Martedì 19 agosto, ore 16.32
Quella maledetta pioggia proprio non voleva saperne, di smettere. Come se il suo umore non fosse già abbastanza pessimo. Stadler guardò di lato. Liz teneva uno scatolone in mano, stretto tra le braccia come un tesoro: i brandelli di vestiti e gli oggetti che la Omicidi di Heinsberg aveva trovato cinque anni prima insieme al cadavere sconosciuto.
Gli ultimi averi di un ragazzino morto. Quindi forse davvero un tesoro, in fondo. Il commissario sospirò. Un attimo dopo, se n’era già pentito.
Liz lo guardò. «Ma cos’hai?»
«Niente… questo tempo di merda, e un caso ancora più di merda. Ecco cos’ho.»
«No, non è questo che intendo.»
Stadler fu contento di doversi concentrare sull’uscita dell’autostrada. L’ultima cosa di cui aveva voglia erano sproloqui psicologici. Perlomeno non su di lui. E Liz non era la sua terapista, ci mancava solo quello. Che pensasse al loro assassino.
Ostentando i movimenti, prima di cambiare corsia guardò lo specchietto retrovisore e poi quello a destra. Dietro la Mustang c’era un fuoristrada, tutto sporco. Nonostante la pioggia, l’uomo al volante aveva gli occhiali da sole. Probabilmente rientravano nel look di persona cool.
Liz, tuttavia, non demorse, non così facilmente. «Questo Lian… Perché ti sta tanto a cuore?»
«Ma che ti viene in mente?» la aggredì lui.
«Be’, mi è bastata la tua faccia, prima, mentre me ne parlavi.»
«Cos’aveva di così strano la mia faccia? Sono preoccupato, ma è normale, no? Forse la cosa ti stupirà, comunque anch’io ho un cuore.» Mise la freccia e cambiò corsia per superare, anche se stava già andando troppo veloce, soprattutto con quella pioggia battente. L’uomo con gli occhiali da sole fece altrettanto.
«No» controbatté Liz. «Non è normale. Normale sarebbe stato se avessi raccontato agli altri del caso e avessi spedito qualcuno dall’assistente sociale. Invece ci sei andato di persona. Senza farne parola con nessuno. Io ti conosco, tu sei un professionista, e sei capace di immedesimarti nelle storie degli altri, che è fondamentale nel tuo lavoro. Ma la compassione no, è una catastrofe.»
«E tu saresti stata in grado di leggere questa differenza, prima, sulla mia faccia?» Stadler si era arrabbiato sul serio. «Ti inviterei a limitare le tue analisi al nostro serial killer, è per questo che ti paghiamo.»
Lei si irrigidì, e per un po’ restò zitta.
«Scusa» disse poco dopo il commissario.
«Georg, dovresti parlarne con qualcuno. Non per forza con me…»
Stadler rallentò e si passò una mano sulla fronte. «Sì, negli ultimi giorni non sono stato bene, ma adesso è tutto a posto.»
Silenzio.
«E sì, hai ragione, il destino di quel ragazzo mi sta particolarmente a cuore. Ha avuto una vita molto difficile: la madre è morta quando era molto piccolo, poi a dodici anni ha perso anche il padre. Cosa che gli ha fatto smarrire la retta via, anche se i genitori affidatari hanno fatto di tutto per stargli vicino.»
«Di storie simili se ne sentono a centinaia…»
«E per questo quella di Lian dovrebbe lasciarmi indifferente?» Perché le aveva dato spago? Per calmarla? No, per calmare se stesso.
Attraversarono il tunnel e raggiunsero l’uscita per il Kniebrücke, il ponte sul Reno. Da lì, entrando a Düsseldorf, si aveva una delle viste più belle sulla città: a destra le nuove costruzioni futuriste del porto, a sinistra la Città Vecchia. Un panorama che spesso lo metteva di buonumore. Ma quel giorno non funzionò.
La Città Vecchia gli sembrò piccola e borghese, il porto pacchiano e respingente. Di lì a poco avrebbero fatto saltare in aria uno dei palazzi più famosi, una vecchia fabbrica, e questa decisione aveva sollevato un putiferio, con tanto di manifestazioni di protesta per salvarla. Fino a quel momento il commissario le aveva considerate una cosa stupida, al mondo c’erano cose ben più importanti per cui combattere. Invece in quell’istante d’un tratto si sentì solidale con i manifestanti.
Pochi minuti dopo arrivarono alla centrale. Prima di scendere, Liz disse: «Cosa rappresenta quel ragazzo?».
«Come scusa?»
«Lian… cosa rappresenta per te?»
«Tu non molli mai, non è vero?»
«Be’, ormai dovresti conoscermi. Quindi te lo richiedo: cosa rappresenta Lian per te? Chi o cosa vedi, in lui, in realtà?»
«Scusa, ma proprio non capisco la domanda. Lian rappresenta se stesso, chi sennò? Mi sono occupato io del suo caso, la prima volta che ha avuto problemi con la legge. Forse è per questo che mi sento responsabile.»
«No, non ci credo.»
Stadler sfilò la chiave dal quadro. «Be’, scusa ma è un problema tuo.»
«Io credo che a te dispiaccia per un altro ragazzo, che non c’entra niente con Lian, un ragazzo che non puoi più aiutare. Invece lui ancora sì, o perlomeno lo speri.»
«Davvero? Sai, a sentirti parlare così verrebbe quasi il sospetto che tu sia una psicologa.»
Inaspettatamente, Liz sorrise. «Sì, me lo dicono in tanti.»
Stadler sorrise malinconico.
«Io penso che questo ragazzo… anche lui abbia perso i genitori da piccolo, e si sia sentito solo e poco amato. E chissà, a un certo punto forse anche lui aveva rischiato di prendere una strada sbagliata.»
Stadler serrò le labbra.
«Prima di decidere di entrare in polizia. È stata questa decisione a salvarlo.»
Il commissario cercò di reprimere il bruciore che gli saliva agli occhi. «Se sai già tutto, perché me lo chiedi?» disse quindi spalancando la portiera. «Basta con queste cazzate, abbiamo tre omicidi da risolvere.»
Iniziarono a camminare sotto la pioggia battente. Liz strinse a sé lo scatolone, ancora più forte, mentre Stadler le teneva aperto l’ombrello. Poco prima di entrare, con la coda dell’occhio il commissario vide ripartire una macchina. Il fuoristrada, avrebbe potuto giurarci.
Nell’ascensore, avvertì l’improvviso desiderio di chiarire le cose. «Io non ho solo perso i miei genitori. Dalla sera alla mattina sono finito dal paradiso all’inferno. Perché mia madre era la persona più buona sulla faccia della terra. Mi leggeva le storie e mi consolava quando ero triste. E mio padre mi aveva costruito una casa sull’albero, in giardino, e ogni sabato giocava con me a pallone. Sono morti entrambi in un incidente, io avevo sette anni. E tutto è passato nelle mani di mio nonno. Che non aveva una grande considerazione delle storie della buonanotte, del calcio o delle case sull’albero. In compenso, sapeva usare la cinghia.»