CAPITOLO UNDICESIMO
Chi era?» chiese Beniamino quando terminai di parlare al telefono.
«Campagna».
Non riuscì a nascondere una smorfia di disappunto. «Novità?».
«Togno è scomparso» risposi. «Ma lo sbirro mi ha raccontato una cosa interessante e cioè che la moglie, tale Maria José Pagliaro, è un’ex prostituta d’alto bordo. L’ha interrogata e ha fatto scena muta ma il suo istinto gli dice che sa molto di più».
«E vuole che tu vada a fare la sua conoscenza».
«Esatto. Mi ha fornito l’indirizzo».
Beniamino, seduto sull’elegante divano della casa degli amanti, si accese una sigaretta con movimenti lenti. Chiuse gli occhi quando aspirò la prima boccata di fumo. «Vi siete infilati in una partita pericolosa» disse. «Gli sbirri giocano a modo loro, ed è sempre diverso dal nostro. Queste alleanze sono perdenti».
Non ero d’accordo. «Senza di lui avremmo scoperto ben poco».
«La colpa è mia, Marco. Solo mia» sbottò all’improvviso.
«Non è vero».
Si alzò di scatto, mi afferrò una mano e la strinse forte.
«Dovevo essere qui con voi, con i miei amici più cari, e invece vi ho abbandonati, non riuscivo nemmeno a trovare la forza per prendere il telefono e sentire la vostra voce».
«Perché?».
«Perché eravate presenti quando Sylvie si è gettata dalla finestra» rispose con un tono così basso che facevo fatica a sentirlo. «Ogni volta che rivivo quella scena ci siete voi, pensavo che avervi vicino mi avrebbe fatto impazzire».
«Allora hai fatto bene a tenerci lontano» ribattei con grande sincerità. «Il suicidio di Sylvie è una ferita che non si rimarginerà mai. Il rumore del suo corpo sull’asfalto mi tortura, mi provoca un dolore quasi fisico».
«Pensare che tutta questa sofferenza riguardasse solo me è stato un errore» confessò. «Ho cercato di combattere la disperazione buttandomi in una rapina dietro l’altra, con il desiderio di trovarmi nel bel mezzo di un conflitto a fuoco. Solo il dovere di proteggere Luc e Christine mi ha impedito di imboccare strade senza ritorno».
«E ora?» domandai temendo la risposta.
«Sono tornato per sistemare le cose e per rimanere. Per sempre» sussurrò. «Quando ho saputo che Max era stato ferito ho ritrovato di colpo la lucidità, mi sono risvegliato sul ciglio di un baratro un attimo prima di cadere. Il ciccione mi ha salvato la vita».
«Anche a me. Mi ha protetto col suo corpo».
«Non accadrà più. Ve lo giuro».
Lo abbracciai per impedirmi di piangere. Lui mi strinse forte. Poi andò in cucina. Lo sentii armeggiare con la macchinetta del caffè.
Andai in bagno a sciacquarmi la faccia. Ora che c’era Rossini ero più tranquillo. Le condizioni di Max miglioravano e adesso ad assisterlo c’era Christine, che fingeva di essere la gentile e simpatica fidanzata francese del ciccione. Nessuno avrebbe mai immaginato che nella borsa teneva una pistola di grosso calibro e che l’avrebbe usata senza la minima esitazione per difendere Max, casomai il mancato killer avesse avuto la malaugurata idea di tornare a finire il lavoro.
La marsigliese era apparsa all’improvviso nel reparto chirurgia e aveva recitato la sua parte in modo credibile. In quel momento mi trovavo nella sala d’attesa mescolato ai parenti degli altri malati. Christine non mi aveva degnato di uno sguardo e mi ero stupito di non vedere Beniamino. Lo trovai qualche minuto più tardi in un lungo corridoio mentre infilava monete in un distributore di bevande calde.
