5. CORPO, CERVELLO E MENTE
CORPO E MENTE
Corpo e mente sono due cose diverse o una sola? Se non sono la stessa cosa, sono fatti di due sostanze diverse o solo di una? E se le sostanze sono due, quella della mente viene per prima ed è causa dell'esistenza del corpo e del suo cervello, oppure è la sostanza del corpo a venire per prima, ed è il cervello a causare la mente? E ancora: come interagiscono queste sostanze? Adesso che conosciamo qualche dettaglio sul funzionamento dei circuiti neurali, siamo in grado di dire che rapporto c’è fra la loro attività e i processi mentali osservabili con l’introspezione? Questi sono alcuni dei principali interrogativi implicati nel cosiddetto problema mente-corpo, la cui soluzione è un passo essenziale per comprendere chi siamo. Agli occhi di molti scienziati e filosofi, quel problema o è falso, o è già stato risolto. Relativamente agli interrogativi appena elencati, d’altra parte, l’unico concetto che riscuote il consenso generale è quello della mente intesa non come una cosa, ma come un processo. Se individui perfettamente ragionevoli, intelligenti e istruiti possono dissentire appassionatamente su questi temi, il minimo che si possa dire è che qualcosa - o la soluzione in sé, o il modo di presentarla - lascia a desiderare.
Fino a poco tempo fa, il problema mente-corpo era rimasto un argomento di interesse filosofico, fuori dal regno delle scienze empiriche. Anche nel ventesimo secolo, quando ormai era chiaro che per le scienze della mente e del cervello fosse giunto il momento di affrontarlo, le barriere innalzate furono tali e tante - in termini di metodo e di approccio - che la questione finì per essere rimandata una volta di più. Solo negli ultimi dieci anni, finalmente, il problema è entrato nei programmi scientifici, in larga misura nel contesto degli studi sulla coscienza. E importante osservare, tuttavia, che coscienza e mente non sono sinonimi. In senso stretto, la coscienza è un processo mediante il quale una mente è permeata di un riferimento che chiamiamo sé, e si dice conosca la propria esistenza e quella degli oggetti circostanti. Esistono prove, da me illustrate altrove, che in particolari condizioni neurologiche il processo della mente possa continuare anche quando la coscienza è compromessa. Coscienza e mente cosciente, tuttavia, sono sinonimi.1
Studi neurobiologici e cognitivi hanno chiarito alcuni aspetti dell’enigma mente-corpo, ma le interpretazioni che ne sono derivate restano talmente controverse che gli incentivi per raccogliere nuovi dati o riflettere su quelli esistenti sono davvero esigui, e questo è un peccato. A dispetto delle barriere, infatti, oggi stiamo compiendo dei progressi e disponiamo di maggiori conoscenze su cui posare il pensiero, se solo esso sapesse considerarle libero da pregiudizi.2
A questo punto del libro è corretto considerare il problema mente-corpo per due ragioni. In primo luogo, molto di ciò che ho proposto relativamente a emozione e sentimento è particolarmente attinente al dibattito sul problema mente-corpo. In secondo luogo, tale problema è fondamentale nel pensiero di Spinoza, il quale, in effetti, potrebbe aver colto parte della soluzione: una possibilità che - indipendentemente da quanto sia corretta - ha corroborato le mie personali convinzioni in materia. Forse è proprio per questo motivo che ricordo il luogo e il momento in cui cominciarono a consolidarsi le mie attuali opinioni su questo tema. Il luogo era l’Aia; l'occasione, quella di una conferenza - una Huygens Lecture - che ero stato invitato a tenere.
L’AIA, 2 DICEMBRE 1999
Quello della Huygens Lecture è un appuntamento annuale, così nominato in onore di Christiaan Huygens. Huygens ebbe ben poco a che fare con il cervello, la mente o la filosofia, giacché si occupò di astronomia e di fisica. Gli interessava lo spazio: scoprì gli anelli di Saturno e stimò la distanza fra la Terra e le stelle osservando il Sole con una camera oscura. Gli interessava il tempo: inventò l’orologio a pendolo. E poi gli interessava la luce: il principio di Huygens fa infatti riferimento alla sua teoria ondulatoria della luce. Essendo il più famoso scienziato della storia d’Olanda, Huygens si ritrova a essere il santo patrono della conferenza annuale intitolata a suo nome, che intende dare voce e risalto a qualsiasi campo della scienza. Per inciso, ai suoi tempi il padre di Huygens, Constantijn, godeva della stessa fama del figlio e fu un personaggio altrettanto eccezionale. Le sue conoscenze abbracciavano il latino, la - musica, la matematica, la letteratura, la storia e la legge. Era un raffinato intenditore d’arte. Era un poeta. Ed era anche uno statista: segretario dello stathouder di Olanda, come lo era stato, a suo tempo, il padre. L’incarico urgente di riempire i palazzi del governo con dipinti adeguati fece di lui anche un patrono delle arti. La sua grande scoperta? Rembrandt.
La mia conferenza verte sulle basi neurali della mente cosciente, e vista la tendenza dei miei pensieri nell’ultimo anno, il legame con Huygens si rivela decisamente appropriato. Huygens e Spinoza erano contemporanei. Nacquero a nemmeno tre anni di distanza e per un certo periodo furono anche vicini di casa. Naturalmente, Huygens non viveva in un appartamento in affitto, ma nel fasto: la sua famiglia possedeva un palazzo all’Aia e una grande proprietà fra l’Aia e Voorburg. In ogni caso, i due respirarono la stessa aria e si incontrarono in diverse occasioni. Huygens acquistava lenti da Spinoza e di tanto in tanto gli scriveva ponendogli domande su questioni filosofiche. Spinoza conosceva bene l’opera di Huygens e possedeva una copia dei suoi libri. Ci sono pervenute almeno tre lettere, datate 1666, in cui Spinoza rispondeva a domande di Huygens sull’unità di Dio. Si rivolgeva a lui chiamandolo «Illustre signore», e al di là del tono pratico del contenuto, si percepisce una notevole distanza. Spinoza va dritto al punto, senza perdere tempo in convenevoli. La distanza tra il mondo dell’ebreo olandese ormai espulso dalla sua comunità religiosa e quello dell’aristocratico olandese affermato avrebbe potuto essere colmata dalla curiosità intellettuale di entrambi; sembra tuttavia che le loro personalità fossero troppo diverse per consentire un qualsiasi rapporto di amicizia. Ciò nondimeno, entrambi conoscevano le reciproche posizioni. Huygens sapeva dell’insofferenza di Spinoza verso Cartesio - il maestro che un tempo aveva iniziato il giovane Christiaan ai segreti dell’algebra - e questo andava benissimo, giacché lui stesso aveva finito per considerare le idee dell’illustre
precettore con lo stesso disincanto di Spinoza, sebbene per ragioni assolutamente diverse. Può darsi che qualche volta Huygens si fosse riferito a Spinoza chiamandolo l’«ebreo di Voorburg» o «il nostro israelita»; tuttavia era convinto che Spinoza producesse le migliori lenti in circolazione, e ne rispettava abbastanza l’intelligenza da vedere in lui un potenziale concorrente. Da Parigi, dove visse per lunghi periodi tenendosi convenientemente al riparo dalla maggior parte delle guerre che videro coinvolta l’Olanda, Huygens scriveva a casa, al fratello, consigliandogli di non condividere nuove idee con Spinoza. La freddezza era reciproca.
La mia conferenza si svolge nella Nieuwe Kerk, la caratteristica costruzione secentesca sita a pochi metri dalla tomba di Spinoza e a qualche isolato dalla sua casa.3 Mentre parlo sono distratto dal pensiero della sua presenza dietro di me: a sinistra, dove da qualche parte giace sepolto, e a destra, dove viveva. Come da programma, tengo diligentemente il mio discorso, sebbene, i miei pensieri siano fissi sull’idea che forse Spinoza aveva prefigurato alcune delle conclusioni che sto per presentare.
È facile capire perché la mente possa sembrare un mistero proibitivo e inaccessibile. Come entità, essa pare diversa da tutte le altre cose che conosciamo e, più precisamente, dagli oggetti che ci circondano e dalle parti del nostro corpo che vediamo e tocchiamo. La concezione del problema mente-corpo nota come dualismo delle sostanze coglie bene questa prima impressione: il corpo e le sue parti sono fatti di materia fisica, la mente no. Quando permettiamo a una parte della nostra mente di osservare il resto di se stessa in modo spontaneo e ingenuo, cioè senza l’influenza delle conoscenze scientifiche attualmente disponibili, le osservazioni sembrano rivelare, da un lato, la materia fisicamente estesa che costituisce le cellule, i tessuti e gli organi del nostro corpo. Dall’altro lato, l’osservazione ci mostra ciò che non possiamo toccare: tutti quei sentimenti, quelle immagini visive e quei suoni che si formano rapidamente nella nostra mente creando i pensieri, e che noi presumiamo essere d’un altro tipo di sostanza, non fisica - senza peraltro disporre di alcuna prova, favorevole o contraria, di tale presupposto.
La concezione del problema mente-corpo derivante da queste riflessioni ingenue colloca la mente da un lato e il corpo e il suo cervello dall’altro. Quest’idea - il dualismo delle sostanze - non domina più il pensiero scientifico o filosofico, benché, probabilmente, sia quella che ancora oggi rispecchia la visione della maggior parte degli esseri umani.
