13

Bambino Blu

LA caffetteria è davvero molto accogliente, gli interni in legno scuro con i mobili spaiati mi danno l’impressione di stare nel salotto di una casa. In sottofondo aleggia una musica ambient, ma per il resto è un locale piuttosto tranquillo. C’è solo un altro cliente, un uomo più grande di noi che occupa una poltrona dall’altra parte della sala. Non sta leggendo né fa altro, se ne sta semplicemente seduto. Mi colpisce subito l’aria di solitudine che emana, ma scaccio questo pensiero perché io non so nulla di lui. Non ho alcun diritto di ipotizzare qualcosa su quest’uomo, così come nessuno ha il diritto di farlo con me. Probabilmente vista da fuori sembro una persona normale.

Io ed Esben ci accomodiamo su un divano. Lui è girato verso di me, si comporta in modo sciolto e rilassato, mentre io ovviamente sono rigida, con lo sguardo puntato di fronte a me e la tazza fumante stretta tra le mani.

«Ti piace questo posto?» mi chiede.

Anche se potrei procurarmi un’ustione di terzo grado e finire davvero al pronto soccorso, bevo un rapido sorso e appoggio la tazza sul tavolino di vetro. «Sì.»

«Hai detto che vieni dal Massachusetts, che hai vissuto un po’ dappertutto, ma adesso hai una famiglia in quello Stato?»

«Una specie. Cioè, sì, Simon. Mi ha adottato quando ero al terzo anno di liceo. Ha una casa a Brookline.»

«Adoro quella città. Il quartiere di Coolidge Corner è fantastico. È una bella zona in cui passeggiare.»

«Sei anche tu del Massachusetts?» Pur avendo indagato online su di lui, mi sono fermata alla superficie e mi mancano ancora le informazioni essenziali.

«Sono di Framingham. Non è entusiasmante come Brookline e, da ragazzo, era una gran rottura dover guidare fino a Boston, comunque è un bel posto.» Esben appoggia la tazza e mi fissa. «Allora, hai un padre single? E ti piace?»

«Sì, molto. Non credo di…» Non so come dirglielo, e nemmeno se è il caso. Eppure voglio farlo, di questo sono certa. Desidero creare un legame con lui. Dove sono le spille con le frasi motivazionali quando servono? Inspiro a fondo e riprendo a parlare. «Il fatto che Simon abbia voluto adottarmi non ha senso. Io non ero espansiva né… come le altre adolescenti. Non saltavo di gioia all’idea di essere adottata né avevo nulla di speciale per un genitore, eppure lui non ha rinunciato. Non capisco. Quando l’ho conosciuto, Simon aveva un ragazzo, Jacob.»

Mi volto in modo da guardarlo in faccia, nella speranza di mostrarmi meno distaccata e strana. Controllo se per caso stia reagendo male alla notizia che il mio padre adottivo è gay, ma Esben aspetta soltanto il seguito. «Stavano insieme da quattro anni e, il giorno in cui si è reso conto che Simon voleva me, che voleva adottarmi sul serio, Jacob è fuggito a gambe levate. Non ho mai domandato nulla al riguardo a Simon, perché immagino sia un tasto dolente.»

Esben fa una smorfia. «Solo da questo si capiscono un sacco di cose su quel tipo, eh?»

«Forse. Simon ha voluto me…» Mi concedo un secondo e lascio vagare lo sguardo sulla stanza. «E ha perso il suo compagno. È la dimostrazione che c’è sempre uno scambio nella vita: se fai entrare una persona, un’altra ne esce.»

«Secondo me non è affatto vero», ribatte lui. «I miei genitori sono fantastici e ho anche mia sorella, Kerry, che hai già conosciuto. Io e lei siamo molto uniti. Poi ho dei cari amici qui: Jason e Danny, ma sono ancora in contatto con quelli del liceo. Non dev’esserci per forza uno scambio.»

«Magari non per te.»

«Immagino che vivere in affido non ti abbia aiutato a credere che il mondo sia un luogo magico, pieno di unicorni scintillanti, soffici coniglietti e così via.» Abbassa lo sguardo e si toglie un pelucco dai jeans. «Hai vissuto con tante famiglie, quindi?»

