12

La prima notte che seguì il ritrovamento del corpo di Jane fu la più difficile dopo il terremoto, credo. Non riuscii a togliermi dalla mente quel triste spettacolo abbastanza per prendere sonno, e anche le altre si girarono e rigirarono per tutta la notte. Continuavo a vedere la povera Jane su quella sporgenza, coperta di sassi. Sarebbe almeno dovuta essere seppellita come Lucy. Avrebbe dovuto avere dei fiori sulla sua tomba.

Sarebbe dovuta essere viva.

Il fatto che non lo fosse più era troppo orribile, troppo impensabile. E se suo marito e i suoi bambini erano scampati al terremoto e la stavano cercando? E se fossero venuti sull'isola con le squadre di soccorso che senza dubbio, alla fine, sarebbero arrivate? Chi avrebbe dato loro la notizia? Come avrebbe potuto chiunque guardare in faccia quei due bambini e dire loro che la madre era morta?

Pensai al ciondolo di Jane, rendendomi conto che mi ero dimenticata di darglielo. Jane era morta senza quel ciondolo. Un oggetto caro, con dentro due freschi visetti infantili. E adesso quei due bambini avrebbero dovuto vivere senza la madre, la loro vita irrimediabilmente cambiata. Chi sarebbe voluto essere latore di una simile notizia?

Distesa, avvolta nella mia coperta, sul pavimento di cucina, fissai l'apertura nel soffitto. La pioggia sarebbe inevitabilmente ripresa, ma per ora era cessata e le stelle ammiccavano, luminose come se non avessero una sola preoccupazione al mondo. Immaginai che, visto che alcune erano morte da milioni di anni e ne era rimasta solo la luce, in effetti non avessero preoccupazioni. Non più.

Mi chiesi se saremmo tutti finiti così... una piccola luce riflessa nel cielo. Era quella l'unica forma in cui noi, e qualunque cosa fossimo riusciti a creare nella nostra vita, saremmo sopravvissuti?

Pensieri oscuri per un momento oscuro. E ora che avevo la possibilità di riflettere in solitudine, dovetti chiedermi: Credevo davvero a quello che ho detto circa le tracce di lotta sull'orlo del precipizio? O era solo paranoia?

Sì, il terreno era sconvolto, e probabilmente era vero che se Jane fosse semplicemente caduta in seguito a una scossa, non lo sarebbe stato in quel modo. Era possibile che Amelia avesse ragione e che Jane, sentendosi scivolare nel vuoto, si fosse aggrappata freneticamente all'orlo, staccando delle zolle di terra, mentre precipitava verso la morte?

O eravamo state noi, nel primo momento di panico, quando avevamo visto il suo corpo? Senza dubbio era la spiegazione più semplice, e se dovevo attenermi alla regola di Ockham che ci insegnavano alla facoltà di legge, la più semplice di due spiegazioni era sempre la preferibile. O, per dirla in un altro modo, il fatto che a Seattle, e a me, fossero accadute brutte cose, non significava che dovessero accadere anche là, e a Jane. Pensare che qualcuno, a Esme Island, potesse avere assassinato Jane era una teoria troppo complicata.

Ma supponiamo che fosse successo. Allora, perché? Jane era troppo normale, troppo innocente per essere connessa in qualunque modo con le persone che ce l'avevano con me a Seattle. Jane, e i Cinque di Seattle?

Impensabile.

Ma non necessariamente doveva trattarsi di qualcosa che aveva a che fare con me. Era la mia paura... e forse il fatto che le calze di Lonnie Mae sembravano sparite... che mi facevano immaginare quella possibilità. Forse Jane aveva portato con sé i propri segreti da Bellevue, qualcosa che non aveva proprio niente a che vedere con me.

Oppure aveva visto, come avevo suggerito io stessa, qualcosa che non doveva vedere?

Questo suscitava domande ancora più difficili. Che cosa e chi aveva visto? Chi su quell'isola avrebbe ucciso una donna come Jane a sangue freddo? E perché?