Nelle sue linee essenziali, il dualismo delle sostanze è la spiegazione cui Cartesio contribuì a dare dignità, e che mal si concilia, peraltro, con i suoi straordinari risultati scientifici. Nel suo modo di interpretare i complicati meccanismi sottesi alle funzioni del corpo, Cartesio era in anticipo rispetto ai contemporanei. Egli ruppe con la tradizione scolastica intrecciando in un’unica trama due filoni - e mettendo a contatto due mondi - fino ad allora rimasti separati: quello fisico-inorganico e quello vivente-organico. Ugualmente abile nel concepire raffinate modalità operative della mente, egli insistette sulla reciproca influenza fra mente e corpo. Eppure, non avanzò mai una proposta credibile per spiegare come quelle reciproche influenze si esercitassero. Ipotizzò che mente e corpo interagissero, ma non disse mai come potesse aver luogo quell’interazione, se non in una bizzarra affermazione, e cioè che essa era possibile grazie alla ghiandola pineale. Quest’ultima, localizzata alla base del cervello lungo la linea mediale, è una piccola struttura in seguito rivelatasi troppo scarsamente dotata e mal collegata per l’immane compito attribuitole da Cartesio. Nonostante la sua visione raffinata dei processi mentali e fisiologici, che considerava separatamente, Cartesio tralasciò di specificare, o rese inverosimili, i reciproci collegamenti fra mente e corpo. La principessa Elisabetta di Boemia, quel genere di allievo aperto e brillante che tutti noi vorremmo avere, vide molto chiaramente allora ciò che noi vediamo chiaramente adesso: affinché mente e corpo potessero svolgere il compito che Cartesio richiedeva loro, avrebbero dovuto entrare in contatto. Tuttavia, svuotando la mente di qualsiasi proprietà fisica, Cartesio rendeva impossibile quel contatto.4
Per Cartesio, la mente umana restava priva di estensione spaziale e sostanza materiale - due attributi negativi che le consentivano di sopravvivere quando il corpo non esisteva più. Era sì una sostanza, ma non fisica. Che Cartesio abbia davvero creduto in questa formulazione non è affatto sicuro. Può anche darsi che a un certo punto ne fosse persuaso, ma che poi avesse cessato di prestarle fede - il che non vuole assolutamente essere una critica. Significherebbe solo che Cartesio era incerto e ambivalente su un’idea che ha sempre gettato gli esseri umani - colti e ignoranti, stupidi e intelligenti - nello stesso, identico stato di incertezza e ambivalenza: molto umano e molto comprensibile. Che ci credesse o no, comunque, il fatto che la sua formulazione riaffermasse l’immortalità della mente individuale gli permise di sfuggire all’ anatema che si sarebbe abbattuto su Spinoza qualche anno dopo. A differenza di quest’ultimo, infatti, e sebbene non senza critiche, Cartesio è sempre stato percepito come figura autorevole, fino ai giorni nostri, da filosofi, scienziati e profani.
Nonostante le pecche scientifiche, la concezione del problema mente-corpo che si identifica con Cartesio è in risonanza con il moto di meraviglia e ammirazione che giustamente proviamo nel contemplare la nostra mente. Non c’è alcun dubbio che essa, la mente umana, sia speciale - speciale per l’immensa capacità di sentire piacere e dolore e di essere consapevole del piacere e del dolore altrui; per la capacità di amare e di perdonare; per la memoria prodigiosa, e l’abilità di fare uso di simboli e di narrare; per il dono di un linguaggio con una sintassi; per la capacità di comprendere l’universo e di crearne di nuovi; e per la velocità e facilità con cui elabora e integra informazioni disparate al fine di risolvere problemi. Tuttavia, l’ammirazione e la meraviglia evocate dalla contemplazione della mente umana sono compatibili anche con altre concezioni del rapporto corpo-mente; e in ogni caso, non rendono in alcun modo più corrette le opinioni di Cartesio.
Quando le osservazioni rese possibili dall’introspezione si ispirarono sempre più ai moderni dati scientifici offerti dalla neurobiologia, la concezione del problema mente-corpo improntata al dualismo delle sostanze perse il suo fascino. I fenomeni mentali si rivelarono strettamente dipendenti dal funzionamento di molti sistemi specifici di circuiti cerebrali. Per esempio: la vista dipende da diverse regioni neurali specifiche localizzate lungo vie nervose dirette dalla retina agli emisferi cerebrali. Quando una di tali regioni viene rimossa, la visione è danneggiata. Se si rimuovono tutte le regioni neurali implicate nella visione, quest’ultima risulta completamente compromessa. Lo stesso vale per l’udito, l’olfatto, il movimento, il linguaggio, o qualsiasi altra funzione mentale superiore vi venga in mente. Anche perturbazioni minime dei sistemi neurali specifici comportano importanti modifiche dei fenomeni mentali. Perturbazioni causate da un danno circoscritto ai neuroni di certe regioni - come accade a livello della lesione causata da un ictus - modificano marcatamente il contenuto e la forma di sentimenti e pensieri. Come abbiamo visto, lo stesso accade anche in assenza di danni permanenti, in seguito ad alterazioni temporanee della finzione di quelle cellule nervose dovute all’assunzione di farmaci e droghe. Probabilmente, per la maggior parte dei neuroscienziati, il fatto che la mente dipenda strettamente dal funzionamento del cervello non è più in discussione. Non ci resta che inchinarci tutti alla prescienza di Ippocrate, che sostenne esattamente la stessa cosa - e c’era arrivato da solo, pressappoco duemila anni fa.
La scoperta di un nesso causale diretto dal cervello alla mente e di una dipendenza della seconda dal primo, è naturalmente un fatto positivo, ma dobbiamo riconoscere di non aver ancora chiarito in modo soddisfacente il problema mente-corpo, e che l’impresa ha di fronte a sé diverse difficoltà, grandi e piccole. Almeno una di esse, d’altra parte, potrebbe essere superata con un semplice cambiamento di prospettiva. Questa difficoltà ha a che fare con una strana situazione: sebbene la moderna associazione fra mente e cervello sia la benvenuta, essa non ha eliminato la scissione dualistica fra mente e corpo. Semplicemente, si è limitata a spostarla. Nelle concezioni moderne più attuali e diffuse, mente e cervello si ritrovano insieme da un lato, mentre il corpo (ossia l’intero organismo senza il cervello) finisce dall’altro. Adesso la scissione separa il cervello e il corpo propriamente detto: in tali condizioni, la spiegazione della relazione fra mente e cervello diventa più difficile quando la parte-cervello del corpo viene isolata. Purtroppo questa inquadratura dualistica fa ancora da schermo impedendoci di vedere ciò che è chiaramente davanti ai nostri occhi - il corpo nella sua completezza, e la sua rilevanza nella formazione della mente.
Questo corpo invisibile mi fa pensare all’uomo invisibile di Chesterton.5 Probabilmente conoscete la storia. In una casa, con quattro persone di guardia che controllano da vicino chi entra e chi esce, viene commesso un omicidio da tempo preannunciato. Il mistero non sta nel fatto che alla fine quell’omicidio tanto atteso sia stato perpetrato. La cosa strana è che la vittima fosse da sola, e che nessuno, secondo gli incorruttibili guardiani, fosse entrato o uscito dalla casa. Mentre ciò è assolutamente falso: il postino è entrato in casa, ha commesso il delitto e se n’è andato sotto gli occhi di tutti. Ha perfino lasciato, nella neve, impronte che indicano il suo allontanarsi senza fretta dalla scena. Naturalmente, tutti hanno assistito ai movimenti del postino, e tutti negano di averlo visto: semplicemente, egli non trova posto nella teoria formulata dai testimoni sull’identità del possibile omicida. Costoro guardano, sì, ma non vedono.
Temo che nel caso del grande mistero alla base del problema mente-corpo sia accaduto qualcosa di simile. Avvicinarsi a una soluzione, anche parziale, richiede un cambiamento di prospettiva. Richiede che si comprenda che la mente emerge da (o all’interno di) un cervello situato in un corpo, con il quale interagisce; che grazie alla mediazione del cervello la mente è radicata nel corpo vero e proprio; che essa si è conservata nell’evoluzione perché contribuisce al mantenimento di quel corpo; e, infine, che la mente emerge da (o all’interno di) un tessuto biologico - le cellule nervose - che condivide le stesse caratteristiche valide per definire gli altri tessuti del corpo. Di per sé un cambiamento di prospettiva non basterà a risolvere il problema; ma se non avrà luogo, dubito che si possa pervenire a una soluzione.
PERDERE IL CORPO, PERDERE LA MENTE
A volte siamo colpiti da osservazioni che cambiano il nostro modo di pensare. A volte accade l’opposto, e a colpirci è il modo in cui il nostro pensiero attuale modifica il significato di un’osservazione precedente. Altre volte, infine, se siamo fortunati, rivalutare un’osservazione ci serve per mettere a fuoco il nostro pensiero. Questo fu proprio ciò che accadde nel caso di un paziente che avevo visitato agli inizi della mia carriera di neurologo. Indicando con precisione il proprio corpo, egli mi descriveva una strana sensazione che nasceva dal fondo dello stomaco per poi salire nel torace; dopodiché perdeva la sensibilità e la percezione corporea al di sotto di quel livello, proprio come se fosse stato in anestesia locale. Questa sensazione simile a un’anestesia continuava a salire e quando infine raggiungeva la gola, l’uomo perdeva i sensi.
Quella descritta dal mio paziente era l’avanzata di una distorsione della percezione corporea, immediatamente seguita da una perdita completa di coscienza, nel momento in cui la percezione stessa, da strana che era, veniva a mancare completamente.
Qualche istante dopo il verificarsi di tali notevoli eventi - e a sua insaputa, giacché era incosciente - il paziente era scosso da convulsioni, in preda a un attacco epilettico. Di lì a poco, terminato l’attacco, tornava alla sua vita normale.
