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«Quell’uomo non fa per te!»
Sono le otto del mattino e il cielo è blu sopra Pinzon. Il sole splenderà tutto il giorno sulla grande festa che si sta preparando. Le campane della chiesetta suonano a distesa, la porta è spalancata e i fedeli affollano le vecchie panche di legno. È l’8 aprile del 1902, e con questa giornata gioiosa si conclude una lunga battaglia per Rosa, che ha appena compiuto venticinque anni. Ha avuto la meglio. Ha vinto. Si sposa con Jakob. Suo padre ha ceduto. Anche se non ha accettato di accompagnarla all’altare, in un ultimo gesto di dissenso.
Così Rosa, nel suo lungo abito di seta nera, entra in chiesa al braccio del cognato Emil von Leys. È ugualmente radiosa. Porta tra i capelli una corona di mirto, simbolo dell’amore che sconfigge la morte. Vicino agli inginocchiatoi e a due poltroncine di velluto rosso, Jakob la fissa con occhi neri pieni di fervore.
Il reverendo Andrealta sfoggia il sorriso delle grandi occasioni, in piedi davanti allo storico trittico dipinto nel Quattrocento da Hans Klocker. Ha le braccia leggermente aperte, come se volesse accogliere la felicità della giovane coppia.
Rosa fa scorrere lo sguardo sui presenti. Ci sono le sue sorelle, prima fra tutte quella a lei più vicina, Luise, con il marito Johann Tiefenbrunner. Con lei Rosa ha condiviso tutto, ha solo quattro anni di più ma è già madre di famiglia e insieme al suo sposo si interessa della proprietà di Entiklar. Poi c’è Antonia con il marito Franz Mall, di Salurn. Anna Maria, che ha sposato un ministro del governo austriaco, Hans Haueis. Johanna Josefa, con il dottor Sembianti di Kurtatsch. Infine la minore, Auguste, chiamata Gusti, che ha appena compiuto ventidue anni ed è ancora nubile. In famiglia si dice che un noto militare di Innsbruck le faccia una corte assidua. Rosa le sorride pensando: «Presto, mia cara, anche tu conoscerai le gioie dell’amore».
Infine, la ragazza ferma lo sguardo sulla figura dritta in prima fila, l’uomo dalle sopracciglia aggrottate che sta controllando l’ora sul bell’orologio da taschino dalla catena d’oro, fatto venire apposta dalla Svizzera. Suo padre Johann indossa un bell’abito da cerimonia nero, reso meno severo da un jabot di seta grigia. Rigido e serio come si addice a un patriarca, quando si volta a guardarla Rosa può scorgere comunque nei suoi occhi un po’ di commozione. La sua bambina, la sua preferita lascia la casa. Certo, già da anni risiede a Pinzon, ma da oggi apparterrà a suo marito, non più a suo padre.
In realtà, lei sarà sempre padrona di se stessa. Lo dimostra la determinazione con cui ha ottenuto quel che voleva. Aveva donato il proprio cuore a Jakob e nulla è riuscito a farle cambiare idea.
«No» è stata per anni la risposta di Johann. «Quel ragazzo non entrerà mai nella famiglia. Non ha terreni, è povero. I suoi hanno una buona reputazione, ma non fa per te.»
Rosa non si è scoraggiata. Ma il tempo per convincere suo padre non era infinito, anche lei voleva dei bambini.
Una sera, alla fine di gennaio dell’anno precedente, è andata nella cappella di famiglia nella chiesa di Pinzon. Si è inginocchiata e ha pregato Dio di darle la forza per un ultimo tentativo. E di stendere la Sua mano per aiutarla nell’impresa da cui dipendeva il suo futuro. E come se la Madonna di Loreto, da sopra l’altare, le avesse parlato, ha avuto un’illuminazione. Ha capito cosa doveva fare.
È andata a Entiklar il giorno dopo e ha trovato Johann nel salone in cui ama riposare. Si è seduta accanto a lui e gli ha parlato con voce chiara e ferma: «Padre amatissimo, vengo a farvi per l’ultima volta una richiesta».
