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Die illegale Zeit

È il 24 agosto 1934, il giorno di san Bartolomeo. Il sole splende sui prati e sulle vigne, le donne hanno preparato favolosi dolci e fatto il pane, i mariti stappano bottiglie di vino. In casa il camino è acceso, non perché faccia freddo ma perché così vuole la tradizione. E con un moto di sfida Hella e sua sorella Gusti hanno issato fuori casa drappi bianchi e rossi e una bandiera austriaca. A Rosa vengono le lacrime agli occhi vedendo sventolare nel cielo estivo il vessillo del suo imperatore.

San Bartolomeo è una festa popolare tra le più antiche, legata alla transumanza. Sull’altopiano di Renon si festeggia con canti e danze e si tiene un mercato del bestiame. Naturalmente come tutte le sagre e i raduni è considerata sospetta dal regime. Ma questo non ha impedito ai Tiefenthaler, Tiefenbrunner e Rizzolli di radunarsi a Fennberg, una delle proprietà di famiglia, a mille metri di altitudine, dove spesso vanno in villeggiatura. Si parla solo tedesco e si approfitta per fare qualche lezione di lingua ai bambini. Soprattutto, si canta: è venuto apposta un artista che intona a cappella, in Hochdeutsch, in tedesco colto, i canti tradizionali.

«Come sono belle queste giornate. Guarda quanti siamo» sospira Rosa rivolta a sua sorella Luise, seduta accanto a lei sull’erba. Osserva la figlia Elsa che gioca poco distante con i suoi bambini, Herlinde, Hubert e Norbert, e tiene in braccio il piccolo Heini. Suo marito Franz prima di pranzo ha pronunciato un discorso sulla loro Heimat, al termine del quale tutti i presenti avevano le lacrime agli occhi. Per il fumo del camino, non certo per la commozione, hanno sottolineato goliardici i parenti maschi. Ma i magoni politici sono tutt’altro che rari, di questi tempi.

«Facciamo una preghiera, cari amici» dice il parroco di Kurtatsch, alzandosi in piedi. Rosa comincia a recitare in tedesco il Padre nostro, assieme agli altri.

«Ringraziamo il Signore per questa giornata, questo sole, così tanti amici tutti assieme e preghiamo sempre perché conservi noi e la nostra patria» conclude il sacerdote.

«Amen» rispondono tutti in coro.

All’improvviso la quiete è turbata da un allarme generale: è arrivato il podestà fascista. Per riguardo, non è accompagnato dai carabinieri e non oserà interrompere quella festa di famiglia. Ma la sua presenza è un chiaro avvertimento. E qualcuno viene mandato in fretta e furia a far sparire le decorazioni rosse e bianche e la bandiera austriaca.

Nella concitazione Hella e Josef, che per tutta la giornata se ne sono stati un po’ in disparte, ne approfittano per dileguarsi.

«Dobbiamo andare» sussurra lei. «È ora.»

Si allontanano con disinvoltura, senza farsi notare, e si incamminano nel bosco.

«Quel Much Tutzer dice che vuole parlarci.»

Hella e Josef procedono in silenzio fianco a fianco. Gli uccellini cinguettano, in lontananza si avvertono ancora le risate dei bambini, ma l’aria si è fatta pesante.

«Eccoli.»

«Cosa devo fare?» chiede Josef.

«Lascia parlare loro.» Hella si dirige decisa verso quello che sembra il capo. Ha diciotto anni, è una ragazza alta, e i suoi acuti occhi castani fissano il giovane da pari a pari. L’ovale del viso dagli zigomi pronunciati, sotto i capelli scuri raccolti dietro la nuca, è dolce e regolare, e le labbra sottili si aprono spesso in un sorriso, ma in questo momento Hella è seria e risoluta.

«Much» le dice il ragazzo dai capelli a spazzola.

«Hella» risponde lei.

«Hai sentito parlare del VKS, vero?»

«Sì. Posso dare una mano?»

Entrambi istintivamente si guardano attorno furtivi. Sono in un bosco, nessuno in vista, tranne lei, suo fratello, quest’uomo dall’aspetto carismatico e un paio dei suoi.

