13

Eve stava lentamente riprendendo conoscenza, aveva la mente confusa, provava panico e dolore. Si sentì sollevare, e per un momento pensò di essere preda del tornado. Di nuovo.

«No!» protestò, dimenandosi, nonostante fosse inutile. Non poteva competere con la furia della tempesta.

«Sssh, Eve, sono io, Donovan. Starai bene. Ora ci sono io con te.»

La voce calma di Donovan irruppe in quei pensieri spaventosi, calmandola. Poi immagini di Travis e Cammie urlanti la turbarono di nuovo. Aprì piano gli occhi e vide il viso di Donovan, illuminato dalla luce pallida dell’aurora. Era determinato e preoccupato allo stesso tempo. Come era arrivato lì? E lei, dove si trovava?

«Travis, Cammie» chiamò i fratelli. Oh dio. Dov’erano? Li aveva persi nella tempesta?

Donovan la strinse più forte, ed Eve realizzò che la stesse trasportando altrove. Ma dove?

«Stanno bene, Eve. Mio fratello è con loro nel furgone. Vi porteremo in un posto dove potrete ricevere tutte le cure di cui avete bisogno.»

«No,» sussurrò lei «ti prego. Non possiamo, lasciami andare, dobbiamo scappare. Oh dio, la mia valigia. Dov’è?»

Donovan si fermò un momento a pensare, tenendola in braccio, stretta contro il suo petto. Poi scrollò il capo e riprese a camminare, mormorando qualcosa che lei non riusciva a capire.

Si ritrovò comodamente distesa, nel vano posteriore di un furgone. Con sua grande felicità, trovò Travis e Cammie vicino a lei.

«Appoggiati a me, Evie» disse Travis, visibilmente preoccupato. Le fu grata per quell’invito; appoggiò la testa sulla spalla del fratello, che la cinse con un braccio. Con l’altro Travis teneva stretta Cammie. Eve aprì gli occhi e sorprese entrambi a guardarla, preoccupati.

«Sto bene» disse lei infine, senza volerli spaventare ulteriormente. «E voi, come state?»

«Bene» tagliò corto Travis.

«Non sta bene» rispose subito Donovan.

Eve spostò lo sguardo su Donovan, che si trovava vicino allo sportello. Poi di nuovo su Travis, notando che aveva un colorito pallido.

«Cos’hai?» domandò lei.

Travis arrossì, non sembrava felice che Donovan si fosse intromesso per contraddirlo.

«È ferito,» continuò a spiegare «forse ha qualche costola rotta. Vi porterò tutti a casa mia. Abbiamo un’infermeria sul posto, e la dottoressa di cui ti parlavo ieri verrà a visitarvi.»

Usò un tono che non ammetteva repliche. Era molto serio.

«La mia valigia» disse Eve con voce tremante. «Ho bisogno di quella valigia. Ho tutto lì dentro.»

Donovan si voltò verso uno degli altri uomini che si trovavano fuori dal furgone e, un attimo dopo, reggeva tra le mani una valigia zuppa d’acqua. «È tua questa?»

Eve si sentì subito sollevata: era la valigia che conteneva i loro vestiti e i gioielli della madre. Potevano fare a meno del cibo. Ma i gioielli rappresentavano la loro unica speranza di sopravvivenza per le settimane seguenti.

E ora, dopo quell’imprevisto, quando sarebbero ripartiti?

«Sì» mormorò.

Donovan non fu felice di quella risposta, ma rimase in silenzio. Sistemò la valigia sul retro del furgone e allungò le chiavi a uno degli uomini dietro di lui.

«Guida tu, Swanny ti farà da spalla. Io mi siedo qui con Eve.»

L’uomo annuì, prese le chiavi e andò a sedersi al posto di guida. L’altro si accomodò sul sedile passeggero, e fu lì che Eve notò la cicatrice profonda che portava lungo una guancia. Ne ebbe compassione. Sicuramente doveva essere stata una ferita profonda.

«Fatti più in là, più vicino che puoi a Travis, così starai più comoda» disse Donovan, con gentilezza.

«Cammie, tesoro, puoi sederti sulle mie gambe visto che a Travis fanno male le costole?»

«Sta bene qui» si affrettò a rispondere Travis.

«Hai dolore» lo incalzò lui con calma. «Non c’è bisogno. Posso tenerla io Cammie.»

Donovan si sporse per prenderla e, con grande sorpresa di Eve, lei ne fu felice. Le sue piccole gambe passarono sopra quelle di Eve mentre Donovan la sollevava. La sistemò in grembo e poi allacciò con cura la cintura di sicurezza per Eve. Dopo fece lo stesso con la sua, assicurandosi che Cammie stesse attaccata al suo petto.

