CAPITOLO SECONDO

Alloggiavo in un hotel tre stelle che ne meritava al massimo due in una strada stretta e antica nel quartiere di Marina. L’orario della colazione era passato da un pezzo e dovetti accontentarmi di un caffè. La suocera del proprietario, come ogni mattina, mi stava sottoponendo al fuoco di fila di domande sulla mia vita privata a cui non mi degnavo di rispondere. Aveva capito che ero un poco di buono e voleva dimostrarlo a quel fesso del genero.

Le sue convinzioni vacillarono quando vide entrare una signora raffinata e dal portamento elegante che puntava nella mia direzione.

«Ho pensato che era meglio anticipare a pranzo il nostro appuntamento» disse la svizzera saltando i saluti.

«Come ha fatto a trovarmi?».

«Ci ha pensato Giannella. Lo ha saputo da un certo…».

«Max» completai la frase chiedendomi perché il ciccione stesse tramando per farmi parlare a tutti i costi con quella donna.

«Non capisco perché l’avvocatessa Marzolo non tuteli la mia privacy» mi lamentai. «Credo che cambierò avvocato».

«Sono certa che se ne farà una ragione. Andiamo?».

Guardai l’orologio. «Ma non è ancora mezzogiorno. Signora, siamo a Cagliari, nessuno ci darà da mangiare a quest’ora».

La megera della reception sghignazzò senza ritegno e io ne approfittai per riproporre l’appuntamento serale a cui non avevo la minima intenzione di presentarmi. Ma la signora doveva averlo subodorato e optò per la formula aperitivo e pranzo.

«D’accordo» mi arresi. «Ma prima devo fare una telefonata».

Mi appartai in un salottino e chiamai Max. Non lo sentivo dalla sera in cui Sylvie aveva deciso di andarsene.

«Dove ti trovi?» domandai.

«Sono tornato al rifugio».

«Perché mi hai messo una tizia insopportabile alle calcagna?».

«Perché Sylvie è morta, Natalija è morta, quella storia è morta e sepolta».

«E allora?».

«Possiamo… dobbiamo tornare a vivere».

«Sembra un dialogo di coppia e io e te non lo siamo, Max. E poi ultimamente ce lo siamo detti troppe volte e non ha funzionato».

«Rimettiamo in piedi la vecchia attività. È l’unica cosa che sappiamo fare».

«I tempi sono cambiati e noi siamo fuori dal giro. Non abbiamo nemmeno più una casa a Padova».

Iniziò a gridare. «Ma che cazzo c’hai? Perché non mi ascolti? Io non ce la faccio più, hai capito? Mi sto perdendo».

Alzai anch’io la voce. «Io mi sono già perduto! Non capisco perché non bevo fino a morire».

Il mio amico restò a lungo in silenzio prima di chiedere: «Stai parlando sul serio?».

Sospirai. «No. Sono solo esasperato. Il rumore del corpo di Sylvie che si spiaccica a terra mi è rimasto nelle orecchie e non riesco a scacciarlo».

«C’ero anch’io quella notte».

Toccò a me restare in silenzio.

«Ti prego, ascolta la svizzera e poi richiamami» suggerì il ciccione.

«Max, non sono lucido».

«Ti prego».

«D’accordo».

 

Mi ritrovai seduto al tavolino di un bar a sorseggiare un Canossian Sister e a riempirmi la bocca di arachidi. La signora non si decideva. Né a bere né a raccontare.

«La ascolto» dissi.

«Sto aspettando che abbia terminato di saziarsi di spagnolette».

Pensai che solo una come lei poteva usare quel termine. Passai il dorso della mano sulla bocca. «Mi scusi ma ho saltato la colazione».

«Si è svegliato tardi, vero? Perché ieri sera ha bevuto».

«Questi sono affari miei».

«Sono anche miei dato che sto per metterla al corrente di una faccenda alquanto delicata».

«La faccia finita. O si fida oppure alza il culo e se ne torna a Lugano».

«Non sia volgare» mi rampognò rimanendo al suo posto. E raccontò una storia decisamente fuori dal comune. Anche per un investigatore senza licenza come il sottoscritto.