È comune che i pazienti epilettici descrivano l’insorgere di strane sensazioni prima dei loro attacchi. Questi fenomeni sono chiamati aure; in particolare, sono definite «epigastriche» le aure che, come quella del mio paziente, hanno inizio vicino allo stomaco o nella parte bassa del torace. Si tratta di una delle varianti più comuni del fenomeno. Spesso i pazienti raccontano di percepire queste strane sensazioni salire dall’addome fino al collo, dopodiché perdono coscienza.6
Come mai la storia - non certo eccezionale - di quel paziente divenne per me tanto significativa? Ecco spiegato il motivo. Molto tempo dopo, ripensando alla cosa, intravidi la seguente possibilità: quando il processo di rappresentazione del corpo normalmente in corso nel cervello veniva sospeso, altrettanto sospesa era la mente dell’uomo. In un certo senso, rimuovere la presenza del corpo nella mente equivaleva a tirar via il tappeto da sotto a quest’ultima. Una drastica interruzione nel flusso delle rappresentazioni corporee, che sono alla base dei nostri sentimenti e del nostro senso di continuità, potrebbe comportare, di per se stessa, una radicale interruzione dei nostri pensieri su oggetti e situazioni.7
Molti anni dopo, visitando una donna affetta da asomatognosia (ovvero, «mancanza di riconoscimento del corpo»), quell’ipotesi divenne più plausibile. In questa paziente, le sensazioni corporee - in massima parte, anche se non tutte - svanivano gradualmente nell’arco di un breve periodo e rimanevano così sopite per diversi minuti; ciò nondimeno, la mente e il sé non erano sospesi. Scompariva la percezione dello scheletro e della muscolatura, sia a livello del tronco che degli arti, mentre persisteva quella dei visceri, e in particolare del battito cardiaco. Durante questi inquietanti episodi, la paziente era sveglia e vigile, sebbene non potesse comandare a se stessa di muoversi né le riuscisse di pensare ad altro che non fosse la sua insolita condizione. Certo, non era uno stato normale della mente, ma c’era ancora abbastanza mente, in lei, da consentirle di osservare e descrivere quello scompiglio. Nel suo intenso racconto, la paziente spiegava: «Non perdevo la sensazione di esistere, ma solo il mio corpo»; ma per essere precisa, avrebbe dovuto dire che perdeva parte del suo corpo. La condizione di questa donna sollevava una possibilità, e cioè che il processo mentale possa trovare un appiglio fintanto che esiste una qualche rappresentazione corporea - fintanto che il tappeto non sia stato completamente tirato via da sotto alla mente. Essa sollevava anche la possibilità che alcune rappresentazioni del corpo - e precisamente quelle che provengono dall’interno dell’organismo, in particolare dai visceri e dal milieu interno - possano avere maggior valore di altre nel dare fondamento alla mente. Per inciso, la patologia della paziente era stata indotta da un ictus che aveva compromesso una delle regioni somatosensitive dell’emisfero cerebrale destro, dando luogo alla formazione di una piccola area di tessuto cicatriziale. Tale tessuto innescava attacchi epilettici locali - un’onda elettrica che, avanzando, disturbava temporaneamente la funzione di alcuni circuiti interessati alla formazione delle mappe corporee. Noi sospettiamo che durante l’attacco venisse compromessa la funzionalità delle mappe nella S2, nella S1 e forse nel giro angolare destro, e che quella dell’insula fosse invece risparmiata.
Nel corso degli anni mi sono sempre interessato a quei rari casi in cui la percezione delle parti del corpo viene modificata dalla malattia. Già se è coinvolto un solo arto, le cose possono essere abbastanza strane. Un arto i cui nervi siano stati resecati, per esempio, può essere percepito in modo distorto, fuori posto, o assente; quanto a un arto amputato, può essere percepito come se fosse presente - il fenomeno dell’arto fantasma. Non è una situazione piacevole, ma a lungo andare diventa tollerabile.8 Quando però viene compromessa, anche temporaneamente, la percezione di settori più estesi del corpo, il prezzo che il paziente deve pagare è sempre una certa misura di confusione mentale. I meccanismi alla base di questi fenomeni coinvolgono sempre una delle regioni somatosensitive, oppure una delle vie nervose di connessione con la periferia discusse nel capitolo 3. Queste ultime, tuttavia, sono talmente numerose da rendere poco probabile l’eventualità di una malattia neurologica in grado di comprometterne la maggior parte.9
Non posso dire che la mia attuale prospettiva sul problema mente-corpo sia fondata su questi fatti. Ciò nondimeno, insieme ai dati su emozioni e sentimenti discussi nei capitoli 2 e 3, essi hanno messo a fuoco le mie idee aiutandomi a riconciliare una descrizione teorica con una realtà umana. In breve, la descrizione teorica specifica quanto segue:
• Insieme, il corpo e il cervello costituiscono un organismo integrato e interagiscono in modo completo e reciproco attraverso vie chimiche e neurali.
• L’attività cerebrale è mirata principalmente alla regolazione dei processi vitali dell’organismo sia attraverso il coordinamento delle operazioni interne del corpo, sia attraverso il coordinamento delle interazioni fra l’organismo nel suo complesso e gli aspetti fisici e sociali dell’ambiente.
• L’attività cerebrale è principalmente mirata ad assicurare la sopravvivenza nel benessere; un cervello fatto per perseguire questo scopo primario potrà poi impegnarsi, secondariamente, in qualsiasi altra impresa: dallo scrivere poesie al progettare veicoli spaziali.
• In organismi complessi come gli esseri umani, le regolazioni operate dal cervello dipendono dalla creazione e dalla manipolazione di immagini mentali (idee o pensieri) nell’ambito di quel processo che chiamiamo mente.
• L’abilità di percepire oggetti ed eventi, esterni o interni all’organismo, richiede la creazione di immagini. Le immagini relative all’esterno comprendono, per esempio, quelle visive, uditive, tattili, olfattive e gustative. Il dolore e la nausea sono invece esempi di immagini dell’interno del corpo. L’esecuzione di risposte - automatiche o intenzionali che siano - richiede l’esistenza di immagini. Infine, le immagini sono necessarie anche per anticipare e pianificare risposte future.
• L’interfaccia essenziale fra le attività del corpo e le configurazioni mentali che chiamiamo immagini consiste di specifiche regioni cerebrali che si servono di circuiti nervosi per costruire configurazioni neurali dinamiche e continue, corrispondenti alle diverse attività del corpo - in pratica, circuiti che registrano in mappe quelle attività nel corso del loro svolgimento.
• La creazione delle mappe non è
necessariamente un processo passivo. Le strutture in cui si formano
le mappe hanno voce in capitolo nel processo e sono influenzate da
altre strutture cerebrali.
Poiché la mente sorge in un cervello che è parte integrante dell’organismo, essa stessa è parte di quell’apparato ben organizzato. In altre parole, corpo, cervello e mente sono manifestazioni di un singolo organismo. Sebbene sia possibile dissezionarle al microscopio per fini scientifici, in pratica, nelle normali circostanze operative, esse sono inseparabili.
L’ASSEMBLAGGIO DELLE IMMAGINI CORPOREE
Dal mio punto di vista, il cervello produce due tipi di immagini del corpo. Le prime sono quelle che io chiamo immagini provenienti dalla carne. Esse comprendono immagini dell’interno dell’organismo, attinte, per esempio, dalle semplici configurazioni neurali che rappresentano la struttura e lo stato di visceri come il cuore e l’intestino e dei muscoli, insieme allo stato di numerosi parametri chimici nel milieu interno.
Il secondo tipo di immagini riguarda particolari componenti del corpo, come la retina nella parte posteriore dell’occhio e la coclea nell’orecchio interno. Queste sono le immagini provenienti da sonde sensoriali speciali. Si tratta di immagini basate sullo stato di attività di quelle particolari regioni del corpo, nel momento in cui tali dispositivi vengono modificati da oggetti che interagiscono fisicamente con essi, dall’esterno del corpo. Quell’interazione fisica assume molte forme. Nel caso della retina e della coclea, gli oggetti perturbano, rispettivamente, configurazioni di onde luminose e sonore, configurazioni che, così alterate, sono captate dai dispositivi sensoriali. Nel caso del tatto, l’interazione meccanica reale di un oggetto con il confine del corpo modifica l’attività delle terminazioni nervose distribuite nello spessore del confine stesso - la cute. Da questo processo derivano immagini di forme e consistenze superficiali.
La gamma di modificazioni corporee che possono essere rappresentate nel cervello è molto ampia. Essa comprende le modificazioni microscopiche che hanno luogo a livello di fenomeni chimici ed elettrici (per esempio nelle cellule specializzate della retina che reagiscono a configurazioni di fotoni portati dai raggi luminosi). Essa comprende anche modificazioni macroscopiche che possono essere osservate a occhio nudo (il movimento di un arto) o percepite con la punta di un dito (una protuberanza sulla cute).
In entrambi i tipi di immagine corporea - quelle provenienti dalla carne e quelle provenienti dalle sonde sensoriali speciali - il meccanismo di produzione è lo stesso. In primo luogo, l’attività all’interno delle strutture del corpo dà luogo a modificazioni strutturali temporanee. In secondo luogo, mediante segnali chimici portati dal flusso sanguigno e segnali elettrochimici trasmessi dalle vie nervose, il cervello costruisce, in alcune sue regioni, le mappe di quelle modificazioni corporee. Infine, le mappe neurali diventano immagini mentali.
