11
Robert si addormentò sul prato, il viso sopra la rivista che stava leggendo, e quando si svegliò, la pagina era un po' scolorita. Sulla guancia gli era rimasto un po' d'inchiostro, un umido tatuaggio sbavato. Vide che Marian aveva lasciato gli acquerelli e l'album da disegno e non seppe resistere a fare qualche bozzetto: la sedia Adirondack e la sua netta ombra scura sul prato, il tavolo sotto l'albero di gelso, il mucchio di palle da croquet e le mazze. Alla fine l'acqua nel bicchiere era diventata grigio perla e la rovesciò sull'erba.
Scese al fiume, si accovacciò e assaggiò l'acqua prendendola fra le mani. Era fredda. Più in là, oltre la curva del fiume, sentì della gente ridere e tuffarsi e un cane abbaiare. Poi tornò il silenzio e sentì il gorgoglio del fiume, e John, di là dalla siepe, canticchiare; e il fruscio delle foglie in cima agli alberi. Dopo qualche minuto rientrò in casa. Scelse una pesca dal piatto sul tavolo della cucina e la mangiò. Il succo gli colò sulle mani e si succhiò le dita per poi sciacquarle sotto il rubinetto. In casa regnava il silenzio. Entrò in una stanza fresca con le persiane chiuse e un basso soffitto di legno. Vicino alla finestra c'era un pianoforte a coda, aperto, e sul leggio uno spartito. Le pareti erano ricoperte di librerie, con un tubo di rame che girava tutto intorno per la scala scorrevole. Nel camino c'era un vaso di terracotta pieno di quei vetri colorati erosi dall'acqua, e poco più in là, al centro di un tavolo rotondo, un enorme vaso zeppo di fiori; intorno, delle riviste sparse e qualche pila di libri, libri nuovi. C'era un mucchietto di cinque copie di Neo questo, neo quello. Robert ne aprì una e vide la dedica: A Granger e Derek, con affetto, Lyle. Guardò la foto sulla quarta di copertina: Lyle in piedi, appoggiato a un muro della casa, l'ombra delle foglie sul viso; la foto era accreditata a Marian Richardson Kerr. Robert mise giù il libro.
Guardò le fotografie sulla caminiera: John e Marian sposi, bellissimi entrambi; poi John con in braccio un bambino orribile, probabilmente Roland; una vecchia signora in poltrona con due cagnolini in grembo, coi collari ingioiellati e le orecchie tese; e poi Lyle e Tony su un balcone e dietro la distesa di una città che poteva essere Parigi. La prese per osservarla meglio. Tony circondava col braccio le spalle di Lyle e guardava direttamente in macchina; Lyle, invece, guardava lontano, un po' verso l'alto. Il polso nudo di Tony gli toccava il collo e dalla sigaretta che aveva in mano sembrava stesse per cadere la cenere. Tony era molto bello: aveva un magnifico viso vigoroso e assorto, come scolpito, e lo sguardo diretto ma non ostile. Sorridevano e sembravano felici. Sullo sfondo, notò Robert, il profilo della torre Eiffel: era Parigi. Chissà se avrebbe mai fatto un viaggio con Lyle, si chiese. E poi si ricordò che erano già in viaggio. Sono in viaggio, si disse, sono qui con Lyle. Ripose con cura la foto sulla caminiera, cercando di rimetterla sui contorni disegnati dalla polvere.
Sono qui con Lyle.
Salì la scala di servizio e prese il corridoio, ma nella direzione sbagliata, e passò davanti alla camera di Roland: vide Marian col bambino sulla sedia a dondolo, davanti alla finestra aperta. Dormivano tutti e due. La bocca di Roland continuava a muoversi come se succhiasse. La testa di Marian era inclinata, con la bocca semichiusa. Il suo viso appariva diverso, come se fosse scivolato via il velo della tensione; se Robert non l'avesse vista così, ora, non l'avrebbe nemmeno notata, quella tensione. La guardò per un istante e si girò.
In fondo al corridoio con la galleria di foto c'era la camera gialla: la porta era chiusa, in un modo che dissuadeva dall'aprire o bussare: le altre stanze del corridoio erano tutte aperte, e il sole proiettava trapezi di luce sul pavimento di legno. Robert non sapeva che fare. Diede uno sguardo alla parete con le foto e notò un fatto strano: ne mancava una. Era quella di Lyle e Tony in Egitto, perché accanto c'era Lyle vestito da pirata. Osservò lo spazio vuoto.
Arrivò in fondo al corridoio e aprì la porta. Dagli avvolgibili di carta filtrava la luce del pomeriggio color tè mielato e contro la zanzariera battevano gli insetti coi loro ronzii. Lyle dormiva nudo, a pancia in giù. Sembrava che lo avessero catapultato dal cielo, gambe e braccia divaricate.
