Mercoledì 27 agosto, ore 7.52
La più piccola delle due sale autopsia era piena come un uovo: due medici legali, l’anatomopatologo capo, il pubblico ministero, Birgit e Miguel, tutti intorno al tavolo operatorio.
I due medici avevano appena iniziato. Un registratore, che gli appassionati di mangianastri avrebbero considerato un cimelio da collezione memorizzava ogni singola parola. Pia era stata trovata completamente nuda, quindi non c’era nessun vestito da descrivere. Avevano cominciato dai capelli – colore e lunghezza – e dai piccoli tagli vicino alla riga. Poi erano passati al corpo. L’anatomopatologo che dirigeva le operazioni citò i numerosi ematomi, graffi e bruciature, mentre un collega li misurava.
Birgit sbadigliò, cercando di non farsi vedere. Aveva la sensazione che la cosa si stesse tirando troppo per le lunghe. Da anni, ormai, si era abituata a vedere i cadaveri che si ritrovava davanti sulle scene del delitto o durante le autopsie non come le persone piene di vita che erano state fino a poco prima, ma come casi da liquidare il prima possibile. Soprattutto durante le procedure interminabili, come quella appunto.
Odiava guardare quei corpi senza poter fare nulla, si sentiva impotente. E quel giorno le tornò particolarmente difficile. Non solo perché si trattava di un caso molto complicato, ma anche perché aveva bisogno di distrarsi, di fare cose per dimenticare quanto lei stessa si sentisse da schifo. E brutta. Quella mattina non aveva avuto né la voglia né il tempo di mettersi carina. Si era tirata su i capelli, sì, giusto per non avere un aspetto troppo trascurato, si era infilata la gonna jeans e il suo maglione preferito, il più ampio che aveva.
Miguel le rivolse uno sguardo solidale, e poi sussurrò: «Anch’io sono a pezzi».
Finalmente si concluse l’analisi dell’aspetto esteriore. Che non portò nessuna novità, solo la conferma di ciò che già sapevano. Quando uno dei medici tirò fuori lo scalpellino, il pubblico ministero deglutì e uscì dalla stanza. Birgit e Miguel, invece, restarono fino alla fine.
Al termine dell’autopsia si fermarono sulla scalinata dell’edificio a parlare con Schreiner, l’anatomopatologo che aveva diretto le operazioni.
«Può già dirci qualcosa sull’ordine con cui sono state inferte le ferite?» domandò Miguel.
«Prima è stata picchiata, probabilmente con diversi oggetti oblunghi» rispose il medico. «Con un bastone e una mazza da baseball, e poi anche una cintura. Mentre era già incatenata, credo. Ci sono segni sugli avambracci, ma non sugli omeri o sui polsi, dove c’erano le catene.»
«E il dito?» chiese Birgit. Anche a Pia Hornus, infatti, era stato tagliato un dito, l’indice della mano sinistra.
«Difficile a dirsi. Però il taglio era molto netto, quindi lei non ha opposto resistenza. Che vuol dire che o era già stata immobilizzata o aveva già perso i sensi. Ma non ci sono segni di rimarginazione, quindi sicuro una ferita peri mortem.» Fece un tiro di sigaretta. «Lo stesso vale per le gambe.»
«Che l’abbia sedata?» domandò Birgit concedendosi quella piccola illusione.
«Forse. Ma saprò risponderle per certo solo quando avremo i risultati delle analisi tossicologiche.»
«E la causa del decesso… conferma che è morta dissanguata?»
«Sì, alla luce del quadro attuale, penso che sia stato quello a ucciderla. Già l’amputazione delle gambe aveva causato forti perdite di sangue, il taglio della carotide ha solo velocizzato le cose.»
«Quando è morta?» chiese Miguel.
«Domenica, non so bene quando.» Schreiner buttò il mozzicone per terra. «Nel tardo pomeriggio, credo. Più preciso, purtroppo, non posso essere.»
«Quindi prima di ucciderla ha aspettato solo poche ore.» Birgit ripensò a quello che aveva detto Liz appena erano arrivati sulla scena del delitto. «Si sentiva davvero sotto pressione.»
«Le conclusioni le lascio a voi» disse il medico.
«C’è altro che dovremmo sapere, prima che arrivi il referto ufficiale?» Miguel non riusciva a stare fermo, continuava a dondolarsi da un piede all’altro.
«Era incinta. Ma a uno stadio molto precoce, seconda o terza settimana. Insomma, probabilmente non lo sapeva nemmeno lei.»