 

Guido era in ritardo. Era la prima volta ma non riuscivo a non essere seccata. Glielo avrei fatto notare anche a costo di rovinare quell’incontro che avevo desiderato e pianificato con meticolosa attenzione. Non ho mai sopportato che il mio tempo venisse sprecato dagli altri. Soprattutto quello dedicato all’amore. Proibito. Il tempo degli amanti è rubato a vite costruite su altri affetti, passioni, consuetudini. Strutture complesse e allo stesso tempo così delicate che l’amore clandestino può distruggerle anche solo con l’annuncio della propria esistenza.

Io queste cose le conosco bene. Per questo ho ingabbiato il mio amore per Guido in una serie di norme di comportamento e sicurezza rigidissime. A prova di errore. Perché di amore vero si tratta e per questo merita di vivere a lungo nel segreto dei nostri cuori ma, allo stesso tempo, non possiamo permetterci di devastare le nostre vite ufficiali. Guido è fidanzato da sempre con Enrica e la ama profondamente. Non ha finto nemmeno per un attimo che io, l’amante, potessi essere lesclusiva destinataria di quel sentimento. Guido ci ama in modo completamente diverso ma per nulla al mondo lascerà Enrica.

Io, invece, mio marito non lo amo più da un pezzo, sono i rischi del matrimonio. Ugo è un uomo mediocre sul piano umano e un genio negli affari. Me ne sono accorta solo dopo la nascita di Ilaria, troppo tardi per tornare indietro e per rinunciare a unagiatissima e tranquilla vita in quel di Massagno, alle porte di Lugano.

Ilaria è cresciuta assomigliando sempre di più al padre ma ha avuto la delicatezza di fingere considerazione per i sentimenti altrui, soprattutto per quelli della madre. Il dovere e la decenza le impongono di non ignorarmi totalmente.

Non posso affermare di aver vissuto nellinfelicità. Sono nata e cresciuta in un ambiente dove le relazioni tra le persone non sono necessariamente regolate dai sentimenti. Limportante è mantenere unarmonia basata su una sana ipocrisia e su menzogne sapientemente dosate. Le assicuro che la qualità dellesistenza è comunque salva. Il denaro è una risorsa straordinaria per fare in modo che tutto sia sufficientemente gradevole. Non ho mai creduto alla fiaba della ricca fanciulla che abbandona la sua famiglia per vivere felice con un boscaiolo o con un operaio. In collegio ce la raccontavamo come la più bella delle barzellette e io era quella che rideva più forte di tutte.

Non è facile, mi creda, essere ricchi tenendo a bada i sentimenti. È necessaria una disciplina interiore frutto di un ferreo esercizio quotidiano perché a volte si è tentati di credere che il denaro sia abbastanza potente da permettere di agire al di fuori degli schemi e delle consuetudini. Un errore fatale che conduce a perdere tutto. Il capitale, sintende.

Ero certa di essere al riparo da ogni tentazione fino a quando non ho incontrato Guido. Ero salita su un treno a Bologna e lui occupava il posto di fronte. Eravamo entrambi diretti a Venezia. Io avevo un appuntamento con un gallerista che voleva propormi di acquistare alcuni ritratti degli anni Trenta. Guido invece doveva recarsi alluniversità per una conferenza. È un ricercatore, si occupa di letteratura. Avevo tirato fuori dalla borsa un romanzo e lui, allimprovviso, me lo tolse dalle mani con delicatezza, chiedendomi scusa e affrettandosi a chiarire che non voleva importunarmi ma che si sentiva in dovere di spiegarmi i motivi per cui avrei dovuto abbandonare immediatamente la lettura di quel libro.

Allinizio ero quasi indispettita dalla sua intrusione ma non avevo mai conosciuto un uomo come lui e ne rimasi subito affascinata. Un intellettuale raffinato, di una gentilezza ottocentesca, simpatico, ironico. Buono. Innocuo. E gli uomini lo sono raramente.