Nel primo tipo di immagini, quelle provenienti dalla carne, le modificazioni hanno luogo in tutto il nostro paesaggio interno e sono segnalate alle regioni somatosensitive del sistema nervoso centrale da sostanze chimiche e dall’attività nervosa. Nel secondo tipo di immagini, quelle provenienti da sonde sensoriali speciali, le modificazioni hanno luogo in parti del corpo altamente specializzate, come la retina. I segnali risultanti vengono trasmessi, grazie a connessioni neurali, alle regioni dedicate alla rappresentazione dello stato di quel recettore specializzato. Tali regioni sono costituite da insiemi di neuroni il cui stato di attività o inattività forma una configurazione che può essere concepita come una mappa o una rappresentazione di qualsiasi evento abbia causato, in un dato momento, l’attività di un certo gruppo di neuroni e non di un altro. Nel caso della retina, per esempio, le strutture implicate nella visione comprendono il nucleo genicolato (parte del talamo), il collicolo superiore (parte del tronco encefalico) e le cortecce visive (parte degli emisferi cerebrali). L’elenco delle altre sonde sensoriali specializzate comprende: la coclea nell’orecchio interno (implicata nella percezione dei suoni); i canali semicircolari del vestibolo, anch’essi nell’orecchio interno, dove ha origine il nervo vestibolare (il vestibolo è implicato nella rappresentazione della posizione del corpo nello spazio; da esso dipende il senso dell’equilibrio); le terminazioni nervose olfattive nella mucosa nasale (per il senso dell’olfatto); le papille gustative nella parte posteriore della lingua (per il gusto); e le terminazioni nervose distribuite negli strati superficiali della cute (per il tatto).
lo credo che le immagini fondamentali nel flusso della mente siano immagini di qualche evento interessante il corpo, indipendentemente dal fatto che quell’evento abbia luogo nel profondo del corpo o in qualche dispositivo sensoriale speciale, localizzato in prossimità della periferia. La base di quelle immagini fondamentali è una collezione di mappe cerebrali, ossia una collezione di configurazioni di attività e inattività neurale (in breve, configurazioni neurali) in numerose regioni sensoriali diverse. Quelle mappe cerebrali rappresentano globalmente la struttura e lo stato del corpo in ogni dato istante. Alcune hanno a che fare con il mondo di dentro, con l’interno dell’organismo; altre con il mondo di fuori, il mondo fisico di oggetti che interagiscono con l’organismo a livello di particolari regioni del suo confine. In un caso o nell’altro, ciò che infine viene rappresentato, e ciò che emerge nella mente sotto forma di un’idea, corrisponde a una qualche struttura corporea, in un particolare stato e in un particolare insieme di circostanze .10
UNA PRECISAZIONE
È importante che io precisi meglio queste affermazioni, soprattutto l’ultima. La nostra attuale comprensione del modo in cui le configurazioni neurali diventano immagini mentali presenta una considerevole lacuna. L’esistenza, nel cervello, di configurazioni neurali dinamiche (o mappe) corrispondenti a un oggetto o un evento, è una base necessaria ma non sufficiente per spiegare le immagini mentali di quell’oggetto o di quell’evento. Noi siamo in grado di descrivere sia le configurazioni neurali - avvalendoci degli strumenti della neuroanatomia, della neurofisiologia e della neurochimica - sia le immagini mentali, servendoci degli strumenti dell’introspezione. Le modalità con cui avviene il passaggio dalle prime alle seconde sono note solo in parte; ciò nondimeno, la nostra attuale ignoranza non contraddice l’assunto che le immagini siano processi biologici, né nega la loro fisicità. Molti studi recenti sulla neurobiologia della coscienza hanno affrontato questo tema. In realtà, gli studi sull’argomento sono in massima parte centrati su questo problema del formarsi della mente - ossia su quell’aspetto del mistero della coscienza che consiste nella creazione, da parte del cervello, di immagini sincronizzate e poi montate in quello che ho chiamato il «film nel cervello». Quegli studi, d’altra parte, non forniscono ancora una risposta all’enigma, e qui vorrei chiarire che nemmeno io la sto offrendo. Nel capitolo 3, per esempio, quando ho tentato di fare chiarezza sui sentimenti, stavo cercando di spiegare sia il modo in cui essi possono essere costruiti in un corpo dotato di un cervello, sia il motivo per cui la loro costruzione è diversa, dal punto di vista neurobiologico, da quella di altri eventi mentali. Al livello dei sistemi, io sono in grado di spiegare il processo fino all’organizzazione delle configurazioni neurali sulla base delle quali emergeranno le immagini mentali. Non posso invece suggerire - e meno che mai spiegare - le modalità con cui vengono eseguiti gli ultimi passaggi del processo di creazione delle immagini.11
LA COSTRUZIONE DELLA REALTÀ
Questa prospettiva ha ampie implicazioni sul nostro modo di concepire il mondo che ci circonda. Le configurazioni neurali, e le immagini mentali corrispondenti di oggetti ed eventi esterni al cervello, sono creazioni cerebrali legate alla realtà che ne induce la comparsa, e non immagini speculari passive che riflettono quella realtà. Quando voi e io guardiamo un oggetto esterno, per esempio, formiamo immagini paragonabili nei nostri rispettivi cervelli, e riusciamo infatti a descrivere l’oggetto in termini molto simili. Questo tuttavia non significa che l’immagine che vediamo sia una replica dell’oggetto reale. Essa è basata su modificazioni che hanno luogo nel nostro organismo - corpo e cervello - quando la struttura fisica di quel particolare oggetto interagisce con il nostro corpo. I dispositivi di rilevamento sensoriale sono localizzati in tutto il corpo e contribuiscono a costruire configurazioni neurali che registrano l’interazione completa dell’organismo con l’oggetto in questione, rispetto alle sue molteplici dimensioni. Se state guardando e ascoltando un pianista che suona un brano particolare, diciamo la Sonata D960 di Schubert, l’interazione completa comprenderà configurazioni visive, uditive, motorie (legate ai movimenti da voi compiuti per vedere e sentire) nonché emozionali. Queste ultime derivano dalla vostra reazione nei confronti della persona che sta suonando, del modo in cui viene suonata la musica e delle caratteristiche della musica stessa.
Le configurazioni neurali corrispondenti alla scena appena descritta, costruite in base a regole proprie del cervello, sono ottenute per un breve periodo di tempo nelle molteplici regioni sensoriali e motorie del cervello. La loro creazione si basa sulla temporanea selezione di neuroni e circuiti impegnati nell’interazione. In altre parole, le unità costruttive delle configurazioni sono già presenti nel cervello, disponibili per essere scelte - selezionate - e assemblate secondo una particolare disposizione. Per capire, almeno in parte, questa situazione, potete pensare a una stanza dedicata al gioco del Lego, contenente qualsiasi pezzo possibile e immaginabile.12 In quella stanza, potreste costruire tutto ciò che vi venisse in mente: proprio come fa il cervello, che dispone di tutte le componenti per qualsiasi modalità sensoriale.
Le immagini che abbiamo nella nostra mente, allora, sono il risultato di interazioni che hanno luogo fra ciascuno di noi e gli oggetti che impegnano il nostro organismo, interazioni che vengono riprodotte in configurazioni neurali costruite in base all’architettura dell’organismo. Va sottolineato che questo non nega la realtà dell’oggetto. Gli oggetti sono reali. Né si nega, qui, la realtà delle interazioni fra oggetto e organismo. Inoltre, com’è ovvio, anche le immagini sono reali. Ciò nondimeno, le immagini che noi sperimentiamo sono costruzioni cerebrali indotte da un oggetto, e non riflessi speculari dell’oggetto stesso. Non c’è un’immagine dell’oggetto che venga trasferita otticamente dalla retina alla corteccia visiva. L’ottica si ferma a livello della retina. Al di là di essa troviamo trasformazioni di natura fisica che hanno luogo in continuità, dalla retina alla corteccia cerebrale. Allo stesso modo, i suoni che sentiamo non sono strombazzati con una sorta di megafono dalla coclea fino alla corteccia uditiva, sebbene, in senso metaforico, fra le due strutture anatomiche abbia effettivamente luogo un passaggio di trasformazioni fisiche. Esiste una serie di corrispondenze, affermatasi nella lunga storia dell’evoluzione, fra le caratteristiche fisiche di oggetti indipendenti da noi, e il menu delle possibili risposte dell’organismo. (La relazione fra le caratteristiche fisiche dell’oggetto esterno e le componenti preesistenti selezionate dal cervello per costruire una rappresentazione è un tema importante, che andrà esplorato in futuro). La configurazione neurale attribuita a un determinato oggetto viene costruita in base al menu di corrispondenze, scegliendo e combinando i simboli appropriati. D’altra parte, noi esseri umani siamo talmente simili dal punto di vista biologico che, riferendoci allo stesso oggetto, finiamo per costruire configurazioni neurali simili. Non dovrebbe sorprendere, se da quelle configurazioni neurali simili emergono poi immagini anch’esse simili. E per questo che possiamo accettare, senza proteste, l’idea convenzionale secondo la quale ciascuno di noi formerebbe nella propria mente l’immagine riflessa di un particolare oggetto. In realtà, però, non è così.
VEDERE COSE
Come facciamo a sapere che fra immagini mentali e configurazioni neurali esiste un intimo legame e che le prime derivano dalle seconde? Abbiamo cominciato a capire questa stretta relazione grazie agli studi di David Hubel e Torsten Wiesel. Essi dimostrarono che nella corteccia visiva di un animale sperimentale (una scimmia) intento a guardare una linea retta, una curva, o segmenti posizionati ad angoli diversi emergono configurazioni di attività neuronale ben distinte.13 Essi misero inoltre in relazione la comparsa delle varie configurazioni con l’anatomia corporea della corteccia visiva, svelando così le componenti modulari con cui è possibile costruire una forma particolare. Ulteriori evidenze scaturirono da un esperimento condotto da Roger Tootell, nel corso del quale, esponendo un animale sperimentale (anche in questo caso una scimmia) a uno stimolo visivo - per esempio una croce - fu possibile identificare una configurazione direttamente corrispondente in uno strato specifico della sua corteccia visiva, precisamente nello strato 4B della corteccia visiva primaria, noto anche come area di Brodmann 17 o area VI.14 Questa dimostrazione ha portato alla confluenza, in un quadro coerente, degli aspetti chiave del processo: lo stimolo esterno - che noi, in quanto osservatori, siamo in grado di percepire come immagine mentale e che possiamo ragionevolmente assumere sia percepito come tale anche dall’animale; e la configurazione neurale, la cui comparsa è chiaramente causata dalla vista dello stimolo. L’esperimento dimostra molteplici corrispondenze: lo stimolo visivo; l’immagine corrispondente che noi - e presumibilmente anche l’animale - ci formiamo di esso; e la configurazione neurale nel cervello dell’animale. In quella configurazione neurale noi, come osservatori, possiamo constatare una corrispondenza con la configurazione della nostra immagine e, per estensione, con la configurazione dell’immagine degli animali.
