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L’ultimo sguardo al Kaiser
Al binario della stazione di Neumarkt, Rosa sente che suo marito è nervoso. Lo è un po’ anche lei, ma è emozionata e contenta di partire. Appoggia il viso sul petto forte di lui, che la cinge con le braccia: «Andrà tutto bene, tornerò presto» gli dice. I facchini salgono nello scompartimento con i suoi bagagli. Non viaggia leggera: parte per un soggiorno breve ma vuole essere elegante, sta andando a Innsbruck, la capitale del Tirolo. È la fine di agosto del 1909.
Rosa parte sola. Ha bisogno di allontanarsi per un po’ dalle tensioni di troppi mesi. La ripartizione dei beni di suo padre sta per concludersi e ormai è tranquilla. Lungo tutto il difficile processo Jakob ha avuto fiducia in lei e l’ha sostenuta.
Prende posto nello scompartimento proprio mentre il treno parte e saluta a lungo Jakob. Appoggia la testa sul cotone bianco che copre la sommità dello schienale di velluto rosso. Chiude gli occhi, felice di non pensare a nulla. Non affronta uno spostamento così lungo dal viaggio di nozze, nel 1902. In sette anni è cambiata molto e ha la sensazione che attorno a lei anche il mondo stia per cambiare.
Nel teatro europeo si scontrano sempre più forti rivalità antiche, e nelle grandi capitali come Vienna, Berlino, Mosca i dibattiti sulla stabilità dei vecchi imperi si fanno più accesi. I popoli vivono in pace dall’ultima grande guerra, nel 1870, tra Francia e Prussia, ma voci allarmanti mettono in guardia su un nuovo possibile conflitto. La stampa parla di riarmo, dell’aumento delle spese militari, di una deriva inarrestabile.
Anche i giornali di Bolzano e della provincia riportano sempre più spesso liti fra diverse fazioni, giovani che cantano l’inno nazionale tedesco aggrediti da gruppi di italiani, o viceversa. Spuntano bandiere dappertutto, i muri fioriscono di scritte intimidatorie e insulti, le chiacchiere politiche in osteria degenerano facilmente in rissa. Tutti hanno un coltello o qualche arnese in tasca: se dai pugni si passa alle stoccate ci può scappare il morto. Le mogli a casa cominciano a essere preoccupate quando i mariti si attardano per un bicchiere. Anche Rosa non è tranquilla.
A Innsbruck la attende la sorella Gusti. Rosa l’abbraccia con trasporto. Non l’ha più vista dalle sue nozze con un ufficiale dell’esercito imperiale, il tenente Karl von Larcher, il 12 maggio. Dal viso radioso con cui guarda il marito, è chiaro che la sua sorellina è felice, e che anche per lei la luna di miele non è ancora finita.
«Sono così contenta di essere qui. Come sta Karl?»
«Bene, sarà lieto di vederti.»
«Ci sarà davvero l’imperatore, come hanno scritto i giornali?»
«Il nostro buon Kaiser farà di tutto per compiacere il suo popolo in Tirolo. Gli anni gli pesano, ma verrà, ne sono sicura.»
L’anno prima Francesco Giuseppe, l’imperatore, ha celebrato con gran pompa il suo giubileo, sessant’anni di regno. Rosa è andata a Bolzano con Jakob, una giornata di svago speciale. Hanno cenato, bevuto, guardato la gara di tirassegno organizzata per l’occasione. Il ricordo la intenerisce e vorrebbe che il marito fosse lì con lei.
Le due sorelle salgono su una carrozza e si addentrano per le vie della città, incoronata dal verde delle montagne. Le facciate dei palazzi grondano degli stendardi rossi e bianchi del Tirolo, migliaia di aquile imperiali le guardano dalle bandiere. I colori degli Asburgo dominano ovunque.
La carrozza passa di fronte al Neuer Hof, con il suo balcone dalla copertura rivestita d’oro, il Goldenes Dachl, che è il simbolo della città e della sua ricchezza. Poi prosegue verso la Hofburg, la sede imperiale. Per fermarsi finalmente dinanzi a un bel palazzo di cui la giovane coppia occupa un intero piano.
«Eccoci a casa» dice Gusti con una certa fierezza, entrando. L’appartamento è ampio e pieno di luce, arredato secondo il moderno stile viennese, con mobili dalle linee pulite ed eleganti. Non mancano gli specchi, che lo fanno sembrare ancora più grande. Rosa appoggia il cappello su un tavolino e nonostante l’ambiente ben diverso da quello a cui è abituata si sente a casa. È nel cuore del suo Tirolo, e domani vedrà l’imperatore.