«Lo so, Rosa, lo so. Ma non ho cambiato idea e non la cambierò.»
Ma lei non si è lasciata scoraggiare. Suo padre è un uomo giusto, onesto. È anche devoto e sa che gli uomini propongono, ma è Dio a decidere.
«Sono andata a pregare nella nostra cappella.» Rosa gli prende la mano, già macchiata dalla vecchiaia. «E ho chiesto consiglio a Dio. Egli, nella sua bontà, mi ha ispirato.»
Johann si fa più attento. La fede non è cosa da poco in una famiglia tirolese, tanto più nella loro. Dio è onnipresente, e anche la Chiesa lo è.
«Ho visto un uomo, vestito di bianco, come un penitente» prosegue Rosa. «E di fronte a lui stava la Morte, nel suo mantello. L’uomo stava per entrare in una tomba di pietra. E ha detto alla Morte: “Con me parte l’ultimo della mia stirpe”.» Rosa sa di aver toccato la corda più sensibile del patriarca. Ha settantatré anni ed è vedovo da venti. Ha visto molti dei propri figli morire. Che colpe ha commesso per avere pagato un tale prezzo? È stato troppo arrogante? Rosa sta un po’ barando. Suo padre non sa che lei ha visto, di nascosto, gli schizzi per l’affresco che vuole commissionare al famoso pittore locale Stoltz. Andrà sul muro di sinistra della cappella, con un amaro cartiglio: «Nella sepoltura entra l’ultimo discendente dei Tiefenthaler».
Rosa gli legge sul viso che lo ha colpito. Johann ha conficcato nel cuore un dolore inconsolabile per la sua stirpe interrotta. Il suo nome muore con lui. La sua memoria sopravviverà solo se sarà tramandata da coloro che lo amano.
«Padre, che Dio vi mantenga tra noi tanto a lungo quanto la Sua bontà desidera. Ma anche quando deciderà di richiamarvi a sé, il vostro nome non morirà mai, perché è nel cuore dei vostri figli. E la vostra forza si trasmetterà alla discendenza tutta. Anch’io voglio essere madre di figli che saranno fieri del sangue che scorre nelle loro vene.»
Lui è rimasto in silenzio. L’ha guardata a lungo, ha scosso il capo, l’ha accompagnata alla porta. Rosa è tornata a casa con le spalle curve, e ha pianto tutta la notte. Le è mancato persino il cuore di confidare tutta la sua delusione all’alto crocifisso nella sua camera da letto. Scendendo per cominciare il lavoro del nuovo giorno, dopo poche ore di sonno agitato, si sentiva stanca e sfiduciata come una vecchia.
Poi, qualche giorno più tardi, mentre sedeva nella Stube assieme a Jakob e a sua sorella Gusti, venuti a confortarla, è arrivata una lettera in cui suo padre la chiama col nome affettuoso che le dava da bambina. Quella lettera cambierà il suo destino.
Entiklar, 2 febbraio 1901
Cara Rospe,
l’altro ieri abbiamo parlato dei tuoi propositi e del tuo futuro. Ho deciso di dare a te e al tuo pretendente Jakob Rizzolli il mio consenso, di accettarlo all’interno della nostra famiglia come mio genero.
Esigo però quanto segue: Jakob Rizzolli deve frequentare la scuola di agraria di Sankt Michael, senza perdere tempo, anzi sfruttandolo al meglio, e guadagnandosi il rispetto dei suoi insegnanti e superiori. Dovrà poi lavorare per un breve periodo, preferibilmente, ma non necessariamente, in un’azienda che produce e vende vino.