Fu un viaggio piacevole. Godetti della sua presenza come un dono, una boccata daria fresca. E non pensai a nullaltro, non oltrepassai il confine delle fantasie. Non solo perché non era mia abitudine ma soprattutto perché era più giovane di me. Di dieci anni, scoprii poi. Guido è nato nel 75. E io ero certa che solo per gli uomini fosse naturale dedicarsi a donne più giovani senza provare vergogna. Mi sono sempre scelta gli amanti tra i coetanei e disprezzavo le femmine che si accoppiavano con maschi delletà dei loro figli o appena più grandi.

Scoprii che Guido si intendeva anche di pittura. Mi diede dei consigli sugli artisti di cui gli avevo parlato per spiegare il motivo della mia trasferta veneziana.

Ci salutammo alla stazione con una stretta di mano e un bel sorriso. Ma dopo dieci passi era già un ricordo.

Qualche ora più tardi mi capitò di rivederlo. Stavo chiacchierando con il gallerista quando lo vidi sbirciare attraverso una delle vetrine. Sorrise quando incrociò il mio sguardo. Mi sembrò carino invitarlo a entrare. Confessò subito di non essere capitato per caso. Era incuriosito dai dipinti e ne voleva vedere qualcuno. Il proprietario si presentò e fu in quel momento che udii per la prima volta il suo nome. Guido Di Lello. Si voltò verso di me con la mano tesa e si scusò di non averlo fatto prima in treno. «Oriana Pozzi Vitali» scandii, come imponeva limportanza della mia famiglia.

Di solito le persone associano immediatamente il doppio cognome alle aziende di mio marito. Lui no. Il suo mondo non aveva nulla in comune con il mio.

Ero turbata. Non mi sarei mai aspettata che mi venisse a cercare. Guido trovò subito unintesa con il venditore, lodando la scelta dei quadri che mi voleva vendere.

Io avrei voluto chiudere la trattativa quella sera stessa ma la sua presenza me lo impediva. Cercai con tatto di fargli capire che avrei preferito che lui se ne andasse. Mai parlare di denaro di fronte agli estranei. Oltre a essere di cattivo gusto, mi avrebbe obbligata a mostrare un lato della mia personalità che preferivo celare perché il denaro va speso, non buttato. Investire nellarte significa pagarla il meno possibile, soprattutto nei periodi di crisi. Il venditore sapeva che gli avrei dato filo da torcere e quando capì che lo sconosciuto non si sarebbe levato di torno mi tolse da ogni imbarazzo proponendo di risentirci al telefono il giorno seguente.

Guido, che in quel momento per me era ancora il professor Di Lello, mi chiese se ero diretta alla stazione o se mi sarei fermata per la notte perché in quel caso gli avrebbe fatto enormemente piacere invitarmi a cena.

Gli risposi che non eravamo così intimi perché lui avesse lardire di rivolgermi quelle domande. Si dichiarò daccordo. Borbottò un saluto imbarazzato e fece per allontanarsi ma dopo due passi tornò indietro per scusarsi. Non ho mai conosciuto una persona così abile nellinfilare tra una giustificazione e una discolpa discorsi di altra natura. Saccheggiò a man bassa la letteratura, dimostrandomi a forza di citazioni che non vi era nulla di male in quella sua insistenza nel volermi conoscere. Anticipando ogni mia possibile obiezione, prima tra tutte quella relativa al mio interesse o disinteresse nei suoi confronti.

Cinque minuti. Non uno di più. E capitolai. Mi faceva piacere che un trentacinquenne, anziché correre dietro alle studentesse promettendo voti alti sul libretto, mi corteggiasse. Ma provavo anche disagio perché per la prima volta mi relazionavo con un uomo che non aveva nessuna dimestichezza con quegli aspetti materiali su cui avevo imparato a misurare lesistenza.

Insistette per un ristorante che gli avevano consigliato alcuni colleghi. Frequentavo abbastanza Venezia per sapere che non era un granché. Lo chef era un cuoco dosteria che dopo la ristrutturazione del locale aveva preso a indossare un’impeccabile divisa e la lista dei vini era francamente di basso livello. Ritenni che farlo notare sarebbe stata una mancanza di tatto e mi dichiarai entusiasta.

