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Eve tirò un sospiro di sollievo mentre guardava Rusty e Donovan che si allontanavano, attraverso i vetri della finestra. Poi si voltò verso Travis, che stava in piedi davanti al divano dove era seduta Cammie, confusa e spaventata.

Odiava vedere quell’espressione di paura nei suoi occhi. La persona della quale avrebbe dovuto fidarsi di più al mondo, era un mostro, e lo aveva scoperto così presto.

Nessun bambino dovrebbe sentirsi così. Le si spezzava il cuore, ma non si sarebbe arresa alla disperazione. Non davanti ai suoi fratelli.

Loro dipendevano da lei. Doveva essere forte per loro. Avrebbe superato quel momento e sarebbe andata avanti, dimostrando di avere coraggio.

«Come sapevano dove abitiamo?» chiese piano a Travis.

Il ragazzo si sentiva in colpa. Eve gli si avvicinò subito, posandogli una mano sulla spalla, anche se era molto più alto di lei. Era alto e forte, ormai. Come Cammie, anche lui avrebbe dovuto godere di un’infanzia normale. Anche lui avrebbe avuto diritto all’innocenza.

«Trav, va tutto bene» lo rassicurò Eve.

Lui scosse la testa. «No, Evie, non va bene. Non sono stato abbastanza attento. Devono avermi seguito dalla ferramenta fin qui. Avevo visto un furgone dietro di me, ma non ho voluto attirare l’attenzione mettendomi a correre. Ho sperato che fosse solo qualcuno del posto che andava nella mia stessa direzione e, quando ho svoltato nel nostro viale, mi sono fermato per guardarmi le spalle ma il furgone aveva tirato dritto. Sicuramente saranno tornati indietro. Mi dispiace.»

Eve lo abbracciò. «Sembrano a posto. Hanno fatto tutta questa strada solo per darti quello che ti spetta e per organizzare i tuoi orari di lavoro. Sono certa che non vogliono farci del male.»

Quella bugia uscì facilmente dalle sue labbra. Sì, sembravano simpatici, normali, ma le apparenze possono ingannare e lei lo sapeva benissimo. Anche il suo patrigno sembrava un uomo tranquillo, genuino, ricco e socievole. Un filantropo, coinvolto nella politica locale. Nessun indizio lasciava presagire cosa si nascondesse sotto le apparenze.

Era disgustata.

«Vuoi che rinunci?» chiese lui, ansioso. «Forse potrei provare da qualche altra parte. Sembrava troppo bello per essere vero. Il pagamento in contanti, lei che non faceva domande. È stata così gentile e io ho abbassato la guardia.»

«No, penso che desteremmo ancora più sospetti se improvvisamente smettessi di farti vivo, specialmente dopo che loro sono stati così disponibili. Si chiederebbero perché te ne sei andato e poi non troveresti facilmente un altro datore di lavoro così accomodante. Hai avuto fortuna, molti non accettano di pagare a nero. Ci andrai solo per qualche altro giorno, finché Cammie starà meglio e potrò lasciarla con te per trovarmi un lavoro.»

«Non mi pesa» disse Travis con rabbia. «Hai fatto così tanto per noi, è il minimo che possa fare. Non lascerò che ti sacrifichi come hai fatto finora. Non è giusto. Meriteresti di avere una vita migliore, Evie. Sei giovane e bella e ora ti trovi due persone sulle spalle di cui devi prenderti cura, quando dovresti pensare a farti una famiglia tutta tua.»

«Siete voi la mia famiglia» disse lei, con la stessa rabbia. «Voglio bene a te e Cammie e non potrei fare altrimenti. Odio quello che siamo costretti a fare. Odio doverci nascondere e scappare. Dovreste vivere un’infanzia normale e non sentirvi obbligati a crescere così in fretta. Sei solo un ragazzo, Trav. Dovresti andare a scuola, stare con gli amici, fare sport, divertirti. È questo che non è giusto!»

«Evie?»

Il sussurro di Cammie li fece voltare entrambi, e rimpiansero di avere avuto quella conversazione davanti a lei.

«Staremo bene, vero?»

Eve corse verso il divano e si sedette, prendendo Cammie tra le braccia e tenendola stretta. Le accarezzò i riccioli biondi e la baciò tra i capelli.

