Mercoledì 27 agosto, ore 10.36
Quando il taxi si fermò davanti alla centrale Liz era ancora su un altro pianeta. Lei e David si erano salutati davanti all’albergo, lui voleva prendere l’aereo delle undici e mezzo per Manchester. Si sentiva euforica, la leggerezza della felicità.
Per festeggiare quel bell’inizio di giornata si era messa il suo vestito preferito, gli stivali con cui la notte prima aveva fatto l’amore con David e una giacca di jeans che aveva da quando frequentava l’università. Lasciò al tassista una cospicua mancia, convinta che quel giorno niente avrebbe potuto farle passare il buonumore. A prescindere dalle brutte notizie che forse la stavano già aspettando in centrale.
Prima che entrasse, le squillò il cellulare. Marc Wickham.
«Per caso ieri è riuscita a dare un’altra occhiata alla lettera?» domandò senza preamboli.
No, la risposta era no. «Un’analisi approfondita della lingua richiede tempo. E questo tempo però io non lo ho.»
Liz fece un respiro profondo. «Senta, Marc, lei mi ha già messo in una posizione molto difficile… adesso mi chiede anche di fare miracoli?»
«Perlomeno una prima impressione,» rispose lui «una base su cui lavorare. Liz, per favore, non ci ripensi! Non mi molli proprio ora!»
Lei sospirò. Quel maledetto ispettore di Scotland Yard sapeva fin troppo bene come cavarle le parole di bocca. «La lettera presenta un sacco di formule piene di violenza e fantasie malate» disse. «Ma la mia prima impressione è che siano finte, una specie di messinscena. E manca qualunque elemento a sfondo sessuale. La lettera di Derek McGee invece era diversa, carica di umilianti allusioni sessuali, appunto. Ma è solo una prima impressione, quindi da prendere con le pinze, visto che non ho ancora analizzato in maniera approfondita il lessico, insomma la scelta delle parole… E non si dimentichi che l’inglese non è nemmeno la mia madrelingua.»
«Quindi secondo lei questa non l’ha scritta Derek McGee, ho capito bene?» insisté l’ispettore.
«No, io non credo che McGee sia in grado di fingere in questo modo. E dubito che voglia attirare altre attenzioni su di sé. Secondo me l’ha scritta un fanatico, oppure…»
«Oppure il vero assassino, che sta cercando di far ricadere la colpa su Derek McGee. È questo che sta cercando di dirmi? Be’, è la stessa cosa che penso io.»
«Il mio capo si è già espresso?»
«No, si è preso tempo fino alla prossima settimana.»
Ecco, quello che avrebbe dovuto fare anche lei. «Molto assennato, non c’è che dire.»
«Ad ogni modo, sono contento che abbia confermato le mie supposizioni» disse Wickham ignorando il suo commento. «Sa, c’era qualcosa, sul francobollo incollato sulla lettera, un indizio… Sono rimasti impressi dei segni, una combinazione di lettere e cifre simile a quella usata per il numero del Servizio Sanitario. Forse il quaderno con i francobolli o la busta era sotto un foglio su cui qualcuno ha scritto questo codice. Con un po’ di fortuna, potremmo riuscire a risalire al mittente. Purtroppo il codice non è completo, ma ci stiamo lavorando. E io sono sicuro che quando troveremo il mittente, troveremo anche l’assassino.»
«Be’, allora buona fortuna!» Liz riattaccò e infilò il telefono in tasca.
Appena entrò nell’edificio notò intorno a sé una certa agitazione. Era successo qualcosa. Lo sentì, era come se nell’aria circolasse elettricità. Così salì i gradini di corsa, fino al secondo piano, fino all’ufficio di Stadler. Che trovò seduto dietro la scrivania, con Birgit e Miguel.
«È Lian Kendrick!» disse Birgit prima ancora che la psicologa potesse dire «Buongiorno».
«Come scusa?» C’era stata un’altra vittima? Aveva colpito ancora, in tempi così ravvicinati?
«Sì, anch’io credo di aver fatto la tua stessa faccia quando Georg me l’ha detto» disse Birgit. Ebbe un guizzo agli angoli della bocca, ma non aveva voglia di ridere.
E a quel punto Liz capì. «Lian Kendrick? È lui l’assassino?»
«Esatto.» Stadler le raccontò come attraverso la jeep era arrivato a Magnus Jahnke. «E l’amico cui Magnus ha prestato la macchina del padre è Lian Kendrick» concluse in poche parole. «Tutto torna. Lian mi conosce da tempo, e mi sta seguendo, o meglio pedina la mia macchina, dall’inizio delle indagini. È lui, non ci sono subbi. Lo stiamo già cercando. Ormai è solo questione di tempo.»
Liz sprofondò sulla sedia, sconvolta. Maledizione! Avrebbe dovuto arrivarci prima? «Però non capisco» mormorò. «Lian Kenrick non combacia con il mio profilo. Insomma, non in base a quello che so di lui.»
«Forse stavolta ti sei sbagliata» disse il commissario senza troppi giri di parole. Sembrava molto soddisfatto di sé. «Pazienza, tutti facciamo degli errori. L’importante è aver scoperto l’assassino: un successo collettivo, di tutta la squadra. Per esempio, se tu non ti fossi segnata la targa, non ci saremmo arrivati così velocemente. Ha seguito anche me, ma io non ho avuto la tua prontezza di riflessi.»
«Be’, per questo di certo non serviva una profiler.» Fece per alzarsi. «Di me non avete più bisogno, mi pare evidente. Se mi sbrigo, forse riesco a prendere lo stesso volo di David.» E in quel momento avrebbe tanto voluto scappare via, ma alla fine ignorò il suo orgoglio ferito e restò seduta.