«Ho bisogno di un caffè» fu il suo modo di salutarmi. «Ho guidato tutta la notte. Ero in Bretagna quando la nostra amica mi ha telefonato. Sono passato a prenderla ed eccoci qui».
«Ciao Beniamino».
Mi aveva guardato con occhi stanchi e lucidi. «Ciao Marco».
«Siamo nei guai» avevo detto. «Abbiamo bisogno di aiuto».
«Chi deve pagare pagherà».
Lo avevo messo al corrente dei dettagli mentre l’accompagnavo all’appartamento che ci aveva messo a disposizione la signora Oriana Pozzi Vitali. Il vecchio bandito aveva ascoltato in silenzio.
«Conosco bene i personaggi come Pellegrini» aveva commentato in tono piatto. «Devono circondarsi di vittime per provare quella perenne sensazione di potere che li tiene in vita. Sono predatori molto organizzati, astuti, intelligenti».
Avevo capito il senso di quel discorso, ma Max e io avevamo preso un impegno con la nostra cliente.
«Dobbiamo scoprire la verità» avevo sottolineato. «Non possiamo lasciare quella poveretta a macerarsi per tutta la vita».
Si era alzato e mi era venuto incontro. «Sono d’accordo. Tutta questa vicenda è intrisa di una tale crudeltà che prima di fare giustizia, di pareggiare i conti, bisogna pensare alle vittime. Ma non parlo solo della svizzera o dei parenti del professore. Pellegrini si nutre quotidianamente delle sofferenze di Gemma e Martina».
«Ne sei certo?».
«Sì. Come ti ho detto, ho avuto modo di frequentarne diversi. Sono tutti uguali, madre natura li ha fatti con lo stampino e l’unico modo per fermarli è spedirli sotto terra».
«Temo non sarà l’unico a dover fare quella fine».
«Bisognerà muoversi con estrema attenzione» aveva concluso Rossini. «Ma nessuno resterà impunito».
La mattina seguente suonammo il campanello del civico 34 di vico dell’Angelo dove risiedevano i coniugi Togno. Ci rendemmo subito conto che qualcuno ci stava osservando dallo spioncino e per convincerlo ad aprirci usammo il metodo “Ma non vedi che siamo sbirri?” che consiste nel bussare come forsennati lanciando insulti a destra e a manca.
Funzionò. La porta si spalancò e ci trovammo di fronte una donna sui trentacinque anni, spaventata e arrabbiata. Mora, slanciata. Un bel volto dai lineamenti morbidi. In circostanze diverse l’avrei corteggiata.
«Ma che modi sono questi?» chiese facendosi da parte per permetterci di entrare.
«È già venuto un vostro collega ieri» ci informò riferendosi a Campagna. «E devo dire che si è comportato come un vero cafone».
«L’ispettore è un tipo un po’ particolare» commentai. «Ma le assicuro che noi siamo molto diversi».
Beniamino si rifiutò di reggermi il gioco. «Anche perché non siamo della stessa parrocchia» specificò in tono tagliente. «Gli sbirri non ci sono mai piaciuti».
La donna sbiancò e si accasciò su una poltrona grigio topo che stonava con il resto dell’arredamento.
«Ditegli che non ce n’è bisogno» balbettò terrorizzata. «So come comportarmi. Al poliziotto non ho detto nulla perché non so nulla. Federico mi ha telefonato dicendomi che sarebbe stato lontano da casa per qualche giorno e di non preoccuparmi. Capisco che sta succedendo qualcosa ma credetemi: non ce n’è bisogno».
«Di cosa non c’è bisogno, signora?» domandai.
«E smettila di chiamarmi signora» urlò esasperata. «Lo so cosa volete farmi ma vi ho detto che non ce n’è bisogno. E lui sa che mi sono sempre comportata bene. Non capisco perché vi ha mandati».
«Chi, signora?» insistetti.
«Vi volete proprio divertire, eh?» sbottò. Cercava disperatamente una via d’uscita. «Fatemi parlare con lui, vi prego».
