero» spiegò Luke, accarezzandomi la fronte. «Devi esserti trascinata fin là. Sai che cosa ti è successo?»
«So che non mi sono trascinata. Mi ha trascinata qualcuno.»
«Ti ha trascinata qualcuno?» Luke e Grace si guardarono. «E perché mai avrebbe dovuto farlo?»
«Perché mai qualcuno avrebbe dovuto assestarmi una mazzata in testa?» scattai, con un altro gemito.
«Questa storia non mi piace...» si lamentò Timmy, preoccupata. «Non mi piace affatto. Non fa che peggiorare...»
Guardai Luke.
«Quello che intende dire è che adesso che qualcuno ti ha aggredita, è sempre più probabile che qualcosa del genere sia accaduto anche alla povera Jane» si affrettò a chiarire Luke.
Tutt'a un tratto ricordai la scatola Allegra. Mi posai una mano sul petto per vedere se riuscivo a tastarla attraverso la camicia. Non c'era.
Colta dal panico, cercai di metterni a sedere, ma Luke mi costrinse a rimanere distesa.
«Aspetta. Prenditi un po' di tempo.»
«Non capisci. Ho perso una cosa. Dev'essermi caduta, o...»
«Tu non capisci» intervenne Grace. «Sarah, hai un bel bernoccolo, e qualunque cosa abbiano usato per colpirti ha anche tagliato il cuoio capelluto.»
Sollevai una mano e tastai la ferita, che era dietro la testa e lunga circa cinque centimetri. Ritirai le dita sporche di sangue. Timmy si avvicinò e mise sul taglio un panno pulito, umido, spingendomi delicatamente all'indietro per tenerlo fermo. I suoi occhi erano colmi di cordoglio e di ansia. Mi si affaccendò attorno, cercando di farmi bere un po' d'acqua, ma mi andò di traverso e la respinsi.
«Non hai visto chi ti ha colpita?» chiese Luke. «Per niente?»
«Devi avere visto qualcosa» rincarò Grace.
Perché erano così insistenti?
La scena che avevo visto nei boschi mi tornò alla memoria. Stava succedendo qualcosa fra Grace e Luke, questo era chiaro. Ma aveva a che fare con chi mi aveva colpito in testa?
«Ti prego, Sarah, cerca di bere un po' di questa» mi sollecitò Timmy, avvicinandomi di nuovo la bottiglia dell'acqua alle labbra. Mi sollevò la testa, evitando accuratamente il taglio. «Mi dispiace tanto, mia cara.»
A quel punto mi decisi a bere qualche sorso, poi mi alzai a sedere e posai i piedi sul pavimento, trasalendo per il dolore che mi saettò attraverso tutto il corpo.
«Devo alzarmi» dichiarai. «Ho bisogno di cercare una cosa.»
«Non andrai da nessuna parte» mi contraddisse Luke, parandomisi davanti.
«Dicci che cosa hai perso. La cercheremo noi» si offrì Grace.
«No. No... non posso.»
Non sapevo che altro dire. Anche quando avevo parlato con Luke, il giorno prima, non avevo ritenuto che fosse una buona idea metterlo al corrente della prova che possedevo contro i Cinque, o del fatto che l'avevo portata con me. Ora che era sparita, a meno che non mi fosse semplicemente caduta e fosse rimasta sul sentiero, non credevo che fosse prudente parlarne con chiunque. Anche se avessi potuto fidarmi di Luke, lui ne avrebbe quasi certamente parlato a Grace, ora che stavano diventando amici.
No, non potevo rischiare.
«Voglio andarci io» affermai. «Ho bisogno di camminare per riprendere le forze.»
«Hai bisogno di restare sdraiata per riprendere le forze» ritorse Luke.
«Che cosa diavolo è di così importante?» chiese Grace. «Dicci che aspetto ha. La troveremo.»
Non sarei riuscita ad averla vinta. E se insistevo ancora, mi sarei tradita.
«È il ciondolo di Jane» mentii, ricordando che era ancora nel taschino dell'altra camicia. «Vorrei darlo ai suoi figli, se riuscirò a trovarli quando tutto questo sarà finito.»
«Tutto qui?» Luke sollevò un sopracciglio. «Sarah, non ti rendi conto che chi ti ha colpito potrebbe essere ancora là fuori? Il ciondolo può aspettare fino a quando non scopriremo chi ti ha fatto questo.»
«No. No, non può aspettare. Non capisci.»
Il contegno di Grace cambiò all'improvviso.
«Sai una cosa? Ha ragione, non può aspettare. Andiamo a cercare quel dannato ciondolo, Luke. Sarah non ci darà pace finché non lo avremo fatto.»
«Sono d'accordo con loro» intervenne Timmy. «Ti preparerò un bel tè caldo, Sarah. Ho trovato una favolosa caraffa termica, e ci ho conservato un po' d'acqua bollente quando Amelia ha acceso il fuoco, stamattina. Ho trovato perfino una vecchia scatola di biscotti inglesi. È una scatola di latta. Credo che siano rimasti da quando avevo la pensione, ma che tu ci creda o no, sono ancora buoni.»
Non potevo impedire a Timmy di prendersi cura di me, né a Luke e Grace di intraprendere la loro inutile ricerca del ciondolo di Jane. Non potei che sperare che non trovassero neppure la scatola Allegra.