Deve inoltre migliorare la sua abilità nel muoversi in società, le maniere eleganti, la capacità di trattare e di instaurare buoni rapporti con gli altri, tutte qualità indispensabili per un uomo che voglia essere accettato in una casa come la nostra. È fondamentale che possa garantirti una vita ancora migliore di quella che hai avuto nella mia dimora. Solo in questo modo potrà imporsi agli occhi di tutti come una persona di valore e di alta qualità morale. Inoltre pretendo da lui sobrietà, laboriosità a casa e fuori; si deve occupare con zelo di ogni aspetto: la dimora e i campi, la stalla e le cantine. Deve sempre chiedere consiglio, prestando ascolto e mostrando ragionevolezza, alle persone preparate e più esperte di lui. Deve inoltre andare sempre a messa nei giorni di festa.
Non deve passare il suo tempo a tirar tardi in osteria, a casa c’è bisogno di lui ed è lì che deve stare.
Quello che con più forza pretendo da lui è un comportamento corretto e deciso nei confronti di tutti. Considero le liti e le discussioni atrocità morali.
Voglio che vada d’accordo con tutti, anche con le persone con cui ha rapporti di lavoro, deve sempre porsi in modo garbato ed essere socievole. Così si viene amati e rispettati da tutti, e anche aiutando il prossimo secondo le proprie capacità, con consigli e con azioni concrete, risparmiando sulle spese per se stessi per dare e donare agli altri, senza mai anteporre i propri interessi a quelli altrui.
Infine è della massima importanza che sia con me come un angelo buono, venendo incontro alle mie necessità con cura e con amore e imparando ad apprezzare ciò che faccio. Trattarmi sempre con gentilezza e disponibilità, in breve: fare tutto ciò che mi può rendere felice. Il tempo che mi resta è un tempo sereno della vita. Merito e desidero giorni felici, come ricompensa per l’indescrivibile dolore che ho vissuto e per tutti i sacrifici che ho fatto per amore della mia famiglia. Mi sono privato di ogni piacere e di ogni comodità, e chiedo nei miei confronti deferenza e rispetto.
Solo col tempo si ottengono risultati, ma se si saprà tenere questo comportamento la benedizione di Dio scenderà su tutta la casa.
Dovrà mostrarsi di animo nobile e generoso nei confronti di sua moglie: nella sua vita, una madre deve sopportare grandi fatiche, e pertanto ogni madre dovrebbe essere trattata con assoluto rispetto.
I figli, frutto del matrimonio, dovranno essere educati all’umiltà e non dovranno essere viziati, neanche da piccoli. Bisogna mostrare autorità, e fin da subito vanno avvicinati ed esortati al lavoro. Solo in questo modo il lavoro sarà percepito come un piacere, e la famiglia manterrà il suo benessere.
A chi lavora non mancherà di certo il pane, mentre chi ozia avrà sempre fame, così si legge nelle Sacre Scritture. Figlio, segui il consiglio di tuo padre e osserva le leggi di tua madre, così sta scritto. Le persone oneste vengono aiutate e rispettate ovunque, e ricorda che sul lavoro e nel commercio bisogna mantenersi corretti e pacifici. È importante sapere e volere riflettere, solo così si è padroni di sé, amanti della giustizia, capaci di opere buone nel perseguire le quali si realizza la felicità più grande, evitando tutto ciò che possa causare danno. Liti e discussioni distruggono la felicità della casa, la pace invece migliora ogni cosa. Che la pace sia con voi, vi auguro ogni bene possibile, benessere e serenità familiare. Che il favore del Signore vi possa accompagnare.
Miei cari, adesso vi trovate di fronte a due vie, una di rose e l’altra di spine. Per mantenersi sempre e solo sulla buona strada, cercando quindi di non sbagliare mai, serve un carattere molto, molto forte, bisogna mostrare onore e fermezza, perché niente vi possa mai distogliere dalle vostre scelte.
Se seguirete e realizzerete tutto questo, il che è in realtà abbastanza semplice, allora avrete conquistato il mio cuore. Ma se non lo farete, sentirete la mia ira.
Vi mando i miei migliori saluti,
con amore il vostro padre Tiefenthaler
Desidero che questa lettera sia conservata e riletta per indurvi a riflettere.
