17
Gabe mi chiese di non dire a nessuno che Ian stava per mandare i soccorsi.
«Non vogliamo forzare la mano a qualcuno» spiegò. «Aspettiamo fino a quando non succederà.»
Dal momento in cui lui e io facemmo quella chiacchierata, seppi cosa dovevo fare. Basandomi su quanto Gabe mi aveva detto, decisi di seguire il suo consiglio e il mio istinto, e di non fidarmi di nessuno.
Tuttavia, non potevo semplicemente starmene da una parte e aspettare di vedere chi, a Esme Island, poteva avercela davvero con me. Forse erano Luke e Grace, come aveva detto Gabe. E forse era qualcun altro. Il punto era che non potevo più aspettare che la scatola Allegra ricomparisse. Avevo stupidamente creduto che, dandole tempo, la persona che l'aveva presa si sarebbe tradita, in qualche modo. Avevo anche creduto, altrettanto stupidamente, di avere tutto il tempo del mondo per risolvere il problema là a Esme Island.
Ora, con i soccorsi in arrivo, gli interminabili giorni sembravano diventati terribilmente brevi. E se fossimo stati soccorsi prima che ritrovassi la scatola? Tutte le persone presenti sull'isola sarebbero andate ciascuna per la propria strada. In un batter d'occhio avrei potuto perdere per sempre la mia unica occasione di mettere i Cinque dietro le sbarre.
Anzi... e se avessi già aspettato troppo? Se la persona che l'aveva presa l'avesse già distrutta? Se avesse preso le calze e le avesse gettate nello stretto? E chi, a parte Luke e Grace, avrebbe avuto un motivo per farlo?
Pensai a Timmy e alla sua incombente bancarotta, e perfino a Kim, che a volte era sembrata sul punto di dire qualcosa di sé, e poi aveva cambiato idea. Pensai a Dana, che non parlava mai della sua vita a casa.
Fu da lei che cominciai, la mattina dopo la mia conversazione con Gabe.
«Non parli mai molto di te stessa» osservai, mentre facevamo il bucato nello stretto.
«No, credo proprio di no» rispose lei.
Non disse altro, e io aggiunsi: «Hai qualche problema a casa? Non intendo essere indiscreta, ma siamo tutte in un grosso guaio qui, Dana. I nervi sono tesi. Forse ci aiuterebbe confidarci l'una con l'altra».
Dana sospirò, poi si sedette sui talloni. Come me, si era arrotolata i pantaloni fino al ginocchio, ma si erano bagnati ugualmente mentre, accosciate nell'acqua, strofinavamo i nostri indumenti con un pezzo di sapone. Cominciò a sciacquare e torcere una maglietta.
«La verità, Sarah, è che sto per lasciare mio marito. Non tornerò a Santa Fe, quando tutto questo sarà finito.»
Non era quello che mi ero aspettata di sentire. Mi sedetti su uno scoglio e le dedicai la mia completa attenzione.
«Davvero? È sempre stata la tua intenzione, fin dall'inizio?»
Lei annuì.
«Sono innamorata di un altro, e dobbiamo incontrarci a Vancouver...» Si interruppe. «Cioè, dovevamo trovarci a Vancouver. Adesso, chissà?»
La sua espressione era così triste che provai l'impulso di tenderle la mano.
«Vuoi parlarne?» chiesi.
«Immagino che, a come stanno le cose adesso, non ci sia alcun male. La verità è che mio marito... be', ha cominciato a maltrattarmi poco dopo il matrimonio, due anni fa. Ho subito i suoi abusi perché minacciava di uccidermi, se lo lasciavo, ma qualche mese fa mi sono fatta coraggio e ho deciso di andarmene.» Dana si asciugò il sudore dalla fronte col rovescio della mano insaponata. «Non sapevo bene come avrei fatto, ma quando mi è arrivato l'invito da Thornberry, ho colto l'occasione al volo. Non intendevo rimanere l'intero mese. Questo è solo quello che ho detto a mio marito. Un giorno avrei preso il traghetto per Seattle, avrei noleggiato una macchina e sarei andata a Vancouver. Me ne vado alla chetichella... lasciando a Santa Fe tutto quello che posseggo. Spero che non riuscirà a rintracciarmi.»
«Mio Dio, Dana, non ne avevo idea.»