«Chi sono quelli?» chiese Eve a bassa voce, indicando con lo sguardo gli uomini sui sedili anteriori.

«Quello alla guida è mio fratello, Joe. L’altro è Swanny. Puoi fidarti, Eve.»

Fosse facile. Non poteva permettersi di fidarsi di nessuno. Ma non disse nulla a riguardo. Non aveva senso discutere. Doveva trovare un modo per uscire da quel guaio. La sua idea di evitare Donovan e la dottoressa era stata un gigantesco fallimento. Ora erano anche di più le persone che sapevano di lei e dei suoi fratelli. Era difficile non lasciarsi sopraffare dalla disperazione. Quanto sarebbe trascorso prima di essere scoperti? Essere esposti a così tanta gente equivaleva a innescare una bomba a orologeria. Non poteva avere fortuna per sempre; prima o poi, Walt li avrebbe trovati.

«Perché stavate partendo, Eve?» chiese Donovan piano.

Eve si voltò di scatto verso di lui, sicura che il senso di colpa le si leggesse in faccia. Non era mai stata brava a nascondere i suoi sentimenti.

«Era ora di andare» disse semplicemente.

Le labbra di Donovan si incresparono in una smorfia sottile. «Dovevo tornare con la dottoressa che avrebbe visitato Cammie. Perché sareste dovuti partire prima?»

Le si afflosciarono le spalle e abbassò lo sguardo. Sentiva addosso la sua disapprovazione. Percepiva il peso del suo sguardo e il suo giudizio. Pensava che fosse una stupida, che non aveva voluto l’aiuto offerto per la sorella.

«Più persone ci vedono, più grande è il rischio che corriamo» disse Eve, cercando di non farsi sentire dai sedili anteriori. «Non posso mettere in pericolo Cammie e Travis in questo modo. Non lo farò.»

Donovan sospirò e poi, all’improvviso, cercò la sua mano. Le loro dita si intrecciarono. Un calore pervase il braccio e il petto di Eve. Quel contatto la rassicurava, come un sole in una giornata fredda. Le faceva pensare cose incredibili. Ma la cosa peggiore è che le insegnava a sperare.

«Ascoltami, Eve. Apri bene le orecchie. Voglio aiutarti. Proteggerò te e i tuoi fratelli. Senza ‘se’, e senza ‘ma’. Lo so che non ti fidi. Non ancora. Ma ti dimostrerò che non tutti a questo mondo vogliono farvi del male.»

«Tu non capisci» disse Eve agitata, alzando il tono della voce. «Anche tu rischi molto se rimani coinvolto in questa situazione. Non voglio causarti problemi. So che pensi che esageri, ma Donovan, credimi, non è così! Tu non puoi risolvere questa situazione per noi. Nessuno può.»

La sua voce si strozzò in un singhiozzo. Quelle parole così estreme davano un quadro completo della situazione disperata che vivevano. Staccò la sua mano da quella di Donovan e si coprì il volto con entrambi i palmi.

Odiava piangere davanti a Cammie e Travis. Avevano bisogno di sapere che era forte. Doveva essere una roccia per loro ma aveva retto fin troppo senza sfogarsi e in quel momento ogni paura, ogni pensiero negativo, lottava per venire fuori.

«Non piangere, Evie.»

La voce dolce e preoccupata di Cammie si insinuò tra i singhiozzi silenziosi di Eve. Travis la abbracciò stretta, e anche la sorellina la strinse, gettandole le braccia al collo.

«Ti voglio bene» le sussurrò Cammie in un orecchio.

«Oh, tesoro, anche io te ne voglio.» Eve si tranquillizzò, vergognandosi della reazione che aveva avuto.

«Ha detto che ci aiuterà» sussurrò Travis. «Forse potremmo...» Si interruppe, e guardò Donovan con uno sguardo incerto. «Forse potremmo fidarci.»

«Tuo fratello è un ragazzo saggio» disse Donovan.

Eve alzò la testa e guardò il viso dolce della sorellina. Poi si soffermò sugli occhi marroni di Travis, umidi, che la fissavano intensamente.

«Dagli retta, Eve» insistette Donovan. «Avete bisogno di una mano. Tutti e tre. Non potete continuare a scappare senza un soldo. A un certo punto sareste costretti a fermarvi. Smettere di fuggire e affrontare la situazione. Vi aiuterò io, se me lo permetterai.»

«Ma non sai a cosa vai incontro» sussurrò lei. «Dio, non credi che mi farebbe comodo lasciarmi aiutare? Pensi che voglia questa vita per Cammie e Trav? Darei qualsiasi cosa perché abbiano il meglio. Meritano sicuramente più di questo. Più di quello che posso dargli io.»

