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Coraggio

DORMIAMO fin dopo mezzogiorno e, quando mi sveglio, sono disorientata. Erano anni che non dormivo tanto e, con mia grande sorpresa, non ho nemmeno i postumi della sbronza. La cosa ancora più sorprendente, però, è che da un sacco non riposavo così bene e mi sento decisamente in forma.

Io e Steffi restiamo in pigiama tutto il giorno e, mentre lei mi mette lo smalto bordeaux sulle unghie dei piedi, ascolto i dettagli della sua serata con il ragazzo dalla camicia scozzese, dettagli che mi fanno arrossire e, al contempo, mi rendono felice per lei. Le chiedo dei corsi che segue, del piccolo monolocale che adora e del furgoncino di tacos che tutti i martedì si ferma nella sua strada. Mi lascia spazio oggi, devo ammetterlo, perché non mi chiede di Esben nemmeno una volta.

Al tramonto, sono finalmente pronta e, con gran disinvoltura, dichiaro: «Allora, pare proprio che Esben non sia una persona orribile».

«Ah sì?» Steffi sta frugando nel mio armadio, sforzandosi di trattenere le smorfie davanti ai miei vestiti fuori moda.

«Ho guardato il video.»

«Davvero?» Prende una maglietta rossa e se la appoggia sul davanti, ammirandosi allo specchio. «Carina questa.»

Scoppio a ridere. «Puoi anche smetterla di fingere di non voler sapere cosa è successo con Esben.»

Mi lancia la T-shirt per scherzo. «Grazie al cielo!» Salta sul letto e si siede. «Racconta. Racconta!»

Obbedisco. Le riferisco ogni dettaglio che ricordo, anche se tralascio la parte in cui gli ho accarezzato il viso. E quella in cui lui ha messo la mano sopra la mia… non voglio che si faccia un’idea sbagliata.

Appoggiata alla testiera del letto abbracciata a un cuscino, Steffi mi ascolta. «Allora non è un mostro. Chi l’avrebbe mai detto?»

«Tu!»

«Certo, ma dovevi vederlo con i tuoi occhi.» Mi guarda dritto in faccia. «Allison? Esben è assolutamente perfetto. Davvero.»

Non so cosa rispondere.

«Senti, anch’io tendo a non fidarmi degli altri almeno quanto te, però lui non è come la maggior parte della gente. Me ne sono accorta persino io.»

Annuisco.

«Non devi continuare a respingerlo. Non è una minaccia.»

«Forse.»

«Potrebbe piacerti avere un amico.»

«Ho te.»

«È vero che hai me, Allison. Ma Esben è speciale. Hai presente che io e te siamo le eccezioni? Pure lui lo è. Riflettici.» Si alza e si infila la giacca.

«Vai da qualche parte?» le chiedo.

«Al ristorante cinese. Il tipo di ieri sera me ne ha consigliato uno a un isolato da qui. Sto morendo di fame, quindi andrò a prendere la cena. Ci servono almeno cinque porzioni di ravioli fritti.»

«Ti accompagno.» Sto per alzarmi, ma lei mi blocca.

«Cara, sai che ti voglio bene, però devi farti una doccia. Puzzi.»

«Be’, grazie tante. Non che tu profumi, comunque.»

«Io profumo di sesso, ma dopo cena mi laverò. Ho il volo presto domattina, perciò dovrò alzarmi all’alba per andare a Boston. Niente alcol stasera, o comunque non troppo. Alle undici smettiamo di bere. Facciamo a mezzanotte.»

«Sei pazza se pensi che berrò ancora dopo ieri sera. Non voglio certo comportarmi di nuovo come un’idiota.»

«Dovresti rivedere il tuo concetto di idiota.» Apre la porta che dà sul corridoio. «Torno presto, puzzona.»

Ha ragione: puzzo davvero. Mi spoglio e mi infilo l’accappatoio. Il bagno è affollato di ragazze che si fanno belle per le feste del sabato sera. Vedo Carmen intenta a passarsi il lucidalabbra, protesa verso uno specchio. Ha i capelli più corti e di un viola chiaro proprio carino. La supero, ma poi ci ripenso e incontro il suo sguardo nello specchio.

«Ciao, Carmen.»

Si raddrizza. «Oh, ciao, Allison», mi saluta con voce incerta. Non posso biasimarla.

«Esci stasera?» le chiedo. «Stai molto bene.»

«Grazie. Sì, ho un appuntamento. Una specie.» Sorride. «Ci vediamo a una festa.»

«Bello. Divertiti.»

«Vuoi venire con me?»