«Certo che staremo bene, piccola. Non voglio che ti preoccupi. Okay?»

Cammie si staccò e le fece un debole sorriso. «Staremo sempre insieme, vero?»

Travis si sedette vicino a Cammie, dall’altro lato, e abbracciò le sorelle.

«Ci puoi scommettere, sorellina. Siamo una famiglia, come ha detto Evie. Andrà tutto bene, lui non ci troverà mai. Nessuno ci farà più del male.»

Eve si commosse per la tenerezza e la determinazione che sentì nella sua voce.

Cercò di ignorare il nodo in gola e sbatté le palpebre quando spuntarono le prime lacrime. Si godette l’abbraccio dei suoi fratelli, sentendosi come se potesse proteggerli dal resto del mondo.

Dio, cosa non avrebbe fatto per farli stare bene. Sarebbe stata disposta a qualsiasi cosa pur di tenerli al sicuro.

Si girò verso Travis. «Solo per questa settimana, intesi? Andrai a lavorare, poi Cammie migliorerà e troverò io qualcosa da fare. Spero di riuscire a lavorare durante il giorno, così la sera potremo cenare insieme, proprio come una famiglia.»

«Mi sento meglio, Evie» disse Cammie, in tono solenne. Evie le passò una mano tra i capelli e le baciò una tempia, lasciando le labbra lì premute per un lungo momento, contro la sua pelle ancora calda di febbre.

«Vedo che stai meglio, piccola, ma hai bisogno di riposare ancora qualche giorno. Non c’è fretta, vero? Domani comprerò della verdura e vedremo come starai, poi ti farò una sorpresa.»

Gli occhi di Cammie si spalancarono. «Una sorpresa? Mi piacciono le sorprese!»

Eve sorrise. A quale bimba non piacciono? C’era un negozietto dell’usato non molto lontano dalla ferramenta dove lavorava Travis. Ci sarebbe andata sul presto, prima che lui cominciasse il turno, a vedere cosa riusciva a trovare per lei. Cammie aveva bisogno di qualche maglietta e di pantaloncini nuovi. Qualcosa di fresco dato che non avevano l’aria condizionata e le temperature erano già abbastanza alte, nonostante non fosse ancora estate.

«Ora ti terrò un po’ sulle spine» disse Eve, dandole un altro pizzicotto sulla guancia.

Avevano vissuto di poche pretese negli ultimi mesi. A volte sembrava che stessero scappando da anni, e che fosse quella la loro vita. Sembrava che fosse sempre stato così. Era dura per Eve ricordare la normalità, quando non aveva il peso del mondo sulle spalle e non era costretta a respirare aria e terrore.

«Ho sonno, Evie» farfugliò Cammie, soffocando uno sbadiglio con una mano ancora imbrattata di ketchup (a causa dell’hamburger che aveva appena divorato).

Travis sorrise. «Dài, ti porto a letto e ti rimbocco le coperte. Che ne dici?»

Per tutta risposta Cammie si divincolò dall’abbraccio di Eve e tese le braccia a Travis, perché la prendesse. Lui la sollevò con facilità e la portò nell’unica camera da letto, che dividevano lei ed Eve. Travis dormiva sul divano.

Quando lasciarono il soggiorno, Eve nascose il volto tra le mani, arrendendosi per un attimo alla disperazione che gravava su di lei come la più nera delle nuvole. Una nuvola carica di fulmini e pioggia.

Oh dio, che cosa avrebbero fatto? Non potevano scappare per sempre. Non potevano scappare dal passato. Non sapere quando o per quanto tempo avrebbero vissuto in quel modo le faceva rivoltare lo stomaco. Doveva stare bene per Cammie e per Travis. Dipendevano da lei. Era la sola costante nelle loro vite sconvolte.

Si sentiva sopraffatta dall’amarezza e dall’odio. Non credeva di poter provare un sentimento simile, così vivo e insidioso. Non aveva mai pensato di commettere un crimine, ma avrebbe volentieri trascorso il resto della sua vita in prigione pur di salvare Cammie e Travis e offrire loro un’esistenza migliore. Tuttavia non poteva lasciarli da soli.

Avrebbe fatto qualunque cosa in suo potere perché stessero bene. Anche fuggire per il resto dei loro giorni, se fosse stato necessario, guardandosi le spalle per sempre.