Capitolo settimo
LA LUNGA MANO DEL MINCULPOP
Il Minculpop che Alessandro Pavolini eredita da Dino Alfieri è già una macchina ben oliata che consente al regime di controllare uno dei settori più delicati della nazione. Dipendono dal ministero della Cultura popolare la stampa, la radio, il teatro, il cinema e il turismo. E si tratta di una dipendenza totale. Il Minculpop stabilisce la linea che tutti i giornali devono seguire, sceglie i direttori, indica i giornalisti da assumere o da licenziare. Controlla inoltre, molto rigorosamente, l'intera programmazione radiofonica, teatrale e cinematografica, giungendo a stabilire le canzoni da trasmettere, il timbro della voce che gli speaker devono usare, le commedie che possono essere rappresentate, i soggetti meritevoli di essere trasformati in film, i registi che dovranno realizzarli e gli attori che potranno interpretarli.
Ma non è tutto. Nel settore dello spettacolo, malgrado l'oculata censura preventiva, il ministero può ancora intervenire a opera compiuta per bloccare un lavoro teatrale o per impedire la distribuzione di un film. Nel settore della stampa, invece, la censura preventiva ufficialmente non esiste (ci si limita a diramare ai direttori opportune «note di servizio»: le famose «veline», chiamate così perché le dattilografe usavano fogli molto sottili per aumentare il numero delle copie con la carta carbone). Di conseguenza il Minculpop può intervenire soltanto in un secondo tempo per ordinare il sequestro di un libro o di un giornale dal contenuto «eretico». Ma ciò accade molto di rado. Salvo eroiche eccezioni, scrittori e giornalisti sono diventati esperti autocensori: sanno cosa il regime si attende da loro e fanno del loro meglio per accontentarlo. Il loro appiattimento sulla «linea» è così totale che, come vedremo, Pavolini sarà costretto a intervenire per ricordare ai più conformisti che l'eccesso di zelo a volte può risultare controproducente.
Va anche detto, per la verità, che l'autocensura e l'eccesso di zelo non sono figli della paura. Non sempre, almeno. Esistono infatti frotte di giornalisti, autori e opinion maker che ricevono compensi regolari, ma segreti, per le loro prestazioni a favore del regime. Costoro sono indicati sprezzantemente da Mussolini con il nome di «canguri», per via del capiente marsupio, e suddivisi in due categorie: i «grandi» e i «piccoli canguri» (fra i grandi figura, per esempio, Curzio Malaparte, il quale, con queste prebende, si costruirà una villa a Capri). Inutile dire che anche l'amministrazione dei canguri compete al ministero della Cultura popolare. Uno dei primi atti di Pavolini appena nominato segretario del Partito fascista repubblicano sarà di rendere noto attraverso la stampa e la radio l'elenco dei «canguri giganti», ossia degli intellettuali prezzolati dal regime e successivamente passati nelle file dell'antifascismo.
Questo enorme potere, impensabile anche nella più lottizzata delle democrazie, è ora tutto concentrato nelle mani di Alessandro Pavolini. Il quale lo eserciterà in maniera controversa, ora perché costrettovi dal precipitare degli avvenimenti, ora perché «scavalcato» da Ciano, che non volle mai troncare i suoi legami diretti con gli ambienti dell'informazione. Dal punto di vista finanziario, la sua amministrazione risulta corretta: nei suoi fascicoli personali non si trovano «rilievi» dell'OVRA riguardanti possibili malversazioni che la disponibilità di fondi neri avrebbe facilmente consentito.
L'insediamento di Pavolini al vertice del Minculpop riscuote comunque molte approvazioni. Buzzino gode ancora fama di «buon ragazzo» ed è rispettato per le sue indiscusse doti intellettuali. Giornalisti e scrittori lo considerano un collega, e anche questo fatto ha la sua importanza. Per giunta, è anche considerato un moderato ostile all'intervento nel conflitto scatenato dalla Germania. In questo senso esiste infatti un documento inoppugnabile. Si tratta di una nota dei servizi segreti germanici nella quale, a commento del rimpasto governativo ordinato dal Duce, Pavolini viene indicato come un «nemico dell'Asse», con la seguente precisazione: «In occasione dell'occupazione della Cecoslovacchia egli è stato udito esclamare: 'Questo è il momento buono per mettere a posto la Germania una volta per sempre!'». Avremo modo di constatare che i tedeschi continueranno a giudicarlo «sospetto» per molto tempo ancora.