Robert si sedette sul letto a guardarlo. Era curioso come il suo corpo – grosso, peloso e bianco – potesse all'improvviso vibrare di bellezza, o spegnersi. Lyle lo aveva affascinato in maniera inconscia, astratta, fin dal primo momento in cui lo aveva visto a Skowhegan. E più lo aveva conosciuto, più quel corpo gli era sembrato bello: il recipiente che conteneva tutto ciò che era Lyle. Adesso, immobile sul letto, mosso appena dal respiro, sembrava una di quelle sculture di pietra che chiedono di essere toccate. La schiena era sudata: Robert resistette all'impulso di chinarsi a leccarla. Lo spaventava l'attrazione che sentiva, perché aveva paura che il suo desiderio allontanasse Lyle. Non c'era cosa di lui che non trovasse sexy: il suo corpo, la mente, il modo in cui parlava, quello in cui saliva le scale, la maniera con cui le dita, un po' contratte, stringevano la forchetta, il suo odore e il suo sapore, e la morbidezza con cui la schiena, il collo e le spalle si univano, proprio in quel punto, nudo e da leccare, il punto cruciale della sua persona.
Ripercorse col dito le cunette della sua spina dorsale fino allo stretto infossamento fra i glutei. Quel gesto non svegliò Lyle, nonostante a questo mirasse. E Robert si accorse che non dormiva. Faceva finta: la pelle fra le spalle lo tradì, diventando all'improvviso elastica e tesa – quando si dorme non reagisce così. Tolse la mano e si alzò a guardarlo fingere. Nessuno dei due parlò. E allora sul comodino Robert vide la fotografia di Lyle e Tony, col cammello e le piramidi.
Se ne andò. Uscì e rimase un poco nel giardino, poi imboccò il viale di terra battuta che si immetteva sulla strada. Era trafficatissima. Le macchine sfrecciavano rumorose e sollevavano raffiche di polvere e di aria calda. Robert cominciò a camminare sul ciglio della strada, accanto a una stretta forra piena d'acqua ferma e di lattine; al di là c'era un campo di granturco. Fece un salto e s'inoltrò fra due file di piante finché non vide più le macchine. Si sedette e si tirò le ginocchia al petto appoggiandoci la fronte. Fra il granturco c'era pace e frescura. Guardava la terra fra le gambe e osservò delle formiche che trasportavano un pezzo di lolla. Forse ho sbagliato, pensò, forse Lyle dormiva davvero. Avrei dovuto svegliarlo e parlargli, senza andarmene così. Lo amo, si disse.
Si alzò e si avviò verso casa, ma invece di riprendere il viale tagliò per il bosco. Gli parve la strada più breve per tornare da Lyle.
Lyle rimase un altro po' a letto. Per qualche secondo, appena s'era svegliato, aveva pensato che a toccarlo fosse Tony. E come l'ebbe pensato – non un pensiero vero e proprio: la mano, per un istante, era di Tony – si era reso conto che si trattava di Robert. Tony è morto, si era detto. Era strano che l'avvenimento più importante della sua vita – la morte del suo compagno – a volte fosse ancorato alla sua coscienza in modo così labile. Spesso al risveglio, o nel sogno, si ritrovava in un mondo in cui Tony era vivo. Non nel senso che era redivivo, ma che esisteva come prima, in quel mondo in cui la sua presenza era più spesso un peso che un piacere. Tony e Lyle, in effetti, non si erano sempre amati con facilità, e questo aveva reso il lutto più complicato. La tristezza di averlo perso, per Lyle, s'era colorata di senso di colpa.
Si tirò su. Ho bisogno di fare una nuotata, pensò. Vado a cercare Robert e ci andiamo insieme. Sentiva già su di sé l'acqua fredda del fiume. Lo chiamò sotto voce, come se si trovasse fuori dalla porta, ma ovviamente non ebbe risposta. Si mise il costume, una maglietta e i sandali e scese di sotto. In casa non c'era nessuno. Uscì dalla porta sul retro, attraversò il prato e la siepe, e si fermò vicino all'orto. John si stava accanendo con la zappa: la conficcava nel terreno, la smuoveva e la estraeva. Lyle rimase a guardarlo qualche momento e poi gli chiese: «Hai visto Robert?».
John fermò la zappa a terra e si voltò. Si asciugò la fronte col dorso della mano. «No» gli rispose. «Vai a fare una nuotata?».
«Sì, cercavo Robert però».
«E Marian dov'è?».
«Non lo so, è scomparsa anche lei».
