CAPITOLO QUATTORDICESIMO
Feci pulizia con il mezzo più efficace di cui potevo disporre: il fuoco. Furio e Toni tenevano in casa prodotti altamente infiammabili che usavano quando producevano dentiere su misura. Prima di cospargere i cadaveri ne versai una certa quantità nelle bocche di quei mentecatti per alimentare la combustione, dopo aver ripulito la casa dei contanti e degli oggetti di valore; non che ne avessi bisogno ma non vi era nessun motivo per sacrificarli alle fiamme. Mi dilettai anche a creare una scenografia per gli sbirri, trascinando Togno nel seminterrato e mettendogli in mano la pistola. L’avrebbero rinvenuta fusa con quello che rimaneva delle sue ossa e si sarebbero dilettati in quelle ipotesi e congetture che agli inquirenti e ai giornalisti piacciono tanto. Dopo essersi inventati una dinamica “scientificamente” valida si sarebbero chiesti: «Ma chi ha assassinato l’assassino?» e il caso si sarebbe arenato per sempre su quel quesito.
Io, invece, sarei finito in una di quelle trasmissioni che si erano occupate a lungo della scomparsa del professor Guido Di Lello. Solo che io ero vivo e lui sepolto nell’orto dietro la casa che mi accingevo a bruciare. “Che fine ha fatto il noto ristoratore dal passato oscuro?”.
Se lo chiedessero pure. Non mi avrebbero mai trovato.
Avrebbero intervistato Martina e Gemma, e loro si sarebbero mostrate affrante e incredule. Già, le mie donne. Estrassi il cellulare dalla tasca della giacca e chiamai mia moglie.
«Passami Gemma» furono le mie uniche parole di addio.
«Possiamo tornare?» chiese lei non appena s’impossessò del telefonino.
«Certo. La casa è vostra e anche La Nena».
«Non capisco. Che significa?».
«Che da domani mattina gestirete il locale» risposi. «E guai a voi se abbasserete il livello. Vi controllerò costantemente e se fallite tornerò per farvela pagare».
«Noi non siamo assolutamente in grado».
«Ti sto dando un ordine, Gemma».
«Scusa, Re di cuori, scusa» si affrettò a dire. «Non ti deluderemo, te lo giuro».
«Io vi avrei portato con me, ma Buratti me lo ha impedito».
«Bastardo» frignò rabbiosa.
«Con lui fingi sempre di essere contenta che io non sia più presente nelle vostre vite. Dimostragli riconoscenza».
«Va bene. Farò come dici. Ma torneremo a vivere insieme?».
«Certo. Solo se vi conserverete per me. Niente uomini, niente donne e Martina dovrà seguire i soliti programmi».
«Come puoi dubitarne, Giorgio?».
Riattaccai. La conversazione stava diventando fastidiosa tanto era melensa. Quelle due cretine mi sarebbero rimaste fedeli per l’eternità e un giorno avrei potuto considerare l’idea, per diletto o per necessità, di tornare a riprendermi ciò che era mio. Non prima però di aver eliminato dalla faccia della terra Buratti, Rossini e Max la Memoria. Avrei potuto assoldare un gruppo di sicari e risolvere il problema in tempi ragionevolmente brevi. Ma il piano che avevo elaborato in previsione di quella sconfitta parziale e che mi obbligava ad abbandonare il campo prevedeva una serie di tappe prima del botto finale. Volevo arrivare a uccidere quei gangster da operetta dopo averli spezzati e annientati e dimostrato che dichiararmi la loro stupida guerra non era servito a nulla e aveva mietuto vittime innocenti.
Frugai nelle tasche di Federico alla ricerca delle chiavi della sua auto. Avvicinai la fiamma dell’accendino a uno straccio imbevuto di alcol e lo gettai sui cadaveri dal ballatoio delle scale. Una vampata di calore mi convinse a sbrigarmi a uscire.
Recuperai la borsa con il necessario per risorgere e cambiai automobile. Guidai fino alla stazione di Brescia dove la abbandonai aperta e con le chiavi inserite nella speranza che qualcuno la rubasse. Nell’attesa del primo treno per Milano feci colazione ma mi pentii amaramente. Brioche e cappuccino erano di pessima qualità. Il prodotto da forno era congelato e intriso di olio di palma. Il latte era rigenerato, arrivava in polvere dalla Germania e di italiano e di fresco aveva solo l’acqua che veniva aggiunta. La Nena mi aveva viziato, ma avrei rimediato anche a quello. Non avevo sofferto tanto per rinunciare ai dettagli che rendono piacevole la vita.
Alla stazione centrale di Milano acquistai il biglietto che mi avrebbe condotto alla destinazione finale: Basilea. Lì conoscevo una persona che mi avrebbe ospitato in un luogo sicuro fino a quando non sarei stato assolutamente certo di potermi muovere liberamente. Non sarebbe stata affatto contenta di vedermi e tantomeno di avere a che fare con me per un periodo. Ma non era nelle condizioni di rifiutare.
Poi un giorno mi sarei trasferito a Lugano e avrei iniziato ad avvicinarmi alla signora Oriana Pozzi Vitali. I racconti dettagliati del compianto professor Di Lello mi avrebbero permesso di ronzarle attorno, di corteggiarla, di diventarle irresistibilmente simpatico. Non le avrei concesso la minima tregua e, se quella strada non si fosse dimostrata percorribile, avrei puntato alla figlia, alle amiche, alla cameriera, alla cuoca. A chiunque pur di entrare nelle sue grazie, nella sua vita.
Toccava a lei per prima. Mi aveva aizzato contro quei mercenari da quattro soldi. Li aveva pagati per darmi la caccia. Il conto che le avrei presentato sarebbe stato particolarmente salato.
Quel pensiero mi provocò un’erezione dolorosa. Avevo bisogno di sfogarmi ma avrei dovuto attendere la sera. La mia referente basileese avrebbe fatto di tutto per negarsi perché era certa che l’avrei obbligata a certe pratiche che disdegnava. A me invece piacevano tanto e gli ospiti, come è noto, sono sacri.