Guido aveva capito che sono una donna legata alle tradizioni, alletichetta, a quella formalità che non è altro che unarmatura che ti protegge dagli altri. Mi obbligò alla resa facendomi divertire. Battute, aneddoti, storielle. Ovviamente raffinate, mai volgari. Dalla bocca di Guido non ho mai sentito uscire una parolaccia, nemmeno una di quelle che ora sono considerate di uso comune.

Quando mi resi conto di desiderarlo, la correttezza e la ragione mi imposero di fargli notare che ero più vecchia di lui. Si trattò di una parentesi antipatica che dissolse in un attimo il clima divertente della serata.

Guido mi prese la mano e mi confidò con disarmante sincerità che rappresentavo leccellenza delle sue fantasie. Ero perfetta.

Mi alzai di scatto e mi precipitai alla toilette. E non per limbarazzo, ma per leccitazione che quelle parole avevano scatenato nella mia mente. E nel mio corpo.

Tornata al tavolo recitai senza ritegno la parte della signora con la testa sulle spalle, mettendo in evidenza che ci eravamo appena conosciuti, sperando con tutte le mie forze che lui trovasse risposte adeguate per non lasciarmi una sola via di scampo.

Gli fu sufficiente citare un paio di romanzi. In quel momento ragionai che anche volendo, e la volontà era del tutto evidente, non avremmo potuto trascorrere la notte insieme perché non potevamo certo registrarci insieme in un hotel. Tantomeno nel mio, dove ero conosciuta.

Guido propose il suo, che era poco più di una pensione. La notte non vi era servizio di portineria e quindi i clienti venivano muniti della chiave d’ingresso.

Ebbi un momento di esitazione. Non ero così certa che mi sarebbe piaciuto andare a letto con un uomo in una topaia. Il sesso, al di là di quello che si crede, non può essere praticato ovunque. Però in quel momento non riuscii a trovare il modo per introdurre largomento e con il passo felpato di due furfanti ci introducemmo in una stanza di uno squallore indicibile ma fortunatamente molto pulita.

Guido fu delicato, attento. Mi ritrovai nuda tra le sue braccia, sembrava che lui mi conoscesse da sempre. Sapeva come, dove…

Fuggii alle cinque del mattino, lui dormiva profondamente. Non volevo essere scoperta e trattata come una clandestina. Tornai al mio hotel e m’infilai sotto le lenzuola. Felicemente sottosopra. Guido telefonò alle nove. Credetti di svenire quando la reception mi avvisò che un certo Di Lello mi cercava al telefono. Lo trattai duramente e gli diedi appuntamento in un bar.

Gli dissi chiaro e tondo che se avesse voluto rivedermi avrebbe dovuto adeguarsi alla segretezza. Mentre elencavo le norme basilari sul suo volto lo stupore assumeva la forma di una smorfia che lo imbruttiva.

Sbocconcellò un croissant e bevve il suo cappuccino in assoluto silenzio.

Alla fine disse che comprendeva le mie esigenze di sicurezza ma a lui in quel momento premeva parlare di noi. Unesigenza insopprimibile dettata dalla bellezza della notte trascorsa. Decantò il mio corpo e mille altre cose, ognuna delle quali lasciò tracce indelebili nellintimo del mio cuore.

Mio marito e i pochi amanti che mi ero concessa negli anni sembravano dei primati al suo confronto. Quella mattina, in quel bar, mi innamorai. Amore. Amore vero.

Nel giro di un paio di mesi organizzai la nostra vita parallela di amanti clandestini. Scelsi il Veneto perché entrambi avevamo interessi a Venezia e i nostri viaggi erano ampiamente giustificati. Però non potevamo frequentarci in quella città perché il rischio di essere notati insieme era troppo grande e, con un meccanismo piuttosto complicato, comprai un appartamento nel centro di Padova.

Un anno, sei mesi e undici giorni di felicità. Fino al giorno in cui Guido non si fece vedere. Era la prima volta. Il cellulare con gestore svizzero che gli avevo fornito per comunicare con me risultava spento.

Delusa, ferita e terribilmente seccata decisi di andarmene ma mentre attendevo il treno squillò il telefonino. Riconobbi il numero. Era Guido.