Osservando i dispositivi di rilevamento di stimoli visivi in dotazione a una creatura semplicissima, un invertebrato marino noto come Ophiocoma wendtii, troviamo un indizio circa le modalità con le quali questo straordinario meccanismo fisiologico potrebbe essere evoluto. O. wendtii è un’ofiura che dà prova di rapidità ed efficacia nella fuga da un predatore in avvicinamento, dimostrandosi capace di trovar rifugio nelle cavità e negli anfratti delle rocce vicine. Poiché l’animale ha uno scheletro esterno di calcio, non ha occhi e dispone di un sistema nervoso assolutamente primitivo, questi suoi comportamenti di fuga sono rimasti a lungo misteriosi. E emerso, tuttavia, che buona parte del corpo di questa creatura è costituita da minuscole lenti di calcio che si comportano in modo molto simile a un occhio. Le microlenti mettono a fuoco la luce incidente su una piccola area sottostante a ciascuna di esse, attivando così un fascio di fibre nervose. In questo modo si viene a formare la configurazione neurale corrispondente a un predatore, come pure quella indotta da un vicino anfratto, potenziale nascondiglio. L’elaborazione delle configurazioni «predatore» si traduce in un’attivazione nervosa e nelle appropriate risposte motorie che guidano l’animale nel riparo offerto dalla roccia.15 Non sto assolutamente insinuando che questa creatura pensi: si può tuttavia esser certi che agisca, e che lo faccia sulla base di configurazioni neurali di recente formazione. Non sono nemmeno incline a credere che - in un sistema nervoso tanto semplice - quelle configurazioni neurali diventino necessariamente immagini mentali. Sto analizzando questi fatti semplicemente per illustrare la genealogia della segnalazione afferente, ossia diretta dal corpo al sistema nervoso, sulla base della quale è possibile comprendere le influenze esercitate dal corpo sulla mente. L’occhio umano, con la retina, fa qualcosa di assolutamente simile alle lenti di O. wendtii. Il meccanismo dell’occhio, d’altra parte, è di gran lunga più complesso per quanto riguarda la varietà di influenze fisiche rappresentabili, la ricchezza delle mappe che possono essere così formate, e la gamma di azioni che possono essere intraprese di conseguenza. Il principio, tuttavia, è lo stesso: una parte specializzata del corpo viene modificata e il risultato di quella modificazione è trasferito al sistema nervoso centrale.
Un risultato affine, chiarito di recente, riguarda l’esistenza di una classe speciale di cellule retiniche che reagiscono alla luce e influenzano la funzione di un nucleo ipotalamico - il nucleo soprachiasmatico - preposto alla regolazione del ciclo circadiano e dei cicli di sonno/veglia. Il fatto che i coni e i bastoncelli della parte nervosa della retina rispondano alla luce è noto da tempo, e le loro reazioni sono essenziali per la visione. L’aspetto affascinante dei nuovi dati sta nel fatto che l’influenza esercitata dalla luce sull’ipotalamo non è mediata dai coni e dai bastoncelli; anche dopo la distruzione di queste cellule, infatti, la luce continua a scandire il ciclo circadiano. Pare che questo compito sia svolto da un gruppo di cellule appartenenti a un altro strato: lo strato delle cellule gangliari della retina. Questo gruppo di cellule gangliari è ben individuato, giacché le cellule gangliari che ricevono segnali da coni e bastoncelli non sono implicate nell’operazione. A quanto pare, il sottogruppo di cellule gangliari in questione è presente solo per assolvere a questa particolare funzione e non contribuisce alla visione.16 In modo diretto o indiretto, l’attività di queste cellule esercita un’influenza sulla mente. Per esempio, innescando il sonno, smorza l’attenzione e infine sospende la coscienza; le emozioni di fondo e gli umori corrispondenti sono anch’essi profondamente influenzati dall’esposizione complessiva dell’organismo alla luce, sia in termini di durata che di intensità. Ancora una volta, una modificazione nello stato del corpo - in questo caso, di una sua parte specializzata - si traduce in modificazioni mentali. E molto significativo che le cellule in questione, a differenza di quelle che contribuiscono alla visione, non siano interessate a una localizzazione precisa del punto in cui cade la luce. Procedendo lentamente e con calma, esse reagiscono alla luminosità complessiva e alla luce radiante diffusa all’interno dell’occhio, un po’ come gli esposimetri usati in fotografia. Viene la tentazione di considerare queste cellule come componenti di dispositivi sensoriali più antichi e meno raffinati, preposti non tanto al rilevamento dei dettagli dei contorni luminosi causati dalla presenza di oggetti esterni, quanto piuttosto a quello delle condizioni ambientali generali - in particolare della quantità di luce che circonda un organismo. In questo senso, esse ricordano le microlenti di O. wendtii e quella sensibilità corporea generale riscontrabile negli organismi più semplici non dotati di dispositivi sensoriali specializzati.17
Negli ultimi vent’anni, le neuroscienze hanno svelato moltissimi dettagli sulle modalità con cui il cervello elabora i vari aspetti della visione: non solo la forma, ma anche il colore e il movimento.18 Stiamo anche compiendo importanti progressi nella comprensione dell’udito, del tatto e dell’olfatto, e finalmente assistiamo a un rinnovato interesse per la delucidazione dei meccanismi della sensibilità enterocettiva: dolore, temperatura, e simili. Per quanto riguarda questi sistemi, comunque, abbiamo appena cominciato a svelarne i dettagli fini.
PRECISAZIONI SULL’ORIGINE DELLA MENTE
I due tipi di immagine corporea che abbiamo considerato, provenienti rispettivamente dalla carne e dalle sonde sensoriali speciali, possono essere manipolate nella nostra mente ed essere usate per rappresentare relazioni spaziali e temporali fra gli oggetti e, di conseguenza, anche gli eventi che coinvolgono quegli oggetti. Le immagini che si formano nella nostra mente sono immagini corporee nel senso discusso sopra? Non esattamente. Grazie alla nostra immaginazione creativa noi possiamo inventare altre immagini per simbolizzare oggetti ed eventi e per rappresentare astrazioni. Per esempio, possiamo frammentare le immagini fondamentali afferenti dal corpo appena descritte, e poi ricombinarne gli elementi. Qualsiasi oggetto ed evento può essere simbolizzato da un qualche tipo di segno da noi inventato, per esempio un numero o una parola, e tali segni possono essere combinati in equazioni e frasi e rappresentare entità ed eventi astratti o concreti.
L’influenza del corpo nell’organizzazione della mente può essere rivelata anche nelle metafore che i nostri sistemi cognitivi hanno sviluppato per descrivere eventi e qualità del mondo. Molte di tali metafore si basano su un’elaborazione operata dalla nostra immaginazione a proposito delle attività e delle esperienze tipiche del corpo umano, come posture, atteggiamenti, direzione del moto, sentimenti, eccetera. Per esempio, le idee di felicità, salute, vita e bontà sono associate a un’idea di «alto», sia in termini verbali che gestuali. La tristezza, la malattia, la morte e il male sono associati a un’idea di «basso». Il futuro è associato ad «avanti». Mark Johnson e George Lakoff hanno spiegato in modo molto persuasivo come la categorizzazione di certe azioni corporee abbia condotto a certi schemi che alla fine sono denotati da un gesto o una parola.19
A questo punto, occorre introdurre un’altra importante precisazione. Quando diciamo che la mente è costruita a partire da idee che sono, in un modo o nell’altro, rappresentazioni cerebrali del corpo, è facile che il cervello finisca per essere concepito come una lavagna che inizia ogni nuova giornata perfettamente pulita, pronta per essere riempita con i segnali afferenti dal corpo. E tuttavia, nulla potrebbe essere più lontano dalla realtà. Il cervello non comincia affatto la sua giornata come una tabula rasa. Fin dalla nascita, esso è impregnato di conoscenze sul modo in cui governare l'organismo, e più precisamente sul modo in cui andrebbero diretti i processi vitali e in cui si dovrebbero gestire numerosi eventi nell’ambiente esterno. Molti siti e molte connessioni attivi nella creazione di mappe sono presenti fin dalla nascita; sappiamo, per esempio, che le scimmie neonate hanno, nella corteccia cerebrale, neuroni pronti a rilevare linee con un certo orientamento.20 In breve, il cervello reca con sé una conoscenza innata e un «saper fare» automatico, predeterminando così molte idee relative al corpo. Conseguenza di questa conoscenza e di questo saper fare è che molti segnali del corpo, destinati a diventare idee nel modo che abbiamo discusso finora, sono generati dal cervello. Quest’ultimo comanda al corpo di assumere un certo stato e di comportarsi in un certo modo, e le idee si basano su quegli stati e quei comportamenti. Il principale esempio di questa organizzazione riguarda gli impulsi e le emozioni. Come abbiamo già visto, in essi non c’è nulla di libero o di casuale. Impulsi ed emozioni sono repertori di comportamenti altamente specifici, che si sono conservati nell’evoluzione e la cui esecuzione, in determinate circostanze, viene fedelmente evocata dal cervello. Quando, all’interno del corpo, le fonti di energia vanno esaurendosi, il cervello ne rileva il declino e induce uno stato di fame: in altre parole, induce l’impulso che porterà alla correzione dello squilibrio. L’idea della fame emerge dalla rappresentazione delle modificazioni corporee indotte dal dispiegamento di questo impulso.
Affermando che molte idee del corpo sono conseguenza del fatto che il cervello ha messo il corpo stesso in un particolare stato vogliamo dire che alcune delle idee del corpo che finiscono per costituire i fondamenti della mente sono notevolmente vincolate dal piano preesistente dell’architettura del cervello, nonché dalle esigenze complessive dell’organismo. Esse sono idee di azioni del corpo, ma quelle azioni sono state in primo luogo sognate da un cervello, che ne ha poi comandato l’esecuzione in un corpo.