Altro che la regola di Ockham... L'idea del vecchio monaco era buona, in sé, ma forse nel quattordicesimo secolo la vita era meno complicata. Nessuna delle mie teorie era semplice, e ciascuna conduceva a una domanda più difficile della precedente.

La sola cosa che sapevo per certo era che adesso avrei dovuto condurre una ricerca accurata della scatola Allegra. Se l'avessi trovata sotto le macerie del mio cottage, bene. Altrimenti, qualcuno l'aveva presa.

E a quel punto quel qualcuno costituiva in pericolo per me.

E la stessa persona poteva avere ucciso Jane.

Alle dieci del mattino, solo Timmy e io eravamo rimaste a Thornberry. Tutti gli altri erano usciti a coppie, per svolgere compiti che andavano dallo scrutare l'orizzonte in cerca di barche di passaggio, nel qual caso avremmo acceso un falò sulla spiaggia, alla pesca e alla raccolta di ostriche e molluschi dagli scogli.

Contrariamente al piano di Luke, lasciai Timmy sola in cucina per quella che speravo non fosse più di un'ora, mentre andavo in cerca dello stesso Luke e di Grace. Avevo bisogno di Luke, o di qualcuno più forte di me, per sollevare il fornello nel mio cottage. Forse Grace era forte quanto Luke, ma mi fidavo più di lui. Se la scatola era là, volevo che nessun altro la vedesse, e specialmente Grace. C'era qualcosa in quella donna che non mi piaceva, e avrei dovuto pensare a un modo per allontanare Luke da lei, anche solo per pochi minuti.

Li scorsi attraverso gli alberi, mentre percorrevo un sentiero nella foresta, vicino a Thornberry. Lungo il sentiero c'era un enorme cespuglio di more, e scrutai fra gli alberi attraverso un varco fra i rami.

Erano in piedi vicino a un grosso ceppo cavo dentro cui crescevano le felci. Grace dava le spalle a Luke e si faceva passare una fronda fra le dita con un movimento lento, pensieroso. Luke disse qualcosa, e io affrettai il passo, preparandomi a chiamarli.

Quello che accadde subito dopo mi fermò di colpo. Luke prese Grace per una spalla e la costrinse a voltarsi, prendendola fra le braccia. Rimasero così per un lungo momento. Sorprendentemente, Grace appariva fragile e impotente, come se si stesse sciogliendo nell'abbraccio di Luke. Io non potei fare altro che restare a fissarli, incapace di muovermi.

Quando finalmente mi ripresi, feci un passo indietro, più per lo stupore che perché pensassi di allontanarmi. Misi il piede su uno sterpo, che si spezzò rumorosamente. Luke lasciò ricadere le braccia e si voltò di scatto, sul viso un'espressione circospetta che non avevo mai visto in precedenza. Lo sguardo era tagliente mentre scrutava fra gli alberi.

«Chi è là?» gridò.

Ero così sbalordita che sulle prime non risposi. Poi, dibattei fra me se sparire dietro l'intrico dei rovi e tornare di corsa a Thornberry.

Ma quando Luke chiamò di nuovo, non potei farlo. Mi feci avanti.

«Sono io» dissi, facendomi ombra agli occhi e aguzzandoli come se avessi difficoltà a vedere così lontano. «Chi è? Oh, Luke. E Grace. Non vi avevo visti.»

«Che cosa ci fai qui?» chiese Luke con voce tesa. «Dovresti essere con Timmy.»

«Mi... mi ha mandata a cercare del cardo selvatico. Dice che fa bene berlo, quando è bollito, e ha pensato che potrebbe esserci utile, anche solo per rafforzare il nostro sistema immunitario... perlomeno, è quello che ha detto Dana. Impedisce alla gente di ammalarsi...»

Stavo parlando troppo, proprio come avevo pensato di Amelia la sera prima, mentre spiegava perché eravamo state invitate là.