Rosa ha letto più volte la lunga missiva, dapprima incredula e un po’ spaventata, poi sempre più raggiante. Gli occhi pesti per il poco sonno e le troppe lacrime di quei giorni si sono illuminati. E in quel pomeriggio gelido, all’improvviso il più bello della sua vita, avrebbe voluto uscire nella neve, correre e urlare, sventolare le pagine che le garantivano il diritto alla felicità. In silenzio ha dato i fogli a Jakob con un groppo in gola. La sorella Gusti si è alzata per leggergli da sopra la spalla.
Mentre lo sguardo di Jakob scorreva sul foglio Rosa ha visto nei suoi occhi prima lo stupore, poi un moto di rabbia: le parole di Johann sono dure e persino umilianti. Ma se l’obiettivo che ti poni è ambizioso, devi essere pronto ad accettare anche condizioni pesanti. Infine Jakob ha annuito. Gusti è uscita, lasciandoli soli.
A lungo, nessuno dei due ha parlato.
Ora, mentre cammina verso l’altare, in questo giorno di festa davanti a Dio e agli uomini, Rosa porta la lettera di Johann con sé, ben piegata, nella borsetta di seta che ha al polso. Insieme c’è la copia di un’altra lettera.
Pinzon, 4 febbraio 1901
Mio buono e generoso padre,
come devo, come posso ringraziarvi per l’immensa gioia che mi avete dato in questi giorni, voi che siete il migliore dei padri?
No, come potrei trovare parole sufficienti a esprimere la mia gratitudine come meritate, una gratitudine che è impressa in modo indelebile anche nel mio cuore?
A perenne dimostrazione di questa gratitudine voglio dimostrarvi sempre amore, preghiera, obbedienza. E potete essere certo che manterrò la parola finché avrò respiro.
Ah, carissimo padre, non potete credere quanto avete reso felice vostra figlia dando il consenso al nostro matrimonio.
Era da tempo che volevo aprirvi il mio cuore ma, pur con tutta la buona volontà, perdonatemi, non ci ero mai riuscita.
Nonostante l’amore che ho per Jakob non l’avrei mai sposato senza la vostra benedizione. A che valgono infatti tutto lo sfarzo e la ricchezza del mondo: se manca la benedizione paterna non ci può essere felicità sulla terra del Signore.
Com’era felice e beato ieri Jakob, quando gli ho comunicato l’inaspettata lieta notizia. Non riusciva quasi a credere che gli potesse essere toccata la grossa fortuna di entrare a far parte della famiglia Tiefenthaler. Devo ringraziarvi moltissimo di cuore anche a nome suo, poi lo farà lui di persona.
La sera che ricevetti la vostra cara lettera fu aperta all’istante e letta ad alta voce in presenza di Jakob e di Gusti. Nessuno di noi tre riuscì a trattenere le lacrime, per come ci avete dipinto il futuro, in modo così bello e istruttivo. Promettiamo entrambi, caro padre, di seguire i nobili consigli che ci avete dispensato a fin di bene, e di sforzarci di percorrere quel roseo cammino, seguendo l’esempio dei nostri antenati affinché possano toccare anche a noi, piaccia a Dio, la pace domestica e la benedizione divina di cui hanno goduto loro.
Prima di finire, ancora un grazie sincero, padre mio amatissimo, per i vostri auguri e la vostra benedizione.
Conserveremo sempre la vostra lettera a cara memoria e la leggeremo, spesso, anzi spessissimo, perché avete scritto tutto solo per il nostro bene. Vi bacio le mani con sincero amore, carissimo padre,
Vostra figlia Rosa,
sempre in debito di gratitudine
Rosa si siede e Jakob le prende la mano. Il parroco comincia a parlare, rendendo omaggio al matrimonio cristiano, alla magia dell’amore terreno, al miracolo della nuova vita nell’unione feconda.
Il pensiero di Rosa corre alla grande assente in quella cerimonia. Anna, sua madre, le manca. Da tanto tempo. Aveva quattro anni quando è morta, nel 1881, dopo aver dato alla luce l’ultimo dei suoi figli. A quarantatré anni, dopo sedici gravidanze, era una donna sfinita.