Questa organizzazione sottolinea quanto la mente sia «attenta al corpo». In effetti, la mente esiste perché c’è un corpo che la rifornisce di contenuti. D’altro canto, essa finisce per eseguire compiti che si rivelano utili e pratici per il corpo: controlla l’esecuzione di risposte automatiche in relazione al bersaglio corretto; anticipa e pianifica risposte nuove; crea circostanze e oggetti benefici ai fini della sopravvivenza fisica. Le immagini che fluiscono nella mente sono riflessi dell’interazione fra l’organismo e l’ambiente; riflessi del modo in cui la reazione del cervello nei confronti dell’ambiente influisce sul corpo; ancora, riflessi di come procedono le regolazioni e gli adeguamenti del corpo nello stato in cui versa la vita.
Poiché il cervello fornisce i substrati più immediati della mente, in altre parole le mappe neurali, qualcuno potrebbe sostenere che la componente essenziale da considerare nel problema mente-corpo non sia il corpo, ma il suo cervello. Qual è il vantaggio di considerare la mente nella prospettiva del corpo, invece che in quella del solo cervello? Il vantaggio è che così facendo perveniamo a una spiegazione razionale della mente che non otterremmo se la considerassimo unicamente in relazione al cervello. La mente esiste per il corpo: è impegnata nel raccontare la storia dei molteplici eventi che interessano il corpo, e si serve di quella storia per ottimizzare la vita dell’organismo nel suo complesso. Sebbene io detesti le frasi che richiedono un’analisi laboriosa, qui sono tentato di offrirne una come sommario delle mie idee: la mente del cervello - alimentata dal corpo e al corpo attenta - è utile al corpo nel suo complesso.
Ma ecco ora presentarsi alcuni delicati interrogativi. Perché mai abbiamo bisogno di un «livello mentale» delle operazioni cerebrali, e non possiamo farci bastare il semplice «livello delle mappe neurali» attualmente descritto grazie agli strumenti delle neuroscienze? Perché il livello delle mappe neurali, con le sue attività né mentali né coscienti, dovrebbe rivelarsi meno efficiente di quello della mente cosciente ai fini della gestione del processo vitale? In termini ancor più chiari, in armonia con la mia linea di pensiero: perché dobbiamo invocare il livello neurobiologico che include anche ciò che chiamiamo mente e coscienza?
Ad alcune di queste domande possiamo dare una risposta, mentre su altre possiamo solo speculare. Per esempio, in assenza di una coscienza nel senso più ampio del termine - un processo che comprende sia il «film nel cervello», sia il senso del sé - sappiamo per certo che non è possibile gestire in modo appropriato i processi vitali. Anche una sospensione temporanea della coscienza implica infatti una gestione inefficiente di quei processi. Perfino la semplice sospensione della componente «sé» della coscienza implica una disorganizzazione della gestione dei processi vitali, riportando l’essere umano a uno stato di dipendenza paragonabile a quello di un bambino che stia ancora movendo i primi passi (come si verifica, ad esempio, nel mutismo acinetico) . E indubbio che il livello della mente cosciente sia necessario per la sopravvivenza.
Possiamo chiederci allora quale sia il contributo indispensabile che il livello biologico della mente cosciente comporta per un organismo. Su questo punto le risposte sono speculative. Come ho suggerito nel capitolo 4, può darsi che, in corrispondenza del livello mentale, la complessità dei fenomeni sensoriali faciliti un’integrazione fra modalità diverse, per esempio di quella visiva con quella uditiva, oppure di queste due con quella tattile, eccetera. Inoltre, l’esistenza del livello mentale potrebbe anche permettere l’integrazione di immagini reali riconducibili a ogni tipo di modalità sensoriale con altre immagini pertinenti richiamate dalla memoria. Come se non bastasse, questa abbondante attività integrativa potrebbe dimostrarsi terreno fertile per la manipolazione delle immagini necessaria alla risoluzione di problemi e, più in generale, alla creatività. La risposta, allora, potrebbe essere questa: le immagini mentali consentirebbero una facilità di manipolazione dell’informazione che il livello delle mappe neurali (come l’abbiamo descritto finora) non permetterebbe. E probabile che, per consentire queste nuove funzioni, il livello operativo mentale possieda ulteriori specificazioni biologiche oltre a quelle già presenti nel livello «corrente» delle mappe neurali. Ciò non significa che il livello mentale delle operazioni biologiche sia basato su una sostanza diversa, nel senso inteso da Cartesio. Le immagini complesse, altamente integrate, che entrano in gioco nel processo mentale possono infatti venire ancora concepite in termini fisici e biologici.
Occorre ora considerare quale sia il contributo al processo offerto dal senso del sé. La risposta è: un orientamento. Il senso del sé introduce, nel livello di elaborazione mentale, la seguente idea, e cioè che tutte le attività correnti rappresentate nel cervello e nella mente siano attinenti a un singolo organismo le cui esigenze di autoconservazione sono la causa fondamentale della maggior parte degli eventi in corso di rappresentazione. Il senso del sé, allora, orienta il processo di pianificazione mentale verso la soddisfazione di quelle esigenze. Questo orientamento è possibile solo perché i sentimenti sono parte integrante della serie di operazioni che costituiscono il senso del sé. E anche perché i sentimenti generano in continuazione, all’interno della mente, un interesse per l’organismo.
In breve, senza immagini mentali, l’organismo non sarebbe in grado di eseguire un’integrazione tempestiva e su larga scala dell’informazione essenziale alla sua sopravvivenza, per non parlare di quella essenziale ai fini di una sopravvivenza nel benessere. Ma non è tutto: senza un senso del sé e senza i sentimenti che lo integrano, questa elaborazione mentale su larga scala dell’informazione non sarebbe orientata verso i problemi della vita, e precisamente alla sopravvivenza e al raggiungimento del benessere.
Questa concezione della mente non colma la lacuna esistente nella nostra conoscenza - alla quale alludevo prima dicendo che le attuali descrizioni neuroscientifiche delle attività delle mappe neurali non forniscono abbastanza dettagli per spiegare la composizione biofisica delle immagini mentali. Quella lacuna è tuttavia riconosciuta, come lo è la speranza che si possa riuscire a colmarla in futuro.21
Per adesso non è irragionevole concepire la mente come emergente dalla cooperazione di molte regioni del cervello. Tale emergere ha luogo quando il mero accumulo dei dettagli riguardanti lo stato del corpo rappresentato in quelle regioni raggiunge un’«altezza critica». La lacuna della conoscenza, che oggi noi ammettiamo, potrebbe rivelarsi poco più che una discontinuità nella complessità dei dettagli accumulati e delle interazioni fra le regioni cerebrali implicate nella rappresentazione.
IL
CORPO, LA MENTE E SPINOZA
È tempo ormai di tornare a Spinoza e di considerare il possibile significato di quanto egli scrisse sul corpo e sulla mente. Quale che sia l’interpretazione che preferiamo dare alle sue dichiarazioni in proposito, è certo che Spinoza stava modificando la prospettiva ricevuta in eredità da Cartesio quando - nella prima parte dell’Etica - scrisse che pensiero ed estensione, sebbene distinguibili, sono ciò nondimeno attributi della stessa sostanza, il Deus sive natura. Il riferimento a un ’unica sostanza gli serve per sostenere che mente e corpo sono inseparabili, essendo entrambi, per così dire, tagliati dalla stessa stoffa. Il riferimento ai due attributi (la mente e il corpo) tiene conto, è vero, della distinzione tra i due tipi di fenomeni, ma con una formulazione che, mentre conserva un dualismo «di facciata» del tutto ragionevole, rifiuta il dualismo delle sostanze. Riconoscendo a pensiero ed estensione lo stesso statuto, e legandoli a una medesima sostanza, Spinoza intendeva superare un dilemma che Cartesio non era riuscito a risolvere: la presenza di due sostanze e la necessità di integrarle. In apparenza la soluzione di Spinoza non richiedeva più un’integrazione o un’interazione di mente e corpo: questi scaturivano parallelamente dalla stessa sostanza, mimandosi - completamente e reciprocamente - nelle loro diverse manifestazioni. A rigor di termini, la mente non causava il corpo e il corpo non causava la mente.
Se il contributo di Spinoza fosse limitato alla precedente formulazione, gli si dovrebbe comunque riconoscere di aver compiuto un certo progresso. Si potrebbe osservare che, nel mettere mente e corpo in relazione a una sorta di scatola chiusa - la loro identica sostanza -, Spinoza aveva definitivamente rinunciato a spiegare in che modo potevano essere emerse le manifestazioni del corpo e della mente.
Un critico equanime aggiungerebbe che Cartesio - almeno - ci aveva provato, mentre Spinoza si limitò ad aggirare il problema. In questo caso, però, il «fair play» condurrebbe a conclusioni inesatte, perché Spinoza - per come la vedo io - stava realmente compiendo un audace tentativo di penetrare il mistero. Sulla scorta delle proposizioni contenute nella seconda parte dell’Etica, mi azzardo a ipotizzare - certo, potrei anche sbagliarmi - che egli avesse intuito la generale disposizione morfofunzionale che il corpo deve assumere acciocché la mente emerga insieme ad esso o, più precisamente, con esso e all’interno di esso. Ora spiegherò perché la penso così.
Cominceremo analizzando i concetti spinoziani di corpo e di mente. Spinoza aveva un’idea convenzionale del corpo umano. Nella prima parte dell’Etica (proposizione 15, scolio) descrive il corpo come «una qualsiasi quantità, lunga, larga e profonda, delimitata da una certa figura». Parafrasando Spinoza, definirei il corpo «una qualsiasi quantità di sostanza circoscritta», e poiché la sostanza di Spinoza è Natura, direi che il corpo è «un grumo di Natura, convenientemente circoscritto dal confine della pelle».
Per entrare nei dettagli della concezione spinoziana del corpo, occorre considerare, nel loro insieme, i sei postulati della seconda parte dell’Etica. Eccoli:
«1. Il corpo umano si compone di moltissimi individui (di diversa natura), di cui ognuno è oltremodo composto.