«Stai già dando lezioni nelle scuole clandestine?»

«No, ma mi piacerebbe farlo.»

«Queste cose non bastano più. Dobbiamo organizzarci e attaccare, se vogliamo riconquistare la nostra terra. Gamper non lo capisce.»

«Il canonico Gamper è l’unica persona che ha alzato la testa quando nessuno ci provava» ribatte Hella.

«Ma sarà Hitler a salvarci.»

Hella non può dargli torto. Anche lei, come molti suoi coetanei, pensa che l’unica possibilità sia ormai la Germania, e il nazismo che crede così fortemente nel Deutschtum, nel germanesimo, nell’identità tedesca. Solo riunendosi al Reich i sudtirolesi potranno liberarsi dal fascismo. Sua madre è molto dubbiosa, le idee antireligiose di Hitler non le piacciono per niente. Ma Rosa appartiene a una generazione che non ha risolto nulla, pensa con amarezza Hella. E del suo grande Impero austroungarico è rimasto solo un piccolo Paese chiamato Austria, che non può certo aiutare il Sudtirolo. Negli ultimi anni le cose non hanno fatto che peggiorare, ed è tempo di rivolgersi a chi davvero potrebbe difenderli.

«Cosa vi serve che faccia?» chiede guardando negli occhi il giovane capo del VKS, il neonato movimento a cui appartiene anche il loro cugino Hans Tiefenbrunner.

«Che ci aiuti a creare la nostra cellula di Montan. Tuo fratello invece può essere il riferimento per Pinzon. C’è qualcun altro nella tua famiglia che può aiutarci?» Il suo interlocutore sa che i Rizzolli-Tiefenthaler sono un clan potente e possono essere molto utili alla causa. Hella esita ed è Josef a rispondere: «Forse mio padre. Non ne può più di questa situazione, ed è preoccupato per gli affari».

«D’accordo. Ci facciamo sentire noi» dice Much. Dal suo tono Hella e Josef capiscono che il colloquio è finito. Anche chiacchierare a lungo in un bosco può essere pericoloso, di questi tempi. «Ciao, Josef, ciao Hella» e con un cenno secco del capo si allontana, seguito dai suoi.

«Torniamo dagli altri.» Josef la prende sottobraccio. Si incamminano di nuovo senza fare commenti. È stato un incontro così breve, ma Hella ha l’impressione che la sua vita stia per cambiare.

 

 

Il giovane che Hella ha incontrato, Much Tutzer, è uno dei leader a Bolzano della formazione filonazista più importante del Sudtirolo, in cui presto confluiranno tutte le altre: il Völkischer Kampfring Südtirols (VKS), Fronte patriottico sudtirolese. Viene fondato nel 1934 dall’unione di piccoli gruppi giovanili clandestini nati per proteggere e diffondere la cultura tedesca. Il suo obiettivo dichiarato è la riunificazione di tutte le enclave tedesche in un unico impero, e il suo credo è l’obbedienza al Führer. In questa prima fase però, nonostante l’influenza ideologica, non ci sono rapporti ufficiali fra il VKS e le gerarchie della NSDAP, il Partito nazionalsocialista tedesco.

Il VKS decide presto di dividersi in sezioni: Bressanone, Merano, Val Venosta, Vipiteno, Val Pusteria, Bassa Atesina e Oltradige. L’organizzazione si diffonde rapidamente, i tempi sono maturi, la gente è stanca di subire e nel giro di qualche mese i gruppi superano già il centinaio: fra gli altri, a Entiklar viene nominato capo Hans Tiefenbrunner, a Montan Hella Rizzolli e a Pinzon suo fratello Josef.