La voce però apparteneva a uno sconosciuto che m’informava che il mio amante era nelle loro mani e se non avessi “sganciato” trecentomila euro entro una settimana lo avrebbero ucciso.

Mi passò Guido che piangendo mi scongiurò di pagare.

La situazione era troppo assurda per essere vera. Non poteva che trattarsi di uno scherzo di pessimo gusto e riattaccai.

Lo sconosciuto richiamò subito. Mi disse che era consapevole che non potevo disporre della cifra in contanti, altrimenti mio marito se ne sarebbe accorto. Si sarebbe accontentato di una parte dei miei gioielli. Li descrisse e capii che doveva averli visti nelle foto pubblicate su giornali e riviste. Linaugurazione di un centro commerciale, qualche matrimonio, vernissage, le solite occasioni mondane dove si mettono in mostra.

Obiettai che Ugo se ne sarebbe accorto comunque. Luomo ribatté che avrei avuto il tempo di inventarmi una scusa adeguata e soprattutto avrei riavuto Guido. Mi intimò di tenere il telefono acceso, avrebbe richiamato entro un paio di giorni per i dettagli dello scambio.

Presi posto in carrozza come un automa. Mi si era talmente gelato il sangue nelle vene che riuscivo a malapena a muovere braccia e gambe. Quando scesi a Milano avevo già preso una decisione irrevocabile. Spensi il cellulare. E usai tre differenti cestini per disfarmi dei pezzi.

Quella vicenda non mi riguardava più. Guido doveva aver commesso degli errori nellosservare le regole che avevo imposto. E chi è causa del suo mal…

Pensi di conoscere le persone ma non ti puoi fidare fino in fondo. Magari il mio amante aveva dei debiti e si era messo daccordo con qualcuno per derubarmi.

Comunque vi è una ragione che escludeva ogni mio possibile coinvolgimento. Ed era mio marito. Ugo, se fosse venuto a conoscenza della faccenda, mi avrebbe cacciata di casa, avrei perso tutto, figlia compresa.

Rivolgersi alla polizia avrebbe provocato linteressamento dei media. Sarei finita sui giornali e la nostra bellissima storia damore si sarebbe trasformata nella più squallida storia di sesso e tradimento. Anche la mia famiglia mi avrebbe ripudiata e sarei stata costretta ad abbandonare la Svizzera.

No. Non aveva senso rovinarsi per salvare Guido. Sempre che si trattasse di un vero e proprio sequestro di persona.

Tornai a Massagno e attesi, allo scadere dellultimatum, che Guido riapparisse cadavere in qualche fosso. Ma più di ogni altra cosa temevo che i criminali si vendicassero mettendo in piazza la mia tresca amorosa. Invece non accadde nulla.

Il professor Di Lello risultava ufficialmente scomparso. I giornali italiani se ne occuparono a lungo e ancora oggi, a più di un anno di distanza, ogni tanto quella trasmissione della Rai ripropone il suo caso. Enrica, la fidanzata, non si dà pace. E nemmeno la famiglia e i colleghi duniversità. Non capiscono per quale motivo abbia deciso di abbandonare affetti e professione. Le indagini della polizia non hanno prodotto alcun risultato. Hanno solo accertato, tramite le registrazioni delle telecamere, che è partito in treno da Roma ed è sceso a Padova.

Aveva raccontato a Enrica che doveva recarsi a Venezia per incontrare alcuni studenti ma non esiste traccia di questo appuntamento. E allora la domanda che la tormenta è: perché Padova? Doveva incontrare qualcuno?

Lunica che conosce la verità sono io. Guido è stato sequestrato da uno o più criminali che volevano estorcermi trecentomila euro in gioielli. Non potevo che proteggermi e rimanere in silenzio. Ho vissuto i primi mesi nella paura. Poi quando ho capito di essere al sicuro non sono più riuscita ad arginare il desiderio di conoscere la verità. Io devo sapere cos’è successo a Guido. Se è ancora vivo. Voglio conoscere i nomi dei criminali che hanno fatto irruzione nella mia vita. Non provo nessun senso di colpa ma lansia mi sta consumando e ho iniziato a infliggermi punizioni, esibendo una debolezza che non ho mai avuto, permettendo agli altri, in particolare a Ugo, di approfittarsi di me.