«È venuto il tuo ragazzo?» domandò Birgit sorpresa. «E perché non ce lo hai presentato? Mi sarebbe piaciuto conoscerlo.»
«È rimasto solo un paio d’ore» rispose Liz ancora un po’ intontita.
«Ah… e in queste due ore avete avuto di meglio da fare di un giro di presentazioni alla centrale.» Sorrise. «Capisco.»
Liz notò la sua espressione maliziosa e si rese conto di non sapere quasi nulla sulla vita privata della collega. Si girò verso Stadler, ma il suo sguardo non la aiutò.
Lui la scrutò serrando gli occhi. «Liz, tu non ti muovi da qui. Voglio che tu sia presente, quando lo interrogheremo.»
«Come preferisci.» Si appoggiò allo schienale. Si sentiva spiazzata, ma si riprese in fretta. Lei era brava nel suo lavoro, e quindi la spiegazione era solo una: Lian Kendrick non era solo il povero ragazzo abbandonato che aveva perso i genitori troppo presto. Doveva esserci dell’altro, qualcosa di grave che loro non sapevano. «Devo riparlare con i genitori affidatari» disse. «Da piccolo deve essergli successo qualcosa. Se lo vuoi mettere con le spalle al muro durante l’interrogatorio non puoi non sapere cosa lo ha spinto a fare quello che ha fatto. Quindi dobbiamo scoprire cosa non è andato come doveva andare.»
«Potrebbe essere che i genitori affidatari abbiano abusato di lui?» domandò Birgit. «Insomma che sia stato strappato a un padre amorevole per finire in un inferno?»
Liz si girò verso Stadler. Che all’improvviso era impallidito, ma mantenne un certo contegno. «Possibile» rispose la psicologa. «Ma scommetterei di più sul contrario.»
«In un modo o nell’altro, dobbiamo chiedere ai servizi sociali.» Birgit prese un blocchetto e se lo segnò. «Anzi, li chiamo subito.»
«E io mi occupo dei genitori» aggiunse Liz. «Va bene?» Guardò Stadler con aria interrogativa.
Lui esitò. «Però non devono sapere che è ricercato per omicidio. Potrebbero cercare di avvisarlo o addirittura aiutarlo a scappare. Sentiremo la verità direttamente dalla bocca del ragazzo. Secondo me non vede l’ora di raccontarmi tutta la storia.»
«La sua versione, forse,» lo corresse Liz «che non è detto sia la verità.» Aveva capito benissimo perché lui non voleva che scandagliasse il passato di Lian. Perché in un certo senso aveva a che fare con il suo, di passato. Ma soprattutto con il suo fallimento personale quando aveva incontrato il ragazzo la prima volta: di certo il commissario dentro di sé si stava chiedendo se avrebbe potuto fare qualcosa per impedire quegli omicidi, o se allora si fosse reso conto di quanto fosse disturbato e pericoloso Lian Kendrick.
Miguel iniziò a picchiettare con le dita sul tavolo. «Allora la pista delle bici possiamo mollarla, no? La pompa, il calibro per catene, i copertoni… Vuol dire che è stato un caso, se li abbiamo trovati sui luoghi del delitto. E lo stesso vale per gli attrezzi che aveva in macchina il tizio che ha cercato di adescare Fabian Hesse, che ancora non sappiamo chi sia, ma insomma, idraulico o piastrellista che fosse, di certo non era Lian Kendrick.»
«A quanto pare no» confermò Stadler. «Infatti ho già dato ordine alle squadre che stavano controllando le officine di sospendere le ricerche.»
«E perché?» Un qualche ruolo quei pezzi di bicicletta lo avevano, Liz ne era sicura. «Potrebbero avere a che fare con il nascondiglio… insomma, da qualche parte Kendrick deve averle portate, le sue vittime.»
«E secondo te ha messo su apposta un’officina di biciclette?»
«Be’, per esempio potrebbe avere affittato uno spazio che un tempo aveva questa destinazione. Oppure ha un garage con delle bici. Non possiamo escludere nulla, non ancora.»
«Sì, hai ragione» ammise Stadler. «Ma non possiamo mica controllare tutti i garage, le ex officine per bici e i magazzini in un’area di cinquecento chilometri quadrati. Ci vorrebbero settimane.»
«Birgit,» disse Miguel avvicinandosi alla porta «mi fai compagnia mentre faccio rapporto?»
«Oh, non sto nella pelle» rispose lei alzandosi.
Con lo sguardo Liz seguì i due uscire dalla stanza. «Senti, ma c’è un uomo nella vita di Birgit?» domandò dopo che la porta si fu richiusa.
«Eh?» Stadler, che con gli occhi era già tornato al suo computer, la guardò allibito.
«Birgit. Prima ho pensato che io non so quasi nulla di lei.»
«Mmm…» borbottò il commissario con un’alzata di spalle. «Secondo me lei vive per il suo lavoro, per questo è così in gamba.»
«Ma è anche una donna.»
Il commissario si concentrò di nuovo sul suo schermo e iniziò a digitare sulla tastiera. «Quanto a uomini, a me non ha mai raccontato nulla…»
Be’, al suo posto neanch’io lo avrei fatto, pensò Liz.
La stampante sputò fuori un foglio.
«Ecco, è l’indirizzo dei genitori di Lian» disse Stadler senza guardare la psicologa. «Tanto già lo sapevo che non avresti rinunciato così facilmente.»
«Grazie. Non sapranno nulla di quello che non devono sapere.»
«Mi fido di te.»