O che, se l'avessero trovata, non capissero di che cosa si trattava.
Per un momento presi in considerazione l'idea di seguirli... ma quando mi alzai mi resi conto che le mie gambe sembravano fatte di gomma.
Timmy mi accompagnò fuori e mi fece stendere su una sdraio al sole, poi mi portò il tè caldo e i biscotti avvolti in un tovagliolo di tela bianca con il logo TB&B, Thornberry Bed-and-Breakfast, scritto in un elegante corsivo.
Quei tovaglioli erano ricordi di tempi migliori per Timmy, e mi chiesi come trovava la forza di tenere duro in quella situazione. Se, come aveva detto Amelia, Timmy era stata sull'orlo della bancarotta, trovare un finanziatore doveva esserle sembrato un miracolo. Potevo solo immaginare quanto doveva essere stata eccitata e sollevata. E ora, avere perso Thornberry in quel modo... Si sarebbe mai ripresa dal colpo?
Mi rimboccò attorno una coperta e mi lasciò là, dicendo che aveva da fare in cucina. Avrei voluto parlarle, chiederle che cosa provava, ma sembrava che ogni volta che cercavo di entrare in contatto con lei si chiudesse, si allontanasse. Pensai che era così che tirava avanti. Rifiutando il più possibile la realtà.
Alla fine, mi limitai a ringraziarla, poi sorseggiai il tè, sentendo a poco a poco tornare le forze. Non potei inghiottire i biscotti, tuttavia. Invece, fissai la tomba di Lucy e pensai a Jane. Fuori due. Quasi tre, con me? La morte di Lucy era stata un incidente, certo. Ma su quella di Jane non sapevamo ancora nulla.
E se qualcuno avesse voluto uccidermi, non avrebbe fatto qualcosa di più che colpirmi in testa?
Naturalmente, c'era la possibilità che mi stesse trascinando nei boschi per finirmi, quando erano sopraggiunti Grace e Luke. L'aggressore, chiunque fosse, forse mi aveva lasciata dov'ero quando li aveva sentiti arrivare e poi si era nascosto, aspettando di vedere se Luke e Grace mi trovavano, o se proseguivano in un'altra direzione.
Ma sarebbe dovuto trattarsi di due persone, se tutti erano rimasti a coppie com'era stato deciso, no?
Due assassini? Su una sola, piccola isola?
Non sembrava probabile. Ma, nel caso... chi?
Mi dissi che era un'idea assurda, ma ero sempre più incline a pensare a Grace e Luke. Grace era la sola, fra noi, che era sempre sembrata fuori posto. E ora, a quanto pareva, Luke si era alleato con lei.
Se era così, non era più il Luke che conoscevo. I miei pensieri risalirono all'indietro negli anni, e ricordai una calda giornata d'agosto, quell'anno in cui Luke e io ne avevamo diciotto. Eravamo seduti sul prato di Ransford, sotto un gazebo di tela bianco e blu che i suoi avevano eretto per intrattenere gli ospiti durante i cocktail. Luke e io guardavamo lo stretto dalle nostre sedie da giardino bianche, di legno, sorseggiando limonata, mentre i rispettivi genitori chiacchieravano a un tavolo rotondo. Il padre di Luke disse qualcosa a proposito della necessità di una polizia più forte a Seattle, e osservò che dopo i disordini per il Vietnam la gente era diventata incontrollabile. C'era troppo poco rispetto per la legge, affermò.
Mio padre ribatté che era la polizia a diventare incontrollabile, e che molti arresti operati durante quegli anni si erano rivelati ingiustificati. La maggior parte delle persone arrestate era stata rilasciata senza alcuna incriminazione, sostenne, e l'arresto di innocenti, oltre a essere immorale, era anche una completa perdita di tempo per il Dipartimento di polizia.
Era strano che non me ne fossi ricordata, fino a quel momento. Mio padre, un liberale?
Be', quale altro tipo di avvocato avrebbe, a torto o a ragione, difeso dei criminali in colletto bianco come se fossero degli angioletti? Che non avessi mai pensato a lui come a un liberale era dovuto al fatto che ero sua figlia, e che di rado i figli vedono chiaramente i genitori.
Con mia sorpresa, Luke aveva difeso la posizione di suo padre. Non che partecipassimo alla conversazione degli adulti, ma avevamo preso l'abitudine di commentare a bassa voce quello che dicevano.
«Tuo padre riuscirebbe a far passare Hitler per un brav'uomo» ironizzò Luke.
«E tuo padre metterebbe in prigione Gesù, se si facesse vivo ai nostri giorni» ribattei, irritata.
«Perlomeno, mio padre metterebbe Giuda nel posto che gli compete» ritorse lui.
«E il mio lo tirerebbe fuori!»
Quando mi resi conto dell'assurdità di quanto sostenevo, scoppiai a ridere, e Luke rise con me.
«Che cosa state combinando voi due, laggiù, bambini?» chiamò sua madre.
Bambini. Avevamo diciotto anni.
Mi voltai, e vidi che si stava tamponando il viso e il collo con il fazzoletto per asciugarsi il sudore. Quel giorno indossava un lungo abito a fiori e un cappello da sole floscio. Ricordo che portava perfino dei guanti bianchi, e che mi chiesi perché doveva sempre dare spettacolo. I miei genitori erano vestiti in calzoncini e camicia, come facevano a casa, durante il finesettimana.