«Stai facendo del tuo meglio,» disse Travis con forza «hai fatto sempre di tutto per proteggerci, Evie. Parli di come dovrebbe essere la nostra vita, ma della tua che mi dici? Neanche tu meriti tutto questo. Non l’hai mai meritato. Anche tu dovresti avere una vita, e smetterla di preoccuparti di finire in galera a causa nostra.»

Eve lo fulminò con lo sguardo, per quello che aveva appena detto davanti agli altri. Travis si pentì subito e abbassò lo sguardo.

«Mi dispiace, Evie. Non avrei dovuto dire niente.»

«Di qualunque cosa si tratti, posso aiutarvi» disse Donovan, apparentemente insensibile alle dichiarazioni di Travis. «C’è molto che non sai di me e dei contatti che ho. Aiutare le persone è il mio lavoro ed è anche il lavoro dei miei fratelli e delle nostre squadre.»

Eve lo guardò, confusa. «Hai ragione, non capisco.»

Donovan le diede un leggero buffetto sulla guancia, tracciò una linea con le dita fino alla mascella, guardandola con calore e compassione. «Dammi solo una possibilità, Eve. È tutto quello che chiedo. Ora avete bisogno di cure e di un posto dove dormire in cui non dobbiate preoccuparvi che piova dal tetto. Dovete mangiare e avete bisogno di sentirvi al sicuro. Posso fare tutto questo per te se mi dai una possibilità. Non mi aspetto di guadagnare subito la tua fiducia, ma per adesso credimi e basta. Va bene?»

Era senza parole. Meravigliata da come facesse sembrare semplici tutte le cose, riuscì solo ad annuire. C’era un barlume di soddisfazione negli occhi di Donovan. Le lasciò la mano. Per tutto il tempo in cui l’aveva toccata, per quanto assurdo, si era sentita al sicuro. Voleva credergli quando diceva che non avrebbe permesso a nessuno di fare del male ai suoi fratelli. Sperava solo che non avrebbe rimpianto quella decisione, e che Cammie e Travis non avrebbero pagato per i suoi errori.

Poco dopo, giunsero davanti a un grande cancello. Joe schiacciò un pulsante e questo cominciò ad aprirsi. Travis e Cammie si guardavano attorno sbigottiti, mentre avanzavano con il furgone nell’area recintata.

Sembrava un campo di battaglia o perlomeno una base militare di massima sicurezza.

C’era una pista d’atterraggio, un capannone che ospitava due jet e un elicottero parcheggiato. Sulla destra un poligono mentre sulla sinistra un grande edificio senza finestre.

Poi si avvicinarono alle abitazioni che punteggiavano il paesaggio. Cinque case sparse lungo la scogliera a picco sul lago.

Eve cercò nervosamente gli occhi di Travis e i due si scambiarono sguardi pieni di stupore.

Erano passati dalla padella alla brace? Aveva condannato tutti a una prigione senza via d’uscita? Non riusciva a immaginare che fosse possibile fuggire da una fortezza come quella.

«Cos’è questo posto?» sussurrò Eve.

«Casa,» rispose Donovan «siamo a casa.»

Eve lo guardò, confusa. «Casa? Chi vivrebbe in un posto del genere?»

«Noi» disse Joe con un ghigno divertito.

Vide che la fissava dallo specchietto retrovisore.

«Be’, io no, o perlomeno non ancora;» continuò lui «Swanny e io viviamo ancora nella casa che un tempo era di nostro fratello. Ma se i miei fratelli l’avranno vinta, farò costruire una casa anch’io qui, molto presto.»

Donovan mostrò la sua approvazione.

«Non capisco» mormorò Eve. «Voi chi siete realmente

«Persone che aiutano la gente in difficoltà» rispose Swanny, voltandosi sul sedile per guardare Eve e i suoi fratelli. Aveva un’espressione seria, ma i suoi occhi erano dolci e amichevoli, in contrasto con l’aspetto severo dovuto a quella brutta cicatrice che aveva sul viso.

Le sue parole avrebbero dovuto rassicurarla, perché loro facevano parte di quella categoria di persone. Eppure non sortirono l’effetto sperato. Il pensiero di aver riposto la loro fiducia nelle mani di quell’uomo la rendeva nervosa. Donovan sembrò percepirlo e le prese di nuovo la mano.

Si sentì pervasa di nuovo da quel calore familiare. Amava il suo contatto, poteva diventarne dipendente. Per un momento si dimenticò di Walt e le sembrò che andasse tutto bene; ma era un pensiero stupido che le sarebbe potuto costare la vita se non l’avesse scacciato in fretta.

Non esisteva porto abbastanza sicuro. Non ci sarebbe mai stato. Doveva tenerlo a mente.

«Andrà tutto bene, Eve. Te lo prometto.»