A differenza del solito, non provo l’impulso di scappare a gambe levate urlando. Interessante. «In realtà, questo weekend è venuta a trovarmi un’amica e ci stiamo ancora riprendendo da ieri sera, comunque grazie.» Mi avvio verso una doccia libera, dopodiché, nervosa e tremante, aggiungo: «Magari la settimana prossima».

«Sì, sarebbe fantastico.»

Appoggio per terra i prodotti per il bagno, appendo l’accappatoio e apro l’acqua, regolandola per averla quasi bollente. Non mi sono mai goduta tanto una doccia e mi concedo tutto il tempo necessario, pregando che mi aiuti a schiarirmi la mente dal vortice di pensieri incasinati che la occupa. Vorrei che Steffi potesse restare più a lungo, soprattutto visto quello che sta succedendo. La mia tranquilla vita universitaria è stata completamente scombussolata e non so che cosa accadrà. Anche se devo ammettere che non mi sento affatto triste, e non solo grazie alla presenza della mia amica. Dopo aver parlato con Esben, l’incidente del video mi pare meno spiacevole e non sono più assillata da costanti ondate di rabbia e vergogna come nei giorni scorsi. Forse, come ha detto Steffi, Esben è un’eccezione. Non so.

Tornata in camera, vedo che Steffi non c’è ancora e le invio un messaggio. Mi brontola la pancia e spero che abbia ordinato sul serio cinque porzioni di ravioli, perché potrei spazzolarmele tutte in un lampo. Dopo qualche minuto, mi risponde che si è persa per strada e adesso il ristorante è pieno di gente. Mi metto a sistemare il salottino, e mi cade un occhio sulla pila di pacchi. Combattuta, dopo un po’ prendo quello in cima e lo porto nella mia stanza.

Lo appoggio sul letto e lo fisso. Poi lo sposto sulla scrivania e continuo a fissarlo. Mi rialzo e comincio a camminare su e giù come una tigre in gabbia. Per la prima volta, muoio dalla voglia di aprirlo e mi ritrovo davanti a una sfida, come se mi fossi ripromessa di non farlo perché non me lo merito. Ora però sono tentata di cedere.

Fanculo.

Prendo le forbici e taglio il nastro adesivo. Scoppio a ridere all’istante: c’è un intero strato di confezioni di maccheroni al formaggio da scaldare al microonde. È perfetto. Non appena torno seria, controllo cos’altro mi ha spedito Simon: cucchiai di plastica, biscotti al limone e tè (per invitare qualcuno per merenda, insiste lui!), zuppe, elastici per capelli, creme per il corpo profumate alla frutta, calzini con scimmiette disegnate sopra, una macchina per il caffè da dieci tazze, un sacchetto di caffè Sumatra, due tazze rosse, bustine monodose di zucchero di canna e una banconota da venti dollari con su scritto PER LA PIZZA. C’è anche un biglietto, con l’immagine di una foca leopardo sul davanti. All’interno Simon ha scritto:

Allison,

hai idea di quanto sia difficile trovare un biglietto con una foca leopardo? È complicatissimo. Anzi, a quanto pare non ne esistono proprio, quindi ho dovuto usare un sito specializzato per fartene uno. QUESTO SÌ CHE È AMORE!

Fammi sapere se vuoi che ti mandi qualcos’altro, anche se è improbabile perché so che non apri i miei pacchi. Ma va bene così, continuerò lo stesso perché è questo che fanno i padri per le figlie. O forse sono solo io che voglio farlo per te, mia dolce bambina.

Spero che un giorno ti sentirai pronta per aprirli, però se quel giorno non dovesse arrivare andrà bene ugualmente.

Con tutto il mio amore,

Simon

Lo rileggo cinque volte e, senza perdere altro tempo, mi fiondo sul telefono.

«Ciao, piccola. Come stai?» risponde Simon con il solito tono allegro.

«Come facevi a sapere che non aprivo i pacchi?» gli chiedo.

Ride. «Be’, tesoro, ogni volta che mi chiami per ringraziarmi sei molto gentile, ma altrettanto vaga. Ho immaginato che altrimenti mi avresti detto qualcosa sull’unicorno gonfiabile che, ne ero certo, non avresti trovato affatto divertente, nonostante per me lo sia.»

«Ne ho aperto soltanto uno.» Mi blocco. «Mi hai spedito un unicorno gonfiabile?»

«Forse…»

«Simon?»

«Sì?»

«Mi piace un sacco la macchina per il caffè.»

«Ne sono felice.»

«E aprirò anche gli altri.»

«Quando vuoi.»

Mio malgrado, ho un sorriso enorme stampato in faccia. «Ehi, sai una cosa? Indovina chi c’è qui da me?»