«Be', sulle prime non mi fidavo a dire la verità a nessuno, qui. E adesso...» Si strinse nelle spalle. «Se c'è qualcuno di cui mi fido, sei tu, Sarah. Ti prego, non parlarne con nessuno. Se davvero riesco ad arrivare a Vancouver, e mio marito mi trova...»
«Non preoccuparti, sarò muta come un pesce. Ma hai detto che hai conosciuto un uomo...»
«Non so come andrà a finire. Ma mi sono innamorata di John... è così che si chiama, John... a una festa indiana che si è tenuta a Santa Fe l'anno scorso. Lui è in parte Cherokee, ed è dolce e gentile. Abbiamo scoperto di avere molto in comune, e a poco a poco...»
Dana immerse di nuovo le mani nell'acqua fredda.
«John è di Vancouver?» chiesi.
«Di una cittadina nelle vicinanze. Non deve aver avuto problemi dal terremoto, visti gli scarsi danni subiti da Vancouver. È la sola cosa che mi ha impedito di impazzire, qui.»
«Lui dev'essere preoccupato a morte, però, non avendo tue notizie» osservai.
«Lo so. Ecco perché...»
Dana si interruppe.
«Che cosa, Dana?»
«Oh, sono una sciocca, ecco tutto. Ma se solo ci fosse un modo per fargli arrivare un messaggio...»
Seguì qualche attimo di silenzio.
«E tu, Sarah?» chiese lei.
«Io, che cosa?»
«Be', tu e Luke. Il modo in cui ti guarda, a volte...»
«Sono sicura che ti sbagli» affermai, corrugando le sopracciglia. «Luke e io eravamo amici, molto tempo fa. Ma non abbiamo più molto in comune.»
«E che mi dici di Gabe, allora? Grace ha detto che avete avuto una conversazione molto intensa sul sentiero, ieri sera.»
«Ah sì? E lo ha detto a tutti?»
«No, l'ho solo sentita per caso parlare con Luke. Ho immaginato che lo avvertisse che avrebbe fatto meglio ad andare là fuori a fermarti, o avrebbe perso di nuovo la sua ragazza appena ritrovata.»
«Non ha detto proprio così, vero?»
«Non ho sentito tutto. Solo che lui avrebbe fatto meglio ad andare laggiù a interrompervi... subito.»
E così, Grace non voleva che parlassi con Gabe. Ma perché? Temeva che mi dicesse esattamente ciò che mi aveva rivelato su lei e Luke?
«Mi dispiace dirlo, ma non ho molta simpatia per Grace» continuò Dana. «Scommetto che quella donna ha un'ostrica viva al posto del cuore.»
«Un'ostrica viva?»
«Be', qualcosa che si chiude di colpo al minimo tocco» spiegò Dana. «Sai... una scorza dura. Anzi, se Kim non fosse stata con lei per tutto il tempo, non sarei rimasta sorpresa se fosse stata Grace a uccidere Jane.»
«Ma perché l'avrebbe fatto?»
«Chissà? Forse perché Jane l'aveva guardata male.»
O forse per qualche altra ragione, stavo pensando. Gabe riteneva che fosse stato Luke a uccidere Jane, poiché l'aveva visto al precipizio. Sulle prime io non avevo voluto crederlo, ma sembrava sempre più probabile che Gabe dicesse la verità.
Quindi... e se Jane avesse scoperto perché Luke e Grace erano sull'isola? Se li avesse sentiti parlare, o avesse visto qualcosa fra loro, com'era capitato a me? Poteva trattarsi di qualunque cosa, e poteva essere successo al capanno di Gabe come in qualsiasi altro posto. Luke poteva essere là con Grace, e se Jane li aveva sorpresi...
Teoricamente, Kim e Grace camminavano lungo la costa quando Jane era morta. Ma era possibile che Grace avesse lasciato Kim per qualche tempo? E, se era così, perché Kim non l'aveva detto?
Dovevo parlare con lei.
«Sai» disse Dana, «questo posto comincia a darmi i brividi. Non hai la sensazione che succedano cose, qui, di cui noi non sappiamo nulla?»
«Sì» risposi. «Decisamente, sì.»
