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Detesto dormire. Quando dormo credo di essere morto. Perché non sogno mai, non ho mai sognato la notte. Sono capace solo di fare sogni a occhi aperti. Da ragazzo le mie riflessioni si concentravano sui singoli elementi che compongono le cose. Quando avevo quindici anni analizzai la curva di risposta di un diodo al germanio, e riuscii a inventare un piccolo circuito in grado di amplificare un segnale elettrico. È una cosa complicata, ma curiosa, perché il diodo non è un amplificatore, ma solo un rettificatore di corrente. Lo chiamai «il diodo amplificatore». E lo mandai ad alcune industrie. Mi dissero che era un’applicazione ingegnosa, ma che non aveva alcun utilizzo pratico perché aveva un rendimento basso rispetto al transistor e alla valvola termoionica, l’amplificazione era bassissima. Cinque anni dopo scoprii che la stessa cosa veniva usata dalla Nasa, come filtro per eliminare i rumori di fondo dello spazio nelle trasmissioni elettromagnetiche. Anni dopo ancora, trovai un libro intitolato Il diodo amplificatore. Era stato brevettato tre anni dopo che lo avevo ideato io. Da un americano e un giapponese insieme.
Quando avevo vent’anni, ricordo di essere rimasto affascinato da alcuni ragazzi americani di colore che raccoglievano soldi in strada facendo con la bocca i suoni che corrispondevano ai movimenti del loro corpo. Allora pensai: ma perché non posso costruirgli delle scarpe che emettono quei suoni? E così creai le scarpe sonore, quelle con gli switch incorporati sotto la suola. Andai a depositare il brevetto, e dopo mesi mi dissero che tre cinesi di Taiwan avevano già depositato un prototipo simile. E così io lo modificai un pochino, ma subito dopo mi rincorsero altri. Il mondo dei brevetti è assurdo, c’è sempre qualcuno che ha depositato qualcosa prima di te, ed è davvero interessante sapere quali invenzioni assurde sono state realizzate nelle varie epoche storiche.
Ma a quel punto, fatti i piedi, il mio pensiero si spostò sulle mani. E costruii il mio Musical glove: un guanto che muovendo le dita emetteva suoni differenti. E quello riuscii a brevettarlo.
La fisica, la scienza, l’elettronica fanno parte del mio gioco quotidiano. Li trovo argomenti molto divertenti, con cui ho passato e passo tantissimo tempo.
Il potere della mente, se la stuzzichi e la forzi, ti fa raggiungere non un centro ma tantissimi centri, e io voglio raggiungerli.
Ancora oggi compro giocattoli. L’ultimo pochi giorni fa. Ero a Milano. Sono entrato in un negozio enorme, in centro, molto famoso, che vende solo giocattoli per bambini, e mi sono messo a guardarli tutti. Quelli a motore, quelli che suonano, quelli che parlano, quelli che si muovono. Poi mi sono messo ad azionarli, mi piace toccarli. Avete presente i giochi che hanno accanto la scritta «Non toccare»? Ecco, io tocco proprio quelli, perché sono i più interessanti. Sono rimasto un bambino, e la cosa bella di oggi è che nessuno può sgridarmi.
L’altro giorno, dopo aver passato un po’ di tempo a toccarli tutti, finalmente ho scelto il gioco e sono andato alla cassa. Si trattava di un robot enorme, da costruire, con un sistema complicato da montare. La cassiera, preoccupata, mi ha chiesto: «Quanti anni ha il bambino a cui deve regalarlo?» E io, compiaciuto della sua domanda e anche un pochino tronfio, ho risposto prontamente: «No, no, nessun bambino, è per me». E tutti si sono messi a ridere. Vai a spiegare che era veramente per me... Sono arrivato a casa, l’ho costruito, poi l’ho smontato e ho cercato di capire come utilizzare alcune componenti per la costruzione di altri oggetti, lontani dall’idea originaria.
Mi piace anche guardare sotto il cofano delle macchine. Vedere i motori in azione. Sono andato sulle piste della Formula 1, per carpire qualche segreto. Ma la cosa che mi piace di più è mettere insieme i pezzi più disparati e vedere cosa ne esce fuori. Nelle mani abbiamo un potere infinito. Basta crederci e si riesce sempre a realizzare l’oggetto a cui si è pensato, che prima non esisteva. Se poi il primo ti costa fatica e sudore e richiede tanti mesi, dopo riuscirai a farne dieci più belli e più complicati in un tempo molto più breve. Io l’ho sperimentata, questa cosa. È vera. È come se venissi premiato nella tua perseveranza. Ci hai messo pazienza e sei riuscito a farne uno? Bene, allora ti premio, e ne saprai fare dieci in un tempo brevissimo e più belli ancora. Quanto è magica questa cosa? È un privilegio enorme che abbiamo. Un potere fortissimo. La stessa cosa succede nel lavoro dell’attore. E in qualsiasi altro mestiere.
Archimede disse: «Datemi un punto di appoggio e vi solleverò il mondo», e infatti stava pensando alla leva. Io invece se mi fermo a pensare al mio dentista, mi arrabbio. Lui non riesce a mettermi un dente senza distruggermene altri tre. Assurdo. Come è possibile che al giorno d’oggi, per riempire lo spazio lasciato dall’estrazione di un dente eseguita anni fa, il dentista debba mettere un ponte che uccide altri tre denti vicini, sani e stabili? Dentista, sei un killer. Voglio Archimede per i miei denti. Quello ha creato la leva, dicendomi: datemi un punto d’appoggio... e tu ne vuoi distruggere tre sani per ottenerne un altro?