CAPITOLO QUINDICESIMO
L’ispettore Campagna riuscì a entrare nella casa che stampa e tv avevano subito ribattezzato “dei tre cadaveri” solo dopo che la scientifica ebbe terminato i rilievi. L’abitazione non aveva subìto danni strutturali, a bruciare per bene erano stati proprio i tre corpi, ancora non identificati. Campagna, però, era certo che uno fosse di Federico Togno e gli altri due dei proprietari, i fratelli Centra, che i vicini descrivevano come bravi ragazzi dediti al lavoro, forse un po’ taciturni.
Si trattava solo di un’intuizione basata sull’accertata scomparsa dello stesso Togno, della moglie e del proprietario del ristorante La Nena, Giorgio Pellegrini. I camerieri erano certi che fosse accaduto qualcosa di grave perché non aveva lasciato disposizioni e questo non era mai successo. Il cellulare era stato ritrovato nell’abitazione e la moglie, in vacanza ad Asiago con un’amica, sosteneva di essere all’oscuro dei movimenti del coniuge.
Per Giulio non vi erano dubbi che tutti questi eventi fossero legati tra loro e che fossero stati originati dall’indagine illegale condotta da Marco Buratti sul sequestro di Guido Di Lello.
Perquisì casa e laboratorio da cima a fondo, ma l’unica impressione che ne ricavò era che Toni e Furio dovevano essere due disadattati, dato il numero impressionante di riviste e film pornografici.
Quando uscì dovette contenere un attacco d’ansia che stava per metterlo al tappeto, dovuto alla rabbia per essere stato usato da quel balordo di Buratti.
Dopo aver regolarizzato il respiro lo chiamò.
«Come stai, Alligatore?» attaccò amichevole.
«Io bene. E tu?».
«Maledettamente preoccupato per le sorti del vino novello locale» rispose Campagna infervorandosi. «Io non lo bevo perché mi fa orrore l’idea che la vinificazione avvenga per macerazione carbonica. Lo sai come funziona?».
«No, ma sono certo che me lo spiegherai» rispose rassegnato Buratti.
«I grappoli interi vengono messi in un serbatoio d’acciaio saturo di anidride carbonica. Chimica, modernità… dimmi tu che c’entra con l’antica arte di produrre vino. Ma a parte questo, il problema è che in Italia la legge permette che sia composto dal 30 per cento di novello e il resto da vino classico, e questo danneggia il made in Italy perché in Giappone, per esempio, bevono solo Beaujolais Nouveau che è cento per cento novello».
«E questa faccenda non ti fa dormire la notte» lo punzecchiò l’Alligatore.
«No, quello che mi sta facendo girare i coglioni è il tuo silenzio e se ora non parli t’infilo personalmente in un altro serbatoio ermetico, noto anche come galera».
«Hai proprio un brutto carattere, Campagna».
«E tu sei pericoloso» ribatté incazzato lo sbirro. «Cosa farà pendere la bilancia della giustizia quando ti porterò in un’aula di tribunale per essere giudicato per i crimini che hai commesso?».
«Perché prima non ci beviamo un bicchiere e scambiamo qualche opinione sulla vicenda?».
L’ispettore indicò lo stesso bar all’interno del centro commerciale di Vicenza dove Buratti aveva incontrato Gemma e Martina.
Buratti capì che Campagna sapeva più di quello che avrebbe dovuto, ma forse poteva trattarsi di un caso. «Ci sono stato da poco» disse cauto.
«Lo so» rispose l’ispettore. «Le telecamere ti hanno inquadrato in tutti i modi possibili, però mi piacerebbe conoscere gli argomenti della conversazione che hai avuto con la moglie dello scomparso Giorgio Pellegrini e con la sua amica».
«Scomparso? Sei sicuro?» chiese Buratti, sorpreso.
«Smettila di fare lo stronzo» ordinò il poliziotto. «Troviamoci da Livio tra mezz’ora».
«Perché scegli i peggiori bar del Veneto?».
