19
Rivivere il passato
USCIAMO dalla porta sul retro e ci incamminiamo, Esben è come intontito al mio fianco. Questa sera soffia un vento pungente, quindi gli chiudo la giacca, perché lui non si accorge nemmeno del freddo. Una volta arrivati nella mia stanza, lo faccio sedere sul divano.
«Vuoi bere qualcosa?» gli chiedo.
«No.»
«Okay.»
Si toglie la giacca e la butta sul pavimento. «Anzi, sì.»
Rovisto un po’ e gli verso uno shot di tequila rimasta dalla visita di Steffi, ma lui rifiuta il lime e il sale e la beve d’un fiato. Mi accomodo accanto a lui e aspetto. Dopo altri due shot, si china in avanti e si passa le mani sul viso.
«Ho parlato con Kerry», mormoro.
Annuisce, con il viso ancora nascosto tra le mani.
«Vorrebbe che tu mi raccontassi del quadro.»
«No, non posso», risponde in tono piatto e sicuro. Si capisce che non scherza. «Non voglio che tu senta questa storia, Allison.»
«Tu hai ascoltato tutte le mie, tutto il mio dolore. Condividi con me almeno una parte del tuo.» Solo ora mi accorgo che nel passato di Esben può esserci stato qualcosa di diverso dall’amore e dalla pace, e sono colpita da questa nuova consapevolezza. Stasera per la prima volta mi rendo conto che nessuno esce indenne dalla vita. Nemmeno Esben. Sono stata accecata dalla sua esistenza ai miei occhi immacolata, dalla sua inesauribile positività, eppure la sofferenza è in grado di insinuarsi persino nelle persone migliori e più forti.
«Non voglio perché ho fatto una gran cazzata, okay? Una cazzata enorme. Imperdonabile.» La sua voce rotta è straziante.
«Non mi immagino come sia possibile.»
«Invece è così.» Lo afferma come se si trattasse di una verità indiscutibile, lasciando ben poco spazio per contraddirlo.
«Capisco che sia terribilmente difficile, ma è molto importante per Kerry.» Forse sarebbe meglio rimanere sobria, ma bevo lo stesso la tequila direttamente dalla bottiglia. «Me l’ha detto in maniera molto chiara.»
Esben rimane in silenzio per qualche istante, poi si abbandona contro lo schienale del divano.
«Quando ero al terzo anno delle superiori e Kerry al secondo, l’ho trascinata a una festa a casa di un tipo. I suoi genitori erano via, quindi eravamo eccitatissimi e girava un sacco di alcol. Kerry in realtà non ne aveva granché voglia, ma io avevo detto ai miei che saremmo andati al cinema e l’ho convinta a venire. Ci sarebbe stata anche Jenny, la ragazza con cui uscivo, e volevo stare con lei senza genitori tra i piedi. Siccome non conosceva nessuno, Kerry mi stava appiccicata.» Sospira. «Allora ho chiamato due ragazzi dell’ultimo anno che conoscevo a malapena. Pensavo che a Kerry sarebbe piaciuta l’idea di parlare con dei ragazzi più grandi e poi loro erano popolari e pareva che le piacessero. Hanno iniziato a chiacchierare e a ridere e lei… mi ha persino detto che uno di loro era carino. Si è messa a flirtare. Mi è sembrata felice e presa bene, e allora l’ho scaricata a loro, perché», prosegue, «sono stato egoista, stupido e sconsiderato. Un incosciente. Più tardi, io e Jenny abbiamo trovato una stanza libera e ci siamo divertiti un po’. Ho mollato Kerry da sola con gente che non conoscevo, nella casa di un estraneo piena di alcol e idioti ubriachi. Una mossa furba, non pensi? Ho fatto quello che nessun fratello dovrebbe mai fare.»
«Esben…» Vorrei abbracciarlo, ma cambio idea. Per parlare gli serve tutta la forza che ha, e mi sembra giusto rispettare il suo spazio.
«Dopo un po’, al momento di andarcene, ho cominciato a cercarla. Ho controllato ovunque, ma era sparita. Alla fine, l’ho trovata soltanto perché l’ho sentita piangere. Si era chiusa nell’armadio in una delle camere da letto. Quando mi sono avvicinato, era per terra.» Finalmente mi guarda, con gli occhi rossi e le parole che gli escono a fatica, la voce carica di dolore.