E' anche molto probabile che il neoministro covasse programmi ben diversi da quelli che i successivi eventi bellici lo obbligheranno a realizzare. Chi gli era vicino in quei giorni ricorda i suoi progetti per il rinnovamento della cultura. Voleva insomma ripetere sul campo nazionale quello che gli era così ben riuscito quando operava come federale di Firenze. Ben presto, invece, a causa dello scoppio della guerra, si ritroverà a svolgere un lavoro, spesso ottuso, di routine: una via di mezzo fra il capoufficio stampa del regime e l'addetto alle pubbliche relazioni del Duce. Era suo compito, per esempio, accompagnare gruppi di giornalisti stranieri in visita a Mussolini. E anche se lui sapeva trarre profitto da questa frequentazione per familiarizzare con il dittatore, ciò non lo esimeva dallo svolgere un ruolo a volte umiliante.
Ecco per esempio come Herbert L. Matthews rievoca, nei "Frutti del fascismo", una sua visita a Mussolini, nella residenza di villa Torlonia, organizzata dal Minculpop:
"Quando noi arrivammo egli stava giocando a tennis, e giocava come un principiante. I suoi avversari professionisti dovevano badare a gettargli le palle alla destra, ed all'altezza della cintura... I giocatori professionisti si disperavano per cercare di far vincere Mussolini; ma a dispetto di tutto si era ancora a tre contro due dalla parte del Duce quando smisero e si strinsero la mano nel modo prescritto. Io annotai i punti e stavo andandomene quando Pavolini, il ministro della Cultura popolare, annunziò forte che la parte di Mussolini aveva vinto, sette a cinque. Esclamai inavvertitamente: «Ma come è possibile, se hanno fatto soltanto cinque game?»
«Si era» mi precisò Pavolini con fermezza «a cinque a due in favore del Duce quando voi arrivaste»".
Per sottolineare l'ottusità di Pavolini come ministro della Cultura popolare, si fa spesso ricorso a talune delle moltissime veline che il ministro diramava quotidianamente ai giornali per suggerire editoriali, sollecitare campagne di stampa, ordinare l'embargo per determinate notizie, incidere sullo stile giornalistico e sul costume. Come si vedrà, molte «note di servizio» sono effettivamente esilaranti, mentre altre rivelano come il regime lasciasse ai redattori un margine molto scarso perfino per quanto riguarda la fantasia, l'inventiva grafica e la composizione stessa delle pagine.
Ma attenzione a leggerle nella giusta chiave. Occorre cioè ricordare che si tratta di veline segrete, destinate a persone fidate e dettate con la consapevolezza che è meglio far sorridere un caporedattore che milioni di lettori. Ciò che conta, insomma, non è il suggerimento segreto, ma il messaggio che arrivava all'opinione pubblica.
Se lette con questa chiave, le veline del Minculpop, oltre a testimoniare la pesante cappa che il regime aveva posato sulla stampa, riveleranno a tratti anche lampi di intelligente autoironia. Ma ecco qui di seguito una rapida selezione di alcune delle più curiose «disposizioni» diramate da Pavolini dall'ottobre 1939 al febbraio 1943, quando fu sollevato dal suo incarico al Minculpop.
"1° ottobre 1939: Non pubblicare pubblicità di Ditte che denominano "Impero" i loro prodotti. Esempio: Digestivo Impero.
9 dicembre 1939: Non occuparsi fino a nuovo ordine dell'attrice Isa Miranda. La disposizione vale anche per i giornali illustrati.
5 aprile 1940: Non pubblicare più fotografie di soldati presi alle spalle durante parate o sfilate.
26 maggio 1940: Pregasi rinnovare ai giornali il divieto di inserzioni di pubblicità ebraica, "anche mortuaria".
6 agosto 1940: Niente fotografie di cerimonie religiose nelle caserme. I soldati siano sempre presenti in esercitazioni militari e al maneggio delle armi.
30 ottobre 1940: Restrizioni alimentari. A nessuno venga in mente di raccontare che in fondo il burro fa male alla salute, che l'olio è indigesto ecc. Dire invece che si tratta di sacrifizi sopportati molto serenamente.
