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Rusty sospirò, chiedendosi ancora una volta se assumere il ragazzo, part time, fosse stata la scelta migliore. Non avevano bisogno d’aiuto in negozio.

Frank si dava da fare, nonostante la famiglia non volesse vederlo lavorare troppo dopo l’attacco di cuore avuto pochi anni prima. Rusty dava una mano quando tornava a casa da scuola e tutti i familiari erano disposti ad aiutarli, ogni volta che ce n’era bisogno.

Eppure non era riuscita a cacciare il ragazzo. Forse per la muta disperazione che vide nei suoi occhi. Quando lo guardò, provò una sensazione che conosceva molto bene.

«È solo grazie a Dio e ai Kelly che sono riuscita ad andare avanti» mormorò tra sé e sé, e le sue labbra si curvarono in un mezzo sorriso.

Senza dubbio a quest’ora sarebbe stata ancora prigioniera del suo patrigno, in un camper malandato, tirando a campare e vivendo di stenti se Marlene Kelly non l’avesse salvata. Oh, per nulla al mondo avrebbe voluto trovarsi ancora lì con lui. Sarebbe scappata forse o probabilmente avrebbe preferito prostituirsi sulla strada, per sopravvivere.

Un brivido s’impadronì di lei mentre riaffioravano alla mente ricordi dolorosi, umilianti, a lungo rimossi. Marlene Kelly era una santa. Un vero angelo. Rusty ringraziava ogni giorno il Signore per averle fatto incontrare lei e Frank.

Grazie a loro aveva potuto iscriversi all’università. Si sarebbe laureata di lì a un anno! Avrebbe avuto un diploma, una vita, delle prospettive. Tutte cose che non si sarebbe mai aspettata di ottenere. E la parte migliore di tutto questo?

Ora aveva una famiglia. Una vera e propria, grande, amorevole famiglia su cui poter contare.

Era una Kelly.

Marlene e Frank avevano chiesto anche a un avvocato di avviare le procedure perché Rusty cambiasse cognome. Aveva avuto un nuovo certificato di nascita, una tessera di previdenza sociale e tutti i documenti necessari.

Rusty Kelly.

Il suo vero nome, Barnes, suonava terribilmente banale accanto al cognome Kelly. Aveva davvero un nome comune e ordinario prima della modifica. Marlene aveva voluto adottarla, anche se Rusty era già maggiorenne. Voleva che si sentisse completamente parte della famiglia ma, in fondo, non ce n’era bisogno. Anche solo la consapevolezza di essere amata e accettata da tutti loro, dai fratelli così tosti e iperprotettivi, le bastava. Andare a scuola ed essere conosciuta come Rusty Kelly la faceva sentire al sicuro e a volte, quando ci pensava, non poteva fare a meno di commuoversi. Ma aveva giurato a sé stessa che non avrebbe pianto mai più. Si era lasciata quella Rusty alle spalle, insieme a tutto il dolore e il disagio che aveva dovuto sopportare per i primi quindici anni della sua esistenza.

Da allora, Marlene l’aveva accolta con amore sotto il suo cognome.

Rusty sospirò guardando Travis Hanson (se questo era davvero il suo nome) in mezzo al corridoio e si chiese di nuovo in che situazione si stesse cacciando. Il ragazzino aveva la stessa età di quando lei era piombata a casa Kelly chiedendo qualcosa da mangiare. Aveva il suo stesso abisso negli occhi. Era tristezza, ma soprattutto... paura.

Come se avesse intercettato il suo sguardo, Travis sollevò gli occhi dalle mensole che stava riordinando, agitato. Povero ragazzo, era assolutamente incapace di nascondere le emozioni, gli si leggevano in faccia. Era facile dedurre che non avesse esperienza e che qualsiasi cosa l’avesse portato a bussare al suo negozio doveva essere successa da poco. Sembrava molto spaventato.

«C’è qualcosa che non va?» chiese lui, timidamente.

Doveva avere più o meno quindici anni, o almeno così le aveva detto, ma ne dimostrava molti di più. Era più alto della maggior parte dei ragazzi di quell’età. Muscoloso, ben piazzato, non era allampanato come tanti altri. Era cresciuto in fretta, sembrava maturo nonostante fosse così giovane.