Rosa ricorda bene la sensazione di essersi sentita perduta nel castello di Entiklar, all’improvviso troppo grande, troppo freddo e troppo vuoto. Non avrebbe più visto il volto fine e serio della mamma, non avrebbe più nascosto il viso nelle pieghe lucide e tese dell’abito azzurro di raso e velluto che lei indossava nei giorni di festa. Negli anni successivi, le governanti autoritarie a cui il padre affidava la tribù dei figli l’avrebbero definita una bambina ribelle.
Il mento di Rosa si alza in uno scatto di orgoglio. Tutte quelle ore in castigo, chiusa fuori sul balcone di Entiklar, al freddo: ma alla fine ha vinto lei. È signora della propria casa, veglia sulle terre di suo padre, e ha conquistato il proprio uomo. La riscuote dai suoi pensieri il canto dei fedeli, e arrossisce un po’ per essersi distratta. Sua madre non avrebbe certo approvato. Ascolta compunta le letture e l’omelia, in attesa del momento più importante.
Per un attimo il silenzio cala sulla cappella, e solo il canto degli uccelli entra dalla porta aperta. Le donne guardano intente l’altare, molte con gli occhi un po’ lucidi, e gli uomini, immobili, tengono in mano il cappello. Il reverendo Andrealta sorride a Rosa e Jakob. Loro sentono appena le sue parole, troppo presi uno dall’altro.
I loro «ja» chiari e decisi si mescolano e prendono il volo nell’aria tiepida della primavera. E il vincolo che li unisce è pieno di forza, di gioia e di speranza.
Più tardi, quando sarà sola davanti alla prima pagina del suo diario, Rosa scriverà in tono misurato:
È cominciata la parte seria della vita, ho smesso i miei abiti da ragazza per seguire il mio cuore. Ho venticinque anni, età in cui non si può certamente essere definiti una bambina e tuttavia lo stato di donna sposata mi fa paura. Il matrimonio è senza dubbio un passo difficile, una grande lotteria: chi ci guadagnerà? Il buon Dio che dispone del destino degli uomini sa quel che attende le sue creature. Ma quando s’incontrano due cuori che si capiscono e dividono le gioie e i dolori, il matrimonio non è così difficile, perché ogni condizione ha i suoi piaceri e i suoi fardelli.
Mi sono sposata il 15 luglio 2000, quasi un secolo dopo la mia bisnonna, al municipio di Montan, a due chilometri da Pinzon. Diversamente da Rosa, non ho dovuto superare alcuna opposizione da parte di mio padre Alfred, anzi, raramente lo avevo visto felice come quel giorno. Né lui né mia madre hanno mai insistito perché noi figli ci sposassimo, né ci hanno fatto alcuna pressione perché seguissimo un percorso di vita tradizionale. E Alfred, quel giorno, non sorrideva perché mi sposavo, ma perché sposavo un uomo che gli piaceva e che mi rendeva felice.
Anche mia madre Herlinde era contenta, per quanto io abbia sempre pensato che non ci sperasse più, di vedermi formare una famiglia. Io sembravo la figlia destinata a una vita un po’ irregolare, alla carriera e ai viaggi che anche lei da ragazza aveva sognato. Ma di sicuro non le dispiaceva questa svolta degli eventi, senza contare che Jacques, il mio sposo francese, aveva conquistato anche lei. Generosamente Herlinde si fece carico di una mole di lavoro, tra allestimenti, cerimonia e ricevimenti, che avrebbe spaventato un generale prussiano. Mia sorella Micki intanto mi impediva di cedere allo stress, la notte prima delle nozze dormii in casa sua per sentirmi un po’ coccolata. Non avrei mai pensato che il matrimonio, alla mia età, potesse dare tanta ansia. Invece sì. Per non complicare le cose avevo persino rifiutato la gentile offerta del mio parrucchiere e amico di Roma, Roberto D’Antonio, di venire a prepararmi per il grande passo. Uscii così di casa splendidamente abbigliata nel vestito di seta color cipria dono di Giorgio Armani, ma con i capelli raccolti e fermati alla buona da una pinza. Roberto, quando vide le foto sulle riviste con l’atroce pinza in bella evidenza, minacciò di disconoscermi.