«Stiamo solo parlando, mamma» rispose Luke.
«A me sembra qualcosa di più che parlare» replicò sua madre, maliziosa, e a quel punto tutti ci guardarono e ridacchiarono di noi... i due adolescenti che non avevano altro da fare che passare il tempo ridendo e combinando piccole marachelle.
Luke si alzò e mi prese per mano. I suoi occhi incontrarono i miei in un silenzioso messaggio.
«Facciamo due passi» mormorò.
«Dove andate?» chiese sua madre.
«A fare una passeggiata» rispose lui.
La sua mano quasi bruciava la mia, per l'impazienza.
«Be', non state via molto. È quasi buio.»
«Non preoccupatevi» dissi io, impaziente quanto lui.
Era mezzanotte passata quando Luke mi ricondusse a Thornberry. A quel punto i miei genitori erano preoccupati a morte. Noi non avremmo potuto curarcene di meno. Mi ero già spazzolata via foglie e sterpi dai capelli, ma sentivo le labbra ancora gonfie per i baci di Luke. Non era un gonfiore doloroso. Somigliava a quelli degli acini d'uva maturi, quando la loro dolcezza esala un profumo inebriante.
Ora, seduta là tanti anni dopo, dovetti ammettere con me stessa che era più che tempo di dare una bella, spassionata occhiata al tipo d'uomo da cui ero stata attratta nel corso degli anni. Luke non era male, ma era il tipo del cattivo ragazzo, il tipo da cui non poche fanciulle si sentono attratte. Raramente seguiva le regole, raramente dava ascolto ai genitori o faceva quello che gli dicevano. Se c'era una cosa che potesse fare per andare contro le convenzioni, Luke la faceva.
Anche quando si trattava di donne era volubile, a dir poco. Quando i suoi genitori davano quei party a cui non mi era consentito intervenire, aveva sempre una ragazza diversa con cui ballare.
Fino a quando lui e io non ci mettemmo assieme, quell'estate. Dopo, non lo vidi più con altre ragazze, e pensai che avesse finalmente trovato quella giusta. Vale a dire la sottoscritta.
Forse era così. O Luke pensava che fosse così. Amori estivi. Perché pensiamo sempre che dureranno in eterno? E perché sono così straordinariamente dolci?
Be', ora Luke sembrava tornato alle vecchie abitudini. Grace nelle sue braccia in meno di settantadue ore? Per quello che ne sapevo, poteva anche non essere un record, per il Luke adulto.
Chiusi gli occhi e appoggiai la testa all'indietro, lasciando che il pallido sole d'aprile mi scaldasse il viso. C'erano tante altre cose a cui pensare, piuttosto che a Luke o a qualunque altro uomo. Negli ultimi mesi se n'erano verificate anche troppe: il mio arresto, la morte di mio padre, il trasferimento in Florida di mia madre.
Non capivo mia madre. Non l'avevo mai capita, anche se avevo di lei molti ricordi, come il fatto che inamidava e stirava le tendine ogni sabato mattina. L'avevo ritenuta molto rigida, con quella sua fissazione a mantenere le tendine sempre immacolate.
A quanto pareva, non era affatto così rigida. Sotto la superficie c'era una donna sposata che aveva avuto un uomo sposato, il padre di Luke, come amante.
Dovevo essermi assopita per un po'. Quando riaprii gli occhi, il sole era basso nel cielo e Amelia e Gabe Rossi erano tornati. Mi giunse l'odore pungente del pesce che cuoceva sul fuoco all'aperto. Immaginai che Gabe lo stesse cucinando dietro la casa, mentre le voci di Amelia e Timmy uscivano dalla finestra rotta dietro la mia testa.
«Si rende molto utile» stava dicendo Amelia. «Però mi chiedo quale sia la sua vera storia.»
«Vera storia?» ripeté Timmy.
«Se vuoi la mia opinione, c'è qualcosa di strano nel modo in cui è comparso qui.»
«Non so che cosa ci sia di strano» ribatté Timmy. «La prima cosa che noi abbiamo fatto è stata controllare le altre case dell'isola in cerca di superstiti o di provviste.»
«È vero. Forse è qualcos'altro in lui, allora...»
Amelia si interruppe, mentre altre voci si avvicinavano dalla parte del sentiero che conduceva ai cottage. Luke e Grace. Sapevo che non potevano avere trovato il ciondolo di Jane, perché l'avevo ancora nell'altra camicia.
Ma avevano trovato la scatola Allegra?
Il mio stomaco si strinse quando li vidi avvicinarsi. Una parte di me desiderava che l'avessero trovata, mentre un'altra parte sperava che fosse ben nascosta fra i cespugli. L'alternativa era che una terza, sconosciuta persona mi avesse colpita in testa e preso la scatola per qualche suo scopo.
Luke e Grace erano entrambi a mani vuote. Grace guardava Luke e sorrideva... fino a quando non mi vide seduta sulla sdraio. Allora il suo sorriso sfumò. Si ficcò le mani in tasca e venne verso di me.
«Nessuna traccia del ciondolo» annunciò. «Mi dispiace, abbiamo guardato dappertutto.»