«Non credo che saranno scappati insieme». John riprese la zappa e la piantò con più forza nel terreno. «Be', con l'orto ho finito. Andiamo a nuotare. Robert ci troverà, vedrai». Si sfilò la maglietta, si asciugò il sudore e la stese con cura sulla recinzione, al sole. «Dài» fece a Lyle.
Si avviarono. «Robert mi piace,» disse John «mi sembra una persona molto, molto cara».
«Lo è» rispose Lyle.
Sul bracciolo della sedia di legno c'erano gli acquerelli che Robert aveva dipinto. Si fermarono a guardarli.
«Chi li ha fatti?» chiese John.
«Marian» rispose Lyle. «Voleva ritrarre me e Robert, ma io me ne sono andato. Sono davvero bellissimi». Prese quello con le palle e le mazze da croquet e lo osservò con più attenzione. «Non dovrebbero stare qui al sole» disse. Li posò sul prato, all'ombra della sedia. «Sono veramente belli. Ricordami di portarli in casa, dopo».
«Okay» fece John.
Camminarono fino in fondo al pontile evitando con cura le tavole sconnesse. Si fermarono interdetti, come volendo attraversare il fiume ma accorgendosi di non poterlo fare.
John si inginocchiò e toccò l'acqua con le dita. «Che ne pensi di Roland?» chiese a Lyle.
«Di Roland? In che senso?».
«Marian è preoccupata, crede… che sia ritardato. Forse Roland ha qualche problema, in termini di crescita».
«Non sono davvero la persona da cui avere un parere».
«Lo so,» disse John «ma mi chiedevo come è sembrato a te».
«Abbastanza normale» rispose Lyle. «Dorme tanto».
«Tutti i bambini dormono tanto».
«Be', allora molto normale. Quando dovrebbe cominciare a camminare?».
«In questo periodo, però non gattona ancora. E non è molto reattivo».
«Che dice la dottoressa?».
«Che nei test ha dei punteggi bassi ma che non dovremmo preoccuparci. E che basso significa basso, non anormale».
«Allora non dovreste preoccuparvi» fece Lyle.
«Ma Marian si preoccupa, e… come dire, non si lascia rassicurare. Se capita,» lo pregò John «potresti dirle qualcosa? Credo che le tue parole contino molto per lei».
«E cosa, per esempio?».
John si strinse nelle spalle. Tirò fuori le dita dall'acqua e si alzò. «Non so, qualcosa di rassicurante. Insomma, tu non vedi Roland da quand'era piccolissimo, di sicuro l'hai trovato cambiato».
Se mi chiede di parlarle, pensò Lyle, le cose devono esser messe davvero male.
John si slacciò le scarpe e si tolse i pantaloncini e le mutande. Nudo, rimase in piedi qualche istante con le dita dei piedi aggrappate al bordo dell'ultima tavola. Da dietro somigliava molto a Tony; poteva quasi essere Tony. Non si mosse, come se sapesse di essere osservato. Poi si tuffò nel fiume senza uno schizzo. I cerchi sull'acqua erano scomparsi quando riemerse molto più in là, e con il braccio fece segno di raggiungerlo. Lyle stava per togliersi il costume, poi lo tenne indosso. Il suo tuffo fu meno pulito.
Robert si era perso nel bosco, e si ritrovò in riva al fiume. Vide John e Lyle nuotare nella corrente; no, non nuotavano, si facevano trasportare lentamente. Li guardò per qualche istante, poi si spogliò ed entrò nell'acqua. Il fango sotto i piedi era viscido, fastidioso, e mentre camminava con le braccia aperte sentì il freddo ghermirlo. Si tuffò rumorosamente, e quando riemerse vide che Lyle e John lo stavano guardando. Cercò di salutarli, ma il gesto risultò impacciato. Non nuotava molto bene ed erano più lontani di quel che pensava; quando li raggiunse era senza fiato.
«Eccoti finalmente» fece Lyle. «Dov'eri finito?».
«Sono andato a fare una passeggiata» gli rispose lui ansimando.
Si zittirono tutti e tre e Robert ebbe la sensazione di averli interrotti. «Andrò fino a quella roccia» disse.
«É meglio se riprendi fiato» fece John.
«Sto bene. È l'acqua fredda a togliermi il respiro». Cominciò a risalire la corrente. Quando si voltò vide John e Lyle nuotare verso il pontile. Galleggiando sulla schiena, li guardò uscire dall'acqua. Gli fecero cenno di tornare, ma lui di proposito lo prese per un saluto, e ricambiò. Aspettò che si allontanassero e riprese piano a nuotare verso il punto in cui aveva lasciato i vestiti. Il sole era calato dietro agli alberi e l'acqua, luminescente fino a pochi minuti prima, era diventata scura.