La fotografa ufficiale era Francesca Witzmann, a cui va il merito di avermi immortalata felice e leggera nonostante la giornata impegnativa. In più, erano presenti al lieto evento un esercito di paparazzi. Li teneva lontani un servizio d’ordine di Schützen e carabinieri, una collaborazione che ovviamente non avrebbe avuto senso ai tempi della mia bisnonna. E che sarebbe stata impossibile anche nel Sudtirolo sconvolto dalla repressione fascista.
Può sembrare ovvio che mi sia sposata in Sudtirolo. Non lo era. Io vivevo a Roma, Jacques a Parigi, avremmo potuto organizzare le nozze altrove, ma anche mentre valutavo soluzioni alternative sentivo che per questo evento importante volevo tornare a casa. Sorrido leggendo nel diario che Rosa dopo la cerimonia va a festeggiare nella Stube di suo padre perché è quello che ho fatto anch’io. Solo che nella mia casa non c’era una Stube tradizionale e il ricevimento si svolse in giardino, con gli aperitivi in terrazza e i gazebo bianchi montati per la cena nel prato sottostante.
Come per Rosa, alcuni ospiti arrivarono da lontano, una variopinta compagnia volata a festeggiarci da Stati Uniti, Francia, Spagna, Gran Bretagna, Giordania, Austria e così via. Il giorno dopo li portammo a Entiklar per una delle nostre merende sudtirolesi e per far loro visitare il famoso parco che già Johann mostrava agli amici e anche ai turisti. Come a Pinzon, infatti, i muri del castello sono decorati con affreschi dai temi naturalistici e religiosi, pieni di ironia. E non solo: attorno al laghetto Johann ha popolato ogni roccia e cavità di sculture, un mondo di personaggi bassi e tozzi, di animali fantastici. Suscitarono molta curiosità nei nostri ospiti, così come la suscitavano nei paesani e nei forestieri a cui il vecchio Tiefenthaler in persona faceva da guida. Oggi di questa incombenza si occupa, con grande spirito ed entusiasmo, il suo bisnipote Herbert Tiefenbrunner, tuttora uno dei migliori produttori di vini della zona.
Come Rosa ebbi i miei musicisti, un quartetto di jazzisti scelti da mio fratello Winfried. Suonò per me anche lui, con il suo ricco repertorio, da Chet Baker a Paolo Conte, quest’ultimo per la gioia di mia suocera Georgette. Come la bisnonna danzai un valzer con mio marito, ma noi passammo quasi subito al rock’n’roll. E il cibo sulla tavola dei nostri rispettivi ricevimenti dev’essere stato molto simile, dallo speck alla Weinsuppe servita nelle mezze pagnotte integrali, dai funghi ai formaggi locali e alle carni. Per Rosa sarà scorso in abbondanza il vino di Johann mentre il mio brindisi fu a champagne, ma d’altra parte suo marito non era francese.
Rosa e Jakob, nel 1902, sicuramente si dissero «ja». Nel 2000 io dissi «oui», e Jacques disse «sì», ma non eravamo molto diversi da loro, in quel momento.
È stata una bella festa. Ricca di gioia, risate e buon vino. Sono le cinque del pomeriggio e Rosa si accomoda nel confortevole scompartimento di prima classe riservato a lei e al suo sposo. È finalmente sola con Jakob, l’uomo che ha scelto siede al suo fianco sul sedile di velluto rosso e le prende la mano. Rosa ama sentire le dita forti di lui che stringono le sue e ora sa che nulla, se non la morte, scioglierà questo intreccio. Negli occhi scuri di Jakob, così bello nel suo abito nero, legge il desiderio, ma anche l’impegno per il futuro che li aspetta.