Nei giorni seguenti, Gabe continuò a lavorarsi le donne, e di tanto in tanto mi scoccava un'occhiata come per dire: Tieni duro. Presto arriveranno gli aiuti.
E così lo osservavo, con sentimenti contrastanti, flirtare e sorridere, facendo amicizia con ciascuna per scoprire chi e che cos'erano. Da un lato speravo che sarebbe riuscito a scoprire se qualcuno, a parte Luke e Grace, costituiva un pericolo per me. Nello stesso tempo, pregavo che risultasse che non c'era nessun altro.
Quanto ai miei iniziali sospetti su di lui, cominciavo ad accantonarli. Mentre lo guardavo aiutare prima l'una, poi l'altra ad accendere il fuoco, raccogliere cibo o frugare fra le rovine dei cottage in cerca di qualcosa che era andato perduto durante il terremoto, provavo perfino, di tanto in tanto, una punta di gelosia. Lo stile di Gabe era di non mettersi mai a dare ordini, come se la persona che aiutava fosse meno competente di lui. Piuttosto, offriva i propri servigi come amico, e non metteva mai l'accento su aspetti sessuali. Imparammo tutte a rilassarci, in sua compagnia, certe che non si sarebbe aspettato un pagamento di qualche tipo.
Luke, al contrario, diventava sempre più distante con tutte, tranne che con Grace. Passavano lunghe ore insieme lontano da casa, e nessuno sapeva dove fossero o che cosa facessero. Ogni volta tornavano con pesci e ostriche, e quella era la loro scusa: erano stati in giro in cerca di cibo.
Una volta, Luke mi prese da parte e mi chiese di punto in bianco se volevo finalmente confidarmi con lui, dirgli dove avevo nascosto la prova contro i Cinque.
«Se dovesse succederti qualcosa, Sarah...» cominciò.
«Che cosa potrebbe succedermi?» ribattei, con un piccolo fremito di paura. Che cosa hai intenzione di farmi?, era la domanda che mi passava per la mente.
«Non lo so» rispose lui. «E questo è il punto. Hai sentito quella scossa di assestamento, l'altra notte.»
«Sì.»
L'avevamo sentita tutti, e ci aveva spaventati. Era più forte di qualunque altra avvertita dopo il terremoto.
«Sarah, mio padre dice che gli esperti ritengono che si sia trattato di un nuovo terremoto, provocato da una causa diversa. E che la situazione potrebbe peggiorare. Se ti succedesse qualcosa, vorrei essere in grado di far arrivare quella prova alle persone giuste e portare a termine il tuo lavoro. Farei tutto il necessario per scagionarti e restituirti la tua reputazione.»
«È molto gentile da parte tua, Luke» dissi, guardinga. «Ma non stai dando per scontate troppe cose? Per esempio, che possa succedere qualcosa a me, e non a te? E se fosse il contrario?»
«Be', naturalmente è possibile» convenne lui, corrugando le sopracciglia. «Può succedere qualunque cosa a chiunque, qui, e dovremmo pensare a cosa fare in quell'eventualità. Dovremmo tutti compilare un elenco di amici e parenti da avvertire e...» Esitò. «Odio dire questo, ma dovremmo chiedere a ciascuno se ha qualche ultima volontà.»
Fui costretta ad ammettere che, in effetti, era quello che avremmo dovuto fare. Comunque, gli impedii di insistere perché gli rivelassi dov'era la prova di Lonnie Mae dicendo: «A proposito, ora potrei chiamare mia madre dal tuo telefono? Dopotutto, se la situazione è grave come dici...».
«Non c'è bisogno. Ho chiesto a mio padre di telefonarle e di dirle che stai bene. Lo sa, Sarah. Anzi, ti manda i suoi saluti.»
«Davvero? E quando l'hai fatto?»
«Proprio ieri sera. Dormivi quando sono rientrato.»
«Vuoi dire, quando tu e Grace siete rientrati.»
Lui abbassò gli occhi.
«Tuttavia, vorrei parlare di persona con mia madre» insistetti.
«Be', per la verità non è a Miami, in questo momento. Lei e tua zia stanno facendo un breve viaggio alle Bermuda. Sono partite stamattina presto.»
«Vuoi scherzare.»
«No. Immagino che tua zia abbia pensato che a tua madre avrebbe fatto bene una piccola vacanza.»