Il fatto che nella sua domanda non ci sia la minima traccia di pietà conquista subito il mio cuore.

«Con troppe», rispondo.

Gli racconto di quanto spesso ho dovuto cambiare scuola, famiglia, stanza e… tutto. Di come non abbia mai avuto nessun punto di riferimento, mai. Del circolo di speranza e rifiuto che era diventato una routine finché non mi è rimasto soltanto il rifiuto. Gli dico ogni cosa perché, una volta che comincio, non riesco più a fermarmi. Questa purificazione, questa verità è un fiume in piena che non sono in grado di arginare. A parte Steffi, non ho mai rivelato a nessuno tutti questi dettagli, questi segreti che sono stati la mia prigione.

Esben mi ascolta con attenzione e, probabilmente, mi vede parlare molto più di quanto si aspettasse. Voglio che conosca questi aspetti di me e della mia vita perché, se proprio deve scappare, allora preferisco che lo faccia adesso. Mi sento in dovere di spiegargli quanto sia marcio il mio passato e non ci vuole certo un genio per intuire che simili trascorsi avrebbero incasinato chiunque. Voglio dargli una via d’uscita.

«Quindi Steffi è stata il tuo raggio di sole», commenta.

«La mia salvatrice», replico, convinta. «Sì.»

«Sono contento che tu l’abbia trovata. Ha certo compensato la situazione.»

«La cosa divertente è che all’inizio non mi piaceva. Era una tipa dura ed esuberante. È ancora così, però… be’, ai tempi la trovavo odiosa», aggiungo, ridendo.

«E come avete fatto a diventare tanto amiche?»

«Oh, be’…» Riprendo la tazza e bevo un altro sorso. «Rispetto ad altri bambini in affido, io non me la sono passata malissimo. Ho abitato con un sacco di brava gente, solo che nessuno mi ha voluto tenere con sé per sempre. Mi sono imbattuta in alcune persone non proprio perbene ma, nel complesso, nessuno fuori di testa o veramente cattivo.» Nonostante un attimo di esitazione, mi rendo conto di riuscire a proseguire con la storia. «La famiglia che aveva preso me e Steffi, però, ospitava anche due ragazzi di qualche anno più grandi di noi. Un giorno, tornata a casa dopo la scuola…» Mi blocco. Dio, erano anni che non ci pensavo.

«Non devi raccontarmi niente che tu non voglia», mi rassicura Esben sottovoce.

«Voglio farlo.» Ne sono sicura, quanto del fatto che non devo smettere di respirare. «L’ho trovata nella nostra camera con uno dei due, però ho capito all’istante che non li avevo semplicemente sorpresi a fare sesso. Lui l’aveva immobilizzata sul letto e lei aveva un’espressione… sbagliata. Spaventata, paralizzata.»

Scosso dalle mie parole, Esben si irrigidisce. «Dio, Allison…»

Proseguo con un tono più rassicurante. «È tutto okay, davvero. Perché non appena ho notato che lei aveva la maglietta abbassata su una spalla, non appena mi sono accorta che lui la teneva schiacciata sotto il suo peso, ho agito subito. In fretta. Nel giro di due secondi, gliel’ho strappato di dosso.» Ridacchio. «Chi l’avrebbe mai detto che ero così forte? L’ho spinto contro la cassettiera con una tale violenza che lo specchio si è rotto, poi gli ho dato un pugno e gli ho fatto venire un bell’occhio nero. La sua espressione è stata impagabile.» A quell’immagine, mi scappa un sorriso. «Ricordo esattamente ciò che gli ho detto e, anche se non te lo ripeterò, sappi che l’ho minacciato di seri danni a parti del corpo che avrebbe preferito conservare illese. Poi ho chiamato l’assistente sociale di Steffi e la mia e ho urlato fino a perdere la voce. Nel giro di un’ora, quel tizio è stato spedito in un’altra casa.» Appoggio la testa allo schienale del divano. «Ecco com’è andata.»

«E da allora siete amiche?»