«Ha ragione» aggiunse Luke. «Abbiamo guardato dappertutto dove poteva essere caduto, se sei stata trascinata fino a quel punto dal cottage. A dire il vero sono perplesso. Non abbiamo trovato alcuna traccia del fatto che sei stata trascinata. Il terreno, sul sentiero, non sembrava calpestato.»
«Forse la persona che mi ha aggredita ha cancellato le tracce» osservai.
«Può essere. Ma sei sicura di ricordare bene? È possibile che ti sia trascinata da sola su quel sentiero?»
«No. Ricordo distintamente di essere stata trascinata.»
«Forse ricordi male a causa del colpo alla testa» disse Grace.
«Non ricordo male, Grace.»
«Va bene, va bene! Non c'è bisogno che ti arrabbi. Comunque, non l'abbiamo trovato. Forse l'ha preso un merlo.»
«Un merlo?» ripetei.
«Be', si sa che amano le cose luccicanti.»
«Credevo che fossero le gazze.»
«È lo stesso. È odore di pesce quello che sento? Grazie al cielo.»
Grace si voltò e si incamminò verso il retro della cucina, fiutando l'aria.
La seguii con lo sguardo.
«Per essere una ragazza di città, Grace sembra sapere molto sulla campagna» commentai, rivolta a Luke.
«Oh?»
Lui si sedette a terra davanti a me, a gambe incrociate.
«Be', topi, merli, gazze...»
«Credo che li abbiamo anche noi a New York» rispose Luke, blando.
«Quindi ti ha detto che è di New York?»
«Mi pare che me l'abbia accennato. Perché?»
«Oh, è solo che sembrate andare molto d'accordo. Non avevo mai visto Grace comportarsi gentilmente con qualcuno, da quando siamo arrivate qui.»
Lui sorrise.
«Sei gelosa?»
«Io? Gelosa di Grace? Non essere sciocco.»
«Oh, avanti, confessa. Provi ancora qualcosa per me.»
«Sicuro... e ci troviamo su un'isola hawaiana, con danzatrici di hula e un maiale che cuoce in una fossa. Continua pure a sognare.»
«Non ho detto che volevo che tu provassi ancora qualcosa per me. Ho detto solo che è così.»
«Ah. Ti piacerebbe. Allora avresti due donne a sbavare per te.»
«È quello che credi stia facendo Grace?»
«Certo che è quello che sta facendo. Diamine, voi uomini! Sapete esattamente quello che succede, solo non volete mai ammetterlo, perché allora dovreste fare qualcosa in proposito.»
«L'ho ammesso quell'estate, con te» borbottò Luke. «E ho anche fatto qualcosa in proposito.»
Distolsi lo sguardo, incapace di controllare il rossore che mi salì al viso.
«È stato molto tempo fa.»
«E siamo entrambi cambiati. Lo so, Sarah. Ma dimmi che non hai provato qualcosa, quando mi hai visto mezzo morto su quel pontile.»
«Certo che ho provato qualcosa. Avevo una gran paura che fossi morto davvero. Eravamo amici. Perché non avrei dovuto preoccuparmi?»
«Amici?»
Luke fece scorrere un dito sotto la gamba dei miei pantaloni, fino all'incavo del ginocchio.
Io ritirai la gamba di scatto.
«Smettila.»
«Ah! Hai provato qualcosa.»
«Hai ragione. Ho sentito un serpente strisciarmi sui jeans.»
Lui sorrise di nuovo.
«Sai, a proposito di essere aggrediti, credo di averti vista guardare con un certo interesse il vecchio Gabe, ieri notte.»
«Gabe Rossi? Stai scherzando.»
«Perché? È un bel ragazzo, cordiale... perfino affascinante, si potrebbe dire.»
«Anche troppo, se vuoi la mia opinione.»
«Lo credi?»
«Lo so. Ne ho abbastanza di uomini affascinanti.»
«Me compreso?»
«Non ho notato che tu sia poi tanto affascinante, ultimamente. Ma sì, per il momento, te compreso.»
«Significa che in un altro momento potresti cambiare idea?»
In cucina, Timmy stava suonando una campanella per informarci che la cena era pronta.
«In un altro momento, o meglio, fra un momento, starò mangiando un pasto decente per la prima volta in tre giorni» ribattei. «Non mi ricorderò neppure di te.»
«Ricordo un tempo in cui eri più affamata di me che di un pasto decente» ritorse Luke.
«Adolescenti... Mangerebbero qualunque cosa.»
Mi resi conto di quello che avevo detto e arrossii ancora di più.
Lui si alzò e mi tese una mano.
«A che serve?» chiesi.
«Per aiutarti ad alzarti. Maledizione, donna, sei proprio cattiva, oggi. Dev'essere stata quella botta in testa.»
«Sono sempre cattiva, adesso» affermai. «E lo divento ogni giorno di più. Vedrai.»
Portammo le sedie sulla veranda e mangiammo attorno al fuoco, tenendo il cibo sulle ginocchia, su dei tovaglioli. Il pesce aveva il sapore dei più raffinati piatti serviti dai ristoranti a cinque stelle, e per accompagnarlo c'erano ostriche in quantità più che sufficiente.
La cucina guardava sui boschi, e il sole al tramonto scintillava sopra le cime degli alberi. Più sotto, l'ombra aveva un colore grigio violaceo che sfumava nel nero. A mano a mano che la notte avanzava e le ombre si accentuavano, immaginai di poter scorgere gli spettri di quegli antichi predatori indiani che ci osservavano. Di tanto in tanto mi sembrava di vederne qualcuno muoversi.