Non gli credetti neppure per un momento. Quello che credevo, invece, era che Luke non voleva che parlassi con mia madre.
«La mia agente, allora» dissi. «Vorrei farle sapere che sto bene.»
«Te l'ho detto l'altra sera, Sarah. Non possiamo usare la poca energia che resta per far sapere alla gente che stiamo bene. Non credi che piacerebbe a tutti farlo? Me compreso? Mi dispiace, ma non potrai chiamare nessuno fino a quando non arriveranno le squadre di soccorso.»
Cominciavo ad arrabbiarmi.
«E che cosa dice tuo padre a proposito dei soccorsi?»
«Come ti ho già spiegato, si tratta di coordinare le varie squadre e vedere quale può essere distaccata, e quando. Ce lo farà sapere.»
Fu qualche ora più tardi che feci la mia seconda visita al capanno di Luke, pensando di prendere a prestito il cellulare, nonostante il suo rifiuto. Quando arrivai, trovai che la porta era stata fornita di una serratura. Era una serratura vecchia, arrugginita e pesante. Dubitai che potesse venire scassinata senza un attrezzo molto robusto.
Tentai le due finestre anteriori, che erano anche le sole del capanno. Gli altri tre lati erano costituiti da solidi tronchi. Fu allora che scoprii che entrambe erano sbarrate dall'interno con delle assi.
Ero delusa, e anche spaventata. Dal momento in cui avevo visto quel telefono, avevo sperato come mai prima. Qualche sporadica comunicazione con il mondo esterno, qualunque comunicazione, era meglio di nulla. Ora, Luke aveva impedito a chiunque, tranne che a se stesso, di avere quel tipo di contatto. Questo mi convinse ancora di più che Gabe aveva detto la verità.
Nei giorni seguenti la tensione fra noi divenne intollerabile. I precedenti tentativi di collaborare allo scopo di sopravvivere si trasformarono piuttosto in un test della nostra capacità di sopravvivere da soli. Diventavamo sempre più distanti, e i battibecchi erano violenti. I miei nervi erano sempre più tesi, e vedevo ombre dappertutto. La vita a Seattle, per brutta che fosse stata, ora mi sembrava quasi un paradiso, al confronto del trovarmi a Esme Island con quella gente.
In particolare, non potevo più sentirmi a mio agio con Luke, dopo quello che Gabe mi aveva detto di lui. Tutti i miei istinti mi dicevano che fidarmi di Luke poteva essere il più pericoloso degli errori. Se non si fosse dato tanto da fare per impedirci di contattare chiunque, forse l'avrei pensata diversamente. Ma questo, unito alla sua apparente alleanza con Grace, chiudeva il discorso, per quanto mi riguardava.
E poi c'era Kim. Lei e io ormai ci rivolgevamo a malapena la parola. Non era niente di personale, e la trovavo ancora più simpatica di chiunque altro, a Thornberry, tranne forse Dana. Con Dana andavo ragionevolmente d'accordo, ma non tentavamo più di comunicare. Ci eravamo chiuse in noi stesse, come per proteggere quel poco che restava delle nostre personalità.
Fu mentre cenavamo, una sera, che si verificò un altro terremoto. Scosse la casa come se fosse stata un giocattolo, e il soffitto restante della cucina crollò sopra di noi. Ci tuffammo tutti sotto il tavolo, e quando ne strisciammo di nuovo fuori nessuno era gravemente ferito.
Dana aveva gli occhi pieni della polvere dei detriti. Non era stata capace di non guardare, spiegò.
«Se doveva essere l'ultimo minuto della mia vita, volevo vedere tutto quello che c'era da vedere.» Più tardi, in privato, mi confessò: «Credo che sia stato il rimorso a farmi pensare che stavo per morire».
«Rimorso?»
«Be'... per il fatto che voglio lasciare mio marito» spiegò lei. «Anzi, tutto questo pasticcio mi appare come una specie di karma. È come fosse una punizione per i miei peccati.»
«Dana, non credo che sia un peccato lasciare un marito violento» ragionai. «Devi proteggerti. E se si tratta di karma, dev'essere per tutti i nostri peccati. Altrimenti, perché saremmo qui con te?»