Quella promessa silenziosa la scosse nel profondo. Lui ne sembrava convinto. Ma come poteva qualcuno farle una simile promessa? Soprattutto senza sapere chi era il nemico.

Per la prima volta, le convinzioni di Eve vacillarono. Cominciava a pensare che forse avevano ancora una speranza. Donovan le aveva fatto credere (le aveva insegnato a volerci credere) che poteva proteggerli e tenerli al sicuro. Era una stupida a sentirsi in colpa per questo? O lo sarebbe stata ancora più a rifiutare una fortuna del genere? Stava facendo la cosa giusta per i suoi fratelli, anche se non sapeva dove tutto questo li avrebbe portati? Lanciò un’occhiata preoccupata a Travis, per capire cosa pensasse. Quello che vide le tolse il fiato e capì che erano sulla strada giusta. Speranza. Vide speranza nei suoi occhi e in quelli di Cammie. Il suo sguardo era pieno di stupore. Come se Donovan fosse una specie di cavaliere dall’armatura lucente, venuto a salvarli da mesi disperati. Mesi trascorsi a preoccuparsi che il passato potesse raggiungerli e inghiottirli per sempre. E poi Cammie, terrorizzata da qualsiasi uomo, ora se ne stava rannicchiata sul petto di Donovan, con la testa appoggiata sotto il suo mento.

«Okay» mormorò lei, e quella semplice risposta le si strozzò nella gola. Oh dio, fa’ che non stia prendendo la decisione sbagliata.

Donovan era soddisfatto e le strinse dolcemente le dita.

Il furgone arrivò a una grande abitazione che sembrava molto nuova. Tutto splendeva. Sembrava appena verniciata, il giardino era intatto. Nessun indizio lasciava immaginare che proprio poche ore prima, di lì, fosse passato un tornado. C’erano solo due tronchi d’albero caduti in un angolo e qualche ramo spezzato.

Joe e Swanny uscirono dal furgone. Donovan passò Cammie a Swanny, dopo averla rassicurata che l’avrebbe ripresa in braccio, una volta aiutata Eve ed essere uscito a sua volta.

Si aprì lo sportello dal lato di Travis, e Joe gli diede una mano a venire fuori, consigliandogli di appoggiarsi a Joe e di muoversi piano. Poi Donovan prese Eve e la aiutò ad alzarsi in piedi tenendola per un braccio, finché non fu certo che potesse reggersi da sola.

Cammie non protestò quando la prese Swanny, ma nel momento in cui tornò Donovan, gli saltò letteralmente tra le braccia, affondando le manine nel suo collo.

Donovan ormai ci si stava abituando, l’abbracciò forte. Swanny si avvicinò a Eve e le offrì il braccio. Quando inciampava, più per la meraviglia che perché non riuscisse a camminare da sola, lui la aiutava a mantenere l’equilibrio, tirandola a sé.

«Fai con calma» disse Swanny a bassa voce. «Una volta entrati potrete mettervi comodi fino all’arrivo di Maren.»

Ci mise qualche secondo a ricordare chi fosse Maren. Donovan aveva detto che c’era una sua amica, una dottoressa che si chiamava così; avrebbe voluto portarla al camper per far visitare Cammie.

Camminava incerta e Swanny non voleva metterle fretta. La accompagnava cercando di stare al suo passo e la aiutò a entrare in casa.

Travis e Joe erano davanti a lei e la preoccupava l’espressione di dolore che aveva visto dipinta sul volto del fratello, quando era sceso dal furgone e aveva cominciato a camminare.

E se fosse stato gravemente ferito? Andare in ospedale era fuori discussione ma se fosse stata l’unica cosa da fare per curarlo non avrebbe avuto altra scelta che rischiare e portarlo al pronto soccorso o ricoverarlo.

«Prima o poi sverrai se non respiri più lentamente» mormorò Swanny.

Eve deglutì e prese un bel respiro, poi espirò dalle narici, cercando di controllarsi. Non serviva a nulla immaginare lo scenario peggiore. L’avrebbe visitato una dottoressa. Poi avrebbero pensato al da farsi.

Ancora pregava tra sé e sé che nessuno di loro fosse ferito gravemente e che la malattia di Cammie non richiedesse un ricovero.

Si incamminarono nell’atrio e poi dentro un grande soggiorno che sembrava poco arredato. C’era solo un piccolo divano, una poltrona reclinabile e un grande televisore appeso al muro più lontano.

Nessun tavolino, le pareti erano nude, e si sentiva ancora odore di vernice fresca.

Donovan sistemò Cammie sul divano mentre Joe guidava Travis sulla poltrona. Poi Donovan si voltò verso Eve.

«Benvenuta a casa» disse piano.