Rossini prese una sedia e la piazzò di fronte a lei. La donna si fece ancora più piccola temendo di essere aggredita. «Noi la chiamiamo signora perché la consideriamo tale. Quello che ha fatto per vivere non ci interessa» iniziò a spiegarle con calma guardandola negli occhi. «Noi non siamo poliziotti ma non siamo nemmeno al servizio di Pellegrini. Siamo venuti solo a farle delle domande. Magari possiamo esserci utili a vicenda».
«E che volete allora?».
Toccò a me rispondere. «Giorgio Pellegrini. Vogliamo lui e i suoi complici».
Era delusa e sghignazzò in modo osceno perché fosse chiaro. «Andate via» ci intimò indicando l’uscita. «Voi non conoscete Giorgio, lui è intoccabile e sapete perché? Perché è l’uomo più feroce sulla faccia della terra. Se osate mettervi di traverso lui vi farà a pezzi e poi toccherà a me».
Così non avremmo risolto nulla. Era terrorizzata da Pellegrini. Tentai un’altra strada. «Lei ha una buona proprietà di linguaggio, ha studiato vero?».
«Liceo classico, diplomata a pieni voti. Poi però, invece di andare all’università come voleva mio padre, sono venuta al Nord e mi sono infilata in un brutto giro» spiegò. «Ma non sarete venuti fino a qui per ascoltare la triste storia di Maria José Pagliaro, giovane ragazza siciliana di belle speranze finita nel peggiore dei modi?».
«Ci interessa tutto quello che vorrà dirci» risposi. «Ma prima vorrei raccontarle la storia di due amanti. Lei si chiama Oriana e lui si chiamava Guido».
Le mostrai la fotografia del professore. «Insegnava all’università. Le interessa?».
Annuì distendendo le gambe. Si stava rilassando. Ottimo segno. Iniziai a parlare omettendo i particolari che andavano taciuti per proteggere protagonisti e indagini. Impiegai una decina di minuti perché il suo interesse mi sembrava sincero e aggiunsi la parte che riguardava il marito, La Nena, il suo proprietario e il ferimento di Max.
«Non è stato Federico a sparare» chiarì subito. «A quell’ora ci trovavamo in un altro locale per ritirare dei soldi per conto di Giorgio. Una serata orribile».
Notò subito il disappunto sui nostri volti. «Dovete cercare altrove, mi spiace».
Indicò un vassoio con bottiglie e bicchieri. «Anche se sono solo le undici del mattino è lecito per una signora farsi un goccetto, vero?».
Mi precipitai a versarle un po’ di cognac nel bicchiere giusto. Bevve un paio di sorsi osservandoci. «Forse non ne avevate l’intenzione ma mi avete costretta a stare dalla vostra parte».
«Non capisco» intervenne Beniamino sorpreso.
«Se mio marito scoprisse che siete stati qui, Giorgio lo verrebbe a sapere dopo un attimo e mi costringerebbe a raccontare ogni singola parola. Alla fine mi getterebbe in un cassonetto».
«Anche se non ha fatto nulla di male?» domandai.
«È il suo metodo» rispose fredda come il marmo. «Non sapete davvero nulla di lui».
«Sappiamo solo che dobbiamo liberare l’umanità dalla sua presenza» replicò Rossini.
«Non è abbastanza. Ora ve la racconto io una storia: eravamo sette ragazze. Sei straniere e io, l’unica italiana, perché c’erano clienti che volevano solo figa nazionale certificata. Vivevamo tutte insieme in una bella villetta in periferia. Eravamo gestite da una tale Nicoletta che rispondeva solo ed esclusivamente a Pellegrini. Un giorno qualcosa è andato storto e lui ha dovuto dare una ripulita ai suoi affari. Le straniere sono scomparse. Dopo una settimana anche Nicoletta».