In quella metà degli anni Trenta i giovani sudtirolesi sentono più che mai di aver bisogno di alleati. Da anni Mussolini considera la loro terra come un pericoloso ginepraio e non perde occasione per ricordare che indietro non si torna. Quel territorio è italiano e «i tedeschi dell’Alto Adige non rappresentano una minoranza nazionale, rappresentano una reliquia etnica». Dopo le molte richieste a Germania e Austria di offrire garanzie sul rispetto del confine del Brennero, ha appoggiato in chiave antigermanica le milizie austro-fasciste, le Heimwehren del futuro cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss. Il governo della Prima repubblica austriaca si è riavvicinato così all’Italia. Gli serve l’appoggio del governo fascista per ottenere l’esonero dal pagamento delle riparazioni di guerra. In cambio, si è impegnato anche ufficialmente a non interferire nella questione sudtirolese. L’accordo è stato sottoscritto nel febbraio del 1930.

La notizia, chiaramente, è arrivata in fretta in Sudtirolo. La delusione e lo sconforto per l’abbandono dell’ex patria imperiale sono stati terribili. Così, pian piano, i nazisti hanno cominciato a rappresentare una via d’uscita, e stanno guadagnando consensi. Soprattutto i ragazzi osservano con entusiasmo l’ascesa al potere di Hitler: il risultato elettorale del suo partito in Germania, nel settembre del 1930, sembra indicare che tutto è possibile. Che un gruppo povero di mezzi ma ideologicamente forte può arrivare a conquistare un Paese.

La crisi economica intanto inasprisce i conflitti, i gruppi estremisti raccolgono la rabbia e la frustrazione di tutti. E la repressione fascista non si ferma: dal 1932, le persecuzioni contro l’insegnamento clandestino vengono intensificate. Inoltre, alle minacce, interrogatori e arresti si aggiungono incentivi statali per gli insegnanti italiani che intendono trasferirsi in Sudtirolo.

Ma il regime ormai ha capito che la colonizzazione non sarà né facile né rapida. La storia sta prendendo un nuovo corso. Nel diario di Rosa, che pure non approva il nazionalsocialismo, si insinua una nota di speranza: «Il desiderio che esprimo per il futuro è che i bei tempi possano tornare».

 

 

I giovani sudtirolesi cominciano a organizzarsi. Si incontrano sempre più spesso per studiare una nuova e più forte forma di opposizione alle camicie nere. Per loro è chiaro che il Deutscher Verband del canonico Gamper è stato troppo timido. E non è più il momento di porgere l’altra guancia.

La propaganda che arriva dalla Germania si fa più intensa, sebbene sia clandestina. Gli anni tra il 1933 e il 1939 diverranno tristemente noti come «die illegale Zeit», l’epoca illegale. L’atteggiamento del fascismo all’inizio è ambiguo: è vero che c’è una notevole affinità ideologica con Hitler, ma il pangermanismo è una caratteristica troppo forte nella NSDAP e potrebbe avere implicazioni politiche esplosive. Per tutto il 1932, il regime mantiene come linea ufficiale una tolleranza controllata: i sostenitori del Führer non vengono puniti, ma tenuti d’occhio. Su «La Provincia di Bolzano», giornale che ben interpreta la linea ufficiale, un fondo di prima pagina dal titolo Noi ed Hitler recita: «Abbiamo avuto recentemente occasione di precisare che il nostro atteggiamento nei confronti di Hitler è quello di una benevola neutralità. Abbiamo anche spiegato che non abbiamo niente in contrario a che i sudditi germanici dimoranti in Italia formino i loro gruppi hitleriani, purché rispettino le leggi italiane e non disturbino l’ordine pubblico: è, del resto, quanto si chiede ai Fasci italiani in terra straniera».

I sudtirolesi filonazisti mantengono comunque la prudenza. Si incontrano in segreto e di nascosto fanno proseliti fra la popolazione. Spiegano che l’Austria è ormai uno Stato fantoccio nelle mani del fascismo italiano, e che l’unica speranza è che venga annessa alla Germania. Forse così poi potrebbe toccare anche al Sudtirolo. Potrebbero tornare tutti tedeschi.

I più anziani sono meno entusiasti, soprattutto perché la dottrina nazista è così violentemente nemica della religione cattolica. Ma ci sono anche tentativi di abboccamento ufficiali: l’avvocato Eduard Reut-Nicolussi, storico patriota locale da anni rifugiatosi oltreconfine, incontra Hitler chiedendogli di considerare la questione sudtirolese. Il Führer dichiara ancora una volta che è un problema di politica interna italiana e che non vuole interferire.

