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A mezzogiorno la calura aveva invaso anche le zone d'ombra. L'aria sembrava imbalsamata. Marian aveva programmato di pranzare all'aperto, ma decisero che in cucina faceva più fresco, intorno al grande tavolo di pietra, col ventilatore acceso e gli scuri serrati.

«Allora sei un pittore, mi ha detto John» si rivolse Marian a Robert, appena i vassoi di pasta e di pollo avevano fatto il giro.

«Be', è quello che faccio adesso» rispose lui. «Cioè, che cerco di fare».

«Quindi non ti consideri sul serio un pittore?».

«No, non sul serio».

«Interessante» disse Marian. «Ho sempre creduto che fosse importante per gli artisti definirsi tali, perché il mondo intorno di sicuro non li incoraggia. Forse però oggi gli artisti sono più pratici».

«Su di me mi pare presuntuoso. Ho cominciato da poco, e forse più che un pittore mi vedo un allievo».

«Eri a Skowhegan?». «Sì».

«Allora devi essere un allievo molto bravo».

«Mah, è stato un caso fortunato».

«Sono sicura di no» disse Marian. «Lyle, tu che ne pensi? E stato un caso fortunato?».

«Non ci credo al caso» rispose. Marian ebbe la sensazione che non stesse seguendo la conversazione.

«A proposito di casi fortunati,» intervenne John «hai trovato il pesce?».

«Sì,» rispose lei «del pescespada. Lo devo marinare, ho bisogno di un po' di coriandolo dall'orto». Ma non aveva intenzione di farsi distrarre così facilmente. «Robert, mi piacerebbe una volta o l'altra vedere i tuoi lavori» gli disse. «O ti dà fastidio?».

«No, per niente» rispose lui.

«Bene. Non mi fido degli artisti che non vogliono mostrarli, sembra contrario allo scopo».

«Quale scopo?» chiese Lyle.

Basta che la conversazione passi dal particolare all'astratto, pensò Marian, e stai sicura che avrai l'attenzione di Lyle.

«Comunicare» rispose lei.

«E credi che ci sia differenza fra le arti visive e la letteratura, riguardo al comunicare?».

«Be', ovvio. Le arti visive non comunicano più in modo diretto, come la letteratura, ma lo scopo è quello. I quadri mostrano una scena, da cui si desume la storia, la letteratura la storia la racconta».

«Quindi tu parli dell'arte narrativa?». «Sì».

«Ma quella è una forma morta».

«E su, per favore,» rispose Marian «ne abbiamo già discusso. Le forme artistiche non muoiono: mostrano segni di logoramento, e vengono reinventate. Ma capisco cosa vuoi dire; e in quel senso la letteratura è altrettanto logora».

«Cioè?».

«Be'… il mondo è cambiato in una maniera che impedisce di produrre letteratura nelle forme note, quelle del romanzo e del racconto. La poesia, invece, è senza tempo. I romanzi… non c'è più motivo di scriverne: non esistono più problemi che trovano lì la loro soluzione ideale».

«Quali problemi?».

«Be', i grandi romanzi ruotavano intorno a poche cose: come fallisce un matrimonio o come sublimare l'omosessualità».

Lyle scoppiò a ridere.

«É vero se ci pensi!» esclamò Marian. «E adesso che la gente divorzia – o nemmeno si sposa – e gli omosessuali vivono la loro vita alla luce del sole e senza inganni, tutte le tensioni che complicano la grande narrativa smettono di entrare in gioco. Perciò i romanzi incentrati sulla vita familiare, come noi li conosciamo, be'… secondo me sono finiti. Tu leggi la narrativa contemporanea?».

«No, se posso evitarlo» rispose Lyle.

«Vedi? Neppure io».

«Perché?» chiese Robert.

Marian lo guardò. Si stava divertendo a discutere con Lyle. Spesso, quando erano insieme, parlavano di argomenti intellettuali per il semplice gusto di farlo e perché nessuno li assecondava. Si assecondavano fra loro, senza prendere davvero a cuore l'argomento: il divertimento stava proprio in questo, e la semplice domanda di Robert vi poneva fine. Marian, infatti, leggeva la narrativa contemporanea e se fosse stato Lyle a chiederglielo lei avrebbe saputo inventare una ragione assolutamente plausibile per sostenere il contrario. Mentire a Lyle, però, era diverso che mentire a Robert. Intanto Lyle lo sapeva e Robert no, e poi di fronte a lui non voleva fare la figura di quella che non legge i contemporanei. Perciò lo guardò.

Robert era a disagio. «Insomma, io non leggo molta narrativa, ma non mi pare senza un fine. La vita familiare è cambiata, d'accordo, ma proprio questo… sì, è un motivo per continuare a leggere e scrivere romanzi. Anche se la saggistica forse può indagare meglio questi cambiamenti».

Marian pensò: se lo avesse detto Lyle saprei cosa rispondergli; la narrativa è sempre stata in grado di esprimere con la massima chiarezza tutti i cambiamenti della società. Non era certa però di volerlo dire a Robert. Avrebbe significato avvalorare la sua affermazione, accoglierla e accogliere lui. Era meglio stare zitti.

Fu Lyle ad arrivare in soccorso a Robert. «Be',» disse «secondo me è l'arte in generale a non avere un fine».

«Lo pensi davvero?» chiese Marian.

«Non lo so». Lyle buttò il tovagliolo sul tavolo. «Con questo caldo riuscirei a convincermene».

«Ma non convinceresti me,» disse Marian «e questo è il vero problema dei critici. Gente brillante e frustrata che cerca di convincersi in tutti i modi di una certa cosa».

«E così che mi vedi, brillante e frustrato?» chiese Lyle.