«Può darsi che non ci siate» ribatté. «C'era un vecchio programma televisivo... credo che s'intitolasse The Twilight Zone. Ricordo di averne visto una replica, quando ero bambina. Comunque, il punto era che tu esisti, per me, solo perché io sono qui. Se non ci fossi, non esisteresti affatto... almeno per me e in questo tempo e questo spazio.»
«E allora dove sarei?» chiesi, divertita.
Lei scosse la testa.
«Non sono sicura di capirlo, in realtà. In un universo parallelo a spassartela, forse?»
«Be', diamine, grazie tante, allora» commentai.
«Se solo potessi, ti farei volare via da questo orribile posto con la forza del pensiero, Sarah. Ma, come ho detto, non ho mai saputo bene come funziona.»
Dopo che ci fummo controllati a vicenda per assicurarci che non ci fossero feriti, cominciammo a rimuovere i detriti. Ormai era una reazione quasi automatica. Gabe era sparito fin da prima di cena, e tutti noi esprimemmo la nostra preoccupazione per lui. Eravamo stanchi, ma convenimmo che se non fosse tornato prima che avessimo finito di ripulire il pavimento, saremmo andati a cercarlo.
Kim uscì per verificare i danni esterni, e Dana raccolse l'argenteria caduta e altri svariati oggetti. Quando ebbi finito la mia parte di lavoro, spazzare i resti degli oggetti di vetro che eravamo state tanto sciocche da non assicurare saldamente l'ultima volta che li avevamo usati, mi guardai attorno e notai che Gabe non era tornato.
«Non mi piace» osservò Dana. «Penso che ora dovremmo andare a cercarlo.»
Tremava visibilmente per la stanchezza, tuttavia, e guardandomi attorno vidi che Timmy e Amelia erano entrambe molto pallide. Luke e Grace erano fuori a verificare i danni subiti dal serbatoio del combustibile, nel caso che costituisse un pericolo d'incendio. Non presero parte alla discussione.
«Vado io» dissi. «Non ha senso che ci mettiamo tutte a vagare per i boschi al buio.»
«Ma non puoi andare sola» protestò Timmy con sorprendente forza. «Qualcuno deve venire con te.»
«No, davvero, non è un problema» la contraddissi. «In questo momento sono in forma migliore di chiunque altra.»
«Sono sicura che Gabe sta bene» insistette lei. «Dopotutto, si è più al sicuro all'aperto che al chiuso, durante un terremoto, non è vero?»
Convenni che per certi versi aveva ragione. Ma non era stato così per Jane, no?
Timmy abbassò gli occhi, come se non fosse capace di sostenere il mio sguardo.
«Pensavo solo che sarebbe meglio stare tutte molto attente, adesso» disse a bassa voce. «Non voglio che succeda qualcos'altro a qualcuno.»
«Be', io non credo che mi succederà qualcosa. E tu, Timmy?»
Osservai attentamente la sua espressione.
Lei scosse la testa, ma non mi guardò negli occhi. In quel momento, pensai che sembrava molto vecchia. L'energia che aveva dimostrato dopo il primo terremoto l'aveva abbandonata, Perfino i brillanti avevano perso il loro splendore, e provai pietà per lei anche mentre mi chiedevo che cosa stesse realmente pensando.
Uscii dalla porta principale per evitare Luke e Grace, e portai con me una lampada a batteria e una piccola torcia elettrica che infilai nella cintura. All'ultimo momento Dana insistette perché prendessi anche la sirena per la nebbia.
Non avevo più tanta paura del terremoto, ma i boschi e l'oscurità erano un altro paio di maniche. Avevo avuto la sfortuna di vedere, anni prima, un film in cui dei ragazzi erano soli nei boschi, ed erano minacciati da...
Be', il problema era che l'avevo visto da sola, la sera, a casa mia, e di notte. Non avevo dormito per una settimana. Anzi, quel film aveva lasciato un'impressione duratura sui miei centri nervosi, e quella sera, mentre camminavo lungo la spiaggia, tenendomi vicino al margine della foresta a causa dell'alta marea, ero certa che ogni sorta di demoni fossero appostati a pochi passi da me, fra gli alberi.