«2. Degli individui, di cui il corpo umano si compone, alcuni sono fluidi, alcuni molli, e altri infine duri.
« 3. Gli individui componenti il corpo umano, e pertanto lo stesso corpo umano, sono affetti in moltissime maniere da corpi esterni.
«4. Il corpo umano abbisogna, per conservarsi, di moltissimi altri corpi, da cui viene continuamente come rigenerato.
« 5. Quando una parte fluida del corpo umano è determinata da un corpo esterno a urtare spesso contro un’altra molle, ne muta la superficie, e imprime in essa, per così dire, certe tracce del corpo esterno che dà la spinta.
« 6. Il corpo umano può muovere i corpi esterni in moltissime maniere, e in moltissime maniere disporli».
L’immagine dinamica qui trasmessa da Spinoza è raffinatissima, soprattutto se ricordiamo che egli scriveva a metà del diciassettesimo secolo, quando l’inchiostro dei primi trattati di anatomia era ancora fresco. In questo oggetto complesso, il corpo, egli riconosceva dunque molte parti; esse erano deperibili, e occorreva quindi rinnovarle; infine, potevano essere deformate in seguito al contatto con altri corpi. Spinoza non disse mai che quelle deformazioni potevano essere trasmesse dai nervi al cervello; ciò nondimeno, io non credo che questo pensiero fosse al di fuori della sua portata.
Per come la vedo io, la vera conquista sta nel concetto spinoziano di mente umana, che egli definisce in modo trasparente come idea del corpo umano. Spinoza usa «idea» come sinonimo di immagine o rappresentazione mentale, o componente del pensiero. Egli la definisce «un concetto della mente che la mente forma perché essa è una cosa pensante» (Il, definizione 3; altrove, però, «idea» indica un’elaborazione effettuata sulle immagini, un prodotto quindi dell’intelletto, più che della semplice immaginazione).
Consideriamo le precise parole di Spinoza nella proposizione 13: «L’oggetto dell’idea costituente la mente umana è il corpo». L’affermazione viene poi parafrasata ed elaborata in altre proposizioni. Per esempio, nella dimostrazione della proposizione 19, Spinoza dice: «La mente umana è la stessa idea o conoscenza del corpo umano». Nella proposizione 23 si legge: «La mente non conosce se stessa, se non in quanto percepisce le idee delle affezioni del corpo».
Si considerino, inoltre, i seguenti notevoli passi, tutti inerenti alla proposizione 13:
a) «... l’oggetto dell’idea costituente la mente umana è il corpo, e il corpo ... esistente in atto ... Dunque l’oggetto della nostra mente è il corpo esistente e niente altro» (dimostrazione).
b) «Da ciò non solo s’intende che la mente umana è unita al corpo, ma anche che cosa debba intendersi per unione della mente e del corpo» (scolio).
e) «... al fine di determinare in che cosa la mente umana differisca dalle altre, e in che cosa sia superiore alle altre, ci è necessario, come ho detto, conoscere la natura del suo oggetto, cioè del corpo umano. Ma qui non posso spiegarla, né ciò è necessario per dimostrare ciò che voglio. Tuttavia, in generale dico che quanto più idoneo è un corpo rispetto agli altri, a fare e a patire più cose insieme, tanto più atta delle altre è la sua mente a percepire più cose insieme ...» (scolio).
Quest’ultimo concetto è espresso senza mezzi termini nella proposizione 14: «La mente umana è atta a percepire moltissime cose, e tanto più atta, quanto più numerose sono le maniere, in cui il suo corpo può essere disposto».
Si consideri infine la proposizione 26, forse ancora più importante: «La mente umana non percepisce un corpo esterno come esistente in atto, se non attraverso le idee delle affezioni del suo corpo».
Spinoza non sta semplicemente dicendo che la
mente scaturisce del tutto formata dalla sostanza con uno statuto
pari al corpo, ma ipotizza un meccanismo mediante il quale
realizzare quella parità di statuto. Il meccanismo ha una sua
strategia: gli eventi che hanno luogo nel corpo sono rappresentati
come idee nella mente. Vi sono dunque «corrispondenze»
rappresentative che vanno in un’unica direzione, e cioè dal corpo
alla mente. I mezzi per realizzare tali corrispondenze sono
contenuti nella sostanza. Particolarmente interessanti, a tale
proposito, sono le affermazioni in cui Spinoza parla di una
proporzionalità - in termini sia di quantità sia di intensità - fra
idee e «modificazioni del corpo». Il concetto di proporzione evoca
infatti quelli di «corrispondenza» e perfino di «mappa». Ho il
sospetto che egli si riferisse a una sorta di isomorfismo, tale da
preservare la struttura. Ugualmente interessante è il concetto
spinoziano che la mente non possa percepire l’esistenza di un corpo
esterno se non attraverso la modificazione del suo stesso corpo.
Qui Spinoza sta specificando una serie di dipendenze funzionali:
sta dicendo che l’idea di un oggetto non può manifestarsi in una
data mente in assenza del corpo o senza il verificarsi di
determinate modificazioni a carico di quel corpo, causate
dall’oggetto stesso. Niente corpo, niente mente.
Spinoza non si avventura oltre le conoscenze di cui dispone e pertanto non può dire che i mezzi per stabilire le idee del corpo comprendono vie chimiche e neurali, nonché lo stesso cervello. Ovviamente, doveva sapere ben poco del cervello e dei mezzi con cui corpo e cervello si scambiano segnali. Egli mantiene pertanto un atteggiamento prudente, e dichiara la propria ignoranza sui dettagli anatomici e fisiologici del corpo, compresa quella parte chiamata cervello. Sebbene nelle discussioni su mente e corpo egli evitasse attentamente di menzionare il cervello, da alcune affermazioni compiute altrove possiamo dare per certo che considerasse mente e cervello strettamente associati. Per esempio, nell’Appendice che conclude la prima parte dell’Etica, Spinoza afferma che «... ognuno ha giudicato secondo la disposizione del proprio cervello le cose», e interpreta il detto «tot capita tot sententiae» dicendo che «gli uomini ... giudicano le cose secondo la struttura dei loro cervelli». Comunque sia, noi oggi siamo in grado di introdurre nel quadro i dettagli relativi al cervello, e spingerci a dire in sua vece ciò che egli, ovviamente, non poté dire.
Dalla mia attuale prospettiva, affermare che la mente consiste nell’idea del corpo equivale a dire che la mente è fatta di immagini, rappresentazioni, o pensieri relativi alle parti del corpo mentre esse agiscono spontaneamente o subiscono modificazioni indotte da oggetti presenti nell’ambiente. Una simile affermazione si discosta radicalmente dall’opinione comune, e a tutta prima può suonare inverosimile: la nostra mente, infatti, è popolata di immagini o pensieri di oggetti, azioni e relazioni astratte che sembrano, nella maggior parte dei casi, aver a che fare non tanto con il corpo quanto con l’ambiente esterno. Tuttavia, i dati sui processi delle emozioni e dei sentimenti presentati nei capitoli 2 e 3, e i risultati neurofisiologici discussi in questo capitolo, dimostrano che si tratta di un’ipotesi attendibile, giacché la mente è piena di immagini provenienti dalla carne e dalle sonde sensoriali speciali. Sulla base della moderna neurobiologia, possiamo non solo dire che le immagini sorgono nel cervello, ma anche azzardare che una notevole percentuale delle immagini che emergono nel cervello si formano grazie a segnali afferenti dal corpo.
Io vedo nello Spinoza della prima parte dell’Etica - là dove egli affronta in generale i problemi della mente e del corpo - il filosofo provetto che tratta dell’intero universo. Nella seconda parte, però, egli si stava interessando a un problema locale, e ho il sospetto che stesse intuendo una soluzione che non era in grado di specificare. Questa sua doppia prospettiva dà luogo, di volta in volta, a una tensione latente o a quello che pare uno scontro, in altre parole proprio il tipo di conflitto che permea tutta l’Etica. In fondo, il pari statuto che Spinoza attribuisce a mente e corpo funziona solo nella descrizione generale. Quando cerca di approfondire il meccanismo non specificato, ecco che esistono direzioni preferenziali: dal corpo alla mente nella percezione, dalla mente al corpo quando, per esempio, decidiamo di parlare e lo facciamo.
In qualche caso, Spinoza non esita a privilegiare il corpo o la mente. Nella maggior parte delle proposizioni esaminate finora il corpo, naturalmente, è un silenzioso vincitore. Nella proposizione 22 della seconda parte, tuttavia, Spinoza mette innanzi la mente: «La mente umana percepisce non solo le affezioni del corpo, ma anche le idee di queste affezioni». Questo, in realtà, significa che una volta che si è fatta un’idea di un certo oggetto, la mente può formarsi un’idea dell’idea, e un’idea dell’idea dell’idea, eccetera. Tutta questa proliferazione di idee ha luogo sul versante mentale della sostanza, la quale - nell’attuale prospettiva - può essere in larga misura identificata con la componente mente-cervello dell’organismo.
Il concetto di «idee delle idee» è importante sotto molti rispetti. Per esempio, esso apre la strada alla rappresentazione di relazioni e alla creazione di simboli. Esso è ugualmente importante perché spiana la via alla creazione di un’idea del sé. Io ho ipotizzato che il tipo più elementare di sé sia un’idea, precisamente un’idea del secondo ordine. Perché del secondo ordine? Perché essa si fonda su due idee del primo ordine: quella dell’oggetto che stiamo percependo, e quella del nostro corpo, modificato dalla percezione dell’oggetto. L’idea del secondo ordine del sé è l’idea della relazione fra altre due idee: l'oggetto percepito e il corpo modificato dalla percezione.