«Comunque» conclusi debolmente, «l'ho lasciata solo per pochi minuti. Sono sicura che sta bene.»

«Non è questo il punto, Sarah» ritorse Luke, irritato, passandosi una mano fra i capelli. «Dobbiamo tenerla d'occhio come chiunque altro. Non avresti dovuto lasciarla sola.»

Incrociai le braccia sul petto, altrettanto irritata.

«Be', mi dispiace tanto, ma proprio non riesco a vedere Timmy come serial killer. Ma se tu vuoi sospettarla, ne hai il diritto, immagino. Comunque, che ci fate qui di tanto utile tu e Grace? Non dovreste essere sulla spiaggia? Credevo che il vostro compito fosse quello di cercare molluschi, ostriche... qualunque cosa commestibile.»

«Ci stavamo andando» ribatté Luke.

«Oh, e dove pensavate di mettere tutte quelle ostriche? In tasca?»

L'espressione di Luke s'incupì.

«Di che diavolo stai parlando?»

«Sto solo dicendo che non vedo alcun secchio.»

Luke mi fissò, aprì la bocca, poi la richiuse. Subito dopo si voltò verso Grace, corrugando le sopracciglia.

«Ha ragione» mormorò. «Non hai portato i secchi?»

Lei sollevò il mento.

«No, non li ho portati, Credevo che fosse compito tuo.»

«Grace, sono sicuro di averti detto di portare i secchi.»

«Be', non ti ho sentito» ribatté lei, con le mani sui fianchi.

«E come pensavi di fare, senza secchi?»

«Probabilmente ho pensato che avremmo portato a casa quella maledetta roba nelle nostre maledette tasche!»

Seguì un momento di silenzio mentre i due si fissavano come due galli da combattimento. Poi, all'improvviso, Luke scoppiò a ridere, e con mia grande sorpresa Grace lo imitò. Ridevano di gusto, piegati in due, tanto che avevano le lacrime agli occhi.

Li guardai per un po', e quando non accennarono a smettere cominciai a sentirmi sempre più esclusa. Luke, uno dei miei più vecchi amici e il mio primo amore, per qualche ragione aveva stabilito un ottimo rapporto con la sola persona del gruppo che io non sopportavo.

Perdipiù, il rapporto che avevano stabilito era da uomo a donna. A quanto pareva, Luke aveva mentito sui suoi sentimenti per Grace.

Disgustata, girai sui tacchi e mi allontanai, diretta al mio cottage.

Lungo la strada, pensai a quello che avevo visto. La collera iniziale di Luke verso di me, supposi, poteva essere stata semplicemente una reazione per essere stato sorpreso con Grace, qualunque cosa stessero facendo.

Ma perché? Nessuno dei due era sposato o impegnato in alcun modo, per quanto ne sapevo.

Naturalmente, non lo sapevo. E questo era il punto. Da quando c'era stato il terremoto, non ci eravamo fatte molte domande a vicenda. La priorità era la sopravvivenza. Però sapevo che Grace aveva affermato di essere single, quando ci eravamo parlate per la prima volta dopo il nostro arrivo a Thornberry.

E Luke? A parte la nostra chiacchierata nei boschi, il giorno prima, durante la quale aveva detto che era stato sposato, ma ora non lo era più, non sapevo gran che della sua vita attuale.

Lavorando di logica, ed essendo il più onesta possibile con me stessa, mi chiesi perché vederlo abbracciato a Grace mi avesse turbata tanto. Dopotutto, non mi ero forse ripetuta per mesi che non volevo più impegolarmi con un uomo? Che non ne avevo né il tempo né la voglia?

Mi sentivo scossa, ragionai, solo perché Luke aveva risvegliato vecchi sentimenti di un tempo più giovane, più innocente. E chi non vorrebbe tornare a quel tempo, anche solo nel ricordo? Chi non ne sarebbe spiazzato?