10 novembre 1940: E' fatto assoluto divieto di pubblicare notizie della premiazione del figlio del conte Ciano che ha avuto luogo al collegio San Gabriele di Roma.
27 novembre 1940: Non dire che l'Istituto di Ariccia visitato dal Duce si chiama Principe di Piemonte.
29 novembre 1940: Astenersi dall'illustrare la bontà del pane con la nuova miscela, anche dal punto di vista igienico-sanitario.
13 dicembre 1940: Non toccare l'argomento delle cosiddette code davanti ai negozi.
28 dicembre 1940: La frase «Vinceremo, e molto più presto di quanto non si creda», pubblicata dal «Secolo-Sera» di ieri, non è mai stata pronunciata dal Duce.
16 gennaio 1941: Le fotografie dei prigionieri di guerra vanno pubblicate soltanto se riguardano gruppi numerosi oppure alti comandi. La fotografia di soli 4 prigionieri pubblicata oggi non va ripresa.
6 febbraio 1941: Donna Letizia Pavolini desidererebbe inserire in cronaca il seguente avviso: «Sabato 8, ricorrendo il trigesimo di Maria Monso Broggi, sarà celebrata una messa in suffragio».
13 febbraio 1941: Non occuparsi di Moravia e delle sue opere.
17 febbraio 1941: Ignorare la pellicola propagandistica dell'ebreo Chaplin.
1° marzo 1941: E' fatto divieto di pubblicare fotografie, articoli e notizie riguardanti i seguenti attori stranieri, ebrei: Charlie Chaplin, Eric von Stroheim, Bette Davis, Douglas Fairbanks junior, Mirna Loy, Fred Astaire, e la Casa cinematografica americana Metro Goldwin Mayer.
9 marzo 1941: Si consiglia di riprendere la tesi secondo la quale Roosevelt sarebbe di origine ebraica.
20 maggio 1941: Continuare a dirigere la polemica contro i principali circoli bellicisti, circoli ebraici e circoli plutocratici senza personalizzare contro Roosevelt (controproducente negli USA).
12 maggio 1941: La notizia riguardante il volo di Hess va pubblicata senza rilievo, possibilmente nel pastone da Berlino, senza commenti.
13 maggio 1941: Hitler ha annunciato che l'ora della vittoria definitiva sta per scoccare. Per non suscitare impazienza sarà opportuno usare misura nei titoli...
24 giugno 1941: Non parlare del lieve investimento automobilistico subito ieri dal Presidente del Tribunale Speciale, Tringali Casanova.
9 luglio 1941: Non parlare degli operai italiani vittime di bombardamenti aerei in Germania.
24 luglio 1941: Non usare l'espressione «guerra lampo» a proposito della guerra in Russia (ed in genere per nessun settore).
13 agosto 1941: A proposito di una eventuale sostituzione di Fiorello La Guardia è stato parlato di una intenzione di Roosevelt di allontanare i collaboratori di origine italiana o tedesca. Astenersi da simili impostazioni. La Guardia non è italiano, è ebreo.
13 agosto 1941: Non fare pubblicità ad Alba De Cespedes.
8 ottobre 1941: Nella cronaca Stefani della visita del Duce a Bologna, Forlì ecc. togliere la frase «con ripetute rotture di cordoni» e l'altra: «la folla è tanta che in certi punti il servizio d'ordine è fatto unicamente dai fragili cordoni dei ballila».
10 ottobre 1941: La ditta Spagnoli di Perugia, produttrice di lana di coniglio Angora, ha fatto pubblicare sui giornali una reclame nella quale è detto che la «Lana di coniglio è la lana degli italiani». Superfluo rilevare il sarcasmo che tale infelice dizione ha sollevato. Provvedere affinché tale infelice reclame non sia assolutamente pubblicata dai giornali.
20 ottobre 1941: Recensire d'urgenza il volume "La marcia di Ronchi" di Edoardo Susmel.
25 novembre 1941: Le cronache e i commenti delle partite del campionato di calcio debbono limitarsi al solo giudizio tecnico senza epiteti offensivi all'arbitro.
9 dicembre 1941: Non pubblicare fotografie di persone che si stringono la mano. Si saluta romanamente.
2 febbraio 1942: Sottolineare simpaticamente la figura di Quisling che ha assunto il potere in Norvegia.