«Mi sono bastati due secondi per capire quanto fosse terrorizzata. Respirava a stento tanto era spaventata e nel panico. Ho dovuto aiutarla ad alzarsi in piedi. È tremendo, vero? Eppure ho dovuto, perché lei non era in grado di muoversi. E poi… nell’istante in cui è uscita alla luce, ho visto… ho visto il sangue. Aveva indossato dei pantaloni chiari e non c’era modo di nasconderlo.» Inspira a fondo e mi afferra una mano. «Cristo, Allison, nella mezz’ora in cui l’ho lasciata sola, era stata aggredita da entrambi quei ragazzi. Ognuno di loro… si era fatto… un giro.» Mi stringe le dita sempre più forte. «Si dice così? Non lo so. Un giro. È disgustoso. È un’espressione che dimostra la scarsa considerazione che hanno avuto di lei. Come se lei non fosse importante. Come se non contasse niente. Come se non fosse nemmeno un essere umano. Come se non fosse mia sorella, la ragazza più vivace, perfetta e fiduciosa al mondo. Mentre uno la teneva ferma e le copriva la bocca, l’altro…» Non ce la fa a terminare la frase, e lo capisco benissimo.
«Dio.» Kerry, penso. Non a Kerry. Non a nessun’altra ragazza.
«Anche se ero giovane e non capivo ancora la portata dell’accaduto, ero consapevole di quanto fosse sbagliato. Però non ne sapevo abbastanza per pensare alla parola ‘stupro’. Che razza di stupido, eh? Ero talmente terrorizzato e… volevo che quello che era successo non fosse reale e quindi, per certi versi, devo averlo rifiutato. Volevo soltanto che non fosse vero.»
«Ma certo.»
«Nonostante la voglia pazzesca di picchiare a sangue quei due, prima dovevo farla uscire subito da quel posto, quindi l’ho portata in braccio fino alla macchina. Gli altri devono aver immaginato che stessi semplicemente riportando a casa la mia stupida sorellina ubriaca… Avrei voluto accompagnarla in ospedale, alla polizia, da qualche parte, però lei non me l’ha permesso. All’idea è scoppiata a piangere a dirotto e mi ha fatto promettere di non farlo, di non raccontarlo a nessuno. Né ai nostri genitori, né alla polizia, né a nessun altro. Non ha perso completamente il controllo solo perché gliel’ho giurato. Allora ho parcheggiato a un chilometro da casa e abbiamo aspettato che i nostri genitori dormissero per rientrare senza essere visti. Lei si è fatta una doccia e io ho buttato i suoi vestiti in un sacco della spazzatura.»
Si sfrega gli occhi. «Sono rimasto seduto accanto al suo letto per tutta la notte, ma Kerry non ha chiuso occhio. La settimana dopo, ho spedito uno di quei due al pronto soccorso. Gli ho rotto uno zigomo. Mi hanno sospeso per cinque giorni e probabilmente sono stato fortunato che quello non abbia sporto denuncia. È la prima e unica volta che sono finito in una rissa. Da allora, l’altro ragazzo si è tenuto alla larga da Kerry e da me, e io e lei non abbiamo più parlato di quanto era successo, per più di un anno. Eravamo piccoli e io ero troppo scemo per capire che avrei dovuto portarla in ospedale. Ero spaventato. Non sapevo come comportarmi. Dio, Allison, non sapevo che cosa fare e così ho sbagliato tutto.»
Sul suo volto leggo una disperazione e un dispiacere assoluti, e vorrei soltanto scacciarli e donargli un po’ di pace, ma so che non posso. Non posso risolvere questa situazione. Posso solo stargli vicino.
«Quanti anni avevi? Sedici? Eri un ragazzino. Sarai stato sconvolto e spaventato. Nessuno è preparato per una crisi del genere. Siete rimasti traumatizzati entrambi.»
«Avrei dovuto fare di meglio», ribatte lui, poi beve un lungo sorso di tequila. «Le voglio bene. Era la mia sorellina. Mentre io me la facevo con una ragazza, lei era nella stanza accanto e subiva un’aggressione sessuale.»