Non sapevo perché avessi usato la parola spiazzato. Mi era venuta naturale, e da quel momento in poi dovetti chiedermi se Luke aveva deliberatamente tentato di fare in modo che mi sentissi di nuovo attratta da lui... e non per ragioni romantiche. Mi stava forse manipolando? E se era così, a quale scopo?

Entrando nel mio cottage, o piuttosto nel suo rudere, non avevo ancora trovato le risposte. Sapevo solo che avrei sollevato quella dannata cucina a gas da sola, a costo della vita.

Trovai una piccola trave e riuscii a insinuarla sotto la cucina in due tempi. Prima usai un bastone abbastanza robusto, facendolo scivolare sotto le manopole e sollevando la cucina solo di pochi centimetri. Poi, rapidamente, prima che il bastone si spezzasse, spinsi la trave nello spazio. Muovendola avanti e indietro, e spingendo nello stesso tempo, finalmente riuscii a farla arrivare a metà della cucina.

Tutto questo lavoro richiese assai più tempo di quanto avessi immaginato, e quando ebbi finito ero stanca e sudata. Tremavo tutta, e lo attribuii alla mancanza di proteine nella mia dieta negli ultimi giorni. Sperai che Gabe e Amelia avessero fortuna con la pesca. Ormai era chiaro che Amelia non fingeva soltanto di essere forte fisicamente e mentalmente, ma lo era davvero, adesso che lo shock iniziale del terremoto si era dissipato. Non avevo dubbi che se Gabe Rossi avesse tentato qualcosa con lei, lo avrebbe messo al tappeto.

Mi asciugai la fronte con un lembo della camicia e mi stesi sul pavimento per guardare sotto la cucina. C'erano dei calcinacci, alcuni pezzi di carta provenienti dalla mia scrivania... ma niente manoscritto e niente dischetto. In fondo, però, c'era qualcosa che brillava. Cercai di usare un lungo pezzo di legno per farlo scivolare verso di me, ma era conficcato troppo profondamente sotto la cucina. Per prenderlo avrei dovuto tentare di sollevarla interamente.

Era vecchia, e ancor più pesante di quanto avessi immaginato. Mi chiesi se, all'interno, fosse fatta di ferro. A casa ero riuscita ad allontanare la cucina a gas dalla parete per le pulizie di primavera. Non era un lavoro che mi piaceva, ma fisicamente potevo farlo. Quella cucina, però, per quanto fosse più piccola, pesava una tonnellata.

Con un procedimento molto lungo, simile a quello che, secondo alcuni, fu usato per costruire le Piramidi, riuscii a insinuare oggetti sempre più grandi sotto la parte più alta della cucina. Finalmente riuscii a introdurvi sotto la trave, sollevandola abbastanza da vedere completamente quello che c'era sotto.

Tirai un sospiro di sollievo riconoscendo la scatola Allegra.

Grazie a Dio, qualcosa va per il verso giusto.

Allungai cautamente la mano e tirai fuori la scatola.

L'aprii frettolosamente per vedere se conteneva ancora il suo tesoro. C'era. Le calze a rete di Lonnie Mae nel loro sacchetto di plastica sigillato, ancora intatto.

Il sollievo fu così grande che quasi svenni. Per un attimo mi si oscurò la vista. Chiusi la scatola e me la strinsi al petto, respirando a fondo nel tentativo di recuperare le forze.

Dietro di me sentii un passo. Nascondendo rapidamente la scatola dentro la camicia, feci per voltarmi, aspettandomi di vedere Timmy. Ormai, pensavo, doveva essersi messa a cercarmi.

Qualcosa mi colpì pesantemente alla testa. Provai un dolore acuto, e tutto divenne nero. Sentii il mio corpo diventare molle e scivolare sul pavimento. Poi, mi accorsi che mi stavo muovendo... mi stavo muovendo sui detriti e le macerie, anche se non potevo vedere chi mi trascinava.

Poi, più nulla.