Non posso più vivere in questo modo, capisce? Lei deve aiutarmi, signor Buratti. La pagherò bene. Benissimo. La prima vera lezione di questa vicenda è che non ci si può affidare completamente alla ricchezza della famiglia, la vita è piena di sorprese e un patrimonio personale, ignoto a tutti, è prezioso, fondamentale. E ora lo posseggo.

Spero di essere stata chiara. Se potessi ricorrerei alle minacce per costringerla a condurre questa indagine. Lei non mi piace, sospetto sia un criminale della stessa schiatta di quelli che hanno tentato di ricattarmi, ma di Giannella mi fido ciecamente.

Quanto vuole come anticipo? Immagino che chiederle un preventivo sia estraneo alla sua etica professionale, comunque la cassaforte dellhotel custodisce il contante necessario per soddisfare le sue più rosee aspettative.

 

«Il suo Guido è morto. È inutile che continui a parlare di lui al presente» fu la prima cosa che mi venne da dire.

La svizzera mi fissò con odio. «Come fa a esserne sicuro?».

«Lo sa benissimo anche lei. O pensa che la banda che lo ha rapito lo abbia adottato?».

«Non è necessario essere così sgradevole».

«Signora, lei ha bisogno d’aiuto» dissi. «Non durerà a lungo in queste condizioni, crollerà e nessuno potrà salvarla».

«Lei pensi a fare il suo lavoro».

«D’accordo, accetto il caso ma solo a condizione che lei si curi. Si prenda una vacanza, entri in una bella clinica per ricconi e si rimetta in piedi».

«Sta tentando di ricattarmi anche lei, signor Buratti?».

Sbuffai. «Chiami Giannella e me la passi».

«Non è in grado di essere più educato e gentile?».

Scossi la testa. «No, Oriana. Si abitui all’idea».

Prese il cellulare, parlottò con la sua ex compagna di scuola e finalmente riuscii a sentire la sua voce.

«Ciao avvocato».

«Hai sentito che storia, eh?».

«Ripeto a te quello che ho appena detto alla signora: indagherò solo a condizione che uno strizzacervelli si assuma la responsabilità di farla sparire dalla circolazione per un po’. E tu dovrai garantire che questo accada in tempi brevissimi, domani stesso la carico sul primo aereo e come arriva a Lugano inizia a curarsi».

«Vedrò cosa posso fare».

«No, devi darmi la tua parola adesso» ribattei duro. «Non ti sei resa conto che ha subìto un trauma così forte che nemmeno la sua corazza di ricca borghese d’altri tempi riesce più a controllare? Ci sono crepe nella sua mente e nel suo cuore, è una bomba pronta a esplodere e rischiamo di andare tutti a fondo con lei».

«D’accordo. Ora le parlo».

Il cellulare passò di mano ancora una volta. Attirai l’attenzione della cameriera per un altro aperitivo. E un’altra coppa di arachidi. Quel giorno ne avrei mangiato un secchio.

Dopo una ventina di minuti tornò a sedersi. Aveva le spalle curve. «Non sono pazza, signor Buratti».

«Certo che no. Ha solo bisogno di sottoporsi a un tagliando».

«C’è astio nel tono della sua voce. Mi giudica per come mi sono comportata con Guido?».

«Ho le mie opinioni in merito» risposi. «Ma lei è una cliente e le terrò per me. Come vede fingo addirittura di non offendermi per i suoi insulti».

«E allora perché ha accettato?».

«Perché due persone che si amano in segreto vanno lasciate in pace. Un uomo invece è stato sequestrato e ucciso e la sua donna ricattata. Nel mio mondo questi crimini non sono ammessi, ma questo lei non può capirlo».

«No» ammise. «E sinceramente il suo ambiente non mi interessa. Mi fa solo paura».

Pensai che mai avevo avuto a che fare con una stronza simile. Passai ai dettagli pratici. «L’appartamento di Padova è ancora di sua proprietà?».

«Diciamo che è nelle mie disponibilità».