Rusty si rivedeva in lui perché anche lei era stata costretta a crescere in fretta quando aveva solo dieci anni. Era mai stata davvero una bambina?

«Niente» gli rispose sorridendo, sperando di non essere trasparente quanto lui. «Stavo pensando che, quando finirai di riordinare quella mensola, potremmo andare a pranzo. C’è una paninoteca a pochi passi da qui. Non hai fame?»

All’improvviso gli brillarono gli occhi e Rusty si chiese quando fosse stata l’ultima volta che avesse consumato un pasto decente. Non osava domandarlo per paura che tagliasse la corda.

«Mmm... ho lasciato il portafogli a casa,» balbettò «ma posso restituirti i soldi domani. Vengo solo se facciamo così.» Rusty fece una smorfia.

Frank non apriva mai la ferramenta di domenica perché per lui era la giornata dedicata alla chiesa e alla famiglia. Non disse a Travis che a Frank sarebbe venuto un colpo se avesse sorpreso qualcuno dei suoi impiegati alla ferramenta di domenica. Avrebbe offerto al ragazzo i contanti a nero, anche di tasca sua se fosse stato necessario.

«La domenica ci occupiamo del magazzino» gli disse, sperando che Dio la perdonasse per quella bugia sfacciata. «Il negozio è chiuso ma mi saresti d’aiuto per qualche ora al mattino, se puoi.» Una sensazione di sollievo gli addolcì lo sguardo. Rilassò le spalle. «Certo, posso venire alle otto e rimanere finché ne hai bisogno.»

Rusty osservò attentamente la sua reazione e decise di fargli una domanda. «Sicuro che a tua madre non dispiaccia? Voglio dire, ci sono un sacco di ragazzi che vanno in chiesa e passano del tempo con la famiglia di domenica. Mi dispiacerebbe perdere un buon impiegato perché tua madre potrebbe avere qualcosa da ridire a riguardo.»

A un tratto divenne serio. Poi un guizzo di luce attraversò i suoi occhi impassibili. «Io non ce l’ho una madre. Mia sorella si prende cura di me e della nostra sorellina. Mi piace aiutare a casa. Eve, mia sorella, lavora troppo. Non le dispiacerà se lavoro qualche ora anch’io. Avremo qualche soldo in più.»

Rusty archiviò quell’informazione e cambiò discorso, alla svelta. Travis era molto a disagio e lei non voleva che se ne andasse. Non che sapesse perché le importava tanto. Probabilmente sarebbe stato meglio se il ragazzo non si fosse fatto vedere troppo spesso da quelle parti, perché se Frank avesse scoperto quello che stava facendo, l’avrebbe presa per pazza.

«Okay, quindi cosa vorresti mangiare? Fanno un fantastico club sandwich, e anche un bell’hamburger ‘strozzati-e-vomita’. Un ragazzo alto e forte come te avrà bisogno di proteine!»

Il ragazzo sorrise e per un momento sembrò quasi sereno. Poi quella curva sul suo viso svanì rapidamente, e tornò a fissarla un uomo molto più maturo dell’età che aveva.

«Strozzati-e-vomita?»

Rusty rise. «Sì, è una cosa buona. È così che i miei fratelli chiamano un buon hamburger con tanto grasso e formaggio. È un panino artigianale, non quella merda industriale che trovi nei fast food. Da queste parti il cibo artigianale è motivo d’orgoglio. Riuscirà un cheeseburger con bacon a conquistarti? Offro io. È il minimo che possa fare per ringraziarti di avermi tolto tanto lavoro dalle spalle.»

«Magnifico!» ammise. «Grazie di tutto Rusty. Vuol dire molto per me e le mie sorelle.»

Era molto tentata di abbracciarlo, stringerlo a sé e dirgli che tutto si sarebbe sistemato. Si trattenne perché ricordava che alla sua stessa età, un gesto del genere l’avrebbe spaventata. C’era voluto molto tempo perché si convincesse che poteva fidarsi di qualcuno e che l’amore era un sentimento libero e incondizionato. Senza lacci. Senza ripercussioni.

Era preoccupata per lui. Sapeva cosa significasse avere paura. Avere fame. Avere troppe responsabilità per essere così giovani. Per fortuna che lei aveva incontrato Marlene, Frank Kelly e tutta la loro famiglia.