Non potevo liberarmi, inoltre, del ricordo della mia esperienza nei boschi dopo avere lasciato il capanno di Luke, poche sere prima. Sfiorando la linea degli alberi per evitare di mettere i piedi nell'acqua, continuavo a guardarmi alle spalle per assicurarmi che Grace non mi stesse seguendo, stavolta armata di un'ascia. Dopo un po', quando nessuno saltò fuori per farmi a pezzi o spingermi in un precipizio, cominciai a calmarmi.
Avevo in mente una meta precisa, il capanno di Gabe. L'avevo trovato là, il giorno prima, occupato a valutare i danni e la possibilità di ricostruirlo. Pensavo che se si trovava al capanno durante il terremoto di quella sera, poteva essere rimasto ferito.
Quando raggiunsi il punto da cui si poteva vedere il capanno, sulla sua bassa collina, notai la debole luce di una lanterna o di una torcia elettrica che filtrava attraverso le finestre. Affrettando il passo, cominciai a risalire il sentiero che conduceva al portico anteriore. Era il sentiero che Dana non aveva voluto percorrere con Jane, quando si era fatta male alla caviglia.
All'improvviso ricordai che non avevo più visto Dana zoppicare, dopo quel giorno, e che la caviglia era guarita piuttosto in fretta. Il che non era necessariamente qualcosa di sospetto. Anzi, in altre circostanze sarebbe stato un motivo di sollievo.
Devi darti una regolata, Sarah. Continua a considerare ciascuno come un possibile assassino, e ti ritroverai completamente sola.
Sul lato del rozzo sentiero, notai che un albero era caduto e che le sue gigantesche radici si levavano verso il cielo come dita scheletrite. Erano coperte di fango, e ricordai che il giorno prima l'albero era in piedi. A quanto pareva, il terremoto lo aveva sradicato.
Rabbrividii e mi affrettai a proseguire. Avvicinandomi al capanno, gridai: «Gabe? Gabe, sei lì?».
Sapevo che doveva esserci, e mi chiesi se mi avesse sentita. La mia voce non era stata molto forte, per effetto del nervosismo che mi aveva colta sulla spiaggia. Guardai la porta per vedere se si apriva.
Niente.
Scrutai le finestre, due da ciascun lato della porta. Era un capanno molto più grande di quello di Luke.
Chiamai di nuovo, a voce ancora più bassa, stavolta.
«Gabe?»
Non ricevendo risposta, mi fermai sul gradino più basso.
Sta tornando a Thornberry. Ha solo dimenticato di prendere la lampada. Forse, dopo quest'ultima scossa, non pensava molto chiaramente.
Ma allora perché non l'avevo incontrato lungo la strada?
Mi costrinsi a salire i tre scalini del portico. Ma avevo sulla lingua il sapore freddo della paura, e un brivido mi corse lungo la schiena.
Con una mano sulla maniglia, feci per bussare con l'altra. Poi mi fermai, sentendo uno strano suono all'interno, come il singhiozzo di una donna. Diversi profondi respiri, poi un gemito. Mi si drizzarono i capelli sulla nuca, e in quel momento non avrei potuto muovermi neppure per salvarmi la vita.
Sentii una voce maschile, aspra, ordinare: «Fa' come ti ho detto. Fallo, e basta».
Involontariamente, la mia mano girò la maniglia, e aprii la porta. Là, su un letto di ottone, nell'unica stanza del capanno, c'erano Gabe... e Kim. Erano entrambi nudi, e nessuno dei due si era accorto della mia presenza. Kim era inginocchiata sopra Gabe, con il viso inondato di lacrime. Lui le aveva afferrato la testa con entrambe le mani e l'attirava verso di sé. I capelli ramati di Kim formavano una cortina che gli sfiorava l'addome. In quel momento, Gabe si inarcò contro di lei, ritmicamente, con violenza. A ogni movimento, lui mugolava, e Kim si lasciava sfuggire un singhiozzo soffocato.
La nausea mi strinse la gola. In un attimo, piombai su di loro, tirando bruscamente indietro Kim e gridando: «Che cosa diavolo credi di fare?».
Gabe aveva gli occhi chiusi, e quando li riaprì erano vacui, come se avesse difficoltà a metterli a fuoco. Poi la vista gli si schiarì, e vide chi ero. Sorpreso, spinse via Kim e balzò a sedere.
«Non è stata un'idea mia, Sarah! È stata lei a...»
«Chiudi quella bocca!» ordinai.