Non è facile ascoltare queste parole così schiette, così vere. «Esben, non potevi immaginarlo. Se avessi pensato che qualcosa non andava, non l’avresti mai lasciata sola. Eravate in una casa piena di gente e tu eri un ragazzino», ripeto. «So quanto lei significhi per te. So che per lei faresti di tutto. Non è stata colpa tua.»
«L’ho portata io a quella festa! Ce l’ho portata io! Se non avessi…» È scosso da forti tremiti. «È questa la verità ed è innegabile. Se non l’avessi costretta ad andare a quella festa… ma io non lo sapevo. Allison, non avrei mai…»
«Non sei stato tu a lasciare che quei due la violentassero. Si sono comportati in quel modo perché pensavano di averne il diritto. Perché volevano avere il controllo. Perché erano aggressivi e cattivi. Perché volevano dimostrare in maniera assurda la loro virilità. Perché… avevano un milione di motivi sbagliati in testa. Non sei stato tu a renderli due stupratori. Non è stata Kerry a renderli tali. Erano già malati e Kerry si è ritrovata sulla loro strada.»
Mi tira la mano e mi sposto più vicino a lui. Esben non stacca gli occhi dai miei, come se fossi io a impedirgli di crollare, e sono consapevole di quanto faccia affidamento su di me in questo momento. Per me è l’ennesima prima volta. Nessuno ha mai avuto tanto bisogno di me, ma riuscirò a essere forte per lui.
«Non è stata colpa tua», ripeto decisa. «È stata unicamente colpa di quei due ragazzi. Ecco la verità. Anche Kerry voleva farti capire qualcosa. Ha detto che sta bene, davvero. Ho la sensazione che tu non le creda, però per lei è importante che tu ti convinca che è guarita da questa storia, per quanto sia possibile. Deve saperlo e sapere che ti fidi di lei.»
«Okay», sussurra. Mi ricorda un bambino. È così innocente, fragile, dipendente dalle mie parole. «Quando è venuta qui all’università, ha incontrato un buon terapista, Scott. È molto bravo. L’ho accompagnata diverse volte e lui l’ha aiutata parecchio.»
«Bene.»
«Kerry ha fatto un gran lavoro.»
«E ha un fratello che l’adora.» Gli accarezzo un braccio.
«Sì.»
Un pensiero si fa largo nella mia mente: dopo lo stupro, anche Esben è un sopravvissuto. Di solito ci si preoccupa per le persone che sopravvivono a un trauma, ma non sempre per le vittime indirette.
Il mio telefono è pieno di messaggi che ho ignorato, ed Esben mi dà una gomitata e accenna un sorriso. «Sarà meglio che controlli.»
Sono di Kerry.
Sei con lui? Sta bene? Immagino ti abbia raccontato tutto ormai.
Voglio che sappia che sono felice. Sul serio.
Non avrei potuto desiderare un fratello migliore. Lui è tutto per me. Diglielo, okay?
Allison, dove sei? Ti prego, rispondimi. Sto impazzendo. Non voglio che Esben sia costretto a rivivere il passato. Questa storia farà sempre parte di me, ma non le permetterò di schiacciarmi. Non è la mia gabbia. Non lo è AFFATTO.
Mostragli questi messaggi, okay?
Il quadro è violento, certo. Ma mi aiuta a esprimere quello che è successo. Mi rende forte. È un modo per visualizzare quella notte e liberarmene. È una cosa positiva.
Non sopporto l’idea che lui resti aggrappato al passato.
Allungo il telefono a Esben. «Leggi.»
Seppur esitante, passa in rassegna i messaggi, poi recupera il suo cellulare, scrive qualcosa e lo lancia sul divano. «Non volevo che mi vedessi in questo stato. Mi dispiace. Dovrei andare, sono stanchissimo.»
«No», ribatto. «Non andartene. Resta.»
Nel suo dolce sorriso leggo le sue emozioni e la stanchezza. «Se me l’avessi chiesto qualsiasi altra sera…»
Gli appoggio una mano sul petto. «Non in quel senso. Resta e basta. Resta con me. Non voglio che tu stia solo e io non voglio stare senza di te.»
Lui mi scruta a lungo, fino ad avere di nuovo gli occhi lucidi. «Mi piacerebbe…» Fatica a parlare. «Mi piacerebbe molto.»
«Allora andiamo a letto, okay?»