«C'è ancora del caffè freddo?» domandò John.

«No» rispose Marian. «Ne faccio un po'?».

«No, no» disse John. «Io me ne torno nell'orto».

«Avevi promesso che non ci saresti andato!» esclamò Marian. «Perché non fai una partita a croquet?».

«Troppo caldo. Ci giocheremo più tardi».

«Allora è troppo caldo anche per l'orto. E una nuotata al fiume?».

«Fra un po'». John si alzò. «Dopo il croquet. Vado a prenderti il coriandolo. Ti serve altro?».

«Pomodori e peperoni. E magari qualche zucchina».

«Robert,» disse John «ti va di accompagnarmi? Ti faccio vedere il mio orto e poi puoi portare la verdura a Marian».

«Non è che chiunque abbia voglia di vedere il tuo orto…» disse lei.

John la guardò. «Robert non è chiunque».

Avrò detto o fatto qualcosa di sbagliato, pensò Marian. Ma almeno ho detto o fatto qualcosa, invece di star lì zitta e muta per poi andarmene nell'orto.

«Vuoi venire, Robert?» chiese John.

Lui si alzò. «Sì» rispose. «A fra poco».

«Con calma,» gli disse Lyle «aiuto io Marian a sparecchiare».

«Non se ne parla» fece lei. «Perché non vai a sederti in biblioteca? E più fresco».

«Perché non ne ho voglia. Preferisco aiutarti». Lyle cominciò a ritirare i piatti e li portò al lavello.

John e Robert scesero lungo il prato; Lyle e Marian per un po' ebbero da fare a riordinare, e ognuno sperava che fosse l'altro il primo a parlare.

«Poco fa non hai risposto alla mia domanda» disse Lyle. «Credi davvero che sia un frustrato?».

«Ma figurati» fece Marian. «Non so neanch'io cosa dicevo, cercavo soltanto di tenere viva la conversazione».

«Per quale motivo?».

«Per evitare l'imbarazzo».

«Che imbarazzo?».

«Non lo so, mi era parso».

«Dici davvero?» chiese Lyle.

Marian si stava lavando le mani con l'acqua fredda. «Sì,» disse «un po'». Dalla finestra vide John e Robert scomparire dietro la siepe; e poi soltanto il lungo declivio del prato e il fiume e il sole che acquietava tutto. Sentiva Lyle alle sue spalle che puliva il tavolo, ma non si voltò. «Sì, c'è dell'imbarazzo,» disse «non voglio fare finta di no. Ma non è qualcosa… voglio dire, non potrebbe essere il contrario, e va benissimo così».

«Non capisco dove stia l'imbarazzo» disse Lyle.

«No?». Marian si girò. «Davvero non capisci?».

Lui rimase a osservare attento e come inebetito la manciata di briciole che teneva in mano. «No» ripetè.

«Sai cos'è questa settimana?».

«No, cosa?».

«L'anniversario. Tony è morto un anno fa, questa settimana».

«Lo so, certo che lo so» rispose Lyle. «Ma ogni giorno è l'anniversario della sua morte».

«Forse sono solo una sentimentale».

«Lo siamo tutti. Io per primo».

«Be',» disse lei «mi sembra strana una cosa del genere, da parte tua».

«Quale cosa?».

«Oh, non lo so» gli rispose lei pensando: adesso lascio perdere se no finisco per creare un guaio. Ma se lasciava perdere, si disse, se non parlava, si sarebbe sentita un'ipocrita e il weekend – il tempo passato con Lyle –sarebbe stato tutto una farsa. «Non è vero, lo so, e lo sai anche tu. Che tu per tutta l'estate non sia venuto, e poi questo sabato e domenica arrivi con un'altra persona».

«Ma d'estate ho avuto da fare» rispose Lyle «e siamo d'accordo per questo weekend da più di un mese. Poi ho incontrato Robert. E mi è venuta voglia di portarlo. Ho pensato che così potevo stare bene, forse… o un po' meglio. Non mi sembrava fuori dal mondo. Secondo te non avrei dovuto?».

«No» gli rispose Marian. «Scusami, non volevo dire questo. Non so neanch'io cosa voglio dire, cioè sì, ma non ci ho riflettuto a fondo. Sto… ragionando ad alta voce». Fece una pausa e poi continuò. «E solo che per me è difficile. Lo so che per te lo è mille volte di più, e non voglio essere io a complicarti le cose, o a banalizzare le tue difficoltà. Ma voglio essere sincera, la situazione è imbarazzante, non riconoscerlo sarebbe fare finta, essere disonesti».

Lyle buttò le briciole nella spazzatura. Si pulì le mani ma non disse nulla. Si sedette al tavolo.

Marian lo guardava. «Ecco, adesso mi sento malissimo. Avrei dovuto tacere, ma è impossibile, ci conosciamo troppo. Ne abbiamo passate tante e tu sei il mio migliore amico». Gli mise timidamente le mani sulle spalle. «Ti voglio così bene» gli disse.

Rimase a lungo in piedi dietro di lui, nella cucina afosa. Lyle si mise una mano sugli occhi, e lei gli osservò la testa, il cuoio capelluto sotto i capelli radi. Visto così sembrava vecchio e terribilmente vulnerabile, e il cranio un guscio d'uovo: avrebbe voluto dargli un bacio o posarci sopra la guancia, ma non lo fece. Gli strinse con delicatezza le spalle. «Ti voglio così bene» ripetè. Lyle tolse la mano dagli occhi e diede qualche buffetto sulla mano di Marian, poi intrecciò le dita con le sue. E in quella posizione li trovò Robert quanto tornò dall'orto – senza dirsi nulla, senza lacrime, Lyle sulla sedia e Marian alle sue spalle, tenendosi per mano.