Venerdì 8 agosto, ore 14.18
Londra era sempre più lontana, e Liz fece un respiro profondo. A ogni chilometro si scrollava di dosso parte del peso di quella terribile mattinata. Non vedeva l’ora di tornare nel suo cottage a Burton, un paesino al confine con il Galles, una specie di reliquia di un’epoca lontana. Quando aveva accettato il posto all’università di Liverpool, aveva deciso di mettere più distanza possibile tra il lavoro e la vita privata. Non poteva occuparsi tutto il giorno di serial killer e cercare poi, la sera, di pensare ad altro, se restava nello stesso posto. Aveva bisogno di una separazione anche fisica. Aveva bisogno di credere che esistessero realtà diverse, non solo metropoli sporche e rumorose piene di disagio sociale e criminalità. Per questo aveva comprato il cottage a Burton, a mezz’ora scarsa da Liverpool, ma abbastanza lontano da sembrare un altro mondo.
Quel giorno, però, Liz stava facendo fatica a lasciarsi alle spalle il lavoro. Le scene vissute in tribunale continuavano a ossessionarla. Soprattutto quello che era successo dopo, per strada. Liz era uscita dal palazzo di giustizia assorta nei suoi pensieri, rimuginando sulla testimonianza. Aveva temuto che il pubblico ministero, per indebolire la perizia, potesse menzionare il suo passato: il serial killer che aveva catturato con la polizia l’autunno precedente non era una persona qualsiasi, ma suo fratello; e lei non era una profiler qualunque, ma, appunto, la sorella di un sadico assassino. Invece l’accusa non aveva fatto riferimento a quei fatti, proprio come previsto dall’avvocato Faydon.
«Non si preoccupi» l’aveva rassicurata l’uomo prima dell’udienza. «Non succederà. Perché la sua storia potrebbe suscitare la compassione dei giurati e farla sembrare ancora più credibile.»
Ci aveva visto giusto.
Ad ogni modo, Liz uscendo era stata così presa dai suoi pensieri da non far caso né all’afa né ai giornalisti appostati. E nemmeno a Carolyn Simmons, fino a quando non se l’era ritrovata davanti. Prima che potesse dire qualcosa, la donna le aveva sputato in faccia, di fronte a tutte le telecamere e gli obiettivi della stampa britannica. Per un attimo era rimasta impietrita per l’indignazione. Poi si era pulita la guancia con la manica della giacca ed era scappata via.
Intravide le prime case di Burton, rallentò e svoltò nella strada principale. Il suo cottage era un po’ distante dal centro. Parcheggiò e spense il motore. Scese dalla sua Golf climatizzata e venne travolta dall’aria calda, mischiata all’odore di erba appena tagliata e alla brezza salata che arrivava dal mare. Dentro il cottage, per fortuna, faceva fresco. Prese una bottiglia d’acqua dal frigo e bevve fino a quando l’arsura non si placò. Poi andò in giardino sul retro dove l’attendeva una distesa di fiori: ibischi, iris, phlox, speronelle e girasoli. Piantati dal proprietario precedente e curati in maniera impeccabile. Sopra di essi, rami di alberi da frutta già carichi. Un piccolo paradiso.
Il trasferimento in Inghilterra le aveva fatto bene. Lì, infatti, tutti l’avevano presa per quello che era, senza curarsi del suo passato: non era la sorella di un serial killer, ma semplicemente la ragazza che aveva comprato la casa di Donald Moore. Aveva trovato perfino un’amica, Judy, una giovane pittrice che gestiva un bed & breakfast a Neston e appena aveva un minuto libero si sedeva davanti al suo cavalletto. Dipingeva acquerelli meravigliosi: ne aveva regalati due a Liz per il trasloco, e adesso decoravano la parete candida vicino al camino, in salotto.
E poi, da circa un mese, Liz aveva conosciuto David Carlyle, e per la prima volta nella sua vita aveva iniziato una storia normale. David era un medico di famiglia, e aveva uno studio a Chester. Era aperto ed entusiasta, attento con i malati e anche con lei, quando aveva una delle sue giornate storte. Quasi troppo perfetto per essere vero. Liz comunque aveva la sensazione che David non avesse alcuna intenzione di sistemarsi e che amasse la sua libertà. Uno dei motivi per cui si era separato. L’ex moglie viveva a Londra con il figlio, Sam, che ogni due settimane passava il fine settimana con il padre. Facevano un sacco di cose insieme: andavano in piscina, a giocare a calcio o al cinema… Eppure c’era qualcosa che non la convinceva: le sembrava quasi che David lo trattasse come un paziente. O forse era solo gelosa che nella sua vita ci fosse una persona più importante di lei.
Liz sentì il rumore di un’auto, poi una portiera che sbatteva, dei passi e colpi alla porta. David!
«Sono in giardino» disse.
Poco dopo lui comparve sulla soglia. Era così alto che doveva chinarsi per passare. Non sembrava inglese, piuttosto uno scandinavo, biondo con occhi azzurri e fisico allenato.
«Ciao tesoro.» La abbracciò e la baciò. «Certo che oggi hai sollevato un bel polverone!» Sventolò il giornale della sera e poi le accarezzò i capelli. «È stato molto brutto?»
«Be’, insomma, sapevo che con la mia testimonianza non mi sarei procurata degli amici. Certo, l’incontro con Carolyn Simmons all’uscita è stato terribile.» Liz lo guardò negli occhi. «E… e se mi fossi sbagliata? Se fosse stato McGee?»
«Tu hai fatto quello che ritenevi giusto, è questo che conta.» David le diede un bacio sulla testa.
«Sì, ma in un certo senso mi è sembrato comunque sbagliato.»
«Liz, non puoi sempre accontentare tutti, almeno non con il lavoro che fai.»
«Ah, David.» Si aggrappò al braccio del compagno. «Quanto mi piacerebbe vedere il mondo come lo vedi tu.»
David la allontanò e la guardò negli occhi: «E se questo weekend ce ne andassimo al mare? Dicono che resterà caldo».
«Ma… ma noi siamo già al mare» rispose Liz spaesata. «È qui a dieci minuti…»
«No, io intendevo al mare in un posto diverso, per staccare un po’. Potremmo andare in Cornovaglia o nel Devon! Per goderci il sole e non pensare al lavoro. Oppure in Francia… che ne dici?»
Liz non poté fare a meno di sorridere. Per lui era tutto così semplice, trovava sempre una soluzione.
«Okay» rispose. «Andiamo nel Devon, ma non sulla costa. È ancora periodo di vacanze estive, le spiagge saranno affollate. Andiamo nel parco di Dartmoor, dicono che lì piova sempre! Forse ci rinfrescheremo un po’.»
David ridacchiò. «D’accordo, vada per il parco! Tu vai a fare la valigia, io cerco un albergo.»
«Ma il bagaglio dovrai farlo anche tu, no?»
Sorrise. «La mia borsa è già in macchina, ero già preparato.»
Liz lo abbracciò. «Grazie.» Si avviò verso la porta, poi aggiunse: «Forse quando torneremo questo delirio si sarà placato!».
«Mmm…» rispose lui, tutto a un tratto serio. «Liz, a essere sincero temo che questo sia solo l’inizio. Se Derek McGee verrà assolto, la settimana prossima ti getteranno in pasto ai lupi.»