Il giorno dopo, il 29 agosto 1909, Rosa e la sorella escono di buon mattino. Karl è partito ancora prima per unirsi agli ufficiali che scorteranno il Kaiser. La città è gremita da una folla compatta accorsa da tutto il Tirolo, piena di gioia e orgoglio.
Rosa si sente invadere da un sentimento nuovo. Si è sempre interessata alle vicende del mondo, anche se le cure quotidiane della proprietà la appassionavano di più dei giochi astratti della politica. Ascoltava i racconti del padre sulla situazione europea, quando Johann tornava dal Weinritt o da altri viaggi, e tutti i giorni legge i giornali. Questa mattina però tocca con mano una dimensione importante della sua esistenza, quella dell’identità nazionale e della solidarietà che la lega al suo popolo.
«Andiamo a vedere la statua» propone alla sorella, e si dirigono verso il parco che guarda la città dall’alto del monte, il Bergisel. L’imperatore e il suo seguito se ne sono appena andati, e il prato di fronte all’alta scultura di bronzo è letteralmente coperto da corone di fiori. Le due donne si soffermano ad ammirare il personaggio dalla corporatura robusta e dal volto barbuto con due stivaloni e il cappello di feltro ben calcato in testa. Ha una sciabola alla cintura e sul lato sinistro, dalla parte del cuore, stringe al petto una bandiera tirolese. Ha l’aria di un uomo severo e dominatore e l’indice della mano destra, leggermente inclinato verso il suolo, sembra puntare a un esercito nemico già sconfitto.
«Andreas Hofer» dice Gusti, ed è come un saluto.
«Für Gott, Kaiser und Vaterland», per Dio, l’Imperatore e la Patria, scandisce Rosa, leggendo l’iscrizione incisa su una targa fissata al piedistallo. Andreas Hofer è l’uomo che tutta Innsbruck sta celebrando, l’occasione per cui Rosa è venuta fin lì, assieme sembra a tutto il resto del Tirolo: è il centenario delle sue eroiche imprese.
Hofer era un comune oste della Val Passiria che non esitò a prendere le armi per combattere i bavaresi e i francesi. Nel 1805 l’Impero austriaco, sconfitto, fu costretto a cedere il Tirolo a Napoleone. Nel 1809 Hofer incitò il popolo alla rivolta, non solo contro l’invasore ma contro le idee post-rivoluzionarie e antireligiose che rappresentava. In aprile, si mise a capo dell’insurrezione. Per cinque mesi i rivoltosi tennero testa alla Baviera e alla Francia in battaglie sanguinose, e ne uscirono vincitori. Dopo la decisiva battaglia di Bergisel, Innsbruck tornò libera, e per qualche tempo lo stesso Hofer la governò a nome dell’imperatore. Per poi purtroppo cadere vittima degli accordi di palazzo tra le grandi potenze. Quando nell’ottobre del 1809 Vienna cedette nuovamente il Tirolo alla Baviera con il Trattato di Schönbrunn, l’oste ribelle fuggì sulle montagne. Abbandonato dai suoi partigiani e venduto da un vicino di casa, fu arrestato dai francesi all’inizio del 1810. Napoleone lo fece portare a Mantova dove fu processato e giustiziato. Il Tirolo sarebbe rimasto diviso fino alla caduta dell’imperatore francese nel 1815.
«Ti rendi conto? È stato rinnegato perfino dalle persone per cui lottava» osserva Rosa, pensosa. «Quel trattato ha tradito tutta la sua battaglia, tutto il sangue versato.»
«Vuoi dire che i principi austriaci hanno dimenticato il nostro grande Andreas Hofer?»
«Altroché. Lo hanno sacrificato. E con lui il nostro Tirolo. Se a un certo punto Napoleone non fosse stato sconfitto, il Tirolo sarebbe rimasto diviso in due. E tu, per esempio, magari non saresti mai potuta venire ad abitare a Innsbruck.»
«Ma la gente non lo ha scordato! Guarda che festa si sta preparando.»
Rosa volge lo sguardo alle strade, che echeggiano di musica ed esclamazioni gioiose. Quella folla spensierata celebra l’orgoglio, l’amore per la patria e il coraggio salvifico di un uomo che è stato capace di cambiare la storia. Ma davvero affidarsi al comando di un solo capo è una buona idea? Il pensiero attraversa fugace la mente di Rosa, ma viene subito scacciato. Andreas Hofer non si discute e ora è il momento di godersi la festa. Nel centro di Innsbruck le fanfare e le parate si susseguono senza sosta. Da ogni villaggio sono venute le bande musicali e per strada si possono comprare dolci e oggetti venduti da floride ragazze in costumi tradizionali.