Kim rimaneva in silenzio, in ginocchio sul letto, con il viso fra le mani.
«Kim?»
La voce mi tremava talmente che riuscivo a stento a parlare.
«Va' via, Sarah» mormorò lei. «Per favore, va' via...»
«Mi stai dicendo che è questo che vuoi? Non ti credo! Perché piangi?»
«Non sono affari tuoi!» scattò Kim, rabbiosa, alzando gli occhi colmi di lacrime per incontrare i miei. Aveva il viso arrossato e umido di sudore. «Torna a casa! Smettila di immischiarti in cose che non ti riguardano.»
Non sapevo che cosa, in quella scena, mi turbasse di più, se vedere Gabe e Kim così... o l'espressione torturata del suo viso.
Ma aveva ragione. Non erano affari miei.
Girai sui tacchi e corsi alla porta, poi giù per i gradini e lungo il sentiero. Per lo sbalordimento, avevo lasciato cadere la lanterna, e non pensai di usare la torcia elettrica. Potevo soltanto correre... in qualunque direzione, pur di allontanarmi di là.
In qualche modo, inciampai fuori dal sentiero e mi trovai in una radura, Non c'era luna, e avevo perso l'orientamento. Non sapevo se mi dirigevo verso la costa o se mi stavo addentrando nei boschi.
Il mio stivale incontrò un ostacolo, e persi l'equilibrio. Cadendo a faccia in avanti, pensai che non mi sarei mai fermata. Era come se precipitassi in una buca. Allungai le mani e afferrai qualcosa di lungo e duro... eppure, non proprio duro. Vi feci scorrere sopra le dita per capire che cosa fosse. Sembrava pelle, e c'era anche del pelo. E un puzzo nauseante.
Una carcassa. La carcassa di qualche animale morto. Oh, Dio.
Estrassi la torcia elettrica dalla cintura e l'accesi. Dirigendo la luce verso l'oggetto, quasi svenni quando vidi un piede. Poi una gamba. Il raggio luminoso seguì la carcassa fino a quando non illuminò un viso. Il viso di una donna, coperto di terriccio e di vermi. Si distingueva una ciocca di capelli biondi.
Oh, Dio, no. Oh, Dio, Ti prego, no!
Ripulii il terriccio, sperando di sbagliare. Non poteva essere chi pensavo che fosse. Era impossibile...
Ma non mi sbagliavo. Era Angel, la mia amica e investigatrice privata.
Cominciai a urlare. In qualche modo, ricordai la sirena per la nebbia. La cercai freneticamente, la trovai e premetti il pulsante. La sirena risuonò attraverso i boschi come l'urlo di un demone. Era un suono così forte che avrebbe potuto rompermi i timpani.
Ma se fosse accaduto, non me ne sarei accorta. Urlavo troppo.
Né Gabe né Kim risposero alla mia richiesta d'aiuto. Luke, Grace, Amelia e Dana furono i primi a raggiungermi e mi tirarono fuori. Tremavo talmente che non ero in grado di uscire dalla fossa da sola. Timmy li seguiva, stringendosi le mani al petto.
«Chi è?» chiese Luke, teso, puntando la torcia elettrica sul viso di Angel, mentre balzava nella fossa. «Chi diavolo è?»
«Non l'ho mai vista prima» rispose Dana, coprendosi il naso e la bocca per difendersi dal fetore.
«Non faceva parte del nostro gruppo» disse Amelia.
Timmy fissava la rozza tomba con un'espressione inorridita sul viso, mormorando parole che non riuscivamo a distinguere.
Tutti avevano portato delle torce elettriche, e le disponemmo attorno alla fossa. La luce non giungeva abbastanza in basso, ma illuminava bene i nostri visi, che erano pallidi e tesi.
«Io... io la conoscevo» riuscii a balbettare.
Luke mi guardò.
«Conoscevi questa donna?»
«Era un'investigatrice privata. L'avevo assunta per aiutarmi... per il mio processo.»
Lui scosse la testa, perplesso.
«Non capisco. Che cosa diavolo ci faceva qui?»
«Non ne ho idea. L'ultima volta che ho sentito Angel...» La voce mi mancò. «È stato diverse settimane fa.»
«Era questo il suo nome? Angel?»
«J.P. Blakey, ma tutti la chiamavano Angel.»
