Quindici
«È mai venuto da queste parti? Conosce il convento? La nostra casa era là dietro e io sono andata a scuola dalle suore sino all’università».
«Mi sembrava di aver capito che la vostra casa fosse stata distrutta dalla guerra».
Uno sguardo di sfuggita, stava sorridendo. «Le sembro così vecchia? No, è stata distrutta da un incendio, nessuno ha mai capito la causa, noi eravamo al mare. Il fuoco ha distrutto tutto. Io ero già fidanzata quando è successo. C’era quella casa, dove abitiamo ora, che andava bene per me che mi sposavo; invece mio padre l’ha ristrutturata da cima a fondo perché andasse bene per tutta la famiglia. Lui ha sempre voluto tenerci tutti uniti».
«Che cosa fa suo padre?»
«Costruttore. Bravo e onesto. A Napoli ha lavorato tanto». Lo guardò dal sotto in su, gli arrivava appena alla spalla. «O adesso pensa che ci possa essere un legame con il lavoro di mio padre?»
«Di che genere?»
«A Napoli il mattone puzza…»
«La prego, questo lasciamolo al cinema. E il parco?» domandò, tanto per cambiare discorso.
«Il parco era privato e ci andavamo a giocare. Poi l’hanno aperto al pubblico, lo hanno fatto bello e lo tengono bene. Anna per andare a scuola lo attraversava, tutti i giorni. Quella mattina… non so, dicono che certe cose si sentono. Io non ci credo. Ma ero in ansia… Quando sono arrivata davanti al cancello e ho sentito quella donna che urlava… è stato come se stesse gridando per me. Per dirlo proprio a me… Finché tengo gli occhi aperti vedo le cose, le persone, il mondo che mi circonda. Ma quando li chiudo vedo soltanto mia figlia a terra, su quel prato sporco di sangue… Scusi». Strinse le labbra per frenare un singhiozzo.
Ora si era fermata e aveva appoggiato la schiena a un palo della luce, il viso rivolto verso il mare, che sembrava acquietato all’improvviso.
«Non ha freddo?»
«No, grazie. Ho voluto uscire con lei perché a quelli là dentro» e con la testa fece un cenno alla casa che era alle loro spalle, «certe cose non posso dirle. Forse Dio ha voluto punirmi».
«La prego, è una sciocchezza indegna di lei. Dio ci ha lasciato il libero arbitrio, se ne ricorda? Non per guidare i nostri passi ma per farceli scegliere. Capisco che sia una disgrazia sulla quale è impossibile essere razionali, ho due figli anch’io. Ma non si attribuisca colpe che non ha e che non può avere. Non serve a nessuno».
«Ti fai un esame di coscienza e sai di aver dato poco. Non le sono stata abbastanza vicina. Forse non l’ho amata abbastanza?»
Gilardi le mise un braccio intorno alle spalle. «Vuole davvero arrivare alla macchina?»
«Sì, per favore. Parlare con lei mi è così facile… Un mio professore di diritto ci diceva che gli avvocati e i preti hanno una dote in comune, la fede. Non negli stessi principi, naturalmente: gli uni in Dio e gli altri in… se stessi». Ora stava sorridendo. «Dove la trovate tanta sicurezza?»
«Potrei risponderle con un’ovvietà: nel codice. Ma è un bell’esercizio». Si era fermato davanti alla rampa che conduceva al garage sotterraneo. «La mia macchina è lì, vuole che la riaccompagni?»
«Non torno a casa subito. Può lasciarmi a un taxi?»
«La fede che ho in me, secondo il suo professore, mi impedisce di lasciarla a un taxi ma mi ordina di accompagnarla dove vuole andare». Le prese una mano perché lei lo seguisse. «Andiamo, scenda con me. Dove vuole essere accompagnata?»
«All’inferno». Non scherzava, ma lo seguì affrettando il passo.
Davanti alla macchina la fece accomodare e prese il suo posto alla guida. «Dove vuole andare?» chiese di nuovo.