Johann ha stretto Rosa al petto con amore prima che salisse sulla carrozza diretta alla stazione. Allo stesso modo ha abbracciato suo genero, sussurrandogli all’orecchio: «Prenditi cura di mia figlia!». Il tono era commosso ma severo. Lui conosce bene la sua piccola Rosa, è determinata. Addirittura testarda. Quando le governanti per punirla la chiudevano fuori sul balcone, a Entiklar, lei non piangeva nonostante il freddo glaciale. Voleva Jakob, si dice il patriarca, ebbene lo ha avuto! Spera con tutto il cuore di non aver sbagliato a concederglielo, per amor suo ma anche della terra che le ha affidato.
Il treno si mette in movimento, e il fischio della locomotiva a vapore per Rosa è come un lungo sospiro di libertà e orgoglio, venato di una grande impazienza. Sa che tra le braccia di Jakob diventerà una donna. Vuole essere madre, perché Dio che ha creato gli uomini e le donne così ha deciso. E vuole un maschio, un erede. Una posta importante, tanto più che la sorella Luise quattro anni prima ha dato alla luce il piccolo Hans, per la gioia di suo marito e del padre.
Appoggia la testa sulla spalla di Jakob e chiude gli occhi. È sicura che sarà una buona madre ma per questo ci sarà tempo. Si lascia cullare dai pensieri e dai sussulti del treno. Finché Jakob la sveglia dolcemente: «Siamo arrivati».
Sono a Mori, nessuno dei due si è mai spinto tanto a sud. Pochi chilometri più in là c’è l’Italia, un Paese che cresce alle porte dell’Impero e rivendica terre che la corona degli Asburgo per lungo tempo ha considerato proprie. In carrozza arrivano infine a Riva, sul lago di Garda. È l’una del mattino, ma i padroni dell’albergo Bayrischer Hof li stanno aspettando e li conducono subito nella loro camera. Nel diario Rosa scriverà:
Il mattino seguente siamo andati fino a Desenzano col battello a vapore. È stato un viaggio stupendo, con il cielo azzurro e il sole che splendeva. Erano più di trenta le coppie di sposi in viaggio di nozze sulle acque limpide del lago di Garda. Avevano tutti i volti sorridenti di autentica e pura felicità perché quelli sono i giorni delle rose. «Oh, se restassero verdi per sempre i bei giorni dell’amor giovane!»
Il viaggio di nozze prosegue verso Verona, poi finalmente Venezia. Alloggiano all’hotel Panada, di fianco a piazza San Marco. Mano nella mano, fanno lunghe passeggiate per la città dei dogi, scoprono la Laguna, si siedono al tramonto a guardare la chiesa di Santa Maria della Salute, e in lontananza la basilica di San Giorgio Maggiore.
Rosa è incantata da quella ricchezza di storia e di arte, dalle facciate decorate dei palazzi antichi che fanno della città un museo a cielo aperto. «Questo è il Paese dove scorrono latte e miele, dove maturano le dolci spighe, dove fioriscono i limoni» scriverà nel suo diario riecheggiando Goethe e la Bibbia, le letture della sua giovinezza. Spera che nella nuova vita da donna sposata ci sarà tempo per i libri, i giornali, la scrittura, per lei sono molto importanti.
Prima di rientrare in Sudtirolo è obbligatoria una tappa a Padova, dove Rosa ci tiene a pregare nella chiesa di Sant’Antonio. Poi prendono il treno per Rovereto.
«Sono felice di tornare a casa nostra» sospira Rosa.
«Anch’io, tesoro, anch’io» annuisce Jakob. In fondo al cuore, sa che la sfida sarà dura. Farsi accettare in un clan unito e forte come quello dei Tiefenthaler è una bella impresa.
Rosa intuisce le sue inquietudini. Ma lui riuscirà a conquistarsi un posto in famiglia. Ne è certa. E lo vuole.