Ventotto

Aurora si fece una doccia e si cambiò con quel poco che si era portata nella borsa per stare due giorni con Gianni. Che ormai avrebbe dovuto abituarsi a chiamare Giovanni e il Ricci.

Laura aveva apparecchiato in cucina, sul tavolo dove lei mangiava sempre da sola.

«Ti va una zuppetta di verdura?»

«Non mi va proprio niente, scusami».

«Avanti, una cosa calda. Due cucchiaiate. Poi ho del formaggio e una crème caramel… non ho fatto la spesa, oggi».

«Me lo vedo sempre davanti, anche se non sono riuscita a guardarlo… tutti i mobili in terra, i quadri, i cassetti… Ma che cercavano?»

«Ne parliamo poi, ora mangia. Una cosa calda, avanti: fa bene a tutte e due».

Sistemati i piatti nella lavastoviglie, Laura la condusse in soggiorno. «Stiamo qui, tanto non riusciremo a dormire. Vuoi vedere un film?»

«No, grazie. Mi dispiace, tutto questo disturbo…»

«Non dire scemenze. Quando mi sono ammalata e ho dovuto stare in ospedale, voi vi siete occupati di me. Tu, tutti gli altri, persino Gilardi… giocava a scacchi con me al computer…» La voce le si incrinò, il ricordo di quei mesi trascorsi all’ospedale non era ancora riuscita a cancellarlo. «Ora dobbiamo pensare a te. Sei sicura di non aver niente da dirmi, di questa faccenda?»

«Che cosa dovrei dirti? Quello che so, l’ho detto. Lui è venuto a prendermi in studio quando ha comperato la moto nuova».

«Se conosco Aziz, sa già da chi l’ha comperata. Ha guardato la marca e quel telo: forse lì c’era l’indirizzo del concessionario. Una moto costata molti soldi: li aveva?»

«Che ne posso sapere? A me ha detto che aveva risparmiato per un anno per comprarsela».

«Guadagnava bene?»

«Non ne abbiamo mai parlato. Ma ora aveva cambiato casa…»

«Non aveva traslocato a Villa Reale di sicuro. Troveranno i documenti, ma devono essere affitti bassi. Che cosa aveva?»

«Quella stanza, che gli serviva da studio. E noi ci stavamo perché c’era la televisione e il divano. Poi la cucina, carina. Nuova. L’avevo aiutato anch’io a sistemarla. I piatti glieli avevo regalati io. Poi il letto, in una camera, con un armadio dell’Ikea. Che soldi erano? Due paia di lenzuola le abbiamo comperate insieme… se ci sposavamo io sarei andata a vivere lì e avremmo avuto due stipendi. Le sembrano discorsi di uno che ha dei soldi nascosti?»

Laura fece una smorfia. «Forse sì. Forse doveva non esibirli».

«Ma non lui… tu non l’hai conosciuto. Ma no, avanti. Non si comportava da ricco, guardava anche ai soldi del caffè. Quando passavamo due giorni insieme la spesa la facevo io. Io guadagnavo più di lui e mia madre me ne lasciava la metà… Io forse ero innamorata, ma non mi ha mai dato l’idea che ragionasse di soldi».

«Capisci anche tu che esiste la possibilità di un legame con la morte di quella Giuseppina Cuotolo e di suo fratello. Lui li conosceva».

«E allora? Anche la mogliettina dell’ispettore la conosceva, ci andava per casa. Si è sposata vestita come una principessa: a lei nessuno ha chiesto dove avesse preso i soldi. Perché s’è sposata un ispettore di polizia?»

«Forse perché glielo ha regalato lui, il vestito. Aveva già la casa… Ti prego di non dire cose del genere al vice questore, stai attenta».

«Le sto dicendo a te… Ma uno che ruba tanti soldi va avanti a lavorare per ottocento euro?»

«Se non è scemo, sì. Non deve dare nell’occhio».

Aurora scoppiò a piangere in modo convulso. «Non era un ladro… Non era un assassino… E Gilardi, allora? Perché anche lui?»

Laura le aveva preparato una tisana calda. «Mettici lo zucchero, è alla mela, è buona». Le lasciò il tempo di mescolare lo zucchero con il cucchiaino e di assaggiarla, prima di risponderle.

«Vogliono colpire Gilardi perché sanno che lui arriverà prima degli altri a scoprire che cosa c’è sotto. Gilardi è uno che vive con il cuore e ragiona con il cervello. Dà molto fastidio a tanti, specie se farabutti. Forse, e sottolineo forse, Gianni ci è andato di mezzo perché frequentava te. Ci hai pensato? Io, sì. E domani lo dirò. Ma vedrai che ci sarà arrivato anche Gilardi».

«Senti… io lo giurerò anche in tribunale. Gianni non mi ha mai chiesto niente dello studio, di te, di Gilardi… Mai. Glielo avevo detto quando ci siamo baciati la prima volta: io sono qui, ma lo studio non si tocca. Mai, Laura: te lo giuro. Lui sapeva che facevo un lavoro delicato, non era scemo. Perché se è questo che vogliono, allora sono in pericolo anch’io».

«Infatti abbiamo una camionetta della polizia davanti al portone».

Erano le undici. Scalzi chiamò Gilardi al cellulare. «Siamo qui, davanti alla casa di Laura. Lascio due pattuglie, tutto tranquillo. Ho messo anche uomini dentro e davanti alla loro porta».

«Grazie, sono più tranquillo. E la moto?»

«Usata, e pagata a rate. Il rivenditore mi ha detto che era un bravo figliolo».

«Oh, allora… E i genitori?»

«Ci ha pensato Bonetti, io non avrei mai voluto farlo».

Si salutarono augurandosi la buonanotte. Sapendo, entrambi, che non sarebbe stata buona per nessuno di loro.