Senza aspettare risposta, spingo Esben nella mia stanza. Con aria avvilita, lui si siede sul letto e io gli tolgo le scarpe e i calzini. Tiro indietro le coperte e gli slaccio il bottone dei jeans. «Sdraiati.» Sotto il suo sguardo, abbasso la cerniera e glieli sfilo. Non è certo così che avevo immaginato questa scena, ma non può dormire vestito. Spengo la luce. Nonostante l’oscurità, non è buio pesto e lui mi vede mentre mi libero del vestito e indosso una maglietta.
«Sei stupenda», commenta.
«Secondo me sei un po’ ubriaco», replico con una risata. Mi infilo sotto il piumone e appoggio la testa sul cuscino.
Esben mi viene vicino, io allargo un braccio e lui si sistema su un fianco, con il capo sul mio petto. «Sì, ma la tequila non mi fa dire bugie, anzi. E tu sei bellissima. Ogni cosa di te lo è.» Mi stringe. «Odio che tu lo sappia. Odio essere tanto incasinato. Odio che Kerry abbia sofferto in quel modo. Odio tutto.»
«Lo so, ma i segreti ti trascineranno a fondo e ti faranno annegare. Sei stato tu a insegnarmelo. Noi andiamo oltre i segreti. Decisamente oltre. Non devi essere per forza infallibile, Esben. Puoi essere umano e stare male e preoccuparti e… soffrire. E sapere che condividi tutto con me ti rende più coraggioso ai miei occhi. È così che mi hai fatto sentire.» Provo a calmarlo con le parole e con le coccole. Gli accarezzo la spalla e poi il braccio.
È ubriaco perché, mentre comincia ad appisolarsi, gli sento mormorare: «Ti amo, Allison. È successo quando non me l’aspettavo, quando non credevo di averne bisogno. Però mi sono innamorato di te, in fretta e dolcemente. Senza alcun dubbio». Si sposta ancora più vicino a me. «Non devi rispondere niente. Volevo solo che lo sapessi.»
Esben si addormenta all’istante e io resto sdraiata in silenzio, con il suo corpo appiccicato al mio. Sono sbalordita e, se fosse stato sveglio, non avrei saputo cosa ribattere, però lo tengo stretto a me e mi crogiolo nella sensazione di stare avvinghiata a questo ragazzo indescrivibile.
Appena sono sicura che dorma profondamente, prendo il telefono e chiamo Kerry.
«Ehi», risponde.
«Ehi», ripeto in un sussurro.
«Sta bene?»
«Adesso dorme e sì, starà bene. È stata dura questa sera perché ti vuole un bene dell’anima, ma ha capito quello che deve fare per te.»
«Grazie. Sto molto meglio ora.»
«Grazie a te per esserti fidata di me.» Mi interrompo un attimo. «Dirti che mi dispiace che tu abbia dovuto passare tutto questo non è abbastanza. Non so cosa aggiungere, se non quanto tengo a te. Non ho molti amici, ma tu sei una di loro, Kerry, e sono fiera di te per essere sopravvissuta a questa storia con tanta forza. E semmai avrai voglia di parlarne…»
«Mi piacerebbe, Allison. Non è un segreto, però ovviamente non è un argomento che affronto con chiunque. Tu sei fantastica e significa un sacco per me che tu non sia scappata via urlando. Questa sera ti ho messo in una situazione difficile senza che te l’aspettassi, eppure tu l’hai saputa gestire con grande garbo.» Sospira. «E adesso capisci perché fa quello che fa, vero?»
«Sì», confermo e, anche se è doloroso, proseguo. «Vuole cancellare quello che pensa sia un suo sbaglio. Vuole dimostrare che il mondo non è soltanto un posto brutale. Vuole dimostrare che c’è del bene.»
«Esatto», risponde. «È un guerriero.»
«Giusto», concordo. «E vincerà questa battaglia.» Gli passo una mano tra i capelli mentre dorme.
«Assolutamente sì, ma tu lo terrai comunque d’occhio per me, vero? A me permette di avvicinarsi solo fino a un certo punto, ecco perché ho voluto che fosse lui a raccontartelo. Adesso, sta molto più a lui guarire che a me. Tienilo d’occhio.»
«Sempre», le assicuro. «Sempre.»