Beniamino e io ci scambiammo un’occhiata. Maria José confermava le voci sul coinvolgimento di Pellegrini nella compravendita di prostitute con la mafia maltese.
«Io vivevo nel terrore» continuò la donna, «certa di fare una brutta fine. Mi sono buttata in ginocchio, gli ho detto che ero disposta a fare qualsiasi cosa e Giorgio si è dimostrato magnanimo. Mi ha dato in sposa a Federico Togno, obbligandomi a tenerlo d’occhio, a riferire quello che diceva e a spingerlo a fare quello che lui voleva. Mi ha trasformata in una schiava che non può mai dire di no. Voi non avete idea di cosa significhi soddisfare ogni desiderio di un omuncolo come mio marito.
«Capite perché non ho intenzione di affrontarlo dopo che sarete usciti da quella porta? Cosa avete da offrirmi? Prima che mi rispondiate vi avverto: piuttosto che continuare a fare la puttana mi ammazzo. Prima sono stata quella di Pellegrini, poi quella di Federico Togno. Ora basta».
«Una nuova vita» risposi.
«Una cifra adeguata per ricominciare» aggiunse Beniamino. «Un lavoro e un luogo sicuro. Lontano».
«Dove?».
«Un hotel sulla costa in Portogallo. Ho un amico che lo ha appena rilevato, so che gli farebbe comodo una persona di bella presenza che parla italiano».
«Faccio una vita di merda per un sacco di anni e proprio quando sto per rassegnarmi saltate fuori dal nulla e vi offrite di salvarmi» mormorò iniziando a tremare. «Non è che mi state riempiendo la testa di belle parole e poi mi fate fuori?».
Troppe emozioni per una tiepida mattina di fine settembre. Le sorrisi. «Si deve fidare, d’altronde lo ha detto lei stessa: non ha altra scelta».
«Cosa volete sapere?».
«Ora è tempo di preparare i bagagli» disse Rossini. «Parleremo comodamente a pranzo».
Maria José sapeva abbastanza per fornirci un quadro esaustivo delle attività criminali di Pellegrini. Lo aveva ricostruito attraverso le chiacchiere dei clienti, molti dei quali legati al giro di corruzione organizzato da Sante Brianese, e poi grazie alle confidenze del marito. Il suo capo lo manovrava dalla Nena come un burattino e lo aveva spinto fino all’omicidio.
Eravamo ancora lontani dal risolvere il caso del professor Di Lello ma avevamo imboccato la strada giusta.
Mentre Maria José riposava nella stanza di Christine, che nel frattempo si trovava in ospedale ad assistere Max, Rossini organizzò la sua fuga. Un vecchio contrabbandiere di Punta Sabbioni che godeva della sua fiducia sarebbe venuto a prelevarla l’indomani mattina all’alba. Un veloce motoscafo sarebbe poi salpato per le coste croate dove un altro contrabbandiere l’avrebbe condotta all’aeroporto di Zagabria. Sarebbe stato difficile anche per gli sbirri ricostruire il percorso e soprattutto avrebbero impiegato un bel po’ di tempo a identificare la destinazione ultima. Tutto dipendeva dalla fine che avrebbe fatto il coniuge. In quel momento ero pronto a scommettere che il suo futuro di scagnozzo non era più così promettente.
La marsigliese rientrò poco dopo le sette di sera. Era stanca. Il tempo di una doccia e sarebbe ritornata al capezzale del ciccione. Beniamino però aveva altri progetti.
«Fatti bella che ti porto a cena fuori» annunciò. «Stasera ti sostituisce Marco».
Mi sembrava un ottimo diversivo fino a quando gli chiesi: «E dove andate di bello?».
«Alla Nena» rispose senza riuscire a trattenere un sorriso malandrino. «Ho prenotato per le 21.30».
«Sei sicuro che sia una buona idea?» domandai anche se conoscevo già la risposta.