«Sì», confermo. «La cosa buffa però è che, dopo quell’episodio, di rado Steffi mi ha permesso di aiutarla ancora. Io ci provo, ma lei è indipendente. È incredibilmente determinata e ha sempre fatto molto di più Steffi per me che io per lei. In un certo senso, è come una mamma, e la cosa mi piace, non posso negarlo.» Mi rendo conto di aver raccontato più cose a Esben che a chiunque altro in tutta la mia vita, esclusa Steffi. Sebbene sia una sensazione meravigliosa, mi abbraccio comunque le ginocchia. I benefici di questa confessione superano di parecchio gli svantaggi. «Ora che ti ho descritto tutti i miei drammi e traumi, dimmi di te. Scommetto che hai molte meno tragedie da confidarmi, e poi voglio ascoltare qualcosa di bello.»

«Cosa vuoi sapere?»

«Qualsiasi cosa… Di tua sorella, per esempio.»

«Kerry è stupenda. So che è stata lei a coinvolgerti nel video, però ti giuro che ti piacerà.»

«Non preoccuparti, non ho nulla contro di lei.»

Allunga un braccio sullo schienale e inclina il capo. «Solo contro di me?»

«No, nemmeno contro di te.»

«Ne sono felice.»

Restiamo in silenzio per un attimo.

«Comunque, Kerry studia arte e ha talento. Sa disegnare, dipingere, realizzare sculture, qualsiasi cosa. Oh, questa cosa ti farà divertire. Lei mi chiama Bambino Blu.» Si sporge verso di me, con gli occhi scintillanti. «Vuoi sapere perché?»

Scoppio a ridere. «Certo.»

«Sono nato con un difetto cardiaco congenito che si chiama stenosi della valvola polmonare. Non era nulla di grave e con il tempo è passato, ma i primi tempi ero di un brutto colore bluastro. Quando avevo più o meno dodici anni, e Kerry undici, l’ha scoperto e per settimane è stata ossessionata dal fatto che fossi nato blu. Per lei era una notizia spassosissima, anche se i miei non gradivano, visto che all’epoca, ovviamente, avevano avuto una gran paura. Da quel momento ha cominciato a chiamarmi Bambino Blu e non ha più smesso.»

«Mi spiace che tu sia nato con un difetto cardiaco, ma il soprannome che ti ha affibbiato è proprio carino.» Mi accoccolo sul divano, tranquilla come non avrei mai immaginato. «Esben?»

«Sì, miss Allison?»

«Grazie perché rendi tutto questo più facile per me.»

«Io non sto facendo niente. È solo merito tuo.»

Non credo abbia ragione. «È bello parlare con te. Mi fa stare bene. Probabilmente tu ci sei abituato. Cioè, le persone verranno a parlarti in continuazione.»

«Qualche volta.» Mi rivolge un sorriso disarmante. «Altre invece vengono nella mia stanza a urlarmi contro, ubriache e truccate.»

Nascondo il viso tra le mani, ridendo. «Sono seria, si vede che sei a tuo agio in mezzo agli altri, ad ascoltarli e a creare un legame. Mi sorprende che tu non sia più pieno di te. Ti confesso che pensavo fossi più… non so, compiaciuto. Perché probabilmente dovresti esserlo.»

«Le persone mi danno molto, molto più di quanto io dia a loro. Adoro incontrare degli sconosciuti e scoprire cosa c’è oltre il primo sguardo. Apprendere che chiunque ha una storia segreta, un motivo che condiziona il suo comportamento.» È talmente maturo e sincero che sono sempre più ammaliata da lui. «A volte, convincere qualcuno a parlare lo fa sentire libero, lo spinge a interrogarsi su chi è e a cambiare. In pratica, io non faccio che piantare un seme, e la cosa davvero speciale è assistere a come la gente scopre delle cose su di sé. Hai idea di quante volte sono rimasto scioccato dalla gentilezza altrui? Dalla disponibilità a condividere o ad aiutare il prossimo? Ci sono una marea di disgraziati al mondo, però sono una minoranza, Allison.»

«Con quello che fai, attiri un sacco di attenzione. Non dev’essere una situazione proprio di merda», dico in tono di sfida.