«Bene, ora è nelle mie. E credo che cinquantamila euro vadano bene come anticipo».

«Sinceramente pensavo a una cifra inferiore».

«E sbagliava. Altri centocinquantamila se risolvo il caso. Spese escluse, ovviamente».

Si alzò. «Sono stanca, vado a riposare. Stasera a cena le darò il denaro e le chiavi, le porto sempre con me, casomai Guido tornasse e volesse rivedermi».

 

Pagai il conto e mi incamminai verso l’hotel. Alla svizzera avevo raccontato una mezza verità. Il vero motivo che mi spingeva a dare la caccia alla banda dei sequestratori era che mi avrebbe allontanato per chissà quanto tempo dai miei problemi. E questo valeva anche per Max. Investigare significava imboccare un tunnel dove il buio impediva di guardarsi attorno. Scoprire la verità su faccende che non mi riguardavano era un toccasana per il crollo emotivo in cui ero precipitato dopo il suicidio di Sylvie. In realtà era sempre stato così. Dal primo caso di cui mi ero occupato dopo essere uscito di galera. Il problema era che stavo accumulando storie con cui dovevo fare i conti e un giorno o l’altro il passato avrebbe preteso che quei conti venissero saldati. Ma non oggi e nemmeno domani. Prima dovevo risolvere il mistero della scomparsa del professor Di Lello.

Telefonai al ciccione. «Abbiamo una cliente» esordii.

«Di nuovo soci» disse pronto, senza nascondere il sollievo. «Routine o rogna?».

«Rogna gigantesca. Brutta e fetente».

«In che casino si è infilata la signora?».

«Non lo puoi nemmeno immaginare. Te lo racconterò appena arrivo, domani o al massimo dopodomani».

«Marco…».

«Sì?».

«Grazie».

«E di cosa? Prima di chiamarti stavo pensando che avevamo bisogno di qualcosa che ci distogliesse dai nostri incubi. E la fortuna ci ha assistiti. Tutto qui».

Mi fermai in un bazar gestito da cinesi per comprare una penna e un bloc-notes. Mentre pagavo strappai la copertina. Raffigurava un panda dal muso così triste da evocare chissà quali maltrattamenti.

Non era mia abitudine prendere appunti, ricordava troppo i detective delle serie televisive, ma Oriana non sarebbe stata disponibile nell’immediato futuro e dovevo essere certo di conoscere tutti i particolari.

Disteso sul letto iniziai a scrivere le domande più importanti ma all’undicesima mi appisolai.

Mi svegliò lo squillo del telefono in camera. La megera mi avvisò che la signora Pozzi Vitali mi attendeva alle ore venti in punto al ristorante Lo Zodiaco in via Sassari.

«Si è raccomandata: puntualità!» sottolineò prima di sbattere la cornetta sul telefono.

 

Arrivai con venti minuti di ritardo. Non lo avevo fatto apposta. Mi ero attardato sotto la doccia. La signora rigirava tra le mani un bicchiere di vino bianco con aria assorta. Sedendomi notai che era sudata, aveva i capelli appiccicati sulle tempie.

«Serata calda, vero?» dissi. «Per fortuna qui nel giardino circola un po’ d’aria».

«Quantomeno non piove» ribatté in tono piatto. «Quest’estate è piovuto sempre a Lugano e lago e pioggia sono una pessima accoppiata».

«In effetti è un po’ triste. Con il sole è tutta un’altra cosa».

«Già. Possiamo ritenere chiusa la parentesi delle banalità e passare a qualcosa di più serio?».

«Magari prima potremmo ordinare, che dice?».

«Ha un discreto appetito per essere un alcolista».

«Sono arrivato al limite diverse volte ma sono sempre riuscito a fermarmi giusto in tempo» spiegai accondiscendente. «Quando sono innamorato bevo meno. In questo momento non sono sentimentalmente coinvolto e alzo un po’ di più il gomito ma senza esagerare».

«Non riesco a immaginare che tipo di donna si possa accompagnare con un tipo come lei». Indicò con un gesto della mano gli altri tavoli. «Vede qualche esempio che mi possa illuminare?».