3 febbraio 1942: La gente non si abitui a credere che per il fatto che il Duce presiede direttamente il Comitato possano avvenire fatti eccezionali nel settore dell'alimentazione. Il Comitato non può produrre o far produrre quello che non c'è.
1° aprile 1942: Con troppa frequenza i giornali hanno ricominciato a pubblicare notizie di suicidi camuffandoli per disgrazie o accidenti vari: ricordare che le notizie relative ai suicidi sono abolite da un pezzo sui nostri giornali e che non debbono riaffiorare neppure in forma velata.
2 aprile 1942: Non pubblicare fotografie di sposi in tight.
18 aprile 1942: Il «Popolo di Roma» in una cronaca da Chieti parla di un soldato che tornato in licenza ha ucciso la moglie adultera. Tali notizie non vanno pubblicate.
20 aprile 1942: Un giornale ha pubblicato il seguente titolo retorico: "Gli italiani sono angeli". E' opportuno non mettere in circolazione frasi che possono ricordare il vecchio deplorevole luogo comune del «buon italiano».
29 agosto 1942: Non occuparsi del libro di Luigi Russo "La critica letteraria contemporanea" edito da Laterza.
30 agosto 1942: Tenere presente che la collaborazione ai giornali di Luigi Bartolini non è gradita.
31 agosto 1942: Non bisogna pubblicare la fotografia di Pavolini e Goebbels che si danno la mano.
28 settembre 1942: Quando il film "Bengasi" verrà proiettato, i critici se ne rioccupino con articoli originali. Senza che sia necessario dire che è un film di propaganda essi tengano presente il valore politico di questo film che è altissimo. Il film non va esaminato al lume delle discussioni estetiche e - a prescindere dal fatto che esso è interessantissimo - va considerato come un vero e proprio mezzo politico di propaganda.
28 ottobre 1942: Tra i presenti alla prima del film "Bengasi" dare anche il ministro Pavolini (anche se non ci sarà).
26 novembre 1942: Non riprendere la proposta di «Regime fascista» per l'immunità degli squadristi «silenziatori» dei mormoratori disfattisti, ovviamente troppo sfruttabili fuori. I ceffoni vanno dati, non detti, o almeno non stampati.
25 gennaio 1943: Sgombero della Tripolitania: il definirlo «un capolavoro di strategia difensiva» appare controproducente.
2 febbraio 1943: Sabato andrà in scena l'opera "L'Isola del Sole" del maestro Gaetani. Per le benemerenze artistiche e patriottistiche dell'autore si pregano i critici di essere benevoli.
10 febbraio 1943: Non riprendere la notizia del furto di bottiglie di liquori all'attrice Laura Solari".
Se Pavolini segue con grande cura la diffusione delle notizie attraverso la stampa, pone ancora maggiore attenzione per controllare la radiofonia. La radio, infatti, molto più dei giornali, gode di grande popolarità. Se soltanto un italiano su dodici legge il quotidiano, quasi tutti ascoltano la radio. Esperto manipolatore di mass media, il ministro interviene anche personalmente per suggerire nuovi programmi, rivelando anche in questo campo una notevole professionalità.
Dal giugno 1940, dopo l'entrata in guerra dell'Italia, Pavolini inventa, coordina o suggerisce nuove trasmissioni destinate alle truppe. Nascono, fra le altre, "Radio combattente" e "L'Ora del soldato". Rivolgendosi ai soldati attraverso i microfoni dell'EIAR, il ministro Pavolini garantisce che d'ora in poi
"la radio vi fa da giornale quotidiano, vi dà il bollettino, che è la cosa più importante della giornata, ve lo detta adagio perché lo possiate scrivere; vi fa da posta portando a vostra moglie le vostre notizie e dando a voi le sue. E, se non avete moglie, ve la trova. La radio canta per voi, se siete stanchi, e insegna ai vostri figli lontani le canzoni vostre. Vi mette via via a contatto con la gente delle vostre rispettive città, Roma, Milano, Napoli. La radio vi fa da teatro, da concerto, da dopolavoro".
Nasce in quei giorni anche la più nota rubrica giornalistica della guerra. Si tratta di "Commenti ai fatti del giorno", una trasmissione quotidiana affidata a giornalisti di fama e di fede sicura come Mario Appelius, Giovanni Ansaldo, Aldo Valori, Asvero Gravelli, Ezio Maria Gray, Rino Alessi e altri, i quali devono impostare i propri commenti secondo la seguente precisa disposizione del Minculpop: «Tono virile e fede nella vittoria».