Nei suoi occhi si accende una scintilla e il suo mezzo sorriso è troppo adorabile per descriverlo. «Be’, ovvio. Ma i miei post non parlano di me. Anzi, in generale tento di non entrarci affatto, anche se ce n’è invariabilmente qualcuno che mi riguarda. Come ben sai.» Mi fa un rapido occhiolino. «Di solito cerco di concentrarmi sugli altri.» Si interrompe e, per un istante, noto il nervosismo a cui ha accennato prima. «Comunque, non esco a prendere un caffè con loro. Tu sei la prima.»

Guardo fuori dalla vetrina mentre stanno passando una madre con la figlia. Provo una fitta di dolore. Io non avrò mai una madre e, per qualche secondo, cedo allo sconforto prima di tornare a rivolgermi a Esben. A lui, come ho notato, non dà fastidio il mio atteggiamento. «Forse ti senti obbligato a prendere un caffè con me per via del bacio, perché i tuoi follower sono su di giri per questa storia.»

«Allison, guardami.»

Ubbidisco.

«Non mi sento obbligato a fare niente. Mai. Sono qui perché lo desidero. Sono stato io a non voler interrompere il bacio, quindi sono io che mi chiedo se non sia tu a sentirti in obbligo di essere qui. Forse ti stai solo rappacificando con quanto è successo. Stai cercando una conclusione.»

Lo fisso con intensità e mi perdo nei suoi bellissimi occhi, nella sensazione di sicurezza e di meraviglia che ormai ho imparato a conoscere. Rifletto, abbandonandomi completamente alle emozioni. Dopo qualche respiro, riesco finalmente a rispondergli con parole ponderate e, in maniera del tutto consapevole, mi confido con lui. «Non voglio una conclusione. Non voglio che questa cosa finisca. Non con te.»

Esben mi si avvicina e mi accarezza delicatamente la spalla. «Sono contento di sentirtelo dire.»

«Però sono molto fragile e non so come comportarmi. Di qualsiasi cosa si tratti.»

«Lo so che sei fragile, l’ho capito.» Esita con le dita su di me. «Ma sei anche più forte di quanto pensi. In questo momento stai combattendo, e chi combatte non è mai debole. Però non devi combattere da sola.»

È difficile accettare quest’idea. «Perché lo stai facendo? Perché… perché io? Hai migliaia di ragazze che ti muoiono dietro e ti adorano, online e all’università, perciò non capisco come mai sei qui con me e sei così gentile e carino e riesci a farmi blaterare e farti raccontare la mia vita, cosa che non ho mai fatto con nessun altro.»

Mi afferra la spalla. «Se vuoi un elenco dei motivi, posso fartelo. Sei bella, dolce e piena di energia. Sei interessante, divertente e stravagante. Sei una forza da cui mi sento parecchio attratto. Senza tirare in ballo il fatto che sei la ragazza più brava a baciare di tutta la storia. Lo giuro. La verità, però, è che…» Si agita sul divano, insicuro. «Non puoi semplicemente piacermi senza una spiegazione? Solo perché mi piaci?»

Sbalordita, mi sforzo di assimilare ciò che afferma di provare. Esben mi ha dato una certa libertà e, con mia enorme sorpresa, ne sono così felice che mi concedo uno sguardo provocante. «Dunque il bacio è stato davvero così bello?»

Mi infila la mano tra i capelli e mi accarezza la nuca. «Certo che è stato davvero così bello. Senza dubbio», risponde piano.

«Be’», aggiungo mentre riprendo in mano il caffè, «adesso sono io a essere contenta di sentirtelo dire. E dopo questo, vale proprio la pena di aver saltato una lezione oggi.»

«Lo considero un complimento.» Esben solleva la sua tazza e fa cin cin con la mia.

Usciti dalla caffetteria, ci incamminiamo verso la macchina talmente vicini che le nostre braccia si sfiorano. Durante il tragitto, Esben tiene la musica alta, perché per oggi abbiamo parlato abbastanza e siamo entrambi sopraffatti da un senso di euforia che non lascia spazio a nient’altro. Quando parcheggia, vado alla portiera posteriore per recuperare lo zaino. Sul pavimento, c’è un sacchetto di carta rovesciato.

Sul tappetino ci saranno un centinaio di spille con su scritte frasi motivazionali.

L’entusiasmo e lo stupore che mi pervadono sono così piacevoli che spero non mi abbandonino mai più.