I giovani non gli credono. «È solo una strategia» sostengono, testardamente attaccati al loro nuovo eroe. E all’inizio del 1933 esultano, quando arriva la notizia che ha vinto le elezioni. La stampa locale completamente controllata dal regime mantiene un basso profilo: Adolfo Hitler assume in Germania il cancellierato, titola «La Provincia di Bolzano» il 31 gennaio 1933. Ma la foto del suo arrivo alla Cancelleria, in piedi nell’automobile scoperta, passa di mano in mano. Comunica ai sudtirolesi una sensazione di forza, di un destino che sta per compiersi dando inizio a un’epoca nuova.

«È solo questione di tempo.»

Nel settembre dello stesso anno la situazione però precipita. Viene nominato prefetto di Bolzano il giovane e fascistissimo Giuseppe Mastromattei. Mette fine alle ambiguità ordinando perquisizioni, fermi di polizia, condanne al confino per chi porta croci uncinate, espone bandiere tedesche o inneggia al Führer. Nel luglio del 1934 il cancelliere austriaco Dollfuss viene assassinato dai nazisti. Il fatto segna il punto più basso nei rapporti tra Hitler e Mussolini, da anni in ottimi rapporti con Vienna.

Nello stesso anno il dittatore italiano incontra il nuovo cancelliere austriaco Kurt von Schuschnigg per siglare un altro accordo di collaborazione tra i due Paesi. Fra le condizioni c’è la non ingerenza nella questione sudtirolese. I giornali italiani ne parlano come dell’ennesimo successo diplomatico del Duce: la rabbia e la delusione convincono molti dubbiosi che la Germania di Hitler è l’unica salvezza.

La morsa del fascismo sulle attività filonaziste si stringe. I carabinieri fanno continue irruzioni alla ricerca di riunioni e assemblee sovversive. Compaiono le prime scritte sui muri che inneggiano al Führer, nel giro di poche ore vengono cancellate con una mano di intonaco e qualche giorno dopo vengono ridipinte nello stesso posto. I «successi politici» di Hitler non fanno che diffondere ottimismo.

Nel luglio del 1933 in Germania sono stati sciolti tutti i partiti, tranne ovviamente la NSDAP. Il Parlamento non esiste più, neanche fisicamente dopo l’incendio del Reichstag. Ancora una volta, i sudtirolesi interpretano le notizie a modo a loro: Hitler non dovrà mediare con altre forze politiche quando deciderà di liberarli.

La svolta però è il plebiscito nella Saar, il territorio istituito nel 1920 dal Trattato di Versailles e assegnato alla Francia sotto il controllo della Società delle Nazioni. Il 13 gennaio 1935, con un referendum, la popolazione può decidere se tornare o meno alla Germania. Il 91 per cento vota sì. «Oggi la Saar, domani noi» diventa il motto degli attivisti sudtirolesi. Hitler è riuscito a riconquistare un pezzo di patria al grande progetto del mondo germanico unito, al Deutschtum, fa notare la propaganda filonazista.

La notte del 13 gennaio 1935, drappelli di giovani locali si organizzano in segreto. È il momento di un gesto forte. Un messaggio per i fascisti: avete i giorni contati. E uno per Hitler: Führer, vienici a prendere.

Un razzo esplode nella notte, dalla riva dell’Adige, e si alza brillante nel cielo. È il segnale.

La valle intera si sveglia. In ogni paese gli abitanti escono dalle case, guardano le montagne, qualcuno turbato, qualcuno entusiasta. C’è chi intona un canto. I pendii sono disseminati di fuochi brillanti. A forma di enormi croci uncinate.

La mattina dopo i muri sono fioriti di scritte: «Oggi la Saar, noi tra un anno» si legge dappertutto; decine di pareti sono state dipinte coi colori del Reich, come pure gli argini dell’Adige. Sui manifesti con la faccia del Duce sono comparse grandi svastiche.

Eredità
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