A parte la «fede», che spesso difetta, è soprattutto il «tono» che preoccupa Pavolini. Scrive infatti pochi mesi dopo al direttore generale dell'EIAR, Raoul Chiodelli:
"E' necessario fare una revisione delle voci dei vari commentatori alla radio; il buon Titta Madia è... un tenore; Alessi tiene comizio; Gravelli la fa da tribuno ecc. I radiocommentatori devono convincersi una buona volta che se è vero che sono ascoltati da migliaia di persone, è bensì indubbio che questi ascoltatori sono polverizzati nello spazio. Il radiocommentatore pertanto deve parlare col tono con cui s'intratterrebbe in una piccola cerchia di persone".
Ma trasformare i «tromboni» in «violini» non è facile. E Pavolini interviene ancora indirizzando agli interessati lettere personali in cui ricorda che
"il conversatore radiofonico deve innanzitutto dimenticare di essere un oratore... il tono di voce e tutto il modo di "porgere" debbono risultare al microfono assolutamente diversi. Perché la sua voce non è destinata a risuonare in teatri, ma nell'intimità delle case. E' per questo che alla radio non bisogna mai gridare (e tanto meno "cantare" o "recitare"); è per questo che bisogna astenersi da effetti oratori o da declamazioni, nonché da quel genere di "crescendo" che attende al suo termine il coronamento di un applauso, il quale alla radio non esiste".
Ma per molti è fatica sprecata. Alla fine il ministro, per uniformarsi anche - come egli scrive - «a criteri superiormente suggeriti», procederà a una radicale epurazione. Salverà soltanto Mario Appelius (l'inventore dello slogan «Dio stramaledica gli inglesi»), il quale, a chi lo accusa di essere troppo rozzo e volgare, risponde insolentemente: «Io faccio propaganda di guerra, non di zabaglioni!». Appelius è comunque, fra tutti i commentatori, quello che ha meglio capito l'uso del mezzo radiofonico. Nei suoi commenti impiega un linguaggio diretto e colorito, condensato in frasi brevi. Spesso si compiace, con divertimento da parte del pubblico, di usare uno stile sportivo, alla Niccolò Carosio. Ecco un esempio del suo linguaggio che incontra l'approvazione di Pavolini:
"Il destino assegna a von Brauchitsch la bizzarra funzione di essere costantemente in gara di velocità. Ha già vinto la Coppa di Polonia, la Coppa di Norvegia, la Coppa di Olanda e la Coppa di Bruxelles. Quando avrà guadagnato la Coppa di Calais entrerà addirittura in finale per la Coppa d'Inghilterra".
Un altro serio problema del titolare del Minculpop è la programmazione musicale radiofonica. Fin dai tempi delle sanzioni e della conseguente politica autarchica, il regime ha tentato in qualche modo di arginare la diffusione nel paese della musica straniera, in particolare quella americana. Ma è stato uno sforzo inutile e comunque portato avanti con scarsa convinzione. Jazz, swing, musica ritmica o sincopata hanno da tempo conquistato i gusti del pubblico, soprattutto dei giovani, trovando convinti sostenitori persino nella stessa famiglia di Mussolini, dove il figlio Romano si è già rivelato un promettente jazzista.
Di conseguenza, anche dopo lo scoppio della guerra, i microfoni dell'EIAR continuano a trasmettere musica americana (come continuano a essere programmate pellicole hollywoodiane). I dirigenti dell'ente radiofonico trasgrediscono alla disposizione del partito di «elevare la qualità della musica», ossia di italianizzare al massimo le trasmissioni, perché si sentono protetti da Pavolini, il quale, oltre a essere abbastanza favorevole alla musica americaneggiante, è anche consapevole che questo genere non può essere soppresso per la semplice ragione che non esiste nient'altro. Ancora nel novembre del 1941, poche settimane prima dell'ingresso degli Stati Uniti nel conflitto mondiale, il «Radiocorriere» annuncia infatti che nessuno intende negare il diritto di cittadinanza alla musica sincopata, di cui «così vivo e abbondante è stato l'innesto nella nostra vena melodica».
Ma nel gennaio del 1942 il partito, scavalcando lo stesso ministero della Cultura popolare, interviene direttamente proibendo la vendita dei dischi americani.