Quest’idea del secondo ordine, che io chiamo sé, è inserita nel flusso delle idee nella mente, e offre a quest’ultima un frammento di conoscenza appena creata: la conoscenza del fatto che il nostro corpo è impegnato nell’interazione con un altro oggetto. Io credo che un meccanismo del genere sia essenziale per generare la coscienza nel senso lato del termine, e ho ipotizzato alcuni processi che permetterebbero di implementare questo meccanismo nel cervello.22 Noi abbiamo una mente cosciente quando il flusso di immagini che descrive oggetti ed eventi nelle varie modalità sensoriali - in altre parole, il «film nel cervello» - è accompagnato dalle immagini del sé che ho appena descritto. Una mente cosciente è un semplice processo mentale informato dei propri simultanei rapporti con gli oggetti e con l’organismo che la contiene. Ancora una volta, è affascinante constatare che Spinoza avesse trovato spazio, nel suo pensiero, per un’operazione tanto semplice e interessante come il formarsi di idee sulle idee.
Spinoza non sopportava l’argomento dell’ignoranza - sul genere di quelli in cui ci si imbatte quando qualcuno nega che la mente possa emergere dai tessuti biologici, perché «è difficilmente immaginabile». Egli fu molto chiaro in proposito: «In verità, che cosa possa il corpo, nessuno fin qui l’ha determinato, vale a dire a nessuno finora l’esperienza ha insegnato che cosa il corpo possa fare in forza delle sole leggi della natura, in quanto considerata solo corporea, e che cosa non possa fare, se non venga determinato dalla mente. Infatti nessuno fin qui ha conosciuto la struttura del corpo tanto accuratamente da poterne spiegare tutte le funzioni ... Nessuno sa, poi, in che modo e con quali mezzi la mente muova il corpo, né quanti gradi di moto gli possa comunicare, né con quanta rapidità possa muoverlo. Perciò, quando gli uomini dicono che questa o quella azione del corpo ha origine dalla mente, che ha impero sul corpo, essi non sanno quello che dicono, e non fanno altro che confessare con parole pretenziose, che ignorano la vera causa di quell’azione senza meravigliarsene» (Etica, III, proposizione 2, scolio).
Qui ho il sospetto che Spinoza si stia riferendo al corpo inteso nel senso più ampio, ossia al corpo propriamente detto e al cervello. Forse, non soltanto stava cercando di scalzare l’idea tradizionale che il corpo derivi dalla mente, ma stava preparando la scena alle scoperte che avrebbero sostenuto l’idea opposta.23
Può darsi che altri non siano d’accordo con la mia interpretazione. Per esempio, qualcuno potrebbe sostenere che la mia lettura di Spinoza è inficiata dal concetto spinoziano di eternità della mente. Una simile obiezione, tuttavia, può essere facilmente confutata. In molti passaggi dell’Etica, in particolare nella quinta parte, Spinoza definisce l’eternità come l'esistenza della verità eterna, l’essenza di una cosa, piuttosto che un continuo durare. L’essenza eterna della mente non va confusa con l’immortalità. Nel pensiero di Spinoza l’essenza della nostra mente esisteva prima che quest’ultima entrasse in essere, e persisterà anche dopo che essa sarà perita insieme al nostro corpo. La mente è al tempo stesso mortale ed eterna. Anche in altri punti dell’Etica e del Tractatus, Spinoza dichiara che la mente perisce con il corpo. La negazione dell’immortalità della mente, un aspetto del suo pensiero già presente quando egli era appena ventenne, potrebbe essere stata una delle principali ragioni della sua espulsione dalla comunità ebraica.24
Qual è l’intuizione di Spinoza, allora? Che la mente e il corpo sono processi paralleli e mutuamente correlati, che si mimano l’un l’altro a ogni piè sospinto, come due facce dello stesso oggetto. Che nel profondo di questi fenomeni c’è un meccanismo per rappresentare, nella mente, gli eventi del corpo. Che nonostante il pari statuto della mente e del corpo, fintanto che essi sono manifesti al percipiente, esiste un’asimmetria nel meccanismo alla base dei due fenomeni. Spinoza suggerì che il corpo desse forma ai contenuti della mente più di quanto quest’ultima desse forma a quelli del corpo, sebbene i processi della mente si rispecchiassero in considerevole misura in quelli del corpo. D’altro canto, le idee della mente possono moltiplicarsi in una sorta di gioco di specchi, cosa che i corpi non possono fare. Se la mia interpretazione delle affermazioni di Spinoza fosse anche lontanamente corretta, la sua fu un’intuizione rivoluzionaria per i suoi tempi, pur non avendo alcun impatto sulla scienza. Un albero cadde nella foresta, senza che nessuno fosse presente a testimoniare. Le implicazioni teoriche di questi concetti non sono state assimilate: né come intuizione spinoziana, né come dati di fatto stabiliti indipendentemente.
E PER CONCLUDERE, IL DOTTOR TULP
Termino la mia Huygens Lecture mostrando una riproduzione della ben nota opera di Rembrandt La lezione di anatomia del dottor Tulp, il cui originale è esposto qui vicino, al Museo Mauritshuis. Non è la prima volta che mi servo del dottor Tulp per riferirmi al problema mente-corpo, ma per una volta luogo e argomento sono in perfetta sintonia.
A giudicare dalle apparenze, il dipinto di Rembrandt vuol semplicemente celebrare la figura del dottor Nicolaes Tulp come medico e scienziato in occasione di una pubblica lezione di anatomia da lui tenuta nel gennaio del 1632. La gilda dei chirurghi di Amsterdam desiderava che venisse immortalato in un quadro, e non c’era tema migliore di un evento teatrale come una dissezione anatomica, che attirava la curiosità della ricca e colta borghesia, ed era eseguita dinanzi a un pubblico pagante. Tuttavia, il dipinto celebra anche una nuova èra nello studio del corpo e delle sue funzioni, un’èra che troviamo raccontata negli scritti di William Harvey e di Cartesio, che pare fosse tra il pubblico quel giorno. Le scoperte di Harvey sulla circolazione del sangue appartengono allo stesso periodo, ossia all’èra successiva a Vesalius: l’èra dei bisturi bene affilati, delle lenti e dei microscopi, in grado rispettivamente di sezionare e ingrandire la struttura fine del corpo umano. Il dipinto proclamava l’interesse degli olandesi per lo studio e la raffigurazione della natura - fin dentro il corpo umano, sotto la pelle - e simboleggiava bene l’ascesa della scienza che segnò questo periodo storico.
Cosa ancor più interessante, il dipinto di Rembrandt ci ricorda la perplessità che le nuove scoperte dell’anatomia dovettero suscitare nei loro autori. Con la mano destra Tulp isola e solleva i muscoli flessori con i quali la mano sinistra del cadavere un tempo piegava le dita, e con la sinistra esegue l’azione comandata da quei muscoli. Ecco così svelato, perché tutti lo possano vedere, il mistero di quel movimento. Non si tratta di un dispositivo funzionante con una pompa idraulica o pneumatica - sebbene naturalmente avrebbe potuto esserlo - ed è questa la bellezza del momento catturato sulla tela: il movimento della mano è ottenuto semplicemente grazie alla contrazione muscolare e alla trazione esercitata dai tendini sulle leve ossee. Il dottor Tulp verifica ciò che è, e lo separa da ciò che potrebbe essere. Le congetture lasciano il passo ai fatti.
Per alcuni lo spettacolo di un mistero rivelato è fonte di profondo turbamento, e questo di certo si legge nello sguardo del dottor Tulp. Egli non fissa l’osservatore, non guarda ciò che sta facendo, né i suoi colleghi. Guarda un punto lontano, sulla sinistra, oltre i limiti della cornice e - se lo storico Simon Schama ha visto bene - oltre i confini della stanza. Schama ipotizza che il dottor Tulp, un devoto calvinista, stesse volgendo lo sguardo al Creatore stesso, interpretazione che ben si accorda con i versi scritti qualche anno dopo da Caspar Barlaeus, il quale citava esplicitamente l’opera ora famosa di Rembrandt:
Qui, mentre con abile mano egli seziona
pallide membra,
ci parla l’eloquenza del dotto Tulp:
«O tu che ascolti, impara a conoscere te stesso!
E mentre esamini le parti,
sappi che, fin nelle più minuscole,
è nascosto Dio ».25
Nelle parole di Barlaeus io vedo una risposta al senso di apprensione provocato dalla scoperta, alla quale sarebbe, inevitabilmente, seguito un pensiero: se possiamo spiegare tutto questo sulla nostra natura, qual è il limite a ciò che possiamo spiegare? Perché mai non dovremmo poter chiarire ogni fenomeno del corpo, inclusa, forse, la mente? Riusciremo a scoprire in che modo i pensieri possono comandare a una mano di muoversi? Spaventato dai suoi stessi ragionamenti, Barlaeus desiderava tranquillizzare il pubblico, o la divinità, o forse entrambi: sebbene stessero penetrando dietro le quinte e scoprendo l’arcano, i personaggi del dipinto non avevano affatto perso il loro rispetto per l’opera del Creatore. Il volto del dottor Tulp è indecifrabile; talvolta, nel contemplare quel quadro, penso che egli stia semplicemente dicendo a chi osserva: «Guarda che cosa ho fatto!». Qualunque cosa significhi quell’espressione, Rembrandt o Tulp - o forse entrambi - volevano che noi sapessimo che nessuno prendeva alla leggera quanto stava accadendo nel Theatrum Anatomicum di Leida.26
La pia rassicurazione di Barlaeus era effettivamente un antidoto necessario contro ciò che probabilmente Cartesio stava pensando in quei giorni a proposito di mente e corpo, e soprattutto contro ciò che Spinoza avrebbe pensato e scritto sull’argomento di lì a vent’anni. E affascinante rendersi conto - a ulteriore dimostrazione di come le parole possano mentire - che l’ammonimento di Barlaeus, se venisse estrapolato dal contesto e attribuito a Spinoza, avrebbe un significato completamente diverso. Guardando il capolavoro di Rembrandt, Spinoza avrebbe potuto benissimo dire che il suo Dio era in ogni centimetro e in ogni movimento di quel corpo aperto e dissecato; e tuttavia avrebbe inteso qualcos’altro.