«Si vede che manchi da un po’. Ora è gestito da due cinesi di seconda generazione che parlano il nostro dialetto. Fulgido esempio dell’integrazione a cui tutti auspichiamo» disse prima di riagganciare.
Campagna arrivò per primo e prese posizione. La coppia dietro al bancone lo conosceva e gli servirono un buon Sauvignon trentino che il poliziotto aveva imposto pena la chiusura del locale. Poco dopo fece il suo ingresso quel farabutto impunito di Buratti.
«Sono veramente incazzato» ribadì quando l’Alligatore si accomodò di fronte a lui. «E voglio uscire da qui con una versione che mi permetta di impedire che tanti bravi poliziotti e carabinieri perdano tempo cercando di scoprire la verità su un caso di cui tu conosci già la soluzione. Ti è chiaro?».
L’ex cantante blues annuì. «Posso fornirti le risposte che cerchi ma nessuna informazione circa le mie indagini».
Lo sbirro s’inalberò. «Le tue indagini? Quelle le fanno i poliziotti, tu al massimo raccogli chiacchiere nei bassifondi in cui vivi».
Buratti sbuffò. «Sulle chiacchiere non farti venire curiosità, va bene?».
«Chi ha ammazzato Togno e i due fratellini?» chiese Giulio.
«Li avete già identificati?».
«No. Le analisi dei resti richiedono tempo ma io sono uno sbirro all’antica e ci ho messo poco a capire. Allora, chi è stato?».
«Giorgio Pellegrini».
«E lui è ancora in vita».
«Sì».
«Era lui il capo, vero?».
«Sì».
«è morto anche lui?».
«No, ha cambiato aria».
«Chi ha ucciso il professore?».
«Toni e Furio. Si sono divertiti».
«Come mai hanno finito per ammazzarsi tra di loro?».
«La spartizione di un riscatto, si è accesa una discussione piuttosto vivace sulle percentuali».
«Quindi c’è stato più di un sequestro».
«Sì. Ma quello del professore è l’unico finito male».
Campagna terminò di bere in silenzio. Ogni tanto infilava in bocca una patatina. «Quello che so non vale nulla» disse. «Non mi posso presentare dal capo della Mobile e dire che ho incontrato un informatore al bar che mi ha raccontato tutte queste cose. Ho bisogno di una pista concreta».
Buratti alzò l’indice. «Non ti permettere più di chiamarmi informatore, altrimenti mi alzo e non mi vedi più».
«Ricordati chi sono» lo minacciò Giulio. «E quello che ti posso fare».
«A volte sei solo un coglione borioso».
«Vuoi che ti prenda a pugni?».
«E tu vuoi o no che ti indichi la pista “concreta”, così puoi tornare in questura e farti bello con il capo?».
«Lo apprezzerei».
«Però dopo le nostre strade si divideranno per sempre».
«Dipende dai crimini che commetterai. Ti consiglio di escludere le rapine».
L’Alligatore lo mandò a quel paese con un gesto stizzito prima di informarlo che era a conoscenza del luogo dove era sepolto il professore.
«E dove?».
«Nell’orto dei fratelli Centra».
L’indomani mattina, con l’aiuto di un piccolo escavatore, vennero rinvenuti i resti di Guido Di Lello e senza attendere l’esito dell’esame del DNA, la scoperta venne annunciata in una conferenza stampa a cui l’ispettore Campagna non partecipò perché occupato a dare la caccia a Pellegrini. In assenza di prove non aveva potuto inserire il suo nome nel rapporto ma voleva scoprire dove si era nascosto per controllarlo e arrestarlo al primo reato che avrebbe commesso. Non nutriva il minimo dubbio, infatti: uno come lui non avrebbe interrotto la carriera criminale.
“È solo questione di tempo” si era ripetuto diverse volte nel corso della giornata. Tempo. Quello del poliziotto che arranca tra un reato e l’altro, che ogni mattina si alza cercando le motivazioni necessarie per andare avanti, fingendo che lo Stato, che la gente abbiano ancora un minimo di rispetto e considerazione per il suo lavoro.