«Non farti problemi. Come ho detto, se non fosse stato per te, avrei dovuto mettere a posto io tutta quella roba. La verità è che Frank lavora troppo. Ha avuto un attacco di cuore qualche anno fa e sua moglie gli sta dietro per aiutarlo, ma lui è testardo come un mulo del Missouri. Cerchiamo di assicurarci che non esageri. Mi stai facendo un grande favore.»

Lui sorrise e poi tornò sul retro per tirare fuori gli attrezzi dalla scatola sul pavimento e ordinarli con attenzione, ognuno al proprio posto.

Rusty sospirò, voltandosi a guardare l’orologio. Frank non sarebbe arrivato prima delle due. Ci aveva messo parecchio a convincerlo che era perfettamente in grado di gestire il negozio fino al suo turno. Lui iniziava alle due e finiva alle sei, all’orario di chiusura. Fino ad allora avrebbe fatto mangiare il ragazzino, lo avrebbe pagato e mandato via, e Frank non avrebbe saputo nulla. Forse.

Quando tornò al negozio, andò dietro al bancone per prendere la borsa. Pensò che se avesse chiamato in anticipo per ordinare, ci avrebbe impiegato di meno. Non le piaceva l’idea di lasciare Travis da solo, ma avrebbe bloccato il registratore di cassa e avrebbe chiuso la porta, sollevando il cartello con la scritta chiuso per poi tornare in un lampo.

Dopo aver fatto l’ordine, si mise la borsa in spalla e andò verso la porta dicendo a Travis che sarebbe tornata nel giro di cinque minuti. Mentre usciva però, per poco non si scontrò con un uomo e dovette fermarsi, riuscendo a stento a soffocare l’imprecazione che le stava affiorando alle labbra. Marlene aveva sempre cercato di fare di lei una signora.

Quando capì in chi si era imbattuta, rimpianse subito di essersi rimangiata ogni blasfemia.

Sean Cameron stava lì di fronte a lei e, con gli occhi ridotti a due fessure, scrutava la scena alle sue spalle.

«Cosa c’è adesso, Sean?» chiese Rusty, esasperata. C’era sempre qualcosa che non andava a genio a quel poliziotto. «Chi è il nuovo impiegato?» domandò Sean. «Frank non ha informato nessuno di una nuova assunzione.»

Rusty sospirò. Non era la prima volta che Sean le stava col fiato sul collo. Vivere in una piccola città aveva i suoi svantaggi. Il ragazzo era lì da nemmeno due ore e il super poliziotto le stava già addosso.

«Non sapevo che assumessi personale per conto di Frank» disse con aria sardonica.

Aveva un’espressione profondamente accigliata. Niente di nuovo per Rusty che subiva costantemente la sua disapprovazione. Sembrava sempre che aspettasse un suo passo falso per cacciarla dalla città e allontanarla dai Kelly.

«Basta stronzate, Rusty.»

Lei lo guardò torva, aveva perso la pazienza. «Sei serio, Sean? Sempre lo stesso copione? Da quant’è che ci conosciamo? Cinque anni? Ogni volta che ci incontriamo sai dirmi solo ‘basta stronzate, Rusty’.» Scosse la testa.

«Ora, se vuoi scusarmi, ho un pranzo da andare a ritirare e del lavoro da sbrigare. Sono certa che hai di meglio da fare che controllare ogni minuto del giorno cosa succede nel negozio.»

Sean scosse la testa a sua volta. «Chi è il ragazzo, Rusty?»

«Se mi vuoi fare l’interrogatorio puoi accompagnarmi a ritirare il pranzo per me e per il ragazzo, come lo chiami tu.» Anche lei si riferiva a lui con quel termine ma non lo usava in modo beffardo, come faceva Sean.

Pensò che fosse meglio chiudere la porta, una volta usciti. Girò la chiave nella toppa per assicurarsi che lui non potesse entrare mentre lei era via. Fu allora che gli puntò un dito contro: «Stai lontano da lui, intesi? Non sono affari tuoi. Non gli parlerai e non gli farai nessun dannato interrogatorio. Riservale a me le tue stronzate. Dio solo sa quanto ci ho fatto il callo. Lascialo stare, lo giuro su dio che ti renderò la vita impossibile.»