Una voce fa il giro della folla: Francesco Giuseppe è arrivato al palazzo imperiale sulla piazza centrale. Le due giovani donne affrettano il passo, ma tutto quello che riescono a scorgere da lontano sono i pennacchi degli elmi degli ufficiali della scorta. «Karl ci racconterà!» sospira Gusti per consolare la sorella un po’ delusa.
Rosa, comunque, è felice, contagiata dall’atmosfera effervescente: i mortaretti che crepitano, le risate che accompagnano le sorsate di birra e di vino nelle osterie. Nel corso della notte, con gli occhi aperti nel buio per l’eccitazione della giornata, le tornerà in mente un episodio di tanto tempo prima. Suo padre era seduto accanto a lei sul calesse, attraversavano Neumarkt. Passando per la via principale, Johann si era tolto il cappello in segno di rispetto.
«Chi salutate, padre?»
Lui aveva indicato un edificio dalla facciata grigia: «Vedi, figlia mia, quasi cent’anni fa un uomo è passato di qui. Era prigioniero, con le catene ai polsi, i soldati francesi lo guardavano a vista. Ha passato una notte in questa casa, solo, infreddolito, affamato. Nessuno lo ha aiutato, anche se era un uomo coraggioso, onesto e fedele. La mattina è ripartito e qualche giorno più tardi lo hanno messo a morte. Si chiamava Andreas Hofer».
Nel 2012 visito il museo Andreas Hofer di Innsbruck. Una fuga di sale ultramoderne in legno e calcestruzzo, rischiarate da luci soffuse. A duecento anni dalla morte, l’epopea dell’eroe tirolese è raccontata da una videoproiezione che tiene vivo il culto della sua memoria. Guardandola, è difficile non provare la sensazione di assistere al martirio di un giusto e all’assassinio di un ideale. Quello dell’unità e della libertà del Tirolo.
Mentre percorro le strade di Innsbruck, rintracciando i passi della mia bisnonna, mi torna in mente che l’eroe patriottico tirolese una volta mi ha quasi fatta licenziare.
Bisogna premettere che, anche nei nostri tempi moderni, in Sudtirolo prima o poi Andreas Hofer ti tocca. Nessuno sfugge alla retorica che lo circonda. Se appartieni a una famiglia come la mia, che definirei piuttosto illuminata, capiterà di sentirne parlare quasi solo a casa della nonna e alle riunioni dei parenti.
Io da giovane provavo una certa avversione per l’oste della Val Passiria. O meglio, non per lui, una figura storica di tutto rispetto, ma per il patriottismo acritico con cui veniva adornata la sua memoria. In più, dopo aver studiato la Rivoluzione francese, lo vedevo come un reazionario. Avevo ricevuto un’educazione cosmopolita e diffidavo dei localismi.
Purtroppo, anche se non vuoi occuparti di Andreas Hofer, lui si occuperà di te. E come una vendetta della storia, nell’estate del 1984 piombarono su di me i festeggiamenti solenni del 175° della storica battaglia di Bergisel. Lavoravo allora alla Rai di Bolzano di lingua tedesca, redattrice ventisettenne con un contratto a termine. Per l’intera estate avrei dovuto seguire le celebrazioni dell’anniversario, visitando le cime dove si incontravano, tutte le settimane, rappresentanti di diverse associazioni e comunità del Tirolo del sud e del Tirolo del nord. Ogni domenica una cima diversa.
Settantacinque anni dopo Rosa, ma con uno stato d’animo ben diverso dal suo, mi preparavo a onorare la ricorrenza. Dovevo realizzare ogni volta diversi pezzi, per i giornali radio e per il tg delle 20. La Tagesschau, i servizi del telegiornale in lingua tedesca, costituiva anche allora un punto di riferimento politico-culturale importante, e seguire questo evento era d’obbligo. Non si trattava di una responsabilità da poco. Partivamo in auto in tre, tutti giovani: io, l’operatore e il fonico. L’operatore della Val Pusteria era un fine spirito satirico, e le sue battute sul folklore locale contribuivano a rendere più digeribili quelle strade piene di tornanti. A ogni raduno ci toccavano la santa messa, le canzoni patriottiche e i discorsi dei politici. E per fortuna il cibo: grandi tavolate di salsicce, polenta, Schüttelbrot con lo speck e altre delizie.