Quell'isola sarebbe mai stata libera dal suo passato?, mi chiesi. O avrebbe sempre portato il peso di quei tragici eventi? E gli spiriti dei primi abitanti stavano finalmente prendendosi la loro vendetta... ma su di noi? Saremmo stati noi a pagare?
Ecco quello che sentivo: che tutti noi eravamo stati portati là da qualche forza cosmica, per pagare qualche debito sconosciuto.
O era un debito attuale, noto solo a pochi?
In un modo o nell'altro, Esme Island non era più il paradiso della mia fanciullezza, e le differenze andavano ben oltre quelle che si erano verificate in Timmy, o in Luke, o in me. C'era qualcosa, là, qualcosa che si muoveva dentro e fuori di noi come una nuvola oscura.
Ma poteva cambiare le persone fino a quel punto? Poteva il Luke che avevo conosciuto, anticonformista, sì, ma buono, diventare un assassino, laggiù? O era accaduto in qualche momento durante gli anni in cui eravamo rimasti separati?
Non lo sapevo. E ultimamente non mi ero rivelata troppo in gamba nel giudicare gli uomini. Anzi, da quando Luke aveva flirtato con me, poco prima, ero stata sempre meno capace di guardarlo lucidamente.
Mi colpì il pensiero che, per quello che ne sapevo, poteva essere proprio il suo scopo... una finzione deliberata, destinata a confondermi le idee.
Guardai il nostro piccolo gruppo e cercai delle alternative. La più ovvia era Gabe Rossi. Era lui che era stato sull'isola, ma senza farsi vedere, per tutto il tempo in cui eravamo andate in cerca di superstiti.
«Gabe» cominciai, pulendomi le mani nel tovagliolo e posandolo a terra. «Quando non sei qui a Esme Island, dove stai? Hai dichiarato di essere il titolare di una ditta di software. Ma sei sposato? Hai bambini? Dove vivi?»
Lui inghiottì un boccone di pesce e sorrise, poi bevve un sorso d'acqua.
«Be', vediamo. Prima di tutto, vivo a sud di Seattle. Gig Harbor, per la precisione. Non sono sposato e non ho figli. Sono stato troppo occupato a mettere in piedi la mia ditta e a farla decollare, temo. Un giorno, però, immagino che dovrò anche pensare a sposarmi.»
«C'è qualcuno per cui sei preoccupato? Madre, padre, fratelli?»
«La mia famiglia vive all'Est» rispose Gabe. «Immagino che al momento siano piuttosto loro a essere preoccupati per me. Per questo ero così depresso quando si è rotto il telefono cellulare. Ho cercato di raggiungerli, subito dopo il terremoto, ma i ripetitori, qui intorno, devono essere crollati. Pensavo che, continuando a provare, prima o dopo sarei riuscito a mettermi in contatto. E quanto a voi?»
Amelia e Timmy, purtroppo, erano entrambe sopravvissute alla propria famiglia, e Kim disse che il suo agente e la sua casa cinematografica probabilmente stavano impazzendo, a Los Angeles. Dana fu stranamente silenziosa a proposito di suo marito a Santa Fe. E Grace non si disturbò a rispondere.
E neppure Luke rispose, notai. Anzi, per tutto il pasto aveva osservato Gabe, senza cedere di un millimetro ai suoi tentativi di conversazione.
«E tu, Sarah?» chiese Gabe. «Hai famiglia?»
«Ho mia madre. Vive in un altro stato» risposi.
«Nelle vicinanze?»
«No. Perché?»
«Mi stavo solo chiedendo se era stata in qualche modo coinvolta nel terremoto» disse Gabe con disinvoltura. «Prima che la radio andasse perduta, ho sentito che è stato avvertito fin nel Montana, e a sud fino a San Francisco.»
«Quando si è rotta la tua radio?» chiese Luke. «Non ricordo di essere stato qui, quando l'hai detto.»
Gabe non batté ciglio di fronte al suo tono sospettoso.
«È vero, non eri qui quando sono arrivato. Be', come ho spiegato alle signore, avevo portato con me una radiolina, quando sono venuto con il traghetto. Dopo la prima scossa, devo averla lasciata da qualche parte. Non mi sono neppure reso conto che era sparita, fino a più tardi.»
«Peccato» commentò Luke. «Una radio ci sarebbe stata molto utile...»
«Aspetta un momento» intervenimmo simultaneamente Grace e io.
La guardai, ed entrambe sapemmo che pensavamo la stessa cosa. Io fui la prima a parlare.
«La notte in cui sei arrivato qui, hai dichiarato che stavi spaccando legna da ardere quando c'era stata una scossa di assestamento. Hai detto che la radio era caduta dalla ringhiera ed era rimasta schiacciata sotto la catasta della legna.»
Luke guardò Gabe duramente. Lui, però, tenne gli occhi fissi su di me, senza smettere di sorridere.
«Ho detto così? Be', diamine, se l'ho detto dev'essere vero. Immagino che la mia memoria non sia delle migliori, dopo tutto quello che è successo. Lo shock, suppongo.» Guardò Luke. «Proprio come te, che non ricordi di essere stato a quella gola da solo, giusto? Lo shock, ecco cos'è.»