Notò che Sean sembrava davvero dispiaciuto.

«Che problemi ha?» le domandò, piano.

Rusty s’incamminò verso la paninoteca, sicura che Sean l’avrebbe seguita. Era troppo testardo per lasciare cadere il discorso. Voleva sapere la storia del ragazzo, prima di farsi da parte.

«È un ragazzo che ha bisogno di lavoro e di soldi» rispose lei, mentre passeggiavano sul marciapiede.

«Fammi indovinare, Frank non sa della sua esistenza» replicò Sean.

Rusty scosse la testa e lui imprecò. Allora lei si fermò davanti alla paninoteca, e lo fissò duramente. Si era sempre sentita piccola vicino a Sean. La sua disapprovazione avrebbe abbattuto anche la persona più forte del mondo.

«No, non ne sa nulla.» Poi si corresse: «Non ancora, almeno. Non ho intenzione di tenerglielo nascosto. Al contrario di quello che pensi, voglio bene a Frank e Marlene e non farei mai nulla per ferirli. Il ragazzo è arrivato solo oggi, ha fame, è distrutto, e ha una sorella da aiutare. Non fare quella faccia, Sean, lo sto pagando di tasca mia. Non gli darò molto ma è meglio di niente e poi gli offro un lavoro sicuro. Se non altro, lo posso tenere sotto controllo.»

Lo sguardo di Sean si addolcì e per un momento rimase in silenzio.

«Vedi Sean» disse Rusty, odiando il tono di supplica che stava usando, come se avesse bisogno della sua dannata benedizione. Fece un respiro profondo, prima di continuare: «È come me quando avevo quell’età. È nei guai in cui mi troverei ancora oggi se non fosse stato per Frank, Marlene e il resto dei Kelly. Nessuno prima di loro mi ha mai dato una mano. Ha bisogno d’aiuto e io posso darglielo. Quindi fatti da parte, okay? Capisco che ti irriti l’idea di doverti fidare di me, ma potresti mettere da parte il tuo disprezzo nei miei confronti abbastanza a lungo da concedermi una possibilità? Non sono una sprovveduta. Posso aiutare questo ragazzo e lo farò con o senza la tua approvazione.»

Sean la guardò, mortificato.

«Non è vero che ti disprezzo» rispose, piano.

Rusty tirò su col naso.

«Però stai attenta» la mise in guardia. «Non lo dico per farti arrabbiare ma cristo, Rusty, fai attenzione. Che cosa sai davvero di lui? Non mi piace che resti da sola con un ragazzo nel negozio. E se cerca di rubare o di farti del male?»

Rusty rise: «Credi che non sia in grado di difendermi da un quindicenne? So il fatto mio, Sean. Sono diventata forte crescendo nel modo in cui sono cresciuta. Gli ultimi anni con i Kelly possono avermi ammorbidita ma a scuola sono sempre sola. Credimi, lì non è una passeggiata. Prendo lezioni di autodifesa, so badare a me stessa.»

Sean strinse gli occhi. «Cosa diavolo significa? Che succede a scuola? C’è qualcuno che ti dà fastidio?»

Rusty alzò gli occhi al cielo: «Non succede proprio niente, me la cavo.»

Lui si passò una mano tra i capelli corti e cacciò fuori un sospiro: «Preferiresti morire piuttosto che chiedere aiuto anche solo una volta in vita tua, non è vero?»

Lei, sorpresa, rispose: «E cosa cambierebbe se ti chiedessi aiuto?»

«Te lo darei;» disse piano lui «tu pensi che ti odi ma non è così, Rusty, e se abbassassi un po’ la cresta ti accorgeresti che voglio solo proteggerti.»

Rusty rimase senza parole.

«Me ne vado,» disse Sean «ma terrò d’occhio il ragazzo. Se hai qualunque problema, mi chiami. Se anche solo pensi che possa esserci un problema, mi chiami. E se hai bisogno di qualcosa, me lo fai sapere. Ci sarà un modo per dargli una mano.»

Rusty era così sorpresa che si limitò ad annuire.

Lo guardò smarrita mentre si allontanava. Sembrava che ci tenesse davvero.