«Certo» rispose piccato. «Ci presentiamo a casa sua per rendere esplicita la dichiarazione di guerra, dandogli la possibilità di scegliere come comportarsi. È un atto dovuto».
Fui tentato di ricordargli che quel modo di fare aveva prolungato oltre misura una faida che ci aveva distrutto l’esistenza ma mi trattenni, optando per un inutile appello alla ragionevolezza. «Giorgio Pellegrini fa parte di un’altra generazione, certe “delicatezze” nemmeno le capisce e soprattutto ne approfitterà. Gli stai regalando un inutile vantaggio».
Il vecchio bandito spalancò le braccia. «Anche se è un pezzo di merda non ho intenzione di rinunciare a comportarmi come si deve».
«Ma perché Christine, allora?» sbottai. «È più giusto che venga io».
Agitò l’indice. «No. Voglio che Pellegrini conosca una signora “pericolosa”, una in grado di spedirlo all’altro mondo senza il minimo problema, solo per il piacere di fare pulizia».
Mi arresi e andai a bermi un bicchierino di calvados. Questa almeno era l’intenzione, perché non riuscii a resistere e raddoppiai la dose.
Quando arrivai in ospedale seguii le istruzioni di Christine che aveva già “ammorbidito” il personale non solo con le mance ma anche con la sua innata simpatia e mi ritrovai seduto a fianco del letto di Max.
«Ti stai facendo crescere i baffi» notò subito. «Non ti stanno così male».
La voce era irriconoscibile tanto era affaticata e nel complesso aveva un aspetto di merda.
«Nemmeno tu stai così male» ribattei con un sorriso.
«Mi hanno detto di cambiare vita e nel frattempo mi hanno messo a dieta».
«L’ho saputo».
«Ma mi ci vedi a stare attento alle calorie?».
«La fantasia non mi manca».
«L’altro giorno ho aperto gli occhi e di fianco al letto c’era una bella donna che mi osservava» raccontò abbozzando un sorriso. «Era la psicologa. Mi ha detto che da solo non posso farcela».
Gli appoggiai una mano sul petto. Un gesto insolito. Lo faceva mio padre quando veniva a darmi la buonanotte. «Mi hai salvato la vita, Max».
«Non l’ho fatto apposta» si schermì.
Lo misi al corrente di quello che era successo dal momento in cui gli avevano sparato.
«Stiamo arrivando alla resa dei conti» commentò il mio socio.
«Questo è il desiderio di Beniamino, ma dovrà mettere mano alle pistole solo quando avremo un profilo completo della banda degli amanti» spiegai. «Non possiamo correre il rischio che qualcuno di quei bastardi la passi liscia per ricominciare l’attività da qualche altra parte».
«L’idea è di Pellegrini, non ci sono dubbi. Quel tizio è una fogna brulicante di progetti perversamente geniali».
Feci fatica a trovare parcheggio sotto casa e mi ritrovai a passare a piedi nel luogo dove ci avevano teso l’agguato. In quei giorni avevo evitato di passarci, così mi fermai a scrutare i particolari. Mi resi conto di essere ancora scosso. Eppure ne avevo passate di peggio.
Maria José stava guardando la televisione in salotto. Era vestita di tutto punto, i due trolley in cui aveva infilato ciò che non voleva abbandonare erano a portata di mano.
«Manca ancora qualche ora prima che vengano a prenderti» constatai mentre mi versavo da bere.
«Il tempo non passa mai questa notte» disse mostrando un sorriso nervoso.
«A chi lo dici» ribattei sedendomi al suo fianco.
Seguimmo in silenzio un episodio di una nota serie televisiva americana in cui i detective cercavano la verità attraverso le lenti di un microscopio o nel colore dei reagenti chimici. Beati loro.
Spesso, con la coda dell’occhio, osservavo la nostra ospite. Sul volto erano evidenti i segni della stanchezza e della tensione. Abbandonava l’orrore a cui l’avevano costretta uomini spregevoli con un salto nel buio.