Nonostante i miei sforzi, scoppiai a piangere, sopraffatta dal dolore e dal rimorso. Se non avesse lavorato per me...
«Perché qualcuno avrebbe dovuto farle questo?» chiese Grace.
Potei solo scuotere la testa.
Dana mi passò un braccio attorno alle spalle.
«Mi dispiace tanto» sussurrò. Puntando l'altro braccio verso il cielo, esclamò: «Dio, che altro succederà adesso?».
Timmy cominciò a gemere.
«Non ho mai inteso che accadesse qualcosa del genere...»
La sua voce si spense.
Tutti ci voltammo a guardarla.
«Che cosa non hai mai inteso che accadesse?» chiese Grace, secca.
«Io...» Timmy sembrava stordita. «Non lo so. Che ho detto?»
Amelia se l'attirò vicino e le batté un colpetto sulla spalla.
«Voleva solo dire che non intendeva che accadesse niente del genere quando vi ha invitate qui. Pensava che sarebbe stato un periodo bellissimo, per voi.»
Luke si arrampicò fuori dalla tomba.
«Sembra che sia stata colpita alla testa con qualcosa. Non me ne intendo gran che di queste cose, ma direi che non è qui da molto. Solo qualche giorno, forse.»
«Ma non può essere arrivata sull'isola dopo il terremoto» osservai.
«No, doveva essere già qui.» Luke fece scorrere il raggio della torcia attorno alla tomba. «Vedi quel baule? Il corpo c'è ancora dentro per metà. Sembra che qualcuno l'abbia messa nel baule e poi l'abbia coperto di terra. La buca non è molto profonda. L'ultimo terremoto deve avere buttato all'aria tutto.»
«Il che spiegherebbe perché non abbiamo mai visto prima la fossa» osservò Dana, guardando il capanno di Gabe attraverso gli alberi. «Però è strano che Gabe non abbia notato nulla.»
«A proposito, dov'è Gabe?» chiese Luke.
«E Kim?» aggiunse Dana. «Li hai trovati, Sarah?»
Non potei rispondere.
«Sei venuta qui per cercare Gabe, no?» insistette Luke.
Annuii.
«C'era?»
Ancora una volta, non risposi. Non potevo pensare che ad Angel. Mi chiedevo che cosa fosse venuta a fare sull'isola, e per quanto tempo ci fosse rimasta. Fin da quando mi aveva rimandato la scatola Allegra, ed era andata via? Da prima ancora che io arrivassi a Thornberry?
E, in questo caso, perché?
Quale traccia poteva averla portata a Esme Island?
E chi l'aveva assassinata e seppellita in quel luogo?
Un'ondata di sconforto si abbatté su di me. Non solo Angel era stata un'amica, ma era anche una persona su cui contavo per tirarmi fuori da quel pasticcio con i Cinque di Seattle. Non c'era stato nessuno a cui potessi rivolgermi, dopo il mio arresto. Angel era stata la mia sola confidente. Ora non c'era più... e tutto a causa mia.
«Sarah?»
Era la voce di Luke.
Distolsi gli occhi dalla faccia di Angel e lo guardai.
«Ti ho fatto una domanda» disse lui. «Hai trovato Gabe? E hai per caso visto Kim?»
Avrei denunciato Gabe in un attimo. Ma non Kim. Non era passione quella che le avevo visto in faccia, ma paura. E sofferenza.
Fino a quando non avessi saputo che cos'era realmente accaduto, non potevo raccontare quello che avevo visto.
«No» mentii. «Ho solo trovato questo...»
Voltai le spalle alla fossa e mi avvicinai alla linea degli alberi, incapace di sopportare ancora la vista di Angel in quella mostruosa buca.
Parecchi minuti dopo, rimasi sorpresa di constatare che restavamo solo Luke e io. Le altre erano sparite.
«Sono andate in cerca di Kim e Gabe» spiegò Luke. «Ho detto che ti avrei aspettata, e che dovremmo riprendere ad andare in giro a coppie, specie dopo...» Non completò la frase. «Speriamo che trovino Gabe e Kim insieme. A Thornberry, magari.»
Non era probabile, pensai. Anzi, ero preoccupata a morte per Kim. Sperai che, ovunque si trovasse, non fosse con Gabe.