Per un lungo, interminabile momento Luke non rispose. Poi borbottò: «Giusto. Immagino che sia questo...».
La tensione nell'aria era così pesante che mi dava i brividi. All'improvviso Grace, proprio la persona da cui meno me lo sarei aspettato, saltò su e disse allegramente: «Ho un'idea. Facciamo qualcosa di divertente. Sono così stufa di queste lunghe, fredde notti e di tentare di farle passare dormendo!».
«Divertente?» chiesi, incuriosita. «Che cos'hai in mente?»
«Non lo so. Fare dei giochi? Raccontare storie di fantasmi? Qualcosa.»
«Io so suonare il tamburo» si offrì Dana. «Potremmo danzare attorno al fuoco. Forse attireremmo degli spiriti buoni.»
Grace gemette.
«No, davvero» insistette Dana. «Abbiamo quei grossi contenitori, dentro, quelli in cui Timmy si faceva portare l'acqua per gli ospiti che non gradivano quella del pozzo. Capovolti, saranno dei tamburi perfetti. E anche i cestini per la cartaccia.»
«L'idea mi piace» approvò Kim. «Ho sostenuto la parte di un'indiana, in un film, una volta, e...»
«Un'indiana?» la interruppe Grace. «E che cosa hai fatto, ti sei tinta i capelli?»
«Be', sicuro. So fare ogni genere di ruoli. Il mio agente dice che sono una sorta di camaleonte.»
«Un camaleonte» ripeté Grace, pensierosa. «Significa che puoi mimetizzarti in qualunque posto, e diventare qualunque cosa, senza che nessuno se ne accorga?»
Kim accettò la sfida.
«Sì, posso farlo. E in qualche modo, sospetto che lo sappia fare anche tu, Grace.»
Seguì qualche attimo di silenzio mentre le due donne si fissavano, bellicose. Poi Dana balzò in piedi e prese la mano di Luke e quella di Kim.
«Venite, andiamo a prendere i tamburi.»
Ci furono altre proteste, ma per la prima volta Dana tenne duro, rifiutando il ruolo della più conciliante.
«Vedrete, sarà divertente» affermò.
Finì per essere più, e meno, che divertente. Cominciò con Timmy, Gabe e io che seguivamo le istruzioni di Dana con semplici ritmi. Timmy era seduta su una sedia portata dalla cucina, lamentandosi che la sua artrite era peggiorata da quando non avevamo più il riscaldamento e l'acqua calda per lavarci. Avevo notato che zoppicava, poco prima, e me n'ero chiesta il motivo. Gabe e io sedemmo a terra, con i contenitori da cinque galloni fra le gambe, battendo sul fondo col palmo delle mani.
«Una volta che entri nel ritmo, è ipnotico» disse Dana. «Può perfino trasportarti in un'altra dimensione.»
«Ha ragione» convenne Kim. «Pensa a un'isola tropicale, palme...»
«Pensa a un bel letto morbido» brontolò Amelia. «Lascia perdere le palme.»
Era accosciata davanti alle braci e le stava attizzando. Quando le fiamme divamparono, Dana la prese per mano e la condusse, assieme a Kim e Luke, a formare un cerchio attorno al fuoco. Sulle prime, nessuno si toccò, anzi, tutti lasciarono un certo spazio fra sé e gli altri. Quando cominciammo a battere più velocemente, qualcosa che sembrava accadere quasi senza una volontà da parte nostra, si presero per mano. Kim emetteva i suoni tipici degli indiani di Hollywood e danzava come se fosse uscita da un vecchio film di Geronimo degli anni Cinquanta. Sulle prime pensai che non doveva avere visto niente di più autentico, per esempio Balla coi lupi. Ma poi divenne chiaro che stava semplicemente divertendosi, cercando di farci ridere. E ci riusciva.
Luke, dopo un inizio riluttante, entrò nello spirito della cosa e fece come lei. Di lì a poco, ridevo a crepapelle, e ricordai come, tanto tempo prima, Luke aveva sempre saputo farmi ridere.
Poi lo vidi tendere la mano a Grace, le loro dita toccarsi. L'espressione di Luke era indecifrabile. Era intima in un modo che dava l'impressione che si conoscessero da sempre.
Smisi di ridere e il dolore alla testa, che avevo quasi dimenticato, aumentò.
Luke si chinò a sussurrare qualcosa all'orecchio di Grace, e lei sorrise e annuì.
Anche Dana li stava osservando, e il suo sguardo si incontrò con il mio. Il messaggio passò fra noi: Che cosa significa tutto questo? Io scossi la testa. Ne so quanto te.
Qualche momento dopo, Luke e Grace si separarono. Luke mi si avvicinò e mi prese la mano, e Grace prese quella di Gabe, invitandoci a unirci alla danza. Timmy rimase sola, ma Dana si sedette prontamente accanto a lei e prese il mio tamburo. Amelia si lamentò di essere fuori forma e a corto di fiato. Si sedette su un tronco d'albero rovesciato, fuori dal cerchio dei danzatori.
Ora che era Dana a suonare, il ritmo divenne più lento, più moderno, simile a quello di un'orchestra da ballo degli anni Quaranta. La guardai con sorpresa e vidi che aveva gli occhi chiusi e si dondolava avanti e indietro con un movimento sensuale.