«Babbo Natale? Il coniglietto pasquale?»

«No, Steffi. Mi ha fatto una sorpresa ed è venuta per il fine settimana.»

«Wow, che bello. È un lungo viaggio per così poco tempo. C’è in ballo qualcosa di urgente?»

«No», rispondo troppo in fretta. «No, è solo che… be’, è partita in quarta per una cosa che è successa. C’è un ragazzo e… non lo so.»

«Ahhh», commenta lui. «Un ragazzo. E ti piace?»

«Non è che mi piaccia, però che è accaduta una cosa strana tra noi e Steffi è andata fuori di testa.»

«Qualcosa di strano nel senso che dovrei mandarti una scatola di preservativi invece di una macchina per il caffè?» domanda preoccupato.

«Cosa? Simon!»

«Volevo soltanto essere sicuro.»

Sento dei rumori alla porta. «Posso spiegarti un’altra volta? È arrivata Steffi con la cena. Ma stai tranquillo, è tutto a posto.»

«Se lo dici tu. Chiamami presto, okay? Mi manchi.»

«Mi manchi anche tu.»

Terminata la conversazione, resto in piedi impalata con il telefono in mano. Credo di non aver mai detto prima a Simon che mi manca, però è così e me ne rendo conto solo ora. Finalmente, mi sto concedendo di sentire nostalgia di lui.

Devo essere nel bel mezzo di una crisi di mezza università e la mia mente dev’essere stata sostituita con quella di qualcun altro.

Steffi sta prendendo a calci la porta, strillando:«Ehi? Un po’ d’aiuto non sarebbe male, che cavolo!»

Abbandono subito il misero tentativo di autoanalisi e corro ad aprirle. In una mano ha un enorme sacchetto di carta e nell’altra uno di plastica del negozio di liquori. «Il manico della borsa del cinese si è rotto e siamo a un passo da un catastrofico incidente con i noodles.»

«Dov’eri finita?» le chiedo, mentre la aiuto. «Sei stata via un secolo.»

«Te l’ho detto. Mi sono persa, ho dovuto aspettare, bla bla. Adesso mangiamo. E beviamo!»

Si siede per terra e prende una bottiglia di tequila. «Facciamo un picnic. Mettiamo tutto qui.»

«Recupero un telo o…»

«Piantala di agitarti. Siediti, mangia e non preoccuparti se sporchiamo. Ci sono problemi molto più gravi al mondo di un po’ di salsa di soia sul tappeto.»

Con una smorfia, obbedisco e comincio a distribuire i contenitori. «Sei una casinista come Esben.»

Lei stappa la tequila e ne beve un lungo sorso. «Esben è un casinista? Sapevo che mi sarebbe piaciuto. E comunque, se hai superato la mia mancanza di ordine ossessivo-compulsivo, supererai anche la sua.»

Mentre cerco le bacchette e mi avvento sui ravioli, sento addosso il suo sguardo speranzoso. «Una volta ha aiutato a ritrovare un pappagallo, usando i social network. Ho controllato un po’ i suoi vecchi post e le cose che ha fatto.»

«L’ho visto!» grida lei. «E quello in cui ha dato il via a una festa da ballo in un centro commerciale?»

Scoppio a ridere. «No, quello mi manca.»

«Roba da pazzi! E comunque, il ragazzo sa come muoversi. Giusto perché tu lo sappia.»

Passiamo il resto della serata a mangiare, Steffi beve troppa tequila, io invece solo qualche shot e navighiamo su internet leggendo di Esben Baylor e dei suoi vari progetti sociali. Alle due di notte, entrambe stanche morte, ci infiliamo a letto.

Alle sei, mi stiracchio e trovo Steffi seduta accanto a me, con una mano sul mio braccio.

«Sei pronta per partire?» mormoro.

«Sì.»

I miei occhi si abituano all’oscurità. «Mandami un messaggio quando atterri a Los Angeles, okay?»

«Certo.» Poi si china su di me e mi abbraccia forte.

«Ti voglio bene, Steff.»

«Ti voglio bene anch’io, Allison.» Mi stringe ancora di più. «Sii coraggiosa. Con te stessa, con Esben, con tutto, okay? Promettimi che lo farai.»

«Okay…»

«No, giurami che d’ora in avanti sarai coraggiosa. Che correrai dei rischi. È ora. Non puoi vivere rinchiusa in questa stanza senza mai uscire. Ti perderesti troppe cose.»

Nonostante la mente ancora annebbiata, so che per lei è importante, quindi la accontento. «Sarò coraggiosa, Steffi. D’ora in avanti lo sarò.»