Pavolini naturalmente si adegua, anche se non vede di buon occhio l'iniziativa del P.N.F. di bandire un concorso fra i compositori per dar vita a un nuovo repertorio di canzoni di guerra capaci di soddisfare a un tempo i gusti del pubblico e le esigenze propagandistiche del regime. Il concorso comunque, malgrado i ricchissimi premi, non ha successo. Molte canzoni vengono bocciate perché assolutamente prive di originalità, moltissime altre perché giudicate controproducenti in quanto, oltre «l'eccesso di sentimentalismo, offrono della guerra un'immagine tragica piuttosto che eroica». E' dunque una sconfitta per i propagandisti del regime. E sconfitto si dichiara lo stesso «Popolo d'Italia», l'organo del P.N.F., che scrive: «E' innegabile, e dobbiamo confessarlo con una certa amarezza, che non abbiamo avuto ancora, nel tempo dell'attuale conflitto, una canzone che abbia saputo interpretare con vero sentimento la grandiosità e la terribilità della guerra». Da parte sua, Pavolini commenta amaramente: «Anche in questo come in altri campi gli alleati tedeschi sono stati più bravi di noi».
Come è stato detto, compito del capo del Minculpop è anche quello di controllare e coordinare la produzione cinematografica, un'industria fiorente che produce circa un centinaio di film l'anno. In questo campo Pavolini si muove certo più a suo agio che fra le canzonette. Appassionato di cinema fin dalla più giovane età, giudica con competenza soggetti e sceneggiature e incoraggia quel nuovo indirizzo del cinema italiano (di cui sono sostenitori Rossellini, De Sica, De Sanctis e Visconti) che nel dopoguerra sfocerà nel neorealismo.
Naturalmente, Pavolini non dimentica mai di essere l'occhiuto censore del regime. E infatti proibisce la realizzazione di molti film che ritiene non in linea con le direttive del partito. Boccia, per esempio, un soggetto di Luchino Visconti tratto dall'"Amante di Gramigna" di Giovanni Verga, annotando in margine: «Basta con questi briganti». Boccia pure il progetto di un film su Eleonora Duse, che intende sfruttare la storia d'amore fra l'attrice e d'Annunzio, sia perché teme che la pellicola immeschinirebbe la figura del poeta, sia per fare un favore personale all'unica figlia della Duse, Enrichetta, che è ostile al progetto. Ma concede invece il suo placet a un secondo soggetto di Visconti dal titolo "Ossessione", liberamente tratto dal libro di James Cain "Il postino suona sempre due volte".
Il caso sollevato da "Ossessione" (opera prima di Luchino Visconti interpretata da Clara Calamai e Massimo Girotti) è anch'esso emblematico per conoscere il nostro controverso personaggio sempre combattuto fra la sua fede di fascista e il suo impegno culturale. Il film di Visconti, appena visionato dalla commissione di censura, solleva subito perplessità e preoccupazioni. La vicenda narrata viola infatti tutti i canoni imposti dal regime: non ha il solito lieto fine, presenta con schietta franchezza una vicenda passionale e morbosa che sfocia in un assassinio e dipinge un'immagine della vita italiana assolutamente non fascista. I commissari sono contrari alla distribuzione della pellicola, ma Pavolini non è d'accordo. «Siamo di fronte» dichiara «a un'opera d'arte cruda e audace. E' un film d'avanguardia che segna l'inizio di un'epoca. Ritengo che non dobbiamo creare ostacoli alla sua programmazione.» Più tardi, Pavolini invia una copia del film a Mussolini unitamente a una sua relazione. Mussolini visiona la pellicola nella sua saletta privata di villa Torlonia e si ritrova d'accordo con il suo ministro. «Date senz'altro il via a "Ossessione" del Visconti» gli scrive. «E' un'opera nuova che ha un significato. Qualcuno protesterà, ma non importa.» Il film compare sugli schermi italiani all'inizio del 1943 suscitando interesse e vivaci polemiche. Ma non vi rimane a lungo: nel marzo successivo, subentrando a Pavolini il ministro Polverelli dopo il «cambio della guardia» ordinato dal Duce, "Ossessione" sarà tolto dalla circolazione. Riapparirà nei cinema del Norditalia durante la Repubblica sociale.