Avevo scelto di fare la giornalista con grande passione, e per la verità con altri orizzonti in mente. In quei due anni di contratto con la Rai tedesca imparai moltissimo, ma già allora non avevo intenzione di occuparmi per tutta la vita dei problemi della minoranza etnica sudtirolese, dalle norme di attuazione dello Statuto di autonomia alle festività in costume tradizionale. Rischiai di non occuparmi più di niente: evitai di essere cacciata all’istante solo grazie alla forza e alla lealtà del caporedattore di allora, Hansjörg Kucera.
Un giorno, mi ritrovai su una montagna dove si incontravano i giovani dell’Alpenverein Südtirol e dell’Alpenverein Tirol, ovvero i circoli alpini dalle due parti del confine. E pensai di porre una domanda per me ovvia. A centosettantacinque anni dall’eroica insurrezione di Andreas Hofer, a sessantacinque anni dal passaggio all’Italia, a oltre quaranta dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale: che ne pensavano loro, che non avevano vissuto niente di tutto questo, di una possibile riunificazione del Sudtirolo all’Austria?
Ricevetti risposte destinate a dare molto fastidio. I nordtirolesi erano in gran parte favorevoli, ma per una ragione diversa da quella che si poteva immaginare. Per loro si trattava di un ricongiungimento naturale, ma anche di un’espansione verso sud: ciò che apprezzavano non era tanto la germanicità del Sudtirolo, ma al contrario la sua contaminazione con quel che di buono aveva lo stile di vita italiano. I giovani sudtirolesi invece si dichiararono in gran parte contrari a una riannessione. Contenti di vivere in una prospera provincia a statuto autonomo, ben sicuri dei loro diritti sanciti da un trattato internazionale, tutto sommato stavano bene così. Uno addirittura decretò: «Meglio essere straccioni che austriaci». Conclusi così il servizio.
Non appena la sera andai in onda, sulla redazione cominciarono a piovere telefonate degli alti papaveri. Accusavano il servizio di essere tendenzioso e non veritiero. Nei giorni seguenti il dibattito si infiammò, con articoli e lettere sui giornali locali. Ma Kucera difese senza se e senza ma il mio operato, e la libertà della sua redazione. Anche se in privato osservò che avrei potuto incalzare l’ultimo provocatorio interlocutore con altre domande. Negli anni a venire avrei comunque capito che non tutti i direttori hanno la schiena così dritta.
E io? Io ero un po’ inquieta, ma non pentita, perché avevo fatto il mio lavoro con onestà intellettuale. Avevo imparato che comportava dei rischi cercare di infrangere l’idilliaco quadretto alpino a cui si pretendeva di ridurre la mia terra. Ma ero pronta a rifarlo.
Non ero, insomma, molto contrita. E ripensandoci oggi, non sono cambiata granché.
Passa qualche settimana prima che Rosa confidi al suo diario la storia del viaggio a Innsbruck:
Pinzon, 19 settembre 1909
Il 29 agosto la città di Innsbruck ha organizzato la festa per il centenario del patriota Andreas Hofer. L’insolita occasione ha fatto uscire di casa anche me e senz’altro a nessuno è dispiaciuto spendere i soldi del viaggio. Sua maestà, il caro padre della nostra terra, Francesco Giuseppe I, nonostante l’età avanzata, è venuto dai suoi fedeli figli del Tirolo. La gente era arrivata da tutte le parti, con i costumi variopinti, c’era perfino una grossa rappresentanza di trentini del confine. Non si riescono a descrivere tutte le cose interessanti che c’erano da vedere e chi le ha viste avrà un bel ricordo per il resto della vita. Perfino i veterani novantenni si erano messi in marcia con i loro fucili arrugginiti e le divise strappate, e se ne sono ritornati a casa contenti perché hanno visto il loro buon imperatore Francesco Giuseppe.
Sì, l’onore vale più dell’oro e dell’argento, una solennità come questa fa superare qualsiasi difficoltà. Quando cadrà il prossimo centenario i nostri capi saranno putrefatti da un pezzo, ma una nuova generazione seguirà le nostre orme e canterà la stessa canzone dei vecchi.
Gott erhalte, Gott beschütze
Unsern Kaiser, unser Land.
Serbi Dio l’austriaco regno
guardi il nostro imperator.1
A Rosa non resta molto tempo per godersi la vita di una giovane madre di buona famiglia, che sognava di veder crescere i suoi figli nella spensieratezza e nell’agio. Mancano ormai pochi anni allo scoppio della Grande Guerra, che travolgerà milioni di famiglie. La carta dell’Europa sarà ridisegnata, e ancora una volta il Tirolo si ritroverà spezzato e tradito.