«Non c’entra l’aspetto. La discriminante è che non sia stronza, arrogante, e che non abbia la puzza sotto il naso, tanto per cominciare».

Mi rivolse un sorriso ambiguo. Si stava divertendo.

«Consideriamo chiusa anche la parentesi degli insulti?» domandai.

Mi ignorò. «Qui si mangia davvero bene» disse aprendo il menu. «Sia pesce che carne».

Ordinai sia l’uno che l’altro. Un piatto di spaghetti ai frutti di mare e un filetto alto due dita.

Oriana era irritante anche quando mangiava. L’accuratezza e la perfezione dei movimenti con cui spinava l’orata alla vernaccia mi istigavano al litigio.

Mi costrinsi a restare concentrato sui particolari che mi potevano essere utili per l’inchiesta. Le chiesi come funzionavano le comunicazioni con il suo Guido, che luoghi frequentavano assieme, bar, ristoranti, teatri.

Dopo mezz’ora esatta di interrogatorio mi arresi all’evidenza che la loro relazione fosse troppo segreta perché qualcuno potesse averla scoperta. Si basava su regole precise, le stesse che avrebbero potuto adottare un latitante o i membri di un gruppo clandestino. La signora aveva preteso che nessuno mai potesse essere sfiorato dal benché minimo sospetto e che, nella malaugurata ipotesi che ciò accadesse, non vi fosse nessuna prova a supportarlo. Eppure era accaduto il peggio. La coppia clandestina era stata adocchiata e colpita da una banda di criminali.

«Evidentemente qualcuno l’ha riconosciuta» dissi. «Questa mattina mi ha raccontato che alcune sue fotografie sono state pubblicate da riviste e quotidiani».

«Del Canton Ticino. In Italia sono una sconosciuta».

«Ha usato la carta di credito per pagare i conti?».

Mi trafisse con un’occhiata di commiserazione. «Contanti. Solo ed esclusivamente contanti».

«Allora il professore ne ha parlato con qualcuno» ipotizzai per esclusione. «Si è confidato o vantato con un amico, sa come sono i maschi, e quel gesto ha messo in moto il meccanismo che ha portato al sequestro».

«È quello che ho pensato subito anch’io. Ma Guido non è il tipo».

«Era» la corressi interrompendola. «Si metta l’anima in pace».

«Non ci riesco» ammise con uno sguardo velato di lacrime che mi preoccupò.

«Mi scusi, continui, la prego» cercai di rimediare, riempiendole il bicchiere.

«Sì, lui ha molti amici. È anche un musicista, suona la chitarra, ma aveva capito che dovevamo avere due vite parallele per continuare questa relazione. Noi ci amiamo moltissimo. Sono io la sua vera donna, questo almeno lo ha capito, vero?».

Mentre la signora Pozzi Vitali vagava pericolosamente ai confini della follia, io cercavo di difendermi dallo sconforto. Non avevo nulla di utile in mano per iniziare un’indagine seria. E poi era trascorso troppo tempo. I ricordi si affievoliscono, le bande si sciolgono, i criminali si spostano, e oggigiorno cancellano con maggiore attenzione le proprie tracce.

Fui tentato di dirglielo ma sarebbe stata una crudeltà inutile.

Prese dalla borsa la busta con il denaro e le chiavi dell’appartamento di Padova.

«Anche Guido ne possedeva un paio?» domandai senza un motivo preciso.

«No, non avrebbe saputo come giustificarle ed Enrica è sempre stata piuttosto curiosa, sa, una di quelle donne che controllano tasche e cellulari. Non perché non si fidino del proprio uomo ma piuttosto per metodo, convinte che nella vita di coppia le sbandate vadano stroncate sul nascere».

«Lei invece non la pensa così, vero?».

«Solo una borghesuccia di basso livello si può umiliare in questo modo» replicò stizzita. «Io ho sempre dato per scontato che Ugo mi tradisse, e dopo alcuni anni di matrimonio la cosa mi ha dato notevole sollievo visto che mi evitava il consueto rapporto settimanale».

Attirò l’attenzione di un cameriere. «Gradirei della crème caramel. E lei, signor Buratti?».