Luke mi attirò più vicino, e quasi prima di accorgermene stavamo ballando un lento, come se ci trovassimo in una sala da ballo. Il ritmo del tamburo rallentò ancora di più, e da sopra la spalla di Luke vidi che anche Grace e Gabe ballavano stretti, ora. Grace era più rilassata di quanto l'avessi mai vista in precedenza, con un braccio abbandonato sopra la spalla di Gabe e la mano che gli stuzzicava i capelli sulla nuca. Gabe rise piano e le strofinò il viso sul collo. Pensai che le catastrofi, come la politica, creano strani compagni di letto.
Le nostre due coppie erano le sole rimaste sulla pista da ballo, e le altre, compresa Kim, ci osservavano in silenzio. Cominciai a sentirmi come se Luke e io fossimo stati soli su una nuvola, come se gli ultimi tre giorni non fossero mai esistiti... anzi, come se gli ultimi ventidue anni non fossero esistiti. Mi sentii come ai vecchi tempi, Luke e io che ballavamo nella foresta a diciott'anni, con la musica del party dei suoi genitori che filtrava fra gli alberi. I vecchi, come li chiamavamo fra noi, dovevano accontentarsi di una pista da ballo di legno, luci forti, rumore e troppi ubriachi. Noi eravamo i più fortunati... soli al mondo, con l'erba soffice che ci solleticava i piedi nudi e il profumo dei pini tutt'intorno.
Quando Luke mi attirò più vicino, potei sentire il suo cuore battere come sempre contro il mio, e potei quasi avvertire la pulsazione familiare nel suo collo quando, eccitandosi a poco a poco, mi si premette contro, accentuando la stretta attorno ai miei fianchi. Le sue labbra, vicino all'orecchio, erano calde. Mi abbandonai contro di lui, per sentirlo come lo avevo sempre sentito, desiderando di non lasciarlo mai, che quel momento non avesse fine.
Era quasi come se fossimo stati di nuovo ragazzi, e quando la mano di Luke scivolò fra noi per palparmi il seno, cominciai a tremare. Lo desideravo tanto che dovetti aggrapparmi a lui, per timore di perdere il controllo davanti a tutti. Ma una rapida occhiata intorno mi rivelò che Grace e Gabe erano spariti, il suono dei tamburi era cessato e tutte le altre erano rientrate in cucina.
Luke sussurrò: «Andiamo nei boschi». Niente avrebbe potuto impedirmi di seguirlo, in quel momento.
Era come se fossimo stati trasportati indietro nel tempo, e nessuna delle cose terribili degli ultimi mesi fosse accaduta. Mano nella mano, corremmo nei boschi, guidati solo dal chiaro di luna.
«Qui» disse Luke a voce bassa, tesa. Poi: «No, laggiù è più soffice».
Aveva trovato un morbido tappeto d'erba, come aveva sempre fatto. Il mio cavaliere dalla bianca armatura, lo chiamavo, sempre in cerca del modo di proteggermi, e non solo dalle scomodità del terreno. Non che l'erba giovasse a molto. Avevamo sempre fatto l'amore in modo così appassionato che alla fine eravamo pieni di escoriazioni, e qualche volta perfino sanguinanti. Schiena, spalle, gambe e braccia portavano chiari segni rivelatori, e per giorni e giorni eravamo costretti a indossare indumenti che li coprissero, per impedire ai nostri genitori di notarli.
Ora, non fu diverso. Ci strappammo di dosso gli abiti a vicenda in pochi secondi, e quando la mia pelle toccò di nuovo la sua, dopo tutti quegli anni, prese fuoco, come sempre.
«È così bello sentirti vicino» sussurrai.
«Anche per me» mormorò Luke di rimando. «Dove siamo stati in tutti questi anni?»
«Non lo so» risposi.
«Mi sei mancata» disse lui. «Finora non mi ero reso conto di quanto mi fossi mancata.»
Non ci fu bisogno di preliminari, e quando Luke mi penetrò provai ancora una volta quella sensazione di essere con l'unico, il solo uomo per cui ero stata creata. Sapevo che era scioccamente romantico, ma le parole della canzone di Frank Sinatra, That Old Black Magic, mi tornarono alla mente, ed era proprio così. Una magia. Tutti gli anni spazzati via, e tutte le lacrime dimenticate con loro. Ero con Luke, e solo questo importava. Il mondo era un posto migliore, e ora poteva succedere qualunque cosa. Seattle sarebbe stata ricostruita, io avrei vinto il processo, tutto sarebbe finito bene. Luke e io eravamo di nuovo insieme.
Ero così occupata a cullare quel sogno, quella fantasia, che non ricordavo neppure di non avere più pensato alla scatola Allegra da quando era sparita quel pomeriggio. E neppure mi ero chiesta di nuovo chi l'avesse presa. Tutto era distante, adesso, fluttuava in un lontano futuro. Niente di cui preoccuparsi.
«Oh, eccovi qui!»
Ci eravamo addormentati, e quando alzai gli occhi vidi Grace che ci fissava. Eravamo ancora nudi, e io agguantai i miei indumenti, stringendomeli addosso. La testa riprese a pulsarmi.
«Spiacente» disse Grace, anche se appariva più arrabbiata che dispiaciuta. «Ci siamo preoccupati, quando non siete tornati.»
Mi sentivo più nuda di fronte allo sguardo sprezzante di Grace di quanto mi fossi mai sentita davanti a Luke o a qualunque altro uomo. Riuscii in qualche modo ad alzarmi in piedi e a tuffarmi dietro alcuni cespugli, portando con me gli indumenti.
Mentre mi passavo la maglietta sopra la testa, sentii Grace dire a bassa voce: «Che cosa diavolo stai facendo? Rovinerai tutto! Non scopriremo mai...».
Uscii dai cespugli, e Luke tossicchiò. Grace si voltò, mi vide e si interruppe a metà della frase.
«Che cosa?» chiesi. «Che cosa non scoprirete mai?»
Entrambi rimasero in silenzio, e Luke abbassò gli occhi. Alla fine, Grace borbottò: «Un modo per andarcene da questa maledetta isola, se qui nessuno è capace di controllarsi...».
«Pensavo che questo includesse anche te» ribattei. «Se non sbaglio, ti ho vista svignartela con Gabe...»
La sua bocca s'indurì.
«Stavamo chiacchierando, ecco tutto» affermò.
«Dev'essere stata una bella chiacchierata. Hai degli sterpi nei capelli.»
Grace si portò rapidamente la mano ai capelli, come per nascondere le prove, sia pure troppo tardi. Non c'erano sterpi, tuttavia. Era solo un trucco... un trucco che a volte usavo in tribunale con un testimone reticente.
«Ha detto che ha visto il mio cliente quella notte, signor Smith. Portava gli occhiali?»
Se il testimone portava automaticamente la mano agli occhi, sapevo che di solito usava gli occhiali, ma non sempre, visto che in tribunale non li aveva. Era anche possibile che non li avesse la notte in cui asseriva di avere visto il mio cliente svaligiare un negozio di liquori. Bastava per creare un dubbio nella mente dei giurati.
«E così, lei porta gli occhiali, signor Smith. Perché non li porta adesso? Perché non li portava la notte del nove ottobre?»
Grace era cascata nella mia trappola, e questo mi sorprese. L'avrei creduta più furba. Forse aveva ancora la mente offuscata dalla passione...
«Sai» osservò, velenosa, «avevo cercato di trovarti simpatica.»
«Be', è più di quanto possa dire io» ribattei.
Con questo, li lasciai soli nei boschi. Evidentemente avevano qualcosa di cui parlare. Per esempio, di quello che dovevano scoprire.
Una piccola scatola di metallo con dentro delle calze di rete?, mi chiesi.
Ed ecco che mi era capitato di nuovo... mi ero innamorata dell'uomo sbagliato.
Adesso sapevo che sarei dovuta stare doppiamente all'erta. Non era piacevole pensare che avrei dovuto diffidare di Luke, ma non ero diventata una completa idiota, là nei boschi. Solo una mezza idiota. Lui e Grace avevano fatto comunella per qualche ragione che non conoscevo, ma non potevo ignorare che Jane era morta e che qualcuno mi aveva aggredita. Era senz'altro possibile che Luke, o Grace, o entrambi, avessero qualcosa a che vedere con quegli avvenimenti.
Il che poneva delle domande. Erano venuti a Esme Island separatamente, all'insaputa l'uno dell'altro, e avevano deciso solo dopo di mettersi assieme? O avevano pianificato tutto fin dall'inizio?
Quanto agli altri, ero quasi pronta a escludere che Dana, Amelia e Timmy fossero delle delinquenti di qualunque tipo. Benché alcuni loro comportamenti suscitassero qualche interrogativo, non vi avvertivo nulla di sinistro.
Kim era un altro paio di maniche. Mi aveva interrogata con insistenza circa la mia prova contro i Cinque. Poteva, naturalmente, averlo fatto solo per amicizia. La preoccupazione di una donna per un'altra. Ma non era qualcosa che potessi dimenticare.
Grace era tutta un'altra faccenda. Non riuscivo neppure a immaginare se era davvero ciò che affermava di essere. Provava dei sentimenti genuini per Luke? E, in caso contrario... che cosa?
In ultimo, naturalmente, c'era Jane. La povera Jane, che era morta per un incidente o era stata deliberatamente uccisa.
Gabe sosteneva di avere visto Luke alla gola, più o meno alla stessa ora in cui Jane doveva esservi caduta. Diceva la verità o mentiva? E se mentiva, perché?
Jane era andata al capanno sola, mentre Dana l'aspettava sulla spiaggia. Si era imbattuta in Gabe? Aveva sentito o visto qualcosa che per lui avrebbe costituito un pericolo? O c'era qualcun altro?
Il problema era il terremoto. In altre circostanze, ora sarebbero state in corso delle indagini sulla morte di Jane. Non sarebbe rimasta sotto una coltre di pietre. Ma il terremoto e le sue conseguenze ci avevano privato di tutte le nostre risorse. Quella sera ci eravamo realmente rilassati per la prima volta, ma certo non del tutto. Sapevamo che qualcuno, fra noi, poteva essere un assassino. Tuttavia, penso che, in fondo al cuore, nessuno lo credesse realmente. O piuttosto, non volevamo crederlo.
Dopotutto, se c'era un assassino che se ne andava in giro per Thornberry, che cosa potevamo fare? Che cosa avremmo fatto... se avessimo scoperto che era così?
Quella era la domanda che mi ponevo quella notte. E più tardi scoprii che la stessa domanda si agitava anche nella mente di tutti gli altri.