«Non ho una meta precisa, ma non volevo più stare in casa. Mi dispiace, ho approfittato di lei in modo indegno. Mi scusi…» Si picchiò il pugno sulla fronte, tante volte finché non riuscì più a trattenere i singhiozzi. «Mi scusi… mi scusi, sa…»
Stava piangendo sulla sua spalla, mentre lui le accarezzava i capelli, sottili come quelli di una bambina, leggermente profumati di mimosa.
Erano fermi al posteggio, la gente passava senza vederli.
Quando Maria alzò la testa si accorse di essere senza fazzoletto, non aveva preso la borsa.
«Prenda il mio».
Si asciugò gli occhi, si soffiò il naso. «Glielo restituirò pulito, mi dispiace. L’unico uomo al mondo che abbia ancora un fazzoletto di lino in tasca…» Aveva ripreso colore e stava sorridendo.
«Possiamo andare?»
«E dove? Lei è proprio strano… è come se ci conoscessimo da chissà quanto. Non mi è mai capitato. Lei non deve aver mai provato un dolore così grande, altrimenti non sarebbe così sicuro, così tranquillo sempre».
Gilardi mise in moto e uscì dal parcheggio. «Purtroppo si sbaglia. Ero sposato da pochi mesi e mia moglie aspettava un bambino: eravamo nella polizia tutti e due, un balordo che lei voleva salvare me l’ha ammazzata davanti agli occhi. Io ero lì e non ho potuto fare niente. Io ero lì». Si fermò al semaforo. «Come vede, si sopravvive».
«Ora è sposato? Ha figli, ha detto».
«Sì… dove vuole andare?» Non voleva parlarne. Non voleva dirle che di quel male non sarebbe mai guarita. Avrebbe sempre avuto davanti agli occhi sua figlia su quel prato, come lui vedeva ancora Natj sdraiata in terra con gli occhi spalancati e senza parole. Se capisci quello che dico, chiudi gli occhi… Lei li aveva chiusi, aveva capito, Io ti amo, ti amo… E li aveva chiusi e aperti due volte per rispondergli. Io ti amo: di quell’amore non sarebbe mai guarito.
«A casa, grazie. Lei mi ha davvero aiutato tanto, come se mi capisse. Questa mezz’ora con lei me la porterò sempre nel cuore. Lei è davvero una persona speciale».
Davanti a casa, quando fermò la macchina, Maria si girò verso di lui. «Mi ha fatto bene, davvero. Avevo bisogno di piangere un po’ senza averli tutti intorno a consolarmi. So che lei andrà sino in fondo con questa storia. E so che la risolverà. Ma non abbia eccessiva fede in se stesso: ogni tanto, per i suoi figli, abbia paura».
Le baciò la mano e non scese dalla macchina per aprirle la portiera. Lei gli si rivolse con un sorriso. «Se gira qua dietro, due curve e si trova in piazza».
«Ehi, ma con chi crede di parlare? Qua sono nato e cresciuto. Su questi sassi mi sono consumato le scarpe».
Anche Maria ora stava ridendo, coprendosi la bocca con il fazzoletto di Gilardi. «Vada, va’… Dove vive?»
«Se fosse più chiaro le farei vedere la casa dove sono nato. Su quella collina, dietro quel bosco».
«Non abita a Napoli, allora!»
«Ora sì, studio e abitazione, nei pressi del tribunale. Andiamo a vivere tutti lì, come api intorno al miele».
«Mi dirà come finisce questa storia? Lo prenderete?»
«La polizia. È affare loro. E lo saprete, stia sicura. Ne parleranno pure i sassi». Allungò il braccio per salutarla. «Buonasera, signora». Era stato tentato di chiamarla per nome, Maria. Ma si era corretto in tempo. «Grazie per questi momenti che abbiamo passato insieme. Anch’io sono stato bene. Forse anch’io avevo bisogno di raccontarlo a qualcuno».
Due giorni dopo, in studio, gli arrivò un pacchettino senza un biglietto: era il suo fazzoletto lavato e